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CAPO VI.
Caritas benigna est.
Chi ama Gesù Cristo ama la dolcezza.
Lo spirito di dolcezza è proprio di Dio: Spiritus
enim meus super mel dulcis (Eccli. XXIV, 27). Quindi l'anima amante di Dio
ama tutti coloro che sono amati da Dio, quali sono i nostri prossimi; onde
volentieri va sempre cercando di soccorrer tutti, consolar tutti, e tutti
contentar, per quanto l'è permesso. Dice S. Francesco di Sales che fu il
maestro e l'esempio della santa dolcezza: “L'umile dolcezza è la virtù delle
virtù che Dio tanto ci ha raccomandata; perciò bisogna praticarla sempre e da
per tutto.”1 Onde il santo ci dà poi questa regola: “Ciò che vedrete
potersi far con amore, fatelo; e ciò che non può farsi senza contrasto,
lasciatelo.”2 S'intende sempre
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che può lasciarsi senza offesa
di Dio, perché l'offesa di Dio dee impedirsi sempre e subito che si può, da chi
è tenuto ad impedirla.
Questa dolcezza dee specialmente praticarsi co' poveri, i quali ordinariamente,
perché son poveri, son trattati aspramente dagli uomini. Dee usarsi
particolarmente ancora cogli infermi i quali si trovano affitti dall'infermità,
e per lo più sono poco assistiti dagli altri. Più particolarmente poi dee
usarsi la dolcezza coi nemici. Vince in
bono malum (Rom. XII, 21). Bisogna vincer l'odio coll'amore, e la
persecuzione colla dolcezza; così han fatto i santi, e si han conciliato
l'affetto de' loro più ostinati nemici.
Non vi è cosa, dice S. Francesco di Sales, che tanto edifichi i prossimi,
quanto la caritatevole benignità nel trattare.”3 Il santo perciò
ordinariamente facea vedersi colla bocca a riso e colla faccia che spirava
benignità, accompagnata dalle parole e dai gesti.4 Onde dicea S.
Vincenzo de' Paoli non aver egli conosciuto uomo più benigno. Dicea di più
sembrargli che
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monsignor di Sales avesse l'immagine espressa della
benignità di Gesù Cristo.5 Egli anche nel negare quel che non potea
concedere senza offesa della coscienza, si dimostrava talmente benigno, che gli
altri, benché non avessero l'intento, ne partivano affezionati e contenti. Era
egli benigno con tutti, co' superiori, co' suoi eguali e cogl'inferiori, in
casa e fuor di casa.6 A differenza di coloro, come lo stesso santo
dicea, che sembrano angeli fuori di casa
e demoni in casa.7 Anche trattando co' servi, il santo non si
lagnava mai de' loro mancamenti; appena qualche
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volta gli avvertiva,
ma sempre con parole benigne.8 Cosa molto lodevole a tutti i superiori.
Il superiore dee usare tutta la benignità co' suoi sudditi. Nell'imponere ciò
che quelli hanno da eseguire, dee più presto pregare che comandare. Dicea S.
Vincenzo de' Paoli: “Non v'è modo a' superiori di esser meglio ubbiditi da'
sudditi, che la dolcezza.”9 E parimente S. Giovanna di Chantal dicea:
“Ho sperimentato più modi nel governo, ma non ho trovato migliore che il dolce
e sofferente.”10
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Anche nel riprendere i difetti, il superiore dee essere benigno. Altro è il
riprendere con fortezza, altro il riprendere con asprezza; bisogna talvolta
riprendere con fortezza, quando il difetto è grave, e specialmente quando è
replicato, dopo che il suddito n'è stato già ammonito; ma guardiamoci di
riprender mai con asprezza ed ira; chi riprende con ira fa più danno che
profitto. Questo è quel zelo amaro riprovato da S. Giacomo. Taluni si vantano
di tener la famiglia a registro col modo aspro che usano, e dicono che così
bisogna governare; ma non dice così S. Giacomo: Quod si zelum amarum habetis,... nolite gloriari (Iac. III, 14). Se
mai in qualche caso raro bisognasse dire qualche parola aspra per indurre il
difettoso ad apprender la gravezza del suo difetto, sempre non però all'ultimo
bisogna lasciarlo colla bocca dolce, con qualche parola benigna. Bisogna sanar
le ferite, come fece il Samaritano del Vangelo, col vino e coll'olio. “Ma
siccome l'olio, dicea S. Francesco di Sales, va sempre di sopra tutti i
liquori, così bisogna che in tutte le nostre azioni vada sopra la
benignità.”11 E quando avviene che la persona la quale dee esser
corretta sta disturbata, bisogna allora trattener la riprensione ed aspettare
che cessi la sua collera, altrimenti più la provocheremo a sdegnarsi. Dicea S.
