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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione al popolo

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§ II. Della restituzione.

 

 

17. Alcuni che si han prese le robe d'altri, quando il confessore dice loro, che restituiscano, sembra ad essi la restituzione come una penitenza troppo dura data dal confessore. Non signore, non è penitenza, è obbligo di giustizia, dal quale non ci può dispensare né il confessore, né il vescovo, né il papa. Reddite ergo omnibus debita, dice s. Paolo3. Si ha da rendere la roba o il prezzo


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di quella, se la roba è consumata, al padrone che l'ha perduta; e se il padrone è morto, si ha da restituire agli eredi suoi. E se il padrone non si potesse più sapere, o non ci fosse rimasto alcuno suo erede, si ha da restituire il prezzo a' poveri, o pure se ne ha da fare dir messe per l'anima del padrone.

 

 

18. E si ha da restituire subito. Alcuni tengono roba d'altri, e vogliono restituire, ma dicono: Quando morirò, allora se ne parlerà. Dunque tu vuoi restituire quando non puoi portarti la roba appresso? Quando non può restituire, e differisce per tempo notabile la restituzione, pecca mortalmente, ancorché abbia intenzione di restituire. Solamente sarà scusato dal peccato mortale, se differisce per poco tempo, dieci, o quindici giorni, ma non più. E quando il creditore patisse danno anche da questa piccola dilazione, il debitore è tenuto a rifar quel danno: mentre è certo, che il ladro è obbligato di rifare al padrone tutto il danno che quegli patisce per causa del furto. E chi può restituire, e non vuole restituir subito, non può essere assoluto, perché il restituire è una cosa molto dura: onde chi potendo restituire non restituisce subito, resta in gran pericolo di non restituire più. Un certo cavaliere tenea cento doppie rubate, e le conservava. Andò a confessarsi, e 'l confessore l'obbligò alla restituzione, e forse non voleva assolverlo, prima che quegli le restituisse. Padre, disse il cavaliere, subito che vado a casa, restituirò. Ma poi non ne fece niente. Onde perché questa promessa l'avea fatta molte volte, e non mai l'aveva adempita, finalmente il confessore gli disse: Orsù se volete l'assoluzione, andate ora alla casa, e portatemi la borsa, altrimenti non vi assolvo. Andò, e venne colla borsa. Il confessore gli disse: E via su; datela qua. Rispose: Padre, stendete voi la mano, e pigliatela voi. E così restituì. Da ciò vedete, fratelli miei, quanto è difficile che uno restituisca, se riceve l'assoluzione prima di restituire. Ed è certo, che se non restituisce, non può mai esser perdonato da Dio. Non remittitur peccatum, nisi restituatur ablatum, dice s. Agostino1. Perciò dice bene s. Antonino, che non vi è peccato più pericoloso per l'anima del furto: Nullum peccatum periculosius furto; nam in aliis homo dolendo salvatur, de isto oportet, ut etiam satisfaciat. Ecco la ragione: negli altri peccati basta che la persona se ne penta; ma nel furto, potendo restituire, non può esser perdonata, se non restituisce, ancorché facesse tutte le penitenze del mondo.

 

 

19. Povera quella persona che arriva a tenere in mano roba di altri! Udite questo fatto, che viene riferito da vari autori. Un certo usuraio, venuto a morte, dal confessore fu obbligato a restituire tutto quello che aveva di male acquistato. L'infermo si fece chiamare quattro persone, e consegnò loro tutti i denari e le robe male acquistate, acciocché le avessero poi restituite. Ritiratosi in convento il confessore, e stando in orazione, vide un demonio, che piangeva per aver perduta l'anima di quell'usuraio, ma vide poi un altro demonio, che disse al demonio che piangeva: Sciocco, perché piangi? non vedi, che hai perduto un'anima, e ne hai acquistate quattro? Assisti a queste quattro, che facilmente saranno tue.

