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S. Alfonso Maria de Liguori
Pratica di amar Gesù Cristo

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CAPO X.

Caritas non est ambitiosa.

Chi ama Gesù Cristo non ambisce altro che Gesù Cristo

Chi ama Dio non va cercando di essere stimato ed amato dagli uomini: l'unico suo desiderio è di esser ben voluto da Dio ch'è l'unico oggetto del suo amore. - Scrive S. Ilario che ogni onore che si riceve dal mondo è negozio del demonio: Omnis saeculi honor diaboli negotium est (S. Hilar. in Matth. 6).1 E così è, perché il nemico negozia per l'inferno quando ingerisce nell'anima desideri di essere stimata; poiché, perdendo ella l'umiltà, si mette in pericolo di precipitare in ogni male. Scrive S. Giacomo che siccome Iddio nelle grazie allarga la mano cogli umili, così la stringe e resiste a' superbi: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (Iac. IV, 6). Dice superbis resistit, viene a dire che neppure ascolta le loro preghiere. E tra gli atti di superbia certamente uno è questo, l'ambire di


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essere stimato dagli uomini e l'invanirsi degli onori da essi ricevuti.

Troppo spaventevole fu in ciò l'esempio di Fra Giustino francescano, il quale era giunto ad un grado eminente di contemplazione, ma perché forse, e senza forse, nudriva già dentro di sé un desiderio di essere stimato dal mondo, ecco quello che gli accadde. Un giorno mandò a chiamarlo il Papa Eugenio IV, e, per lo concetto che ne avea di santità, molto l'onorò, l'abbraccio e lo fe' sedere vicino a sé. Fra Giustino dopo tal favore s'invanì di se stesso; onde S. Gio. Capestrano gli disse: “Oh, Fra Giustino, sei andato angelo e sei tornato demonio!” Ed in fatti crescendo il misero da giorno in giorno in superbia, pretendendo d'esser trattato qual egli si stimava, giunse ad uccidere un frate con un coltello: indi apostatò e se ne fuggì in Napoli, ove fece altre scelleraggini: ed ivi finalmente morì apostata in una prigione.2 Quindi saggiamente diceva un gran Servo di Dio che quando noi udiamo o leggiamo la caduta di certi cedri del Libano, d'un Salomone, d'un Tertulliano, d'un Osio, che da tutti erano tenuti per santi, è segno che questi non si erano dati tutti a Dio, ed internamente nutrivano in sé qualche spirito di superbia, e perciò prevaricarono. Tremiamo dunque quando vediamo in noi insorgere qualche ambizione di comparire e di essere stimati dal mondo; e quando il mondo ci fa qualche onore, guardiamoci di averne compiacenza, la quale può esser causa della nostra ruina.

Guardiamoci specialmente dall'ambizione di superare i puntigli. Dicea S. Teresa: “Dove son puntigli di onore non vi sarà mai spirito.”3 Molte persone professano vita spirituale, ma


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sono idolatre della propria stima. Dimostrano certe virtù apparenti, ma hanno l'ambizione di esser lodate in tutti i lor portamenti; e quando manca chi le loda, si lodano da se stesse; cercano in somma di comparir migliori degli altri, e se mai sentono toccarsi nella stima, perdono la pace, lasciano la comunione, lasciano tutte le loro divozioni, e non si quietano finché non pare loro di aver acquistato il concetto perduto. Ma non fanno così i veri amanti di Dio. Non solo sfuggono di dir parola di stima propria, né si compiacciono, ma più si attristano delle lodi che ricevono dagli altri, e si rallegrano di vedersi tenuti in mal concetto appresso gli uomini.

