Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE SECONDA

XI. Giobbe e le sue tribolazioni.

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XI. Giobbe e le sue tribolazioni.

 

- Il dottore seguita a dire che tu devi mangiare e tener da conto le forzeripeteva la rnamma Santina nel metter davanti al suo convalescente un tegame di buon fritto di cervello, in cui aveva fatto saltare alcune creste. Dopo avergli versato un bel calice di vino vecchio di Marsala, di quel che bevono soltanto i signori, riprendeva a dire: ‑ Il meglio che tu possa fare è di non pensare più a quella meschina che in mezzo alla sua disgrazia può dire d'essere caduta nella bambagia. Tu non puoi raccogliere certe eredità e... amen, di' anche tu: Sia fatta la volontà del Signore. Don Angelo mi ha domandato se, a cose finite, avrei difficoltà a ricevere Celestina in casa. Ho risposto che dipenderà dalle circostanze. Naturalmente non siamo in caso di mantenerla, molto più se non tornerà sola. Don Angelo assicura che Celestina avrà quel che ha diritto di avere, e quasi voleva ch'io dicessi una somma. Ho risposto: no, no: son cose che regolerete meglio con Giacomo. Ho detto bene? Ho accettato per il momento qualche soccorso, perché non si sapeva più dove dare del capo. I bisogni son molti e quest'anno, in medici e medicine, si è spesa una dote; ma desidero che in questa faccenda dica tu la prima parola, perché l'affronto e il danno è stato più tuo che nostro. La Lisa ha sentito dire alla fontana, da una donna, che fu a servire in casa Fulgenzi, come in una contingenza simile s'è potuto chiedere fin centomila lire, ‑ mangia, benedetto figliuolo, ‑ ma non tutte le circostanze sono uguali; e non bisogna nemmeno abusare delle disgrazie. Credo invece che convenga mostrarsi discreti e ragionevoli, non solo per riguardo a questi bravi signori, che sono i più castigati, ma anche per semplificare un accordo. Meglio stornello in mano che tordo in frasca. Siano trenta, siano quaranta, quel che importa è che si metta tutto sotto un mucchio di cenere e che non se ne parli più. Con questi denari, non solo si potrebbe provvedere alla disgraziata, che non ha più che questa casa; ma c'è anche questa povera diavola della Lisa, che ha sempre lavorato per tutti. A della quale ti devo dire che si è fatto avanti il Bogellino, figlio del fattore del Ronchetto. Ha finito il servizio militare e cerca moglie. Sai che la Lisa non gli è mai dispiaciuta. Se non si è fatto avanti prima, è perché sapeva che i Lanzavecchia litigavano coi debiti e col fallimento; ma, quando si potesse assicurare alla Lisa una parte della sostanza di vostro padre, anche su una piccola ipoteca, il Bogellino dice che la sposerebbe subito. E io vedrei volontieri, dico la verità, questo matrimonio, perché la Lisa non va d'accordo con Battista; e se domani dovessi ripigliare in casa la Celestina, dice che non resta un minuto in questa casa, ma va a servire un curato di montagna. Il vecchio Bogella non ci vede quasi più e aspetta di cedere la fattoria al figliuolo, che è stato tenuto al battesimo dal conte. Tutti lo chiamano Bogellino, perché hanno cominciato a chiamar Bogella suo padre; ma il suo vero è Lorenzo Limonta, il nome del conte. La contessa sarebbe disposta ad aiutarci anche in questa circostanza, se si combina; ma non si può dare la ragazza in camicia, ‑ bevi, benedetto ragazzo. ‑ Quando io mi sono maritata, ho portato le mie trenta paia di calze, le mie ventiquattro camicie di tela fatte in casa, e ventiquattro camicie di tela forestiera, dodici sottane, sei vestiti, quattro di lana, uno di seta, uno di cotone e ottomila svanziche. Sarebbe un vantaggio di poter fare gli acquisti nell'inverno, quando si può aver la roba a buon mercato, così il matrimonio potrebbe farsi in principio di primavera. Don Angelo conosce un mercante di Bergamo, un galantuomo, che avrebbe giusto rilevato in questi giorni una camera da letto per duecento sessanta lire, col suo letto matrimoniale, il cassettone col marmo, due tavolini da notte e la seggiola col cuscino elastico... È un'occasione da non lasciar scappare... Anche Angiolino avrebbe bisogno d'un paio di calzoni...

