Precedente - Successivo
Clicca qui per attivare i link alle concordanze
- 64 -
CAPO VII.
Caritas non aemulatur.
L'anima che ama Gesù Cristo non invidia i grandi del
mondo, ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.
Spiega S. Gregorio quest'altro contrassegno della carità, e dice che la carità
non invidia, poiché non sa invidiare a' mondani quelle terrene grandezze
ch'ella non desidera, ma disprezza: Non
aemulatur, quia per hoc quod in praesenti mundo nihil appetit, invidere
terrenis successibus nescit (Mor. l. 10. c. 8).1 Quindi bisogna
distinguere due sorta di emulazioni, una malvagia e l'altra santa. La malvagia
è quella che invidia e si rattrista per li beni mondani che gli altri possedono
in questa terra. L'emulazione poi santa è quella che non già invidia, ma più
tosto compatisce i grandi di questo mondo che vivono tra gli onori e piaceri
terreni. Ella non cerca né desidera altro che Dio, ed altro non pretende in
questa vita che di amarlo quanto può; e perciò santamente invidia chi l'ama più
di lei, mentr'ella nell'amarlo vorrebbe superare anche i serafini.
Questo è quell'unico fine che hanno in terra le anime sante, fine che innamora
e ferisce di amore talmente il cuor di Dio che gli fa dire: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa,
vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli
occhi significa l'unico fine che ha l'anima sposa in tutti i suoi esercizi e
pensieri, di piacere a Dio. Gli uomini del mondo nelle loro azioni guardano le
cose con più occhi, cioè con diversi fini disordinati, di piacere agli uomini,
di farsi onore, di acquistar ricchezze e, se non di altro, di contentare
- 65 -
se stessi; ma i santi non hanno che un occhio, per guardare in tutto
ciò che fanno il solo gusto di Dio; e dicono con Davide: Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super terram?... Deus cordis mei, et pars mea
Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25 et 26): e che altro io voglio, mio Dio, in
questo e nell'altro mondo, se non voi solo? Voi solo siete la mia ricchezza,
voi l'unico signore del mio cuore. Si godano pure, dicea san Paolino, i ricchi
i loro tesori di terra, si godano i re i loro regni, voi, Gesù mio, siete il
mio tesoro e 'l regno mio: Habeant sibi
divitias suas divites, regna sua reges, Christus mihi gloria et regnum
est.2
Quindi avvertiamo che non
basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Acciocché le opere nostre sian
buone e perfette è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu
la degna lode che fu data a Gesù Cristo: Bene
omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sé lodevoli, ma perché
saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente varranno
appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: “Iddio rimunera le nostre
opere a peso di purità.”3 Viene a dire che secondo è pura la nostra
intenzione, così il Signore gradisce e premia le nostre azioni. Ma oh Dio, e
quanto è difficile a trovare un'azione fatta solo per Dio! Io mi ricordo d'un
santo religioso vecchio che molto avea faticato per Dio e morì in concetto di
santità;4 ora costui un
- 66 -
giorno, dando un'occhiata alla sua
vita, tutto mesto ed atterrito mi disse: “Oimè, che guardando tutte le opere di
mia vita, non ne trovo una fatta solo per Dio.” Maledetto amor proprio che ci
fa perdere o tutto o la maggior parte del frutto delle nostre buone azioni.
Quanti nei loro impieghi più santi di predicatori, confessori, missionari,
faticano, stentano, e poco
- 67 -
o niente guadagnano, perché non guardano
Dio solo, ma la gloria mondana o l'interesse o la vanità di comparire o almeno
la propria inclinazione!
Dice il Signore: Attendete a non fare il bene per esser veduti dagli uomini,
altrimenti non avrete alcun premio dal Padre celeste: Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini
ab eis: alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum, qui in caelis est
(Math. VI, 1). Chi fatica per contentare il suo genio, già riceve il suo
premio: Amen dico vobis, receperunt
mercedem suam (Ibid. 5). Mercede però che si riduce ad un poco di fumo o ad
una effimera soddisfazione che presto passa, e niente profitto ne resta
all'anima. Dice il profeta Aggeo che chi fatica per altro che per piacere a
Dio, ripone le sue mercedi in un sacco rotto che quando va ad aprirlo niente
più vi ritrova: Et qui mercedes
congregavit misit eas in sacculum pertusum (Agg. I, 6). E da ciò poi nasce
che costoro, se dopo le loro fatiche non ottengono l'intento di qualche cosa
che imprendono, molto s'inquietano. Questo è il segno che non hanno avuto per
fine la sola gloria di Dio: chi fa un'opera per la sola gloria di Dio, ancorché
poi quella non riesca, niente si turba: mentre egli già ha ottenuto il suo fine
di dar gusto a Dio, avendo operato con retta intenzione.