Troppo è vero quel che dicea S. Francesco d'Assisi: “Tanto io sono, quanto sono innanzi a Dio.”4 Che giova l'essere stimati per grandi dal mondo, se davanti a Dio siamo vili e disprezzabili? All'incontro, che importa che il mondo ci disprezzi, se siamo cari e graditi agli occhi di Dio? Scrisse S. Agostino: Nec malam conscientiam sanat praeconium laudantis, nec bonam vulnerat conviciantis opprobrium (Lib. 3. contr. Petil.):5 siccome chi ci loda non ci libera dal castigo delle opere male, così chi ci vitupera non ci toglie il merito delle buone opere. “Che importa a noi, diceva S. Teresa, l'esser dalle creature incolpati e tenuti per vili, se avanti di voi siamo grandi e senza colpa?”6 - I santi non bramavano che di vivere sconosciuti ed abbietti nel cuore di tutti. Scrive San


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Francesco di Sales: “Ma che torto mai ci vien fatto quando si ha cattiva opinione di noi, dovendola noi stessi averla tale? Forse noi sappiamo che siam cattivi, e pretendiamo che gli altri ci tengano per buoni?”7

Oh quanto è sicura la vita nascosta per coloro che vogliono amar di cuore Gesù Cristo! Gesù medesimo ce ne diè l'esempio col vivere nascosto e disprezzato per trent'anni in una bottega. E perciò i santi, affin di evitare la stima degli uomini, sono andati a vivere ne' deserti e nelle grotte. - Dicea S. Vincenzo de' Paoli che il gusto di comparire e che si parli di noi con onore, si lodi la nostra condotta, e si dica che riusciamo bene e facciamo maraviglie, è un male che facendoci scordare di Dio, infetta le nostre azioni più sante, ed è per noi il vizio più dannoso al progresso nella vita spirituale.8

Chi dunque vuole avanzarsi nell'amor di Gesù Cristo, bisogna che affatto faccia morire in sé l'amore della propria stima. - Ma come si darà morte alla propria stima? Eccolo come ce lo insegna S. Maria Maddalena de' Pazzi: “La vita dell'appetito della propria stima è lo stare in buon concetto


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appresso tutti; dunque la morte della propria stima è l'occultarsi per non esser conosciuti da niuno. E finché uno non giunge a morire in questo modo, non sarà mai vero servo di Dio.”9

Sicché per renderci graditi agli occhi di Dio, bisogna che ci guardiamo dall'ambizione di comparire e d'esser graditi agli occhi degli uomini. E tanto maggiormente dobbiam guardarci dall'ambizione di dominar agli altri. S. Teresa desiderava che prima fosse andato a fuoco il suo monastero con tutte le monache, che vi fosse entrata questa maledetta ambizione. E pertanto volea che se mai si ritrovasse alcuna delle sue religiose che trattasse di esser fatta superiora, si fosse discacciata dal monastero o almeno tenuta per sempre carcerata.10 S. Maria Maddalena de' Pazzi diceva: “L'onore d'una


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persona spirituale sta nell'esser sottoposta a tutti, e nell'avere in orrore l'esser preferita ad altri.”11 L'ambizione dunque di un'anima che ama Dio dee essere di superare tutti gli altri nell'umiltà, come parla S. Paolo, in humilitate superiores (Phil. II, 3)12 In somma chi ama Dio non dee ambire altro che Dio.




1 «Vade, Satana. Scriptum est enim: Dominum Deum tuum adorabis, et illi soli servies (Matth. IV, 10)... Praebuit etiam, huius responsionis effectu, magnum nobis Dominus exemplum: ut, contempta humanae potestatis gloria et saeculi ambitione postposita, solum meminissemus Deum et Dominum adorandum; quia omnis saeculi honor diaboli sit negotium.» S. HILARIUS, Commentarius in Matthaeum, cap. 3, n. 5. ML 9-930, 931.



