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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Disciolto il vago sogno, esco pei campi
sotto la neve e nella nebbia occulti,
quasi occulto a me stesso o a me sol noto
quanto basta per dir: son un che piango,
Per il nudo deserto in ordin mesto
mi seguono, lasciando dietro un solco
di tristezza nel pian candido, i morti
pensieri della vita e quei che all'alba
del primo gioco giovanil sereni
nunzi di glorie e fantasie di pace
all'innocente cor disser le prime
insidie e quelli che al maturo senso
schiusero il mito delle eterne cose.
E seguon lagrimando, angeli vinti
nella breve battaglia intorno al vinto
lor signore, le rotte ali strisciando
alle ruvide spine. Escono al pianto
nostro dalla socchiusa urna del Tempo
l'Ore cadute, che passar nel regno
della mia vita luminose o brune,
e ognuna a ricordar alza la voce
quel che già fummo.
*
* *
«Io son - una ricorda -
l'ora del Sogno. Io son quella che i casti
giorni dipinse e suggerì le rime
preludiando all'amor. Se ti rimembri,
molto ti piacqui in sul fiorir degli anni,
allor che mi traevi ramingando
per vie solinghe a ricamar la trama
de' reconditi boschi o di solinga
tomba a baciar le squallide viole.
Nella vergine veste a te le immagini
spesso recai, che ti facean dal forte
sonno balzar ed allungar la mano
a rosei lembi ed a fuggenti chiome.
*
* *
«Son io - mi dice una seguente voce -
l'ali fremente dell'amor son io,
Ora che mai si oblia, quella che prima
raccolsi sul bocciuol d'un rugiadoso
labbro il singhiozzo d'un soave affanno,
soave ancora a ricordar. La bella
mal renitente a te sporse la bocca
molle d'ogni dolcezza, onde fu a lungo
inebriata poi, lieta di canti,
l'aurora del tuo maggio e a lei men triste
degli anni brevi il pallido tramonto.
*
* *
«Io te guidai per la superba via
e forte in man ti equilibrai la spada
della Giustizia - un'altra erra dicendo
in ton più grave. - Del voler ti cinsi
i fianchi il dì della battaglia e l'ira
t'armai di solitudine sdegnosa
contro il volgo dei mali. Io nelle gare
de' vili il core ti sostenni e stetti
fiera in disparte a ritemprar la forza
dei sacri sdegni. In altro scudo io penso
non brami d'esser collocato il giorno
che, nudo in terra, ma la fronte al cielo
*
* *
«Deh, non fuggir quel che ti attrista
Io, io del tuo Dolor l'Ora più fiera
col mio singhiozzo non dovrei nell'ombra
rinnovellare i gemiti e gli auguri...
(così se stessa una dolente accusa).
Al cor molle di gioie e di speranze
io stesi il dito acuto e tanto il tenni
fin che quasi lo spensi. Amor e fede
ne strappai spaventosa e al suol, non morto,
ma sanguinante ti lasciai nel sangue
della tua vita alla pietà dei buoni
umil bersaglio. Ma del ben ti schiusi
l'intime fonti e nel tuo pianto immersa
i lenti moti dirizzai de' sensi
a seguir della logora mestizia
i passi tra i bisogni aspri de' miseri,
chè scuola è il nostro mal ai mali altrui.
Io non già t'insegnai l'orride piaghe
a denudar del volgo e a far d'un cencio
alta bandiera all'irritante musa,
ma dal palagio all'umil tana a dito
mostrai qual sia del vivere lo stento
*
* *
«Ed io, mi guarda,
amico, io son la mite Ora che prega,
che teco inginocchiata, ove il materno
occhio vegliava, il tenero sospiro
della Fede sorella al sen raccolsi.
Andar senza di me, forte non lieto,
sciogliesti poi, nume a te stesso. E ancora
sulla soglia ti aspetto ove negletta
mi lasciasti, se mai d'una cocente
stilla di sangue ti lacrimi il cuore,
o se disperazion dai desolati
cieli più nera piova. Invan tu speri
dimenticarmi. A chi bevve profonda
la mia dolcezza in sul mattin, più lunga
di me nel vespro tornerà la sete.
*
* *
«Volgiti lieto al mio chiamar. All'opra
sempre desta tu vedi in me la pronta
Ora del tuo Lavor, madre a robuste
speranze, quella che ai cresciuti danni
porsi il ristoro dei raccolti frutti,
che all'ombra edificai d'una sicura
coscienza del tuo vivere la casa.
Sai come al martellar forte e frequente
si scosse il tuo vigor: dalle riposte
fantasie scaturì qualche non rozzo
simulacro e l'idea venne all'incude
del sonante lavor docile ancella.
*
* *
«Ed io son l'Ora del Dover - (sommessa
parla un'ultima voce) - umile vissi
nella tua vita e taciturna; scarse
lodi raccolsi; di ragion ministra
me di me stessa mi contento e pago».
*
* *
Questo dell'Ore che fuggir il grido
tra il doloroso e il lieto, a cui tra il lieto
risposi e il doloroso: - O mie fedeli,
o del mio viver sacre e benedette
sorelle, il ricordar dite che giova?
voi ben sapete come voli il tempo
e in picciol spazio irrigidisca il labbro
delle parlanti cose. In aria un segno
di voi, di me non resterà più vivo
di quanto lasci nel volar la nera
rondinella che passa. Ove il più bello
ci venga tolto e in particelle, in polve
volga di noi la più divina parte,
qual gioia il dir: noi fummo? e quale il vanto
d'aver coi mali avuta inutil guerra?
ogni cosa vien meno e tutto oscura
un'estrema d'Oblìo ora che tace
sopra gli stessi mali eternamente.
*
* *
«Non vano esser vissuti! - a me col pieno
coro rispondon le vaganti amiche -
non vano, ove in gentil opra di bene
si perpetui l'affanno. Anche se sciolta
e sparsa al vento è la dolente polve,
erra come di fior morto il profumo
nella stanza dei vivi. A un Nume è sacro,
non a sè quell'incenso che dall'ara
sale continuo nella oscura cella,
nè inutil scende la rugiada all'erbe
che poi dissipa il sol. Non a sè stessa
edifica la pietra. Al tempio giova
non men l'ignoto che sepolto giace
coccio sotto le basi e il crisolito
ardente che prostrato il volgo adora.
Ogni Ora nasce quando è il tempo e ognuna
scende dell'infinito Essere in grembo
di sua ragione coronata in fronte
in una tenue, che all'orecchio sfugge
del querulo mortal, vasta armonia.
Nulla è vano, fratel. Non la stanchezza
che mosse della terra i lenti semi,
non il pianto che largo li feconda,
non la morte che scioglie e riconduce
il mister della vita. Alza la speme,
chè a chi vien dietro non è vano il solco
di chi prima passò. Migrano a sciami
associati gii spiriti, siccome
scendon nel freddo tempo in lunga riga
gli stornelli a portar salva in più caldo
lido del caro stuolo la speranza.
Non ognuno per sè, ma ognun sorregge
della stirpe il destin colla brav'ala
non mai stanca, che tremola all'invito
degli spazi del ciel ampi e del mare».