Ecco i segni per vedere se uno che s'impiega in qualche affare spirituale opera
solo per Dio. 1° Se non si disturba allorché non ottiene l'intento, perché non
volendolo Dio neppur egli lo vuole. 2° Se gode egualmente del bene che han fatto
gli altri, come se esso l'avesse fatto. 3° Se non desidera più un impiego che
un altro, ma gradisce quello che vuole l'ubbidienza de' superiori. 4° Se dopo
le sue operazioni non cerca dagli altri né ringraziamenti né approvazioni: e
perciò se mai dagli altri ne vien mormorato o disapprovato, non si affligge,
contentandosi solamente di aver contentato Dio. E se mai ne riceve qualche lode
dal mondo, non se ne invanisce, ma risponde alla vanagloria che gli si presenta
innanzi per esser accettata, ciò che le rispondea il Ven. Giovanni d'Avila: “Va
via, sei arrivata tardi, perché l'opera già me la trovo data tutta a
Dio.”5
- 68 -
Questo è l'entrare nel gaudio del Signore, cioè godere del godimento di Dio,
come sta promesso ai servi fedeli: Euge,
serve bone et fidelis quia super pauca fuisti fidelis... intra in gaudium
domini tui (Math. XXV, 23). Ma se noi arriviamo ad aver la sorte di fare
qualche cosa che piace a Dio, dice il Grisostomo, che altro andiamo cercando? Si dignus fueris agere aliquid quod Deo placet,
aliam praeter id mercedem requiris? (Chrys. L. 2. de Compunct.
cord.).6 Questa è la maggior mercede, la maggior fortuna a cui può
giungere una creatura, il dar gusto al suo Creatore.
E
ciò è quello che pretende Gesù Cristo da un'anima che l'ama: Pone me, le dice, ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum
(Cant. VIII, 6). Vuole che lo metta come segno sopra il suo cuore e sopra il
suo braccio: sopra il suo cuore, acciocché quanto ella medita di fare, intenda
di farlo sol per amore di Dio; sopra il suo braccio, acciocché quanto opera,
tutto lo faccia per dar gusto a Dio; sicché Dio sia sempre l'unico scopo di
tutti i suoi pensieri e di tutte le sue azioni. Dicea S. Teresa che chi vuol
farsi santo bisogna che viva senza altro desiderio che di dar gusto a Dio.7
E la sua
- 69 -
prima figlia, la Ven. Beatrice dell'Incarnazione, dicea:
“Non v'è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa, benché minima, fatta per
Dio.”8 E con ragione, perché tutte le cose fatte per piacere a Dio sono
atti di carità che ci uniscono a Dio e ci acquistano beni eterni.
Dicesi che la purità d'intenzione è l'alchimia celeste per la quale il ferro
diventa oro, cioè le azioni più triviali, come il lavorare, il cibarsi, il
ricrearsi, il riposare, fatte per Dio, diventano oro di santo amore. Quindi
credea per certo S. Maria Maddalena de' Pazzi che quei che fanno con pura
intenzione tutto quel che fanno, vadano diritto in paradiso senza entrar nel
purgatorio.9 Si narra nell'Erario Spirit. (to. 4. cap. 4) che un santo
solitario prima di fare qualunque azione solea fermarsi per un poco ed alzare
gli occhi al cielo. Richiesto perché ciò facesse, rispose: “Procurò di
accertare il colpo.”10 E volea dire
- 70 -
che siccome il sagittario
prima di scoccar la saetta prende la mira per indovinare il tiro, così egli
prima di metter mano a qualunque azione prendea di mira Iddio, acciocché
quell'opera riuscisse di suo piacere. Così dobbiamo fare ancor noi; anzi nel
proseguire l'opera incominciata è bene che rinnoviamo da quando in quando
l'intenzione di dar gusto a Dio.
Quei che ne' loro affari non guardano altro che il volere divino godono quella
santa libertà di spirito che hanno i figli di Dio, la quale fa che abbraccino
ogni cosa che piace a Gesù Cristo, non ostante qualunque ripugnanza dell'amor proprio
o del rispetto umano. L'amore a Gesù Cristo mette i suoi amanti in una totale
indifferenza, per cui tutto ad essi è eguale, il dolce e l'amaro: niente
vogliono di quel che piace a se stessi, e tutto vogliono di quel che piace a
Dio. Colla stessa pace s'impiegano nelle cose grandi e nelle picciole, nelle
cose grate e nelle dispiacevoli: basta loro che piacciano a Dio.