Giovanni canonico regolare: “Quando la casa arde non bisogna aggiunger legna al
fuoco.”12
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Nescitis cuius spiritus estis (Luc. IX,
55). Così disse Gesù Cristo a' suoi discepoli Giacomo e Giovanni, allorché essi
voleano che fossero corretti con castighi i Samaritani, i quali gli aveano
discacciati dal lor paese. Ah, disse loro il Signore, e quale spirito è questo?
Questo non è lo spirito mio, il quale è tutto dolce e benigno; giacché io non
son venuto a perdere, ma a salvare le anime: Filius hominis non venit animas perdere sed salvare (Ibid. 56). E
voi volete indurmi a perderle? Tacete, e non mi fate più simili domande, perché
non è questo lo spirito mio. - Ed in fatti con quanta dolcezza Gesù Cristo
trattò l'adultera! Mulier, le disse, nemo te condemnavit? nec ego te condemnabo:
Vade, et iam amplius noli peccare (Io. VIII, 10 e 11).13 Si contentò
di solo ammonirla a non più peccare, e la mandò in pace. Con quanta benignità
parimente cercò di convertire la Samaritana, e così già la converti. Prima le
domandò da bere; dipoi le disse: Oh
sapessi tu chi è colui che ti cerca da bere! Indi le rivelò ch'egli era il
Messia aspettato. In oltre con quanta dolcezza procurò di convertire l'empio
Giuda, ammettendolo a mangiare nello stesso suo piatto, lavandogli i piedi, ed
avvertendolo nell'atto stesso del suo tradimento: Giuda, così con un bacio mi
tradisci? Iuda, osculo Filium hominis
tradis? (Luc. XXII, 48). Come poi convertì Pietro, dopo che Pietro l'avea
rinnegato? Eccolo: Conversus Dominus
respexit Petrum (Ibid. 61). In uscir dalla casa del pontefice, senza
rimproverargli il suo peccato, lo mirò con un tenero sguardo, e così lo
convertì; e lo convertì in modo, che Pietro finché visse non lasciò mai di
piangere l'ingiuria fatta al suo maestro.
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Oh quanto si guadagna più colla dolcezza che coll'amarezza! Dicea S. Francesco
di Sales che non v'è cosa più amara della noce; ma se quella si confetta,
diventa dolce ed amabile: così le correzioni, benché sono in sé dispiacenti,
nondimeno quando si fanno con amore e dolcezza, diventano gradevoli, e così
riescono di maggior profitto.14 Narrava di sé S. Vincenzo de' Paoli che
nel governo tenuto nella sua congregazione non aveva mai corretto alcuno con
asprezza, se non tre volte credendo aver avuta ragione di farlo, ma che poi
sempre se n'era pentito, perché sempre gli era riuscito male; dove il
correggere con dolcezza sempre gli era riuscito bene.15
S. Francesco di Sales colla sua benignità ottenea dagli altri quanto voleva; e
così gli riusciva di tirare a Dio anche i peccatori più ostinati.16 Lo
stesso praticava S. Vincenzo de' Paoli,
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il quale insegnava a' suoi questa
massima: “L'affabilità, dicea, l'amore e l'umiltà mirabilmente si guadagnano i
cuori degli uomini, e gl'inducono ad abbracciare le cose più ripugnanti alla
natura.”17 Una volta egli consegnò ad un padre de' suoi un gran
peccatore. affinché l'avesse ridotto a penitenza; ma quel padre, per quanto
avesse faticato, niente profittò; onde pregò il santo a dirgli esso qualche
cosa. Allora gli parlò il santo e lo convertì. Quel peccatore disse poi che la
singolar dolcezza e carità del P. Vincenzo gli aveano guadagnato il
cuore.18 Quindi il santo non potea soffrire che i suoi missionari
trattassero i penitenti con asprezza, e dicea loro che lo spirito infernale si
serve del rigore di alcuni per maggiormente rovinare le anime.19
Bisogna praticar la benignità con tutti, ed in ogni occasione, ed in ogni