A questo genere di discorsi, che la vecchia Santina trovava modo di ripetere e di far entrare in testa a quel benedetto figliuolo, Giacomo non rispondeva mai nulla; ma lasciava capire che per conto suo non avrebbe impedito né allo zio prete di accettare tutto quel che nella sua coscienza di prete credeva onesto d'accettare, né alla Lisa di sposare chi voleva, né alla mamma di ripigliare Celestina in casa, se Celestina non desiderava che questo: gli affari di casa non lo riguardavano più. Egli non aveva, o credeva di non avere più la forza né di combattere, né di resistere. Dopo che il suo cuore aveva cessato di muoversi, come se il dolore ne avesse paralizzato le forze, poco gli poteva importare che gli altri sfruttassero e accomodassero la sua disgrazia ai bisogni del loro egoismo. D'un cavallo morto è sciocchezza non trarre tutto il profitto che si può. Perfino quel che vi poteva essere di più grottesco, in queste rattoppature della coscienza coll'avarizia, non aveva la virtù di farlo sorridere. È giusto che ognuno pensi a sé; l'errore è nel credere che si possa vivere d'idee; e molto meno si può vivere d'idee inutili! Dal momento che aveva trovato quel posto a Pallanza, non aspettava che di mettersi in forze, poi avrebbe dato un addio per sempre alla casa di suo padre, non più sua, al passato, ai libri... Al finir della supplenza avrebbe fatta domanda per aver qualche altro posto, in fondo alla Sicilia, o in Sardegna, un di quei posti che nessuno vuole, che sembran fatti apposta per seppellirvi un uomo, dove arrivi sconosciuto, non desiderato, senz'obbligo di dar conto di te, dove con un poco di pazienza puoi arrugginirti del tutto in una cinica inerzia di spirito, o in un meccanismo di occupazioni, che, se non è la morte, è per lo meno idiotismo laureato.

 

Stava una mattina raccogliendo alcuni pochi libri in una cassetta (quei pochi che dovevano servire al mestiere) quando l'uscio fu spinto bel bello e comparve nella luce della loggetta la figura tozza e strapazzata del Manetta, ch'era venuto per dir qualche cosa anche lui al povero sor Giacom. Il vecchio fornaciaio, che aveva veduto nascere e crescere tutti i figliuoli della casa e che nella sua rugosa scorza abbruciata dal sole e dal fuoco poteva dirsi il genio affumicato delle fornaci, non aveva potuto rimanere di pietra alle disgrazie, che da qualche tempo tempestavano le tegole dei Lanzavecchia. Dopo la morte del povero sor Maver, pareva che il diavolo, sceso per la canna del camino, si fosse seduto sul seggiolone del . La storia della povera Cerestina non era da credere; e se in conseguenza diretta anche il sor Giacom deliberava di morire, a lui Manetta non restava che di andar a sonare il violino. Quando un uomo ha lavorato tutta la vita, è dura, oltre al veder crepare gli altri, di dover finire come un cane rognoso su un pagliaio. Era questo il discorso che gli stava sul cuore di fare al sor Giacom, per dimostrargli che di mali ce n'è per tutti e che il peggio rimedio è quello di non volerli portare.