Molti all'incontro voglion servire a Dio, ma in quell'impiego, in quel luogo,
con quei compagni, con quelle circostanze, altrimenti o lasciano l'opera o la
fanno di mala voglia. Questi non hanno la libertà di spirito, ma sono schiavi dell'amor
proprio, e perciò poco meritano anche in ciò che fanno; e vivono inquieti,
mentre riesce loro grave il giogo di Gesù Cristo. I veri amanti di Gesù Cristo
amano di fare solo quel che piace a Gesù Cristo, e perché piace a Gesù Cristo;
quando vuole, dove vuole e nel modo che vuole Gesù Cristo; ed o che voglia Gesù
Cristo impiegarli in una vita onorata dal mondo, o in una vita oscura e
negletta. Ciò importa l'amar Gesù Cristo con puro amore; ed in ciò noi dobbiamo
affaticarci, combattendo contra gli appetiti dell'amor proprio che vorrebbe
vederci occupati in opere grandi di onore e di nostra inclinazione.
E
bisogna che siamo distaccati da tutti gli esercizi anche spirituali, quando il
Signore ci vuole impiegati in altre opere di suo gusto. Un giorno il P.
Alvarez, trovandosi molto occupato, desiderava sbrigarsene per andare a fare
orazione, poiché gli parea che in quel tempo egli non era con Dio; ma il
- 71 -
Signore allora gli disse: “Quantunque io non ti tenga meco, ti basti
che io mi serva di te.”11 Ciò vale per quelle persone che talvolta s'inquietano
per vedersi obbligate dall'ubbidienza o dalla carità a lasciare le loro solite
divozioni: sappiano che tal inquietudine allora certamente non viene da Dio, ma
viene o dal demonio o dal loro amor proprio. Diasi gusto a Dio, e si muoia.
Questa è la prima massima de' santi.
1 «Non aemulatur, quia per hoc quod
in praesenti mundo nil appetit, invidere terrenis successibus nescit.» S.
GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Job, lib.
10, cap. 6 (al. 8).
2 «Sibi habeant litteras suas
oratores, sibi sapientiam suam philosophi, sibi divitias suas divites, sibi
regna sua reges: nobis gloria, et possessio, et regnum Christus est, nobis
sapientia in stultitia praedicationis, nobis virtus in infirmitate carnis,
nobis gloria in crucis scandalo, quo mihi
mundus occiditur et ego mundo, ut vivam
Deo, non autem iam ego, sed in me Christus.» S. PAULINUS, Nolanus episcopus, Epistola 38, ad Aprum (a foro ac
tribunali ad Christum conversum), n. 6. ML 61-360.
3 «Soggiungeva: «O purità, quanto
gran maraviglie ci discoprirai nell' altra vita, del tutto occulte alle
creature, ma non già a quelle che ti cercano; perocché si vedranno persone di
grande esempio essere state nel mondo inferiori a molte che solo in nominarle
eccitavano altrui a riso, ma perché furono ricche di questo preziosissimo
tesoro, e quelle di esso povere, il Signore aggrandirà queste, e quelle
avvilirà.» Spesso ancora con abbondanza di lagrime e di sospiri soleva dire: «A
peso di purità, o sorelle mie, ci vuol premiare Dio in quell' altra vita.» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 58.
4 Questo religioso, morto in
concetto di santità, altro non può essere che o il P. Angelo Latessa, o il P.
Francesco M. Margotta. E' tradizione che S. Alfonso parli qui di un suo figlio
di Congregazione. Ora, tra i non pochi morti con fama di santi nella
Congregazione del SS. Redentore fino all' anno 1768, questi due soli possono
chiamarsi vecchi, tutti gli altri essendo morti prima di aver compiti i cinquanta anni di vita, o poco
dopo. Il P. Latessa morì di anni 67, ai 5 di ottobre 1755; il P. Margotta, di
anni 65, agli 11 di agosto 1764. - D' altronde, del P. Latessa, quantunque
fosse nemicissimo dell' ozio, e molto
si occupasse specialmente nell' ascoltare le confessioni e nella direzione
delle anime, non può darsi, come nota caratteristica della sua vita, che abbia
faticato assai. Da sacerdote secolare, canonico nell' età di 34 anni, Rettore
in Seminario per un anno solo, si ritirò presto in patria, ove menò vita
esemplarissima sì, ma più da contemplativo che da apostolo. Angelo di nome, lo
fu anche per la squisita illibatezza della sua coscienza, e, per di più, fu
martire di penitenza. Entrato in Congregazione nell' età di 63 anni, ed
accettato da S. Alfonso «per averlo in casa per edificazione degli altri,»
diceva egli stesso ai suoi giovani compagni di noviziato: «Anch' io, benché
tardi e zoppo, non mancherò raggiungervi e farmi santo.» E così fece, non
uscendo mai di casa, ma essendo ivi modello di ogni virtù e colonna dell'
osservanza. - Sia per questo, sia per altri connotati, riesce chiaro che qui S.