tempo. Avverte S. Bernardo che taluni sono mansueti finché le cose avvengono a
loro genio, ma appena poi che son toccati con qualche avversità o
contraddizione, subito si accendono, e cominciano a fumare come il monte
Vesuvio.20
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Costoro posson dirsi carboni ardenti, ma nascosti
sotto la cenere. Chi vuol farsi santo bisogna che in questa vita sia come un
giglio tra le spine, che per quanto venga da quelle punto non lascia di esser
giglio, cioè sempre egualmente soave e benigno. L'anima amante di Dio conserva
sempre la pace nel cuore, e la dimostra anche nel volto, comparendo sempre
eguale a se stessa negli eventi, così prosperi come avversi, siccome cantò il
cardinal Petrucci:
Mira cangiarsi in variate forme
Fuori di sé le creature, e dentro
il suo più cupo centro
Sempre unita al suo Dio vive uniforme.21
Nelle
cose avverse si conosce lo spirito di una persona. S. Francesco di Sales amava
con tenerezza l'ordine della Visitazione che gli costava tante fatiche. Più
volte egli lo vide in pericolo di perdersi per le persecuzioni che pativa, ma
il santo non perdé mai la sua pace, sempre contento di vederlo anche distrutto,
se così piaceva a Dio; ed allora fu che disse: “Da qualche tempo in qua le
tante opposizioni e contraddizioni che mi sono venute mi recano una pace sì
dolce che non ha pari, e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'anima
mia in Dio ch'è l'unico mio desiderio.”22
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Quando ci occorre di dover risponder a chi ci maltratta, stiamo attenti a
rispondere sempre con dolcezza: Responsio
mollis frangit iram (Prov. XV, 1): una risposta dolce basta a spegnere ogni
fuoco di collera. E quando ci sentiamo sturbati, allora meglio è tacere, perché
allora ci sembra giusto di dir quel che ci viene in bocca; ma sedata poi la
passione, vedremo che tutte le parole da noi proferite sono state difetti.
E
quando accade che noi stessi commettiamo qualche difetto, bisogna che ancora
con noi medesimi usiamo la dolcezza: l'adirarci con noi dopo il difetto
commesso non è umiltà, ma è fina superbia, come se noi non fossimo quei deboli
e miserabili che siamo. Dicea S. Teresa: “Umiltà che inquieta non viene mai da
Dio, ma dal demonio.”23 L'adirarci con noi stessi dopo il difetto è un
difetto più grande del difetto fatto, il quale porterà seco la conseguenza di molti
altri difetti: ci farà lasciare le nostre divozioni, l'orazione, la comunione;
e se le faremo riusciranno poco ben fatte. Dicea S. Luigi Gonzaga che
nell'acqua torbida più non si vede, ed ivi pesca il demonio.24 Quando
l'anima sta disturbata poco conosce Dio e
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quel che dee fare. Bisogna
dunque, allorché cadiamo in qualche difetto, voltarsi a Dio con umiltà e
confidenza, e, cercandogli perdono, dirgli come dicea S. Caterina di Genova:
“Signore, queste sono l'erbe dell'orto mio.”25 V'amo, con tutto il
cuore, e mi pento di avervi dato questo disgusto. Non voglio farlo più, datemi
il vostro aiuto.
1 «Prenez bien
garde à bien pratiquer l' humble douceur que vous devez au cher mari et à tout
le monde, car c' est la vertu des vertus que Notre-Seigneur nous a tant
recommandée (Mat. XI, 29); et s' il vous arrive d' y contrevenir, ne vous troublez
point, ains, avec toute confiance, remettez-vous sur pied pour marcher derechef
en paix et douceur comme auparavant.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 1539, jullet-août 1619, à Madame de Villesavin. Œuvres, XVIII,
417.
