- CAPO IX - Della povertà religiosa.
- § 2 - De' gradi e della pratica della povertà perfetta.
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§ 2
- De' gradi e della pratica della povertà perfetta.
1.
Il primo grado della perfetta povertà
religiosa è che la monaca niente possieda come proprio; onde ogni cosa
ch'ella tiene, dee tenerla come in prestito, per darla ad ogni cenno della
superiora, paragonandosi ad una statua, che vestita niente s'invanisce, e
spogliata niente s'affligge. Chi si affligge quando l'è tolta qualche cosa
dall'ubbidienza, è segno che non la tenea con vero spirito di povertà, o almeno
che ci aveva attacco. E parlando specialmente del livello, dee pensar la
religiosa che quello non è suo, ma del monastero; e perciò dee tenerlo come in
deposito, e non dee spenderlo in cose di vanità o in regali superflui; e non dee
punto lagnarsi, se mai l'ubbidienza dispone che quello s'impieghi in soccorso
della comunità o d'altra monaca particolare. Qual concetto dunque dovrà farsi
di quella religiosa, la quale, se un'altra monaca si serve di qualche cosa di
lei colla licenza della badessa, ella si mette a strepitare e rivolta il
monastero? Quindi esaminatevi voi, sorella benedetta, se state distaccata da
tutto ciò che avete. Pensate, se mai la superiora vi negasse la licenza di far
quella spesa o di tener quel danaro, quel mobile, come la sentireste? E se
vedete che avete attacco a qualche cosa, fate come praticava la gran Serva di
Dio Suor Maria della Croce, scalza, che in sentir affetto ad alcuna cosa, o se
ne privava o andava a portarla alla superiora, affinché ne avesse fatto quel
che voleva.1 In somma bisogna tener distaccato affatto il cuore anche
da quelle cose, che sono permesse dall'ubbidienza.
2.
Il secondo grado è che niente abbiate di
superfluo, mentre ogni cosa superflua v'impedirà d'unirvi perfettamente a Dio.
S. Maria Maddalena de' Pazzi anche dal suo altarino tolse tutti
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gli
ornamenti, e vi lasciò il solo Crocifisso.2 Narra S. Teresa di se
stessa che, tenendo qualche cosa che le parea superflua, non potea raccogliersi
nell'orazione, finché non se l'avesse tolta, sapendo quanto Dio è geloso della
povertà religiosa.3 Se nel vostro monastero non v'è perfetta comunità,
almeno cercate d'imitare la povertà, che praticano le vostre sorelle più
esemplari e più osservanti, così nelle vesti, come ne' cibi e ne' mobili. -Voi
direte: Ma quello che ho, io tutto lo
tengo con licenza. Rispondo: Le licenze di tener cose superflue faranno sì
bene che voi non siate proprietaria, ma non vi esenteranno dal perdere il
merito della perfetta povertà. - Direte: Ma
a quel che tengo, io non ci ho affetto. Ed io replico: Sempre che quella
cosa che tenete non vi è necessaria, quella basterà ad impedirvi la perfezione
della povertà. - Direte per ultimo: Ma
quel danaro o quella roba mi serve per sovvenire i poveri o altre mie compagne.
Ed io replico che non dà edificazione la monaca la quale ha che dare, ma quella
che non ha che dare. Dice S. Tommaso: Bonum est facultates pauperibus erogare, sed
melius est egere cum Christo (2. 2. q. 32, a. 8):4 È cosa buona il dar le sue
robe a' poveri, ma è migliore l'esser povero con Gesù Cristo, senza aver che
dare. Inoltre dicea la Ven. Suor Maria Amadea salesiana che la buona religiosa
non dee bramare di dispensar altri beni se non que' soli ch'ella riceve da Dio,
cioè i buoni esempi, orazioni, buoni consigli ed aiuti alla vita
spirituale.5
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3.
Pertanto, sorella mia, se volete dar gusto al vostro sposo, procurate di
toglier da voi ogni cosa che conoscete esservi superflua; e se voi non la
sapete conoscere, pregate la badessa che riveda la vostra cella, e che, se
trova qualche cosa soverchia, ve la tolga. Se amate veramente la povertà, io
non vi dico che facciate la singolare nel monastero, ma voi non dovete soffrir
di vedere una monaca che sia più povera di voi, e perciò dovete procurare
d'esser povera in tutto: povera nelle vesti, ne' mobili, ne' cibi, povera di
danaro. - In quanto alle vesti procurate di usar tutta la povertà che potete,
secondo l'uso della comunità. La veste serva solo per necessità, non per
vanità. Le vesti fine a che altro servono alle monache, se non per contentare
la loro vanità e per farsi stimar da chi le vede? Poiché niuno cerca vesti di
prezzo, dice S. Gregorio, dove non può esser veduto dagli altri: Cum nemo velit ibi pretiosis vestibus
indui, ubi ab aliis non possit videri.6 Ma lo Spirito Santo dice
che la bellezza d'una persona non consiste in quel che porta da fuori, ma in
quel che conserva da dentro: Omnis gloria
eius filiae regis ab intus (Ps. XLIV, 14). All'incontro le cose esterne
danno a conoscere ciò che di dentro sta nascosto nell'anima: Exteriora signa produnt quid in animo lateat intus, così sta
scritto nelle rivelazioni di S. Brigida (Revel. 1. IV, c. 13).7 Sicché
ogni veste o altro ornamento vano dà a vedere che
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chi lo porta è
un'anima vana. Quindi scrisse il Grisostomo che una religiosa che attende ad
ornare il suo corpo, dà bene a conoscere la deformità del suo spirito: Studium in ornando corpore internam
indicat deformitatem (Hom. 37).8 S. Bernardo similmente scrisse che
quanto più si adorna il corpo, più resta macchiata l'anima: Quanto amplius corpus ornatur, tanto
interius anima foedatur (Serm. sup. Miss.).9 S. Maria Maddalena de'
Pazzi (Vita, cap. 64) vide molte monache dannate per li difetti commessi contro
la povertà, e specialmente per la vanità nel vestire.10
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4.
