Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE SECONDA

XV. La morale pratica della storia.

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XV. La morale pratica della storia.

 

Don Lorenzo moriva sulle prime pagine di quel suo gran «Discorso preliminare», che probabilmente non avrebbe mai avute le ultime, anche se l'autore, incontentabile nella sua delicatezza stilistica, fosse campato gli anni di Matusalemme. Lo stile più perfetto dev'essere quello che non si scrive, perché nulla nuoce tanto alla perfezione quanto la necessità di conchiudere. E senza conchiudere se ne andò, pover'uomo, da questo mondo, colla coscienza di non aver fatto nulla di male, portando seco l'amarezza di quel dolore assassino, che l'aveva ucciso. Poche, sempre le stesse, furono le sue parole nei brevi giorni che, assalito nuovamente dal suo male, stette indeciso tra la vita e la morte. ‑ Si precipita!... ‑ aveva cominciato a dire; e non seppe dir altro. Nell'angustia del suo spirito, nella struttura arida e tutta grammaticale del suo giudizio, non seppe, prima di chiudere gli occhi, elevarsi a un sentimento di incoraggiamento, di compassione, di compatimento, né trovare una parola nemmeno antiquata, che sonasse per donna Cristina come un sospiro di benevolenza. Il pover'uomo non trovò nel suo abbattimento la forza di risvegliare nemmeno quella gran bontà, che aveva sempre sonnecchiato in lui. E così, dopo aver tanto cercata la pace in vita sua, moriva in una mezza collera cogli uomini e con sé stesso, benedetto dal buon canonico Ostinelli, che accettò di esprimere (la buon'anima gli perdoni) in una sua iscrizione alla buona, tutte le belle qualità che ornavano il suo spirito e che non impedirono a un Magnenzio di Villalta d'essere quasi un uomo inutile.

Giacinto, chiamato in fretta al letto di morte, partiva, subito dopo la disgrazia, per l'Africa, mentre già cominciavano a venire di grosse notizie di guerra.

Intanto gli affari delle fornaci si rialzavano colla mediazione dello zio prete e sotto gli auspici di una solida ditta bergamasca, che, rilevando i crediti del signore della Rivalta, assicurò pane e lavoro a Battista ed Angiolino, e permise alla mamma Santina di continuare a bere il suo caffè nel seggiolone del . Anche il matrimonio della Lisa fu definitivamente conchiuso; e così fu dimostrato quel che don Angelo Lanzavecchia non cessa mai di ripetere, cioè che le cose del mondo, come le noci, si accomodano da sé nel paniere tanto più presto quanto maggiori sono le scosse del viaggio.

E speriamo che in quest'opinione torni anche il sor Francesco, l'oste della Fraschetta, se, come si dice, per intercessione della contessa e di Monsignore, i giudici vorranno usargli dell'indulgenza. Fu un gran sussurro quel giorno che i carabinieri si presentarono all'uscio dell'osteria, non per bere il solito vin bianco, ma con un mandato di cattura! Si parlava d'un complotto ordito tra lui e non so quali vagabondi per cavar denari al conte Lorenzo colla minaccia di scandalose rivelazioni. Si volle che la lettera del famoso Galiasso fosse stata scritta coll'inchiostro lungo dell'osteria; ma non si è potuto dimostrare. E, siccome ciò che non si può dimostrare non ha nessun dovere d'essere vero, così possiamo sperare che il buon Francesco esca dall'intrigo e torni presto a fabbricare il suo vino, magari anche coll'uva.

 


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