Alfonso parli del P. Francesco M. Margotta. Dottorato in legge con dispensa di
età, avvocato, poi governatore di città, ebbe fin da quel tempo nome di santo.
Perseguitato dalla madre per contrarre matrimonio, ricusò fermamente di
lasciarsi avvincere al mondo. Un fatto strepitoso, di cui fanno fede, tra
altri, il P. Girolamo Ferrara, morto anch' egli (1767) in concetto di santità,
e Mgr Volpe, di Nocera, lo legò per sempre al Signore. Essendosi Francesco
ammalato gravemente, la madre fece chiamare presso di lui il suo santo padre
spirituale, D. Gaetano Giuliani, dei Pii Operai. Questi, che abitava in altra
città, venuto con ritardo a causa dell' età avanzata e della stagione, lo trovò
morto, e vestito per essere trasportato in chiesa. Rivolto alla dolente madre,
D. Gaetano le disse: «Se Gesù Cristo ve lo ridona, voi lo donerete a Gesù
Cristo?» Avutane la promessa, quel novello Eliseo, buttato sul cadavere, tanto
insistette colle ripetute preghiere: «Gesù Cristo mio, io lo voglio per la
gloria tua, io lo voglio: questa grazia te la cerca Giuliani, me la devi fare,»
che Francesco tornò a novella vita. Poco dopo aiutato dai lumi del santo
direttore, si consarò allo stato ecclesiastico. Divenuto Rettore del seminario
diocesano di Conza, e poi Vicario generale, per la fondazione della nostra casa
di Caposele, tanto si affezionò alla vita apostolica di Alfonso e dei suoi
compagni, che, coi consigli di D. Angelo Latessa, rinunziata la carica, in età
di 48 anni, divenne il più umile dei novizi. Nella Congregazione, faticò molto,
qual missionario, Rettore di casa, Consultore e Procuratore Generale, Maestro dei novizi. Fu specchio di virtù.
Ebbe strettissima amicizia - amicizia da santi - col taumaturgo S. Gerardo
Maiella. Il Signore lo provò più volte, ma specialmente verso la fine della sua
vita per due anni, con terribili tempeste di desolazioni interne; Maria SS.,
nel giorno della sua Natività, gli rendette all' improvviso la pienezza della
pace e delle divine consolazioni, un anno prima della felice morte di quel suo
devotissimo servo.
5 «Fatevi anco beffe della
vanagloria, dicendole: Né per te io fo questo, né per te lascerò io di farlo.
Signor mio, a te offerisco tutto quello che mai farò o dirò o penserò in tutta
la vita mia. E quando pur venga in campo la vanagloria ditele voi: Tarde venis, che già tutto è Dio.» B.
GIOVANNI AVILA, Lettera a una persona che
desiderava servire a Dio, ma non le bastava l' animo; Lettere spirituali, Roma,
1669, parte 1, lettera 30.
6 «Quid ais, o
homo pusillanimis et infelix? res Deo placita agenda tibi proponitur, et tu de
mercede sollicitus es?... Rem Deo acceptam facis, et aliam mercedem requiris?
Vere ignoras quantum boni sit placere Deo: si id namque scires, nullum aliud
huic par praemium esse putares.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De compunctione lib. 2, ad Stelechium, n. 6. MG 47-420.
7 « Sin saber còmo, se hallò (un
amante dell' ubbidienza) con aquella libertad de espiritu tan preciada y
deseada que tienen los perfetos, adonde se halla toda la felicidad que en esta
vida se puede desear; porque, no quiriendo nada, lo poseen todo. Ninguna cosa
temen ni desean de la tierra, ni los trabajos las turban, ni los contentos las
hacen movimiento: en fin, nadie la puede quitar la paz, porque ésta de solo
Dios depende; y como a El nadie le puede quitar, sòlo lemor de perderle puede
dar pena, que todo lo demàs de este mundo es, en su opiniòn, como si no fuese,
porque ni le hace ni le deshace para su contento.» S.