 

 

20. Ritorno a dire, povera quella persona che tiene roba d'altri! perché difficilmente poi restituirà, e facilmente si dannerà. E mentre starà in vita, si vedrà mai bene di quelle robe d'altri che tiene? no, perché continuamente sarà tormentata dal rimorso della coscienza. Un certo ladro rubò un bove a s. Medardo; questo bove portava al collo una campanella; il ladro condusse il bove a casa sua, e 'l bove non si moveva, e la campanella non faceva altro che sonare. Sopravvenne la notte, e temendo egli d'essere scoverto, empì di fieno la campanella, ma con tutto ciò quella seguitava a sonare. Che fece? la tolse dal bove, e la chiuse in una cassa, e la campanella non lasciava di sonare: la pose sotto terra, e quella seguiva a sonare. Finalmente il ladro atterrito prese il bove e lo restituì a s. Medardo, e così la campanella cessò di sonare. Ora veniamo a noi. Chi tiene roba d'altri tiene dentro di sé una campanella, che continuamente suona, e dice: Se non restituisci sei dannato. E come trovar pace con questo continuo rimorso?

 

 

21. Ma, padre, io non posso. Chi veramente niente potesse restituire mentre appena ha per vivere in ogni giorno


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co' suoi figli, costui sarà scusato. Gli basterà, che abbia l'animo di restituire subito che potrà, o quel poco che potrà, perché se uno non può restituir tutto, è tenuto a restituire almeno quello che può, mettendo da parte per esempio (quando può) un carlino la settimana, o cinque grana. Ma io non potrò mai restituir tutto. Non importa, basta che tu restituisca quel che puoi.

 

 

22. Che diremo poi di chi può restituire, e dice: Ma se restituisco, i figli miei come faranno? E se tu vai all'inferno, come farai? Si narra nella vita del ven. p. Luigi la Nuza celebre missionario della Sicilia morto nell'anno 1656, che essendo andato il servo di Dio a confessare un nobile, e trovandolo aggravato di robe d'altri, l'obbligò a restituire; ma l'infermo rispose: Padre mio, se restituisco, il mio figlio non potrà vivere da suo pari. Il p. Luigi lo pregò, lo sgridò, ma finalmente vedendolo ostinato si partì da quella casa. La mattina seguente, essendo uscito per suoi affari, camminando per una via solitaria, incontrò quattro mori che conduceano un uomo ligato sovra d'un giumento. Dimandò, dove portassero quel miserabile; risposero, al fuoco. Il padre guardò il ligato, e riconobbe il nobile che avea lasciato ostinato. Entrò poi nel paese, e s'informò, che appunto poco avanti quel disgraziato era spirato. Ecco dove vanno a finire quei che non vogliono restituire per lasciar comodi i figli.

 

 

23. Che pazzia, per lasciar comodi i figli volersi dannare! Se vai all'inferno verranno a liberartene i figli? Sentite questo fatto che riferisce Pietro di Palude. Un certo padre di famiglia parimente ripugnava di restituire per non lasciare poveri i figli; il confessore per farlo ravvedere della sua pazzia trovò questa bella invenzione. Gli disse, che se voleva guarire dalla sua infermità, si avesse chiamato alcuno de' suoi figli, il quale con un poco di grascio uscito per mezzo di fuoco dalle sue carni avesse fatto ungere il di lui corpo. L'infermo tenea tre figli, ma niuno di loro volle soggiacere a quella pena del fuoco per guarire il padre. Allora esso ravveduto disse: Voi dunque non volete soffrire un poco di fuoco per liberarmi dalla morte, ed io ho da andare all'inferno ad ardere eternamente, per far vivere più comodi voi? sarei pazzo se lo facessi. E così restituì tutto quello che doveva.

 

 

24. E se, padre mio, ne fo dir messe, va buono? Non signore, non va buono. Quando il padrone è certo, ancorché qualche confessore ignorante (per grazia di Dio non ce ne sono qui di questa sorta) ti facesse restituire con farne dir messe, con tutte le messe dette sempre sei tenuto a restituire quel che dei al padrone. Ma io ho dati già i denari per le messe. Ma il padrone vuole la roba sua, che ti hai pigliata. Quando poi il padrone non si sapesse, e non si potesse proprio sapere, in questo solo caso ne farai dir messe, o ne farai limosine per l'anima del padrone.