‑ Lei dirà, sor Giacom, ch'io ho buon tempo e che non tocca a me di fare il professoredisse il vecchio fauno, tenendo sollevato il cappello sull'osso della testa per tutto il tempo che durò il gran discorso: ‑ Per grossa è stata grossa; e quando ci penso, mi vien voglia di bestemmiare, com'è vero che ho ricevuto il battesimo. È il vizio che fa gli uomini cattivi; e quel che mantiene il vizio è la troppa pietanza. Ma don Angelo dice che la Provvidenza non si addormenta mai e bisogna crederci. Dal momento che questo Monsignor vescovo ci mette lui le mani dentro, saprà ben trarne fuori qualche ingrediente per far buona la bocca. Il tempo è un vecchio sarto, che rattoppa anche al buio. Se va la combinazione, mi raccomando anche per me, che sono ormai da vendere per ferro frusto. Non si desidera mica mangiar manzo e mostarda, diodedei! A settant'anni non sono i peccati di gola che fan paura; ma c'è che l'asino è stracco come una vacca, parlando con poco rispetto; né lavorare si può, quando si hanno i conti da aggiustare colla vecchia Caterina. Far conti sulla cassa di risparmio? caro vita! è come voler scaldarsi a un fuoco spento, perché ai calzoni del povero, dice quello, il sarto si scorda di fare le tasche. Il male più grosso è che, quando uno si è fatta l'abitudine di mangiare tutti i giorni, è difficile che muoia d'inappetenza. Per conseguenza diretta, se domani si vendono le fornaci, come sento dire, a qualche grossa ditta di Bergamo, è probabile che nessuno voglia prendere un uomo così rovinato nel telaio. E non faccio per dire: ma di pesi ne ha sollevati in vita sua questa carcassa di corpo, che ora scricchiola come una cesta. Vede la chiesa di Calusco quanti mila mattoni? Ebbene son passati tutti per queste due mani, che ora stentano a stringere il pane. Lei sa che cosa è la filosofia, e dirà che io sono una bestia e che della gente ce n'è fin troppa al mondo, peggio che le mosche d'estate; ma si vorrebbe morire nel suo letto, non su una strada: che ne dice, sor Giacom? Se mi buttan via perché son vecchio e scassinato, addio bella! non mi resta che di andar a quattro gambe come quel poveraccio del Foppa, che è uno sproposito di Dio. Chi ha provato il tossico sa che cosa vuol dire bocca amara; chi ha patito sa che cosa vuol dire patire. E se lei dice una buona parola al vescovo, o alla sora contessa, o a Don Angelo, tanto che non mi buttino ai cani, pregherò sempre per il suo , per la povera Cerestina, che, se dovesse morir oggi, non la tocca nemmeno le fiamme del purgatorio, tanto è bianca nella sua coscienza che non più questa neve che viene dal cielo. Lo so io il bene che gli voleva la Cerestina. L'ho scoperto io questo amore, quando lei andò col Garibaldi; e se Dio mi dicesse: Manetta, metti la mano nella fornace accesa! com'è vero che questa è carne viva, giuro che ve la tengo il tempo di tre salveregine.

Il vecchio fornaciaio stese il braccio affumicato e nocchioruto e lo tenne sollevato col pugno in aria, come se aspettasse veramente il giudizio di Dio.

Giacomo, che all'assalto di questa nuova tenerezza sentiva farsi il cuore sempre più debole, strascicando a fatica le parole, anzi parlando più coi segni che colla voce, fece intendere che fin che ci sarebbe stato pane pei giovani, non sarebbe mancato ai vecchi.

Ma capiva sempre più che l'opera sua era finita; non solo, ma ch'egli era più d'impedimento che di aiuto. Forse era meglio ch'egli affrettasse la sua partenza. Quando la battaglia è perduta, al vinto non resta che di ritirarsi. Durando il bel tempo secco, ben coperto dal tabarro del , si fece accompagnare una mattina da Angiolino in timonella fino alla stazione di Cernusco e mandò via la sua poca roba per Pallanza. Nell'andare volle che si passasse per strade meno battute, quantunque la gran neve caduta facesse i luoghi quasi deserti. E anche procurava di rintanarsi nelle pieghe del mantello e di nascondere il viso sotto le tese larghe del cappello, non tanto per la paura del freddo, quanto perché immaginava che la gente, riconoscendolo, dovesse dire: «To', colui che si lascia rubar l'amorosa e par che si rassegni!».