TERESA, Las Fundaciones, cap. 5. Obras, V, 40, 41. - «Que no, mi Dios, no, no màs
confianza en cosa que yo pueda querer para mi; quered Vos de mi lo que
quisiéredes querer, que eso quiero, pues està todo mi bien en contentaros. Y si
Vos, Dios mio, quisiéredes contentarme a mi, cumpliendo todo lo que pide mi
desseo, veo que iria perdida. - Qué miserable es la sabiduria de los mortales,
y incierta su providencia! Proveed Vos por la vuestra los medios necessarios,
para que mi alma os sirva màs a vuestro gusto que al suyo. No me castiguéis en
darme lo que yo quiero u deseo, si vuestro amor - que en mi viva siempre - no
lo deseare. Muera ya este yo, y viva en mi otro que es màs que yo, y para mi
pejor que yo, para que yo le pueda servir. El viva y me dé vida; El reine, y
sea yo su cativa, que no quiere mi alma otra libertad.» Exclamaciones del alma a Dios, XVII. Obras, IV, 293.
8 «Todo lo que hacia de labor y de
oficios, era con un fin que no dejaba perder el mérito, y ansi decia a las
hermanas: «No tiene precio la cosa màs pequena que se hace, si va por amor de
Dios: no habiamos de menear los ojos, si no fuese por este fin y por
agradarle.» S. TERESA, Las Fundaioines, cap.
12. Obras, V, 97. - La sua prima figlia: «E' la prima rosa che... piantata da Teresa
in terra, scelse il celeste giardiniero per il suo (giardino del cielo):
perché, sebbene morirono altre prima di lei... ella fu la prima di quelle che
meritarono istoria particolare. Le pagò il Signore il molto che l' amò e lo
servì con darle per istorica la sua santa Madre.» FRANCESCO DI S. MARIA, Riforma dei Scalzi di N. S. del Carmine, tom.
1, lib. 1, cap. 19.
9 «Siccome ella nel suo operare non
aveva altra mira che di piacere e dar gloria a Dio, così insegnava alle sue
discepole; e per accenderle a questo, mostrava loro, con varii discorsi e
ragionamenti, quanto grata si rendeva a Dio quell' anima che opera con questa
pura intenzione, e come questa avvalora e fa meritevole ogni opera, ancorché
picciola; e diceva che chi facesse tutte le opere sue con questa pura
intenzione di dar gloria a Dio, dopo la morte anderia in paradiso senza toccare
il purgatorio.» PUCCINI, Vita, 1671, cap.
107.
10 «Ainsi
lisons-nous d' un des anciens Pères qu' il avait accoutumé de demeurer un peu
pensif devant que le commencer aucune oeuvre; et interrogé pourquoi il le
faisait, répondit que nos oeuvres n' ayant point de vraie bonté que ce qu'
elles en prennent des bonnes intntions, il s' appliquait pour lors à en
produire une bonne et bien pure, afin de rendre son action bonne et valablo;
imitant l' archer, qui, voulant tirer an blanc, demeure quelque temps pour
appointer sa fléche et prendre sa visee... Tous, et nommément ceux qui
commencent, doivent être soigneusement instruits de tirer leurs fléches, c'
est-à-dire toutes leurs pensées, toutes leurs paroles et toutes leurs oeuvres,
au blanc de la gloire de Dieu, ou d' une autre bonne fin, et devant que de les décocher,
s' arrêter quelque peu pour viser droit.» SAINT-JURE, S. I., De
la connaissance et de l' amour du Fils de Dieu Notre-Seigneur Jésus-Christ, liv.
3, ch. 15 (on liv. 3, partie 2, chap. 3), section 3. - Titolo dell' opera
traduzione italiana: Erario della vita
cristiana e religiosa, ovvero l' arte di conoscere Cristo Gesù e di amarlo.
11 «Racconta (il P. BALD. ALVAREZ)
in un suo libretto, che il giorno di San Matteo, facendo con Nostro Signore
alcune amorose querele di non aver tempo per dimorar con lui solo a solo, Factum est ad me verbum Domini: gli
disse Nostro Signore: «Contentatevi che mi servo di voi, quantunque non istiate
con meco;» con che rimase per allora molto consolato.» Ven. P. LOD. DA PONTE, Vita, cap. 2, § 1. - «Vedendosi quasi
oppresso dalle molte e spesse occupazioni, dolcemente querelandosi col suo Dio
perché gli mancasse il tempo di trattenersi solo a solo con lui: «Fu fatta,
dice, dal Signore questa parola nel mio interno: «Bastiti ch' io mi servo di
te, quantunque io non ti tenga meco;» e con questo rimasi rassenerato e
contento.» Op. cit., cap. 49. -
Precedente - Successivo
Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech