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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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Cap. III. Del ministro dell'estrema-unzione e del tempo in cui dee darsi.

18. In questo capo 3 ed ultimo il concilio dichiara chi sia il ministro

dell'estrema-unzione, ch'è il vescovo o il sacerdote; e che i soggetti a cui dee amministrarsi sono gl'infermi in pericolo di morte. Dichiara di più che l'estrema-unzione ben può riceversi di nuovo dagl'infermi che risanano e poi ritornano nello stesso pericolo. Di più si condannano quei che asseriscono che l'estrema-unzione cessò quando cessò nella primitiva chiesa la grazia delle curazioni. Di più dicesi che questo sacramento non può disprezzare senza gravissima colpa. Iam vero quod attinet ad praescriptionem eorum qui et suscipere et ministrare hoc sacramentum debent, haud obscure fuit illud etiam in verbis praedictis traditum: nam et ostenditur illic proprios huius sacramenti ministros esse ecclesiae presbyteros, quo nomine, eo loco, non aetate seniores aut primores in populo intelligendi veniunt, sed aut episcopi aut sacerdotes ab ipsis rite ordinati per impositionem manuum presbyteri. Declaratur etiam esse hanc unctionem infirmis adhibendam, illis vero praesertim qui tam periculose decumbunt ut in exitu vitae constituti videantur; unde et sacramentum exeuntium nuncupatur. Quod si infirmi post susceptam hanc unctionem convaluerint, iterum huius sacramenti subsidio iuvari poterunt, cum in aliud simile vitae discrimen inciderint. Quare nulla ratione audiendi sunt qui, contra tam apertam et dilucidam apostoli Iacobi sententiam, docent hanc unctionem vel figmentum esse humanum vel ritum a patribus acceptum... nec promissionem gratiae habentem; et qui illam iam cessasse asserunt, quasi ad gratiam curationum dumtaxat in primitiva ecclesia referenda esset; et qui dicunt ritum et usum quem s. romanae ecclesiae in huius sacramenti administratione observat Iacobi apostoli sententiae repugnare, atque ideo in alium commutandum esse; et denique qui hanc extremam-unctionem a fidelibus sine peccato contemni posse affirmant. Haec enim omnia manifestissime pugnant cum perspicuis tanti apostoli verbis: nec profecto ecclesia romana, aliarum omnium mater et magistra, aliud in hac administranda unctione, quantum ad ea quae huius sacramenti substantiam perficiunt, observat quam quod b. Iacobus praescripsit. Nec vero tanti sacramenti contemptus absque ingenti scelere et ipsius Spiritus Sancti iniuria esse potest.

19. A questo sacramento si aggiungono i canoni 3 e 4. Nel canone 3 si dice: Si quis dixerit extremae-unctionis ritum et usum quem observat s. romana ecclesia repugnare sententiae b. Iacobi apostoli, ideoque eum mutandum, posseque a christianis absque peccato contemni, anathema sit.

20. Nel can. poi 4 dicesi: Si quis dixerit presbyteros ecclesiae, quos b. Iacobus adducendos esse ad infirmum inungendum


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hortatur, non esse sacerdotes ab episcopo ordinatos, sed aetate seniores in quavis communitate, ob idque proprium extremae unctionis ministrum non esse solum sacerdotem, anathema sit.

21. Sicché abbiamo dal concilio che i ministri dell'estrema-unzione non sono i laici, né sono i seniori del popolo, come volea Calvino, ma solamente quelli che colla sacra ordinazione sono elevati alla dignità o vescovile o sacerdotale, come dimostra Estio1 , e come l'intendono i santi padri. Nel nuovo Testamento i presbiteri, non si prendono per altri che per li soli ministri della chiesa; tanto più che s. Giacomo parla di quei sacerdoti che rimettono i peccati, il che non mai si è concesso a' laici. Oltreché, dice il concilio che ciò non oscuramente si deduce dalle stesse parole di s. Giacomo. Inettamente alcuni nel secolo V. ammetteano i sacerdoti per ministri, ma ne escludeano i vescovi: e par che volessero dedurlo dalla stessa epistola d'Innocenzo I. ad Decentium; ma erravano, perché lo stesso Innocenzo nella nominata lettera fa espressa menzione de' vescovi; oltreché lo stesso concilio nel cit. cap. 3 dice che così i vescovi come i sacerdoti sono i ministri dell'estrema-unzione.

22. Ogni sacerdote amministra validamente l'estrema-unzione, perché in tale amministrazione non gli bisogna la potestà di giurisdizione, ma basta la potestà dell'ordine. Ho detto validamente; ma per amministrarlo lecitamente bisogna che abbia o la potestà ordinaria di vescovo o di parroco o la delegata da essi, come si prescrive nella clementina I de privileg. Se poi, mancando il sacerdote che ha questa giurisdizione, possa qualunque sacerdote anche religioso conferir questo sacramento, lo nega Navarro2 . Ma più probabilmente l'affermano Silvio, Soto ed altri molti con Tournely3 . Né osta la clementina Dudum, de sepultur, ove fu proibito a' religiosi sotto scomunica di non ledere i dritti de' parrochi; poiché ciò s'intende, dice Giovenino, per quei religiosi che col pretesto de' loro privilegi vogliono esercitare l'officio de' parrochi, ma non si intende del caso di necessità in cui dovrebbe darsi l'estrema-unzione e manca il legittimo sacerdote. Si aggiunge a ciò l'autorità di s. Carlo Borromeo, il quale nel concilio milanese V. ordinò: Si porro is (parochus) impeditus aut alias in mora est, mortisque periculum instat, hoc sacramentum sacerdos alius administret.

23. Se poi ad amministrar l'estrema-unzione vi bisognino più sacerdoti, secondo i greci si richiedono sette sacerdoti, come si ha da' loro eucologj o pure cinque o tre, come porta M. Renaudot4 , ma non si aspetta che l'infermo giunga all'estremo. Scrive il p. Chalon che prima, ungendo sette sacerdoti, si apparecchiava una lampana con sette lucignoli, ed ogni sacerdote accendeva il suo, e così col segno di croce e molte orazioni ungeano poi l'infermo. Anche presso i latini anticamente, come si ha dal sacramentario di s. Gregorio, si chiamavano più sacerdoti. Ma da più secoli nella chiesa latina si amministra da un solo sacerdote. Né osta quel che dice s. Giacomo: inducat presbyteros; perché nelle scritture sacre spesso il numero plurale prendesi per singolare, come in s. Luca dicesi: Latrones in Christum blasphemasse, quantunque ivi, come si legge, un solo bestemmiò: Unus autem de his etc.5 .

24. Il p. Chalon nella sua storia de' sacramenti6 , narra che l'unzione prima faceasi promiscuamente da uno o più sacerdoti, secondo diversamente parlano i rituali antichi presso Martene7 : dice di più che questi sacerdoti alle volte tutti ungeano, recitando ciascuno la forma corrispondente al senso dell'infermo; alle volte poi uno ungeva una parte ed un altro l'altra, recitando ognuno la forma propria di quella parte. Per contra poi riferisce Chalon nello stesso capo I più esempi di un solo sacerdote che amministrava questo sacramento. Dice di più che, prima di ungere l'infermo, si costumava di mettergli di sotto la cenere e il cilizio; almeno glielo metteano sovra, e si benedicea così il cilizio come la cenere. Ciò praticavasi specialmente nell'Italia.

25. Quali poi siano i soggetti che possono ricevere l'estrema-unzione, nella chiesa orientale, come vogliono Arcudio8 , e Goario, vi è l'uso universale di ungere anche i sani; e lo stesso scrive Leone Allazio9 , dicendo: Non tantum infirmos, sed sanos quoque homines extrema unctione, et saepius, graeci inungunt. E questa unzione de' sani tiene Arcudio che da' greci si ha per vero sacramento; ma lo nega Goario con Giovenino10 , il quale dice che a tempo d'Innocenzo I. anche i latini si ungevano coll'olio santificato dal vescovo, affin di rimovere i morbi,