2 «Je vois
bien, chére Fille, qu' il est un peu malaisé d' avoir soin du ménage en une
maison où il y a mére et pére; car je n' ai jamais vu que les péres, et
sourtout les méres, laissent le gouvernement entier aux filles, encore que
quelquefois il serait expédient. Pour moi, je vous conseille de faire le plus
doucement et sagement que vous pourrez ce qui vous est raccomandé, sans jamais rompre la paix avec ce pére (le
beau-pére de la destinataire) et cette mére (la femme du précédent); car il
vaut mieux que les affaires n' aillent pas si bien, et que ceux à qui l' on a
tant de devoir soient contents. Et puis, si je ne me trompe; votre humeur n'
est pas faite pour la conteste. La paix vaut mieux qu' une chevance. Ce que
vous verrez pouvoir être fait avec amour, il le faut procurer; ce qui ne se
peut faire que par débat doit être laissé, quand on a affaire avec des
personnes de si grand respect. Je ne doute point qu' il ne se passe des
aversions et répugnances en votre esprit; mais, ma trés chère Fille, ce sont
autant d' occasions d' exercer la vraie vertu de douceur; car il faut faire
bien, et saintement, et amoureusement ce que nous devons à un chacun, quoique
ce soite à contrecoeur et sans goût.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 1254, 10 Novembre 1616, à Madame Guillet de Monthoux (al. à une Cousine). Œuvres, XVII, 305, 306. - «Tout par amour,
rien par force.» C' était son grand mot, et le principal ressort de son
gouvernement. Il m' a dit souvent que ceux qui vveulent forcer les volontés
humaines, exercent une tyrannie extrément odieuse à Dieu et aux hommes... Je
lui ai souvent oui dire cette belle sentence: «En la galére royale de l' amour
divin, il n' y a point de forçat; tous les rameurs y sont volontaires». Fondé
sur ce principe, il ne faisait jamais de commandement que par forme de
persuasion ou de priére... il voulait qu' en matiére de gouvernement spirituel,
on se comportât envers les âmes à la façon de Dieu et des anges, par
inspirations, insinuations, illuminations, remontrances, prières,
sollicitations, en toute patience et doctrine; que l' on frappât comme l' Epoux
à la porte des coeurs, que l' on pressât doucement l' ouverture; si elle se
faisait, que l' on y introduisit le salut avec joie; si on la refusait, qu' on
en supportât le refus ave douceur.» CAMUS, Esprit
de S. François de Sales, partie 7, ch. 5.
3 «Il y avait
dix vierges, et n' y en avait que cinq qui eussent l' huille de la douceur
miséricordieuse et débnnaireté. Cette égalité d' humeur, cette douceur et
suavité de coeur est plus rare que la parfaite chasteté, mais elle n' en est
que plus désirable. Je la vous recommande, ma trés chére Fille, parce qu' à
icelle, comme à l' huile de la lampe, tient la fiamme du bon exemple, n' y
ayant rien qui édifie tant que la charitable débonnaireté.» S. FRANÇOIS DE
SALES, Lettre 1223, à la Mére de
Bréchard, 22 juillet 1616. Œuvres, XVII,
260.
4 «La douceur
de notre Bienheureux était incomparable... Je ne pense pas que l' on puisse
exprimer la grande suavité et débonnaireté que Dieu avait répandues en son âme.
Son visage, ses yeux, ses paroles et toutes ses actions ne respiraient que
douceur et mansuêtude; il la répandait même dans les coeurs de ceux qui le
voyaient.» S. Jeanne de CHANTAL, Déposition pour la béatification et
canonisation de S. François (Procés d' Annecy, 1627), art. 32. Vie et Œuvres de la Sainte, III, 167.
5 «Aussi
était-ce une de ses grandes maximes, qu' encore qu' il fallût tenir ferme pour
la fin qu' on se propose dans les bonnes entreprises, il était néanmoins
expédient d' user de douceur dans les moyens qu' on employait... Il rapportait
à ce sujet l' exemple du bienheureux François de Sales, évèque de Genéve, qu'
il disait «Avoir été le plus doux et le plus débonnaire qu' il ait jamais
connu; et que, la premiére fois qu' il le vit, il avait reconnu en son abord,
en la sérénité de son visage, en sa maniére de converser et de parler, une
image bien expresse de la douceur de Notre-Seigneur Jésus-Christ, qui lui avait
gagné le coeur.» ABELLY, Vie, liv. 3. ch. 12 (al. ch. 27).
6 «Quand notre
Bienheureux ne pouvait accorder ce qu' on demandait de lui, pour n' étre pas
juste, il en témoignait un certain déplaisir, par des paroles si obligeantes
qu' on était satisfait de son refus. - Il disait qu' il fallait avoir un grand
soin de ne fàcher ni incommoder personne; qu' il eût voulu obliger tout le
monde, ce qu' il a fait en toutes les occasions qu' il a pu; mais que tant qu'
il pouvait, il ne s' obligeait à personne.» S.
