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Pende dal chiodo sul guancial, di grani
fitto il rosario della nonna mia:
pende e sui sonni miei torbidi o vani
Fanciullo, il tintinnir mi piacque e il lento
volger di questa coronina antica;
e ancor quando la tocco ancor ne sento
dei cari giorni e dei misteri santi,
che stanno ora confitti al vecchio muro:
che non temon di dotti e di pedanti
Serban le perle le ancor calde impronte
delle tue dita, o nonna, ove passasti,
quando inchinata al tuo Signor la fronte
gli svelavi i tesori intimi, arcani;
onde non morti ancor dopo molt'anni
come piccoli cor battono i grani
Forse già tutte consumò le nude
ossa la terra e accanto al sasso pio
della tua tomba già forse si schiude
un fior che non è mio;
ma quel che fu tuo spirito immortale
palpita e vive in questo scapolare,
che il ciel congiunge colla terra e vale
per me più d'ogni altare.
Presso qui sta di gravi opere denso
un armadio di libri, che raduna
in poco il mare della scienza immenso
che sta sotto la luna;
che la ragione delle cose amara
mi distilla nel cerebro e l'essenza
com'acido purifica e rischiara
a cui, del capo urtando al vecchio legno,
chiedo la notte e chiedo il dì la sorte
del viver mio, ma invan chiedo. - ed un segno
chè tutt'insieme il venerando stuolo
non fa più breccia, quando il cuore assale,
di quel che faccia lento un vermiciuolo
Ma tu, sol che ti tocchi, una dolcezza
versi che definir non san le scuole:
scintilla amor e passa una carezza
su tutto ciò che duole.
Morremo e immota in suo rigor di sasso
starà dei saggi la ragion superba:
tu, povera umiltà, col picciol passo,
scende la via, sorreggi il piede e il fianco
alla languida vita; e sull'eterna
scala ove trema il pellegrin più stanco