 

 

25. Ma rari son quelli che restituiscono. Ciò si vede coll'esperienza. Quanti furti succedono alla giornata, e poi quante sono le restituzioni che si fanno? Come si suol dire? Carne cotta non torna al macello. Riferisce il Verme nella sua istruzione che un padre dell'eremo vide una volta lucifero in trono, a cui si presentò davanti un demonio venuto dalla terra. Gli dimandò lucifero, perché si era trattenuto tanto a ritornare: rispose quel demonio, che si era trattenuto a tentar un certo ladro, acciocché non avesse restituito. Olà, disse allora lucifero, castigate questo sciaurato. E poi rivolto a lui gli disse: E non lo sai, sciocco, che chi si ha pigliata la roba d'altri, non mai restituisce? e tu hai perduto tanto tempo a non far restituire? presto il castigo. Ha ragione lucifero; ed perché? perché carne cotta non torna al macello.

 

 

26. Conchiudiamo questo precetto. Chi avverte dunque, che si ha preso quello che non è suo, bisogna distinguere, se l'ha preso in buona o in mala fede; se l'ha preso in buona fede, ed ancora lo tiene, è tenuto certamente a restituirlo; se poi l'avesse consumato anche in buona fede, dee restituire tutto quello in che si è fatto diziore, cioè che ha risparmiato delle robe sue, che dovea spendere, ed ancora lo conserva. Se poi ha consumato tutto in buona fede, allora non è tenuto a niente. Ma se quello che ha preso l'ha preso in mala fede, dee restituire tutto il preso, e di più tutti i danni che per causa di tal furto sono avvenuti al padrone, anche fortuitamente. A ciò è tenuto, se vuol salvarsi.


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Se poi non vuol restituire, e vuol dannarsi, sta in arbitrio suo; ma sappia, che se ne pentirà; e se ne pentirà non solo nell'altra vita all'inferno, ma anche in questa.

 

 

27. Dice il profeta, che in quella casa, dove entra la roba d'altri, vi entra la maledizione: Haec est maledictio, quae egreditur super faciem omnis terrae... et veniet ad domum furis... et consumet eam1. Onde dice s. Gregorio Nazianzeno: Qui opes inique possidet, etiam opes suas amittet. Le robe d'altri son fuoco, che mandano in fumo se stesse e la roba propria. Questo fa la maledizione di Dio. Eh via, esclama s. Gregorio, facciamo che le robe sian possedute da noi, quando il Signore ce le manda, e non già che noi siamo posseduti dalle robe: Terrena res possideatur, non possideat. Taluni si fanno talmente schiavi delle robe, che per quelle vogliono miseramente dannarsi. Oh miseria! quante povere anime per le robe d'altri se ne vanno all'inferno! Udite come fanno gli uomini savi, che stimano l'anime loro più delle cose di questa terra. Errigo re di Castiglia lasciò il figlio erede del regno: ma perché il figlio era fanciullo, raccomandò il governo del regno al suo fratello. Questo fratello poi, perché prese a governare con gran rettitudine, i vassalli voleano che egli avesse preso l'assoluto dominio del regno. Dopo questa istanza, egli che fece? un giorno comparve in pubblico col nipote fanciullo in braccio, e disse, che il regno toccava al suo nipote, e ch'esso avrebbe speso il sangue e la vita per conservarglielo. Vedete che bell'atto! rinunziare un regno per non offendere Dio! Ma Dio ben premiò la sua fedeltà, mentre lo fece eleggere re del regno di Aragona, ove regnò con pace, e la sua famiglia fu ripiena delle divine benedizioni.

 

 

28. S. Agostino2 riferisce un simil fatto di generosità. Nella città di Milano un povero uomo trovò una borsa con 200 lire in circa di dentro, gli fu detto, che ben se ne potea servire, non sapendo il padrone. Egli, ch'era timorato di Dio, fece metter per le vie molte cartelle coll'avviso di quella borsa da lui ritrovata. Venne il padrone, ed avendo già dati tutti i contrassegni, il povero gli consegnò la borsa. Colui volle rimunerarlo con dargli venti lire, ma il povero non le volle. Quegli dissegli, che almeno ne avesse prese dieci, almeno cinque, e 'l povero sempre le rifiutò; dicendo che la roba toccava tutta al suo padrone. Allora il padrone quasi sdegnato gli gettò la borsa a' piedi, dicendo: Or già che voi non volete nulla da me, io non voglio nulla da voi. Ed allora quasi a forza ricevé quell'offerta; ma neppure se la ritenne; andò subito a dispensarla ad altri poveri.

 

 




3 Rom. 13. 7.



1 Ep. 54. ad Maced.



1 Zach. 5. 3. et 4.

 



2 Ser. 19. de verb. apost.






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