Nel ritornare dalla stazione fece fermare la timonella davanti al camposanto, e senza discendere girò l'occhio sulle croci, che allargavano le braccia sulla neve. In mezzo alle croci quasi soffocate e sepolte, un mucchietto di neve più alto degli altri, segnato da un piccolo piolo rustico, era tutto quanto oggi parlava ai vivi di un Mauro Lanzavecchia.

‑ Sei morto a tempo, poveruomo! ‑ mormorò a mezza voce Giacomo, mentre Angiolino colle mani nel cappello recitava il suo requiem di cuore.

Amen! ‑ soggiunse Giacomo, quando Angiolino s'ebbe fatto il segno di croce. ‑ Questa primavera penseremo a mettergli una croce di sasso.

‑ Sì ‑ soggiunse Angiolino, con quel tono un po' acerbo, che mostrava da qualche tempo in qua. ‑ Sì, ma vogliamo mettergliela del nostro, n'è vero?

‑ Cioè...? ‑ fece Giacomo ch'era lontano dal capire.

‑ Voglio dire, non coi denari che vengono dal Ronchetto.

A questa improvvisa rimostranza, che uscì sbadatamente dall'anima rustica del ragazzotto, Giacomo arrossì con tanto fuoco che sentì per un pezzo il calore della vergogna durare sulla pelle e quasi bruciargli la radice dei capelli.

‑ Il povero non ha mai voluto l'elemosina di nessuno e nemmeno a me piace di mangiare il pane sporco.

‑ Perché, perché il pane sporco? ‑ balbettò fievolmente Giacomo.

‑ Lo dicon tutti eh! ‑ soggiunse Angiolino, menando un colpo di frusta alle orecchie della grigia. ‑ Tu sei troppo buono: ma io non l'avrei finita così.

‑ Di chi intendi parlare? ‑ interrogò smarrito il fratello filosofo.

‑ Non farmelo nominare. Per me avrei fatto il conto che avesse finito di respirare l'aria di queste parti.

‑ Chi ti ha parlato di queste cose?

‑ Chi? chi? come se non lo sapessero le campane. Basta! tu sai leggere il latino e può essere che, dal lato del messale, la ragione sia tua; ma io gliel'avrei data una coltellata nel ventre.

Nel dire queste fiere parole, il ragazzotto, che mandava scintille dagli occhi, lasciò andare un'altra bieca frustata al capo della povera grigia, che s'impennò, balzò e prese la corsa. Il corpo forte ed elastico del più giovane dei Lanzavecchia, scosso dall'ira, fremeva in tutti i muscoli, comunicando al sedile sospeso della timonella un moto convulso, che faceva tremar Giacomo nelle pieghe grosse del tabarro.

La grigia si arrestò sudata e spumante nella corte. Angiolino saltò a terra e la condusse verso la stalla. Giacomo, che pareva schiacciato dall'umiliazione, gli andò dietro, e quando quello ebbe legata la bestia, mettendogli una mano dolcemente sul petto, gli disse:

Sai quel che hai detto, Angiolino?

‑ Lo so, non è da cristiano; ma bisognerà pure aggiustarla in qualche maniera. Celestina è una nostra sorella eh?... e noi le vogliamo bene... ‑ Ora la fiamma divampò sul volto del ragazzo, che fremeva tutto sotto la mano pallida del fratello.

‑ Son io, non tu, son io nel caso, che devo aggiustarla... ‑ pronunciò faticosamente Giacomo, alzando un dito, che tremava nell'aria.

‑ Non importa chi sia, Giacomo: purché non si dica che noi mangiamo il pane sporco.

‑ Non si diràscappò detto al povero filosofo, che parve rianimarsi in un improvviso coraggio. ‑ Non si dirà... ma son io che devo aggiustarla.