Jeanne de CHANTAL, Déposition pour la
béatification et canonisation de S. François, art. 27. Vie et Œuvres de la Sainte, III, 130. - «Ce Bienheureux... recevait
toutes sortes de personnes avec un visage si gracieux et débonnaire, et des
paroles si afflabes, que bien qu' il fût grandement grave et majestueux, l' on
ne laissait toutefois de l' aborder et lui dire tous ses besoins avec une
entiére confiance; et jamais, qu' on ait oui dire, aucun ne s' en est retourné
d' auprés de lui qu' avec satisfaction, et un amour plein de respect et d'
estime de son incomparable bonté et charité.» Ibid., 129. - «Il avait en son port et en toutes ses actions une
merveilleuse majesté, mais accompagnée d' une si grande humilité, qu' il se
rendait accessible à tous. Les pauvres, les paysans mêmes l' abordaient avec
toute confiance; il se plaisait avec eux, leur oyait raconter leurs petites
affaires, et parlait même bien souvent leur langage afin de se rendre plus familier
avec eux; il ne méprisait personne pour chétive qu' elle fût. Il portait un
trés grand honneur à toutes sortes de personnes selon leur qualité, les nommant
toujours le plus honorablement qu' il pouvait; il a donné pour régle à notre
religion de faire ainsi. Aussi disait-il «qu' il n' y avait homme au monde qui
se souciât moins des honneurs que lui, ni qui en voulût plus rendre.» Ibid., art. 30, pag. 152.
7 «Et ne faut
pas seulement avoir la douceur du miel, qui est aromatique et odorant, c' est-à-dire
la suavité de la conversation civile avec les étrangers, mais aussi la douceur
du lait entre les domestiques et proches voisins: en quoi manquent grandement
ceux qui en rue sembleut des anges, et en la maison, des diables.» S. FRANÇOIS
DE SALES, Introduction à la vie dévote, partie
3, ch. 8.
8 «Jamais le
Bienheureux ne dit une parole de menace, ni rien de fâcheux à ses domestiques,
et quand ils faisaient des fautes, il assaisonnait ses corrections de tant de
douceur, qu' ils se corrigeaient aussitôt par amour, sans appréhender la verge
de fer... Un jour, l' entretenant sur la maniére de traiter avec les
domestiques, et lui disant que la familiarité engendrait le mépris: «Oui, me
dit-il, la familiarité indécente, grossiére et répréhensible; jamais celle qui
est civile, cordiale, honnête et vertueuse... Si la charité est la maîtresse du
coeur, elle saura bien faire tenir la partie à la discrétion, à la prudence, à
la justice, à la modération, à la magnanimité, aussi bien qu' à l' humilité, à
l' abjection, à la patience, à la souffrance et à la douceur. Ce que je puis
dire au sujet des domestiques, c' est qu' aprés tout ce sont nos prochains, et
d' humbles fréres que la charité nous oblige d' aimer comme nous-mêmes.
Aimons-les donc bien comme nous-mêmes, ces chers prochains, qui nous sont si
proches et si voisins... et traitons-les comme nous-mêmes, ou plutôt comme nous
voudrions être traités si nous étions
en leur place et de leur condition... Il est vrai qu' il ne faut pas dissimuler
leurs fautes quand elles sont notables... mais aussi il faut reconnaître le
bien que nous en recevons: il est même à propos, pour les animer, de leur
témoigner quelquefois que l' on agrée leur service, que l' on a confiance en
ux, et que l' on les tient ou comme des fréres, ou comme des amis de qui l' on
veut soulager la nécessité ou procurer l' avancement. Certes... une parole d'
amitié et un témoignage de bienveillance tirera plus de service d' un
domestique, que cent commandements austéres, menaçants et rigoureux.» CAMUS
(éd. abrégée Collet), partie 5, ch.
10.
9 «Le
supérieur d' une de ses maisons lui ayant écrit pour lui demander que sa charge
fût remisse à un autre, il lui fit cette réponse: «Pour la décharge, lui
dit-il, que vous demandez, je vous prie de n' y pas penser... Donnez-vous à lui
(à Notre Seigneur) pour n' être à peine personne, poure traiter un chacun avec
douceur et respect, pour user toujours de priéres et de paroles aimables, et
jamais de mots rudes et impérieux. Rien n' étant si capable de gagner les
coeurs que cette maniére d' agir humble et suave, ni par conséquent de vous
faire parvenir à vos fins, qui sont que Dieu soit servi, et les âmes
sanctifiées.» ABELLY, Vie, liv. 3,
ch. 24, section 1.