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ma niuno sospetta che quella unzione fosse stata sacramento. Del resto già da s. Giacomo fu espresso che gl'infermi sono quelli a cui dee darsi l'estrema unzione: Infirmatur quis in vobis? inducat presbyteros etc. Onde non è lecito dar questo sacramento a' sani, ancorché fossero prossimi alla morte, come sono i condannati dalla giustizia. E dal concilio di Trento stan più distintamente designati gli infermi che debbono ungersi_ Declaratur etiam esse hanc unctionem infirmis adhibendam, illis vero praesertim qui tam periculose decumbunt ut in exitu vitae constituti videantur. Ma avverte Benedetto XIV. nella sua bolla 53, §. 46, al tom 4 del suo bollario, che questo sacramento diasi agl'infermi, quando ancora son capaci di ragione, dum sibi constant et sui compotes sunt; e non si aspetti l'estremo tempo, in cui non sono più in sensi. Onde il catechismo romano1 , dice: Gravissime peccant qui illud tempus aegroti ungendi observare solent cum iam, omni salutis spe amissa, vita et sensibus carere incipiat. Quindi dice Giovenino che ben possono ungersi gl'infermi che stanno in pericolo di morte, ancorché non siano giunti in fine di vita: Numerari debent omnes qui periculose laborant, sive in exitu constituti videatur, sive non. E ciò si deduce chiaramente dallo stesso concilio, ove si dice: Unctionem infirmis adhibendam, illis vero praesertim qui in exitu vitae constituti videantur; quel praesertim significa che l'estrema-unzione ben può darsi a coloro che anche non sono in fine di vita. Perloché comunemente dicono i dottori esser sufficiente per dar lecitamente la estrema-unzione che l'infermità sia certamente pericolosa di morte, benché non prossima; onde Benedetto XIV. nella citata bolla prescrive: Ne sacramentum extremae unctionis ministretur bene valentibus, sed iis dumtaxat qui gravi morbo laborant. E tra costoro giustamente dice s. Carlo Borromeo che debbon numerarsi quei vecchi decrepiti che patiscono un gran languore, benché senza altre infermità.

26. Questo sacramento poi dee negarsi ai fanciulli che non ancora son giunti all'uso di ragione ed a' pazzi sin dalla nascita, perché questi non mai han peccato attualmente; ma ben può darsi a' fanciulli che hanno sette anni compiti ed a' pazzi che in qualche tempo hanno avuta luce d'intervallo.

27. Per la disposizione poi di ricevere l'estrema-unzione, ch'è sacramento de' vivi, si richiede che l'infermo stia in grazia; e se mai si ritrova in peccato, almeno dee avere la contrizione, della quale ne abbia una morale certezza, altrimenti dee confessarsene. Giovenino, Tournely e Concina esigono assolutamente la confessione; ma altri autori si contentano della contrizione. Anticamente l'estrema-unzione davasi prima del viatico; e così narra il p. Chalon2 , averla ricevuta Leone papa IV. nel secolo XI., benché rapporta ivi altri esempi diversi: ma da più secoli, dice Giovenino, nelle chiese latine si dà dopo del viatico; se però alcuno infermo vorrà prendere nello stesso tempo il viatico e l'estrema-unzione, in tal caso, secondo il rituale di Parigi (com'è ragionevole), dee darsi prima l'unzione e poi il viatico, affinché abbia prima luogo l'effetto dell'estrema-unzione circa la remissione de' peccati: eccettoché se vi fosse pericolo che l'infermo potesse morire senza prender l'eucaristia. Vedi Giovenino3 .

28. Narra il p. Chalon4 , che anticamente in più luoghi l'unzione si reiterava per sette giorni consecutivi. Ma insegna il concilio che l'estrema-unzione solo può reiterarsi, se gl'infermi guarissero e poi di nuovo cadessero in altro simile pericolo della vita: Quod si infirmi post susceptam hanc unctionem convaluerint, iterum huius sacramenti subsidio iuvari poterunt cum in aliud simile vitae discrimen inciderint. Indi soggiunge il concilio: Quare nulla ratione audiendi sunt qui illam (unctionem) iam cessasse asserunt, quasi ad gratiam curationum dumtaxat in primitiva ecclesia referenda esset.