2 WADDINGUS, Annales Minorum, anno 1445, n. 16, 17, 18. -Vedi Appendice, 67.



3 «Qué bien dijo, que honra y provecho no podian estar juntas, aunque no sé si lo dijo a este proposito. Y es al pie de la letra, porqur provecho del alma y esto que llama el mundo honra, nunca puede estar junto.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 36. Obras, III. pag. 172. - «Créanme una cosa, que si hay punto de honra, u de hacienda - y esto también puede haberlo en los monesterios como fuera, aunque màs quitadas està, las ocasiones y mayor serìa la colpa - que aunque tengan muchos anos de oraciòn, y por mijor decir, consideraciòn - porque oraciòn perfeta, en fin, quita estos resabios - que nunca medraràn mucho ni llegaràn a gozar el verdadero fruto de la oraciòn... Dios nos libre de personas que le quieren servir, acordarse de honra; ... qui no hay tòxico (tòsigo) en el mundo que ansi mate como estas cosas la perfeciòn.» Camino de perfecciòn, cap. 12. Obras, III, pag. 61, 62. - «Y cualquiera persona que sienta en si algùn punto de honra, si quiere aprovechar, créame y dé tras este atamiento.» Libro de la Vida, cap. 31. Obras, I. pag. 258.



4 «Verbum hoc dicere solitus erat: «Quantum homo est in oculis Dei, tantum est et non plus.» Stultum proinde iudicans mundanis extolli favoribus, gaudebat de opprobriis et de laudibus tristabatur. Malebat quidem de se vituperium audire quam laudem, sciens quod hoc ad se emendandum induceret, illa vero impelleret ad cadendum.» S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci,  cap. 6. n. 1.



5 «Nec malam conscientiam sanat laudantis praeconium, nec bonam vulnerat conviciantis opprobrium.». S. AUGUSTINUS, Contra litteras Petiliani Domatistae, lib. 3, cap. 7, n. 8. ML 43-352.



6 «Oh dichoso cuidado, hijas mias! Oh bienaventurada dejaciòn de cosas tan pocas y tan bajas que llega a tan gran estado! Mirà qué se os darà, estando en los brazos de Dios, que os culpe todo el mundo. Poderoso es para libraros de todo, que una vez que mandò hacer el mundo, fué hecho; su querer es obrar. Pues no hayàis miedo, que si no es para màs bien de el que le ama, consienta hablar con vos; no quiere tan poco a quien le quiere.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 16. Obras, III, 77.- «Qué es esto, mi Dios? Qué pensamos sacar de contentar a las criaturas? Qué nos va en ser muy culpadas de todas ellas, si delante del Senor estamos sin culpa?» Camino de perfecciòn, cap. 15. Obras, III, 71.



7 «On venait quelquefois dire à notre Bienheureux que quelques-uns médisaient de lui, et en disaient des choses étranges... Et au lieu de s' excuser et de se défendre, il disait avec douceur: «Ne disent-ils que cela? Oh! vraiment, ils ne savent pas tout. Ils me flattent, ils m' épargnent... Si je ne mérite pas d' être repris en cela, je le mérite d' une autre façon; c' est toujours miséricorde que je le sois si bénignement.»... Quand il voyait que l' on s' estomaquait contre les médisants: «Hélas! disait-il, vous ai-je donné procuration de vous courroucer pour moi? Laissez-les dire, ce n' est qu' une croix de parole, une tribulation de vent, la mémoire en périt avec le son. Il faut être bien délicat pour ne pouvoir souffrir le bourdonnement d' une mouche... Quel tort nous fait-on, quand on a mauvaise opinion de nous? ne la devons-nous pas avoir telle de nous-mêmes? Telles gens ne sont pas nos adversaires, mais nos partisans, puisque avec nous ils entreprennent la destruction de notre amour-propre...» CAMUS, Esprit de S. François de Sales, partie 12, ch. 3.

«Mon Dieu! me disait-il un jour, mais qu' est-ce que réputation, que tant de gens se sacrifient à cette idole? Aprés tout, c' est un songe, une ombre, une opinion, une fumée, une louange dont la mémoire périt avec le son; une estime qui est souvent si fausse, que plusieurs admirent de se voir loués des vertus dont ils savent bien qu' ils ont les vices contraires, et blâmes de défauts qui ne sont nullement en eux. Ceux qui se plaignent des médisances sont bien délicats. C' est une petite croix de paroles que l' air emporte. Ce mot «il m' a piqué» pour dire: «il m' a dit une injure,» me déplait; car il y a bien de la différence entre le bourdonnement d' une abelle et sa piqûre. Il faut avoir l' oreille et la peau bien tendres, si celle-là ne peut souffrir le bruit d' une mouche, et si celle-ci est piquée de ce siffement.» CAMUS, Esprit de S. François de Sales, partie 10, ch. 8.



