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ALLA TOMBA
Vidi apparir sulla strada romana
Che le rovine del Foro discende,
Su scalpitanti cavalli una strana
Torma di spirti, il fior delle leggende.
Uscian dall'urne ove giacciono i morti
Quale ciascuno il tempo seppellì:
Chiusi nell'armi venivano e forti
Entro i sereni splendori del dì.
Quanti mietè paladini la spada,
Quanti del Cedron riempion la valle,
Quanti ne vide la bella contrada
D'Adige e Po, Normandia, Roncisvalle.
Quanti portaron la lancia in torneo
Dell'armi degni e degli sproni d'or,
Passano tutti in trionfal corteo
Sotto l'arco di Tito Imperator.
Viene con lor Carlo Magno di bruno
Ferro coperto, imperator sovrano,
E secolui catafratto ciascuno
Che strinse la quirina aquila in mano.
Cesare vidi e Traiano che tante
Armi distese e nel marmo effigiò,
E molle nella porpora fiammante
Quei che all'Imperio le leggi dettò.
Viene con lor su tedeschi cavalli
Ezio terror dell'Unnica rapina,
E Stilicon che sugli ultimi valli
E dietro ancor la selvaggia coorte
Con Berengario primo a cui la sorte
La corona di ferro indarno diè.
Dentro il cappuccio del suo mesto sajo,
Ma le vive speranze ond'egli ardea
Mandan dagli occhi bagliori d'acciajo.
Passano cento, ne seguono cento,
Dai campi sorgono e dalle città:
Passati gli elmetti d'or del cinquecento,
Sforza, Ferruccio, Gaston di Foà.
Le variopinte tue divise ancora
Vidi e le piume e i kolbacchi di pelo,
Che scongiurar una terribil ora,
Eugenio, quando respinta dal cielo
Roma tremò che non vedesse il corno
Della fatal mezzaluna e gridò.
Ma da Belgrado non fe' più ritorno
Chi la tua spada, o Savoia, provò.
Ride di luce il ciel sopra la strada
Che le rovine del Foro discende,
Ecco un rullo che par fulgor che cada,
È la Gran Guardia che mai non si arrende.
Viene ancor esso e non agita il ciglio
Placido il Grande Imperator crudel:
E il bel delle battaglie Angel vermiglio
Incalza i Mille e ne fiammeggia il ciel.
Tanta immortale semenza di prodi,
Che nel sol mattutin s'agita, parmi
Un trionfo di Numi. - Lontan odi
Al Panteon salir l'onda dell'armi.
E mille voci di sotterra uscite
Alzano il grido: «Salute, o gran Re!
Noi di tre storie larve impallidite
Come a signore ci prostriamo a te.
Salve, o gran Re, nella tomba securo,
O dell'Italia paladino amante.
Al suo dolor le tue lagrime furo
Non men dell'opre gloriose e sante.
Per te fu vista una virtù risorta
Distender l'ali cinta dell'allor,
E d'una gente che pareva morta
Sangue stillar l'inaridito cor.
Pria che l'amor del tuo popolo e prima
Che cessi il verde onor della tua gloria
Nel mar sommersa andrà l'ultima cima
Dell'Appennin, o mentirà la Storia».
Mentre del canto ancor l'aer risona,
Galoppa il bell'esercito pel ciel.
Ma Carlo Magno lascia la corona