29. Per intender bene quel che si dice in questo luogo dal concilio, ripetiamo ciò che disse il concilio nel capo I. parlando dell'istituzione di questo sacramento: Vere et proprie sacramentum a Christo D. N. apud Marcum quidem insinuatum ac promulgatum. Come accennammo dunque da principio trattando di questo sacramento, ci ammaestra il concilio che l'estrema-unzione fu insinuata o sia figurata nella curazione de' morbi, che prima dell'istituzione di questo sacramento faceano i discepoli del Signore, ungendo con olio gl'infermi: Et ungebant oleo multos aegros et sanabant5 . Vuole Calvino che s. Giacomo, dicendo ungentes eum oleo in nomine Domini, parli di quella stessa unzione di cui parla s. Marco


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e che adoperavasi per mano de' discepoli, i quali aveano il dono di sanare gl'infermi, ungendoli con olio; e da questo errore poi ne deduce l'altro, cioè ch'essendo mancato appresso il dono di tali guarimenti, cessò anche tale unzione, la quale né pure oggidì è sacramento, ma una cerimonia inutile e superstiziosa. Ma erra in tutto; perché l'unzione di cui parla s. Giacomo, è quella che si fa da' sacerdoti; ma l'altra di cui parla in s. Marco potea farsi da tutti, anche da' laici; oltreché, allora non era stato ancora istituito il sacerdozio. Né è vero che mancando quella curazione miracolosa, è mancata

l'estrema-unzione; poiché tal sacramento, da che è stato istituito, è stato usato sempre nella chiesa, come ne fan fede Origene1 , il Grisostomo2 , Innocenzo papa I.3 , s. Gregorio4 ; e di ciò in quanti rituali sono usciti appresso se ne fa espressa menzione. Riferisce non però il p. Chalon5 , che ne' primi tre secoli di rado, per causa delle persecuzioni, si usava di dare questo sacramento; il che è molto verisimile.

30. Dice in fine il concilio essere una grande scelleraggine se un cristiano disprezzasse questo sacramento: Nec vero tanti sacramenti contemptus absque ingenti scelere et ipsius Spiritus sancti iniuria esse posset. Ma quindi si dubita se, preciso il disprezzo del sacramento, pecchi gravemente quel fedele che volontariamente ricusa di prender l'estrema-unzione. La sentenza più comune lo nega, e questa è seguita da s. Tomaso6 , da Estio, Silvio, Sambovio, Navarro ed altri modi; dicendo s. Tomaso che così l'estrema-unzione come la cresima non sunt de necessitate salutis. All'incontro vi è la sentenza non improbabile di altri, del p. Concina, di Habert, di Giovenino con s. Bonaventura ec., i quali dicono esservi in ciò precetto positivo divino, per quelle parole di s. Giacomo: Inducat presbyteros ecclesiae, et orent super eum, ungentes eum oleo in nomine Domini. Questa ragione non mi persuade appieno, poiché tali parole non dinotano un precetto certo; ma dico esser obbligato ciascuno, stando in morte, a prender questo sacramento per ragione della carità che ciascuno dee esercitare verso se stesso; attesoché quantunque possa l'infermo fortificarsi con altri mezzi, trovandosi però in quello stato, da una parte ritrovasi molto debole colla mente per potersi aiutare con atti buoni, dall'altra parte (come dice il Tridentino) allora sono più veementi le insidie del demonio: Nullum tempus est quo vehementius (adversarius) omnes suae astutiae nervos intendat ad perdendum nos, quam cum impendere nobis exitum vitae perspicit. E dice che il Signore in questo sacramento ci ha apprestato un certo fermissimo aiuto: tanquam firmissimo quodam praesidio (nos) munivit. Il privarsi poi volontariamente in tanto pericolo della salute eterna di un aiuto così potente a vincere l'inferno non so come possa scusarsi dalla colpa grave della mancanza di carità che l'infermo usa con se stesso con porsi a pericolo di cedere alle tentazioni in quello estremo contrasto col nemico.




1 - In epist. p. 1112. col. 1.

2 - In man. c. 27. n. 101.

3 - De extr. unct. p. 35. q. 2.

4 - T. 7. de sacram. etc.

5 - Luc. 23. 39.

6 - L. 3. c. 1.

7 - 1. 2. c. 7. a. 4.

8 - L. 8. de extr. unct. c. 4.

9 - Lib. 3. de cons. eccl. etc. cap. 16. num. 3.

10 - Pag. 39. qu. 1.

1 - De extr. unct. §. 9.

2 - L. 3. c. 2.

3 - P. 7. de extr. unct. q. 8. p. 234.

4 - L. 3. c. 7.

5 - Marc. 6. 13.

1 - Hom 2. in Levit.

2 - De sacerdot.

3 - Ep. ad Decent.

4 - Sacram.

5 - L. 3. c. 1.

6 - In 4. sent. dist. 2. q. 1. a. 1. q. 3. ad 1.




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