8 ABELLY, Vie, liv. 3, ch. 13, section 2. -Vedi Appendice, 68.



9 «Con efficaci parole solea dire: « Sorelle, una morte retta ricerca Dio dalle sue creature.» E replicando per molte riprese diceva: «Io dico che bisogna fare una morte retta; altrimenti niente si fa - E che vuol dire fare una morte retta? Vuol dir questo, che - come dee saper ciascuno - il proprio di chi tutto si dà al servizio di Dio, altro non è che in mille vie e modi, ad ogni ora, ad ogni momento, dar morte a se stesso. - Or, ditemi- soggiungeva poi - non è dar morte alla carne - la cui vita è il diletto, il piacere e la sensualità - il torle ogni diletto ed ogni piacere, e domarla con digiuni, vigilie ed asprezze? - Non è dar morte al proprio giudizio ed intendere - la vita del quale è disporre a modo suo - il sottometterlo ogni ora all' altrui parere? - Non è un uccider l' appetito e l' inclinazione alla superbia il far continuamente atti di vera umiltà, disprezzando se stessa ed occultandosi per non esser conosciuta? Queste son tutte morti, che dà ogni ora a se stesso chi veracemente vuol servire a Dio. Ma non ci sia alcun che pensi poter darsi questa morte retta col miele e latte in bocca d' una dolcezza interna ed esterna, perché molto s' ingannerà, sendo che non può essere che gran dolore non senta chi veramente muore.» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 31.



10 «Si po dicha alguna palabrilla de presto se atraversare (contro l' unione e la pace), remediese luego y hagan grande oraçion, y en cualquiera de estas cosas que dure, u bandillos, u desseo de ser màs, u puntito de honra - que parece se me hiela la sangre cuando esto escribo de pensar que puede en algùn  tiempo venir a ser, porque veo es el principal mal de los monesterios - cuando esto bubiese, dense por perdidas: piensen y crean han echado a su Esposo de casa y que le necesitan a ir a buscar otra posada, pues le echan de su casa propia. Clamen a Su Majestad; procuren remedio; y la que entendiere lo alborota, procure se vaya a otro monesterio, que Dios las darà con que la doten; echen de si esta pestilencia; corten como pudieren las ramas; y cuando no pudiesen esto, no salga de una càrcel quien de estas cosas tratare: mucho màs vale, antes que pegue a todas tan incurable pestilencia. Oh, que es gran mal! Dios nos libre de monesterio donde entra; yo màs querria entrase en éste un fuego que nos abrasase a todas.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 7 (in fine). Obras, III, pag. 43.



11 «La nostra perfezione sopra questi due poli s' aggira, nel desiderio di essere sottoposta a tutte, e nell' orrore di esser preferita neppure alla minima fra tutte.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, Aggiunta, in fine,  Detti e sentenze della Santa, § 5, n. 14. - (Parla la Santa in estasi:) «Se qualsivoglia anima che brama umiltà, non si sottometterà, e per isbassamento e vile stima di sé stessa, non si profonderà fino nell' inferno, stimandosi, in verace sentimento, peggiore degli stessi spiriti infernali, non per natura ma sì ben per colpa, non si potrà con verità dire che ella sia perfettamente posseditrice della vera umiltà.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 10. - «Avrai gran desiderio d' esser soggetta a tutte, ed in orrore l' esser preferita alla minima.» PUCCINI, Vita, 1611, parte 1, cap. 10; 1671, cap. 85: 15a tra le 20 Regole date alla Santa da N. S., le quali cominciano così: «Io, Sposo dell' anima tua e Verbo del mio Eterno Padre, ti do regola in quel medesimo atto d' amore ch' io ti concedetti, e ti fé partecipe della grandezza della purità mia. Diletta di me diletto, nota la mia e tua regola: mia perché te la do, tua perché la devi osservare.»



12 Ut idem sapiatis... in humilitate superiores sibi invicem arbitrantes Philip. II, 2, 3.






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