10 «En la
derniére année de sa vie, elle dit à notre trés honorée Mére de Blonay: «Ma
trés chére Mére, j' ai tourné et viré de tous les côtés que j' ai su m'
imaginer: j' ai considéré et essayé toutes les conduites, et aprés tout, j' ai
vu que la conduite douce, sincére et humble de support est la meilleure et
celle que les supérieures de la Visitation doivent suivre.» Elle écrivit aussi
à une supérieure ce qui suit: «... Plus je vas et plus je vois que la douceur
est requise pour entrer et se maintenir dans les coeurs, afin qu' ils fassent
leurs devoirs envers Dieu. Et enfin, nos religieuses sont les brebisde
Notre-Seigneur; il nous est bien permis, en les conduisant, de les toucher de
la verge et de la correction, mais non pas de les tondre ni écorcher, ou de les
mener à la boucherie: cela n' appartient qu' au Maître Souverain.» Mére de CHAUGY, Mémoires sur la vie et les vertus de S. Jeanne de Chantal, partie
3, ch. 19. Vie et Œuvres de la
Sainte, I, p. 466.
11 «Le baume,
qui prend toujours le dessous parmi toutes les liqueurs, représente l'
humilité, et l' huile d' olive, qui prend toujours le dessus, représente la
douceur et débonnaireté, laquelle surmonte toutes choses et excelle entre les
vertus comme étant la fleur de la charité, laquelle, selon saint Bernard, est
en sa perfection quand non seulement elle est patiente, mais quand outre cela
elle est douce et débonnaire.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote, partie 3, ch. 8.
12 «Quidam e
fratribus... magno furore commotus, procaciter ingressus in aulam, ubi vir
mansuetus cum quibusdam familiariter conferebat, multa in eum convicia...
iactitabat... ut ira permoveretur. At ille, fellis expers... ne verbum quidem
ei respondit. Id cernens quidam... viro Dei familiarior: «Cur tam, inquit,
atrocia huius hominis dicta perfers, cum verbo uno edicere possis ut redeat ad
cubiculum suum?... Quid ita negligis existimationem tuam, honorisque tui
iniuriam?...» Et beatus vir sic respondit: «Si fiamma vorax, aedificii tecta
lambens, in sublime feratur, num tu consulte facturum putas eum, qui plus etiam
materiae in fiammam iniicere velit? Frater iste ad praesens magno ardet furoris
aestu, cui si ego comminationum faculas admovere velim, furor eius magis
magisque ingiammabitur, atque ita fiet ut in rectam viam placide et amanter
revocari non possit. Sed ubi haec fiamma deferbuerit, tum demum ad opportuna remedia animo
deliberatio accedemus.» His dictis, nihil commotus abscessit, cum Davide...
pulsans citharam, atque ita Saulis insaniam temperans.» Apud Surium (De probatis sanctorum historiis, die
10 Octobris). Vita S. Ioannis, Prioris
Monasterii Bridlingtoniae (al. Bridlintonae,
aut Brilleduni), Canonicorum Regularium in Anglia (in dioecesi et ducatu
Eboracensi); auctore anonymo, quem sancti aequalem argumentatur Surius, certe supparem esse concedunt Bollandiani: apud quos (eadem die) Vita contractior et recentior (ignotae
aetatis), auctore Hugone, Canonico
Regulari.
13 Mulier, ubi suunt qui te accusabant? Nemo te condemnavit? Io. VIII, 10. - Nec ego te condemnabo: vade et iam amplius
moli peccare. Ibid., 11.
14 «Voici un
autre de ses mots, fort mémorable, sur ce sujet, et qu' il m' a dit plusieurs
fois: Soyez toujours le plus doux que vous pourrez, et vous souvenez que l' on
attire plus de mouches avec une cuillerée de miel, qu' avec cent barils de
vinaigre; s' il faut pécher en quelque extrêmite, que ce soit en celle de la
douceur... L' esprit humain est ainsi fait: il se cabre contre la rigueur, par
la suavité il se rend pliable à tout. La parole douce amortit la colére, comme
l' eau éteint le feu. Par la benignité, il n' y a terre si ingrate qui ne porte
du fruit. Dire des vérités avec douceur, c' est jeter des charbons ardents au
visage, ou plutôt des roses. Le moyen de se fàcher contre celui qui ne combat
contre nous qu' avec des perles et des diamants! Il n' y a rien de si amer que
la noix verte: confite, il n' y a rien de plus doux, ni de plus stomacal. La
répréhension est âpre de sa nature: confite dans la douceur, et cuite au feu de
la charité, elle est toute cordiale, tout aimable et toute délicieuse.» CAMUS, Esprit de S. François de Sales (éd.