‑ Fa conto che io sia con te, Giacomo: anche fino all'infernosoggiunse il giovinetto, che sputò per disprezzo di qualcuno sul muro.

‑ Non si dirà, non si diràandava ripetendo macchinalmente la forza d'argomentazione, mentre il convalescente si trascinava su per la scaletta.

Fu ancora una brutta notte, una vera notte d'inferno! Le parole sconsiderate d'Angiolino non avevano ridestato il vecchio uomo, se non per dargli la coscienza della sua vergognosa incapacità. Angiolino, sì, parlava come un forte. Egli invece, avviluppato da considerazioni filosofiche e morbose, s'era lasciato disarmare della forza naturale, che fa operare coraggiosamente per il bene contro il male: e trascinavasi in una meschina inettitudine, permettendo che i suoi mangiassero il pane sporco. Angiolino lo faceva piangere di rabbia. Questo ragazzo quasi analfabeta, che lavorava per la sua mamma, che pregava così fervorosamente per i suoi morti, che non avrebbe esitato a dar l'animo al demonio, purché fosse ristabilita una legge di giustizia, era un rimprovero vivente alla sua gretta acquiescenza. ‑ Quando la Lisa gli portò in camera la cena, lo trovò quasi morto di freddo.

‑ Tu hai fatto male a uscir stamattina; lo dicevo poco fa alla mamma. ‑ Prese a cantare la ragazzona: ‑ Che bisogno c'era di mandar via proprio quest'oggi la tua roba? par che la tua casa ti bruci sotto i piedi. Invece quel che importa adesso, più di ogni altra cosa, è che tu stia bene, prima per te e poi per tutti gli altri. Chi ci aiuta, se tu non ci aiuti? È stata una grande disgrazia, e veramente tu non la meritavi; povero Giacomo, così buono come sei: ma da una disgrazia non dobbiamo mica cavarne cento. E ora mangia, sforzati di bere una goccia di vino. Questo me l'ha portato per te ieri il Bogellino del Ronchetto. È vin di Mondonico di cinque anni fa, fatto dal vecchio Bogella, che ne ha una cantina piena. T'ha parlato la mamma di quel che c'è in aria? Se ti pare che io abbia fatto qualche sacrificio per questa povera casa, dovrai compatire se desidero mettermi a posto. Qui finirei coll'essere la zia senza denti, o col mangiare un pane, che non mi vorrà passare quel giorno che madamisella tornasse in casa a comandare più di prima. Ti parevo troppo ingiusta, quando dicevo che madamisella non era fatta per noi: sarà stata una disgrazia, ma a me non è capitata. Comunque non sarò io che starò ad ingrassare sui peccati degli altri. Questo matrimonio invece arriva a tempo, come l'arca di salvazione. Lo zio prete ne avrebbe già parlato alla contessa: e quando tu non avessi nulla in contrario, si potrebbe fare questo carnevale. Non è l'anno d'allegria, no di certo: ma il povero , se un'occhiata in qua, vorrà ben perdonare, se non lasciamo finire l'anno di triste condizione. Queste non sono allegrie, cara Madonna! son rimedi da far passare la miseria... Mangia dunque: non lasciarti prendere dall'ipocondria; son già troppe le tribolazioni senza bisogno di andarle a cercare col lanternino.

Giacomo si sforzò di mangiare; ma nel mettere in bocca il pane, gli risonò nell'animo con una violenza irrefrenabile la frase di Angiolino: Che non si dica che noi si mangia il pane sporco... Uno stringimento della gola, una nausea nervosa dello stomaco gli fece sputare nella cenere il boccone, che egli non sapevarompere, ne inghiottire. Sentendosi il cuore pesante e tormentato, così ch'egli temette per un momento di non potere più trascinarlo innanzi, né potendo togliersi dalle ossa i brividi, prima ancora che la giornata fosse scura del tutto, andò a letto e pregò che lo lasciassero quieto.

 


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