Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Vecchie cadenze e nuove

PARTE III GLI INTIMI SENSI

SOLITUDINE

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SOLITUDINE

 

(Chiaravalle Milanese)

 

Qui si apre in mezzo ai pioppi, nel profumo

Del buon fieno, che a mucchi odora al sole,

Il mio regno, Tacete! ogni rancore

Di voce è spento e va lento per l'aria

La fatica degli uomini nel lento

Fumo dei campi. Oh quanto egli è soave

L'errar su l'orme di stessi, ignoti

Agli occhi dei saccenti! oh come il filo

Dolce si snoda dei pensieri all'ombra

Coperta d'una siepe! ecco ti sfugge

Di mano il libro che portasti grave

Di logorati sillogismi e stai

A leggere te stesso.

 

Erra a mancina

Una garrula allodola: si stende

Un vol di corvi a destra, che fan lunga

Macchia nel ciel; svolgasi nel mezzo

Una gloria di nuvoli d'argento.

Piena di rotte immagini.

 

Se l'ora

Poi tramonta col sol dietro la rete

D'una boscaglia che s'incendia, o suona

Un cinguettìo di passeri raccolti,

Senti, amico, vibrar come d'un'ala

Di farfalla la morbida carezza

Sulla carne del cuor. Tu nel languente

Crepuscolo t'immergi e ti par quasi

Di spegnerti nell'ora che si spegne.

 

*

*  *

 

Ma se porgi l'orecchio, è nel tramonto

Di quest'ora che parlano le oscure

Cose del mondo a chi timido veglia

Al lume d'una fede. Odi, son mille

E mille voci ch'escono dal campi

Ottenebrati, come se uno spirito

Pulsasse da ciascun filo dell'erba:

E nel passare fremon non so quanti

Altri spiriti spessi entro la chioma

Delle molli robinie: e luci e stridi

Corron per l'aria nera, in cui susurrano

Ignoti stillicidî di piangenti

Anime che ti chiaman....

 

Son le vostre

Anime antiche già passate a stormi,

Lavoratori della terra, stanchi

Di seminare il pan duro nel duro

Seno della natura. Or che disciolta

È la prigion del corpo e giace in polve

La struttura dell'ossa entro il recinto,

Che biancheggia laggiù dietro i cipressi,

Al morire del tornati le voglie

Dei buoni spirti a folleggiar tra i solchi,

E guizzando ti toccano, o vibrante

Anima mia. Mi parlano e rispondo

Un pensiero che sdegna il rauco suono

Della parola e non sarà mai scritto.

Che se per vago error non sbaglia il senso

Arcano che mi fa non istraniera

Questa tristezza, anch'io fui già del volgo

Forse altra volta o cadde alcun dei miei

Ne' rotti solchi. O forse in una sola

Anima ondeggia il mar delle tristezze

E in me percote, mormorando, il flutto

D'antichissimi pianti....

 

*

*  *

 

Ancor non era

Nata in quei giorni, o verde Chiaravalle,

Nel dolente pensier d'un cenobita

Quest'abbazia, che in mezzo ai prati erompe

Gotica mole e par fatto di pietra

Malinconico sogno.

 

O Chiaravalle,

Quante migrar dalle tue chiostre al cielo

Consolate colombe e quante ancora

Vorrian fermar nelle tue nicchie brune

Una pace che fugge! A stento il nido

Nelle rovine tue nasconde il picchio,

A cui lacera il cor spesso il rimbombo

Del cacciator malvagio; e l'ombre stesse

Del padri incappucciati (s'egli è vero

Che si adunino a notte in mezzo al coro,

Quando la luna luccica inquieta

A turbare il gran sonno degli avelli)

L'ombre dei padri esterefatte balzano

Al reo fischiar della macchina nera,

Che solca l'orto del convento e versa

Bave di foco ed aliti d'inferno

Sulla mesta Certosa. O Chiaravalle,

Alle tue mura già scende l'insulto

Della vita che rugge e che trascina

Gli stridenti bisogni. Indarno all'urto

Potran dei vivi reggere le antiche

Mal sorrette dai santi absidi tue

All'incalzar del tempo. Alla cresciuta

Prole d'Adamo è scarsa aiola il mondo,

Sì che ogni valle ne trabocca e ingombra

È d'ogni solitudine l'asilo.

 

*

*  *

 

Questi pochi che ancor restano a noi

Viottoli deserti assai più cari

Ci sian, fratelli, e per le ombrose vôlte

Andiam recando i desideri e i sogni

Cari agli dei, che il grosso volgo ignora.

 

 

 


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