abrégée Collet ), p. 1, ch. 3. -
«Faites toujours vos corrections avec le coeur et les paroles douces, et
reprenant les défauts, faites qu' en votre coeur vous excusiez la défaillante,
amoindrissant la faute; car ainsi les avertissements font meilleure opération.»
Lettre 2090 (Fragments), c. à la Mère de Chantal, 1615-1617. Œuvres, XXI, 176.
15 «(Il
disait) qu' il fallait surtout, en ce temps-là (dans les occasions où l'
on pourrait manquer contre la douceur)
s' étudier à retenir sa langue, et malgré tous les bouillons de la colére, et
toutes les saillies du zéle qu' on pense avoir, ne dire que des paroles douces
et agréables, pour gagner les hommes à Dieu. Il ne faut quelquefois, disait-il,
qu' une parole douce pour convertir un endurci; et au contruire une parole rude
est capable de désoler une âme, et de lui causer une amertume qui pourrait lui
être trés nuisible. A ce propos on lui a oui dire en diverses recontres qu' il
n' avait usé que trois fois en sa vie de paroles de rudesse pour reprendre et
corriger les autres, croyant avoir quelque raison d' en user de la sorte, et
qu' il s' en était toujours depuis repenti, parce que cela lui avait fort mal
réussi, et qu' au contraire il avait toujours obtenu par la douceur ce qu' il
avait désiré.» ABELLY, Vie, liv. 3,
ch. 12. (al. 27).
16 CAMUS, Esprit de S. François de Sales: partie
3, ch. 11 et 21; partie 5, ch. 11; partie 10, ch. 2, 4, 5; partie 14, ch. 13.
17 ABELLy, Vie, liv. 3, ch. 12. - Vedi Appendice,
41.
18 Non abbiamo ritrovato, nella
Vita di S. Vincenzo, il fatto qui raccontato da S. Alfonso. ABELLY (Vie, liv. 3, ch. 12) ne
riferisce un altro simile, se pur non è quel medesimo a cui S. Alfonso allude,
di conversioni di cui S. Vincenzo medesimo confessava esser stata causa la sua
dolcezza e mansuetudine: «Lui-même, en ayant un jour converti trois (des
hérétiques) en un voyage qu' il fit à Beauvais, déclara depuis que la douceur
qu' il avait exercée envers eux avait plus contribué à leur conversion que tout
le reste de leur conference.»
Lo stesso santo
scriveva: «S' il a plu Dieu de se
servir du plus misérable (de la Compagnie, cioé di lui stesso) pour la
conversion de quelques hérétiques, ils ont avoué eux-mêmes que c' était par la
patience et par la cordialité qu' il avait eues pour eux.» ABELLY, l. c. - Del
resto, etra questo il metodo che usava coi peccatori (vedi Appendice, 41), e specialmente cogli eretici. «Souvenez-vous
bien, Messieurs, (diceva egli ai suoi Congregati), des paroles de saint Paul à
ce grand missionnaire saint Timothée: Servum
Domini non oportet litigare; qu' il ne fallait point qu' un serviteur de
Jésus-Christ usât de contestationis ou de disputes: et je puis bien vous dire
que je n' ai jamais vu ni su qu' aucun hérétique ait été converti par la force
de la dispute, ni par la subtilité des arguments, mais bien par la douceur,
tant il est vrai que cette vertu a de force pour gagner les hommes à Dieu.» ABELLY, l. c.
19 «Dopo l' umiltà, raccomandava
Vincenzo la mansuetudine, ed esortava i suoi a trattare soavemente col
prossimo, a sopportare i di lui eccessi e difetti con pazienza, e ad animare le
persone con quelle maniere che sogliono derivare da un cuor tenero e pieno di
carità cristiana. Diceva che lo spirito maligno si vale dell' asprezza e
rigidezza d' alcuni per inquietare maggiormente le anime e farle cadere d' un
precipizio in un altro.» ACAMI, dell' Oratorio di Roma, Vita, Roma, 1677, lib. 1, cap. 11.
