Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE SECONDA

V. Finis philosophiae.

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V. Finis philosophiae.

 

Il dottore, vedendo che la stanza del malato non aveva fuoco, gli consigliò di cercare un rifugio più riparato nella vicina camera dello zio prete, dove si poteva accendere il caminetto.

Imbacuccato nel gran tabarro a cinque mantelline del povero , il nostro malato passò i primi giorni della sua faticosa convalescenza sprofondato nel seggiolone dello zio prete, colle gambe fasciate nello scialle di sposa della mamma, provando nella sua sfinitezza e nel tiepore morbido della cameretta il pigro piacere di sentir la vita rinascere e di contemplare in una vuota estasi i grossi fiocchi di neve cadere sui tetti già bianchi dei casolari contigui e sui fracidi pergolati. Appoggiava la testa allo schienale alto del seggiolone, sul fondo bruno del quale la sua faccia, resa più sottile e nobile dalla malattia, spiccava in una delicata bianchezza, e rimaneva così lunghe ore cogli occhi perduti nella festa luminosa della fiamma, in cui si agita in modo così vario e così bello lo spirito sottile della vita.

Una mattina pregò la mamma di mettergli accanto sur un tavolino tutte le carte stampate e manoscritte, che formavano il materiale del suo libro.

‑ Non aver troppa fretta di metter le mani in queste tue cartaccie, ‑ gli disse la mamma ‑ prima hai bisogno di guarire. Libro più, libro meno, il mondo va innanzi lo stesso.

‑ Non ho che a fare una piccola correzione... ‑ rispose Giacomo con un malinconico sorriso.

La mamma lo contentò. Gli portò nel grembiale quel gran fascio di carte, che lo spavento di quei di casa aveva scompaginate, e, vedendo che il figliuolo stava bene e non aveva bisogno di nulla, soggiunse:

Oggi è festa, e son tre domeniche che non sento una messa. Posso andare?

Andate pure, mamma; per ora non mi manca nulla.

To', vien Blitz a tenerti compagniadisse la donna nell'uscire.

Il cane venne anche lui a sedersi al fuoco e, appoggiando la grossa testa alle gambe del padrone, lasciò che questi si attaccasse famigliarmente alle sue orecchie.

Nevicava con forza lenta e silenziosa. Erano usciti tutti, e non uno zitto si sentiva per la casa. Se tendeva l'orecchio ad ascoltare, pareva a Giacomo di sentire nella delicatezza della sua debolezza la solennità della inerzia che teneva la campagna e come se quel gran freddo invernale entrasse a stringere e a irrigidire la sua speranza, appoggiò la testa pesante alla mano e si carezzò dolorosamente la fronte. Era solo nella povera casa di suo padre, ch'egli non aveva più la forza di sorreggere.

Blitzchiamò con un lento singhiozzo. Il cane sollevò gli occhi umidi e stette ad aspettare che il padrone gli dicesse una buona parola.

‑ Sta attento, Blitz, come va a finire l'ideale...

Il cane riaprì gli occhi davanti a una luce più viva, che si alzò nel caminetto. A mazzetti, a mazzetti, Giacomo seguitò a gettare sul fuoco il manoscritto e i fogli di stampa, fin che rimasero immersi nella brace d'oro in un misero pugnetto di carte carbonizzate. Tratto tratto, sotto i contorcimenti dei margini, uscivano in una traccia sanguigna le righe e perfin le parole dov'era passata, dove aveva palpitato l'anima del filosofo. Esitando il vento, che scendeva dalla canna, a scomporre e a rapire le povere spoglie, Giacomo nel furore con cui un suicida si pianta un coltello nelle carni vive, urtò colla pala quell'inerte mucchio di vani pensieri, che svolazzando in una fuga sgominata, si dispersero per la nera gola.

Finis philosophiaemormorò con grave accoramento, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa affaticata al palmo della mano. Di che cosa avrebbe vissuto domani? Per rompere con un atto materiale la cupa misantropia, che minacciava di soffocarlo, provò a muoversi, uscì appoggiandosi alla parete sulla loggetta, da dove l'occhio correva sui campi aperti e sui tetti delle fornaci; posò lo sguardo sulle suppellettili e sulle cento cose, che il tempo e l'uso della vita avevano radunato nel portico e che nell'aria livida dell'inverno gli parlavano con un senso d'infinita tristezza.