20 «Sunt et alii mites, sed quamdiu
nihil dicitur vel agitur nisi pro eorum arbitrio: patebit autem quam longe sint
a vera mansuetudine, si levis oriatur occasio. Haec mansuetudo quomodo
hereditabit, quae ante hereditatem deficit?» S.
BERNARDUS, De adventu Domini sermo 4,
n. 5. ML
183-49.
21 PETRUCCI Pier Matteo, Vescovo di Jesi (1681), Cardinale (1686), + 1701. - Poesie sacre, morali e spirituali (Iesi,
1685). Pag. 143: Descrizione d' un
perfettissimo cuore cristiano:
Vede
cangiarsi in variate forme
Fuori
di sé le creature: e dentro
Il suo
più cupo centro
Sempre
unito al suo Dio vive uniforme:
Né mai
nube introduce
Del
puro spirto ad offuscar la luce.
22 « O ma Fille, croyez que mon
coeur attend le jour de votre consolatio (il giorno cioé in cui avrebbe
lasciato il mondo) avec autant d' ardeur que le vôtre. Mais
attendez, ma très chère soeur, attendez, dis-je,
en attendant, agin que j' insère des
paroles de l' Ecriture (Ps. XXXIX, 1). Or, attendre en attendant, c' est de ne
s' inquiéter point en atendant; car il y en a plusieurs qui en attendant n'
attendent pas, mais se troublent et s' empressent. - Nous ferons prou, chére
Fille, Dieu aidant. Et tout plein de petites traverses et secrètes
contradictions qui sont survenues à ma tranquillité que rien plus, et me
prèsagent, ce me semble, le prochain établissement de mon âme en son Dieu, qui
est ceertes, non seulement la grande, mais, à mon avis, l' unique ambition et
passion de mon coeur. Et quand je dis de mon âme, je dis de toute mon âme, y
comprenant celle que Dieu lui a conjointe inséparablement.» S. FRANÇOIS DE
SALES, Lettre 540, 14 juillet (più
probabilmente 1609; altri dicono 1615; ma quest' ultima data non si accorda
coll' argomento della lettera), à la baronne
de Chantal. Œuvres,
XIV, 177, 178. - Quando poi, nel 1616, Mgr di Marquemont
volle trasformare l' Istituto della Visitazione, da semplice Congregazione di
Oblate, quale l' aveva ideata S. Francesco, in Ordine religioso con voti
solenni e clausura - il che fu eseguito con buona pace del santo Fondatore -
così egli scrisse alla Superiora di Lione: «Si Monseigneur l' Archevêque (de
Lyon) vous dit ce qu' il m' à écrit, vous lui répondrez que vous avez été
laissée là pour servir à l' établissement de votre Congrégation de tout votre
petit pouvoir; que vous tâcherez de bien conduire les Soeurs selon les Régles
de la Congrégation; ; que s' il plait à Dieu, après cela, que cette
Congrégation change de nom, détat et de condition, vous vous en rapportez à son
bon plaisir, auquel toute la Congrégation est entiérement vouée, et que, en
qualque façon que Dieu soit servi en l' assemblée où vous le servez maintenant,
vous serez satisfaite. En effet, ma très chère Fille, il faut avoir cet
esprit-là en notre Conrégation, car c' est l' esprit parfait et apostolique...
Croyez-moi, ma chère Fille, j' aime parfaitement notre pauvre petite
Congrégation, mais sans anxiété, sans laquelle l' amour n' a pas accoutumé de
vivre, pour l' ordinaire; mais le mien, qui n' est pas ordinaire, vit, je vous
assure, tout-à-fait sans cela, et avec une très particuliére confiance que j'
ai en la gràce de Notre-Seigneur que sa main souveraine fera plus pour ce petit
et humble Institut que les hommes ne peuvent penser.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 1168, (février) 1616, à la Mère Favre, Supérieure de la
Visitation de Lyon. Œuvres, XVII, 150, 151.
23 S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 30. - Vedi Appendice, 42.
24 S. LUIGI GONZAGA: Vita (Cepari), parte 2, cap. 7; cap. 8.
- Vedi Appendice, 43.
25 S. CATERINA DA GENOVA, Vita (Marabotto e Vernazza), cap. 16. -
Vedi Appendice, 44.
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