Sentendosi abbastanza sicuro sulle gambe, provò a scendere le scale, e quando fu abbasso, nella cucina, si accostò al camino, dove bolliva sommessamente un caldano, e sedette nella poltrona di legno del , che era stata la poltrona dei vecchi, sempre davanti a quel medesimo camino dalle panchette logorate, dagli alari consunti, dagli oscuri ripostigli, che contenevano le cose dei morti. Ogni generazione vi aveva dimenticato qualche cosa, chi una pipa, chi una scatola di fiammiferi, chi una tabacchiera, chi una moneta, chi un cartoccio di tabacco, chi un libro da messa o un rosario, o un bastone, o un falcetto; e si sa che ogni cosa lasciata indietro ha dentro di un poco dell'anima di chi è partito, come resta il calore della vita per breve tempo anche dopo che la vita ha cessato di battere nel corpo. Molta cenere era stata portata via e dispersa dal giorno che davanti alla pietra scolpita del camino era stata accesa la prima fiamma; e ogni cenere morta contiene un pugno delle nostre speranze! Ma nessuno de' suoi era stato avvilito e amareggiato come avevano avvilito e amareggiato il filosofo di casa, il grand'uomo, che intorno a quell'affumicato edificio di casa sua aveva creduto d'innalzare un tempio ideale ricco di pietre preziose. Non era passato un mese dal che aveva sognato di far sedere Celestina al suo fianco, davanti a quel camino, e di rinnovare con lei nella casa dei Lanzavecchia un nuovo patto; ma intanto ch'egli costruiva i sogni suoi nella cenere, c'era chi faceva di lei e dell'onore di tutti e due il più orribile strazio. No, no, nessuno dei vecchi padri era passato per queste verghe; nessuno avrebbe saputo immaginare per sé una simile ignominia. Questi era riservata al discendente filosofo, al raffinato analizzatore della vita, perché avesse con comodo a scriverne un bel libro. Questo gli andavano ripetendo con ironico aspetto le sedie, le casse, gli utensili accostati al muro, la polverosa cicogna, che alzava il collo di mezzo ai trespoli consunti sull'armadio, questo gli suggeriva ogni altra apparenza, a cui l'occhio, l'abitudine, la memoria avvessero attaccato un po' della sua vita. Che stava egli a tener in conto questa sua miserabile esistenza senza bene, senza coraggio e senza rassegnazione? L'odio, che gli stillava dal cuore, non faceva che corrodere come un acre veleno le sue viscere, senza infondergli l'ardimento d'una vendetta o di una qualunque azione vigorosa, che giovasse alla sua dignità. Il suo posto nel mondo non poteva essere che un oscuro nascondiglio, come si riserva agli arnesi scassinati; e allora che giovava il vivere?

Ancora una volta si mosse e girò intorno alla tavola, non potendo star fermo su questi aculei; ma nell'alzare gli occhi, un cupo pensiero si fermò sullo schioppo da caccia a due canne, attaccato per la bandoliera lungo il muro sulla cappa del camino. Era un vecchio schioppo di buona fabbrica bresciana d'un calibro solido e pesante, che nelle mani del non aveva mai sbagliato un colpo. Giacomo osservò che uno dei cani aveva la capsula, segno che c'era dentro una carica. Con un braccio appoggiato alla sponda della tavola, a cui cercava di reggere il corpo affievolito, si domandò con terrore se il caso ha i suoi suggerimenti, socchiuse gli occhi, volò con l'immaginazione a quel che poteva essere di lui al di d'un gesto fatale. Un gran picchio di cuore gli fece sentire il rombo della schioppettata e si rimirò disteso col petto squarciato attraverso la pietra del camino. Cedendo al fiero invito, montò sopra una sedia, distaccò il fucile, alzò il cane sulla capsula... girò gli occhi intorno... Proprio in quell'istante presero a suonare le campane del Sanctus della messa.

Povera donna...! ‑ mormorò: e buttò la capsula nella cenere. La notte, ebbe un breve ritorno di febbre; tanto che il dottore gli consigliò, anche in vista della brutta stagione, di restare a letto qualche giorno di più.

 

 

 


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