Io non pretendo che voi dobbiate portar vesti lacere e sozze; la veste lacera
non conviene, ma qualche rappezzamento ben conviene ad una religiosa che ha
fatto voto di povertà: non conviene portar un velo sozzo, ma disconviene quella
bianchezza affettata che talune sempre ricercano. Qual concetto poi di virtù
può dare quella monaca che porta manichetti di tela d'Olanda, con bottoni
d'argento a' polsi, anello prezioso al dito, corona di singolar valore a lato?
quella che non usa altri veli che fini, ne' quali se mai comparisce qualunque
picciola frattura, subito li butta via? Ma sappia costei che molto dispiace a
Dio il disprezzo che si fa della povertà. La Ven. Suor Costanza della
Concezione carmelitana, gettando via una volta un certo velo stracciato,
l'apparve Gesù Cristo e le disse: Così
disprezzi l'insegna ch'io ti diedi di mia sposa?11 Ma non fanno
così le religiose che amano Gesù Cristo. Suor Margherita della Croce, figlia
dell'imperator Massimiliano II, scalza di S. Chiara, comparendo all'arciduca
Alberto suo fratello con un abito rappezzato, quegli se ne ammirò in vederlo, e
glielo disse. Ma ella rispose così: Fratello,
sto più contenta io con questo straccio, che non sono tutt'i monarchi colle
loro
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porpore.12
Ciò
che il mondo disprezza, l'apprezza Dio, e molto lo rimunera. Violante
Palombara, dama nobilissima, non usava se non una veste di tela rozza, una
schiavina di lana per dormire ed una corona di semplice legno. Stando in morte
esclamò e disse: Oh che veggo! la mia veste risplendente di raggi! la coverta
fatta d'oro! e la corona di diamanti!13
5.
Procurate inoltre di esser povera anche ne' mobili e negli utensili della
cella. Leggesi nelle Croniche di S. Girolamo che quando i superiori ritrovavano
cose curiose, subito le gittavano al fuoco, chiamandole idoli de' religiosi.14 La gran Serva di Dio Suor M.
Maddalena Carafa, che prima fu duchessa d'Andria e poi monaca nella Sapienza di
Napoli, non volle tenere in cella né quadri né regali né molti libri, dicendo: Un libro solo basta a leggerlo, ed è
soverchio a metterlo in opera.15
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E ciò ben dicea, a confusione di certe monache che tengono piena
la cella di libri spirituali e niuno ne mettono in pratica. S. Teresa ogni
giorno visitava la sua cella, per vedere se vi fosse qualche cosa superflua, e
vedendola subito la toglieva.16 Voi, sorella benedetta, forse vedete
più cose superflue nella vostra cella, e perché non le togliete? A che servono
quelle pitture non sagre? quelle cornici indorate? quei scrigni nobili? quei
lavori di argento e quei tanti cristalli, più propri d'una dama del secolo che
d'una monaca? Pensate che in punto di morte ciò che ora piace a' vostri occhi,
allora darà tormento al vostro cuore, e nell'altra vita, almeno nel purgatorio,
ne sconterete la pena. Riferisce Monsignor Palafox che in un convento comparve
un superiore ad un religioso, e gli disse che circa il voto della povertà Iddio
prendea strettissimo conto nell'altra vita di certe cose alle quali qui non si
bada; e specialmente disse ch'egli pativa molto nel purgatorio per alcuni
scrittorii di noce tenuti nella sua cella.17 Altre religiose poi non
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sanno privarsi di tener sempre la cella provveduta di frutta, di
aromi, di conserve e d'altre cose da mangiare. La Ven. Madre Maria Giovanna
della Nunziata, essendole stata ordinata da' medici la conserva di rose, non
volle permettere che quella si tenesse in sua cella, ma se ne facea portare in
ciascuna sera quella porzione che bisognava.18
6.
Sopra tutto procurate d'esser povera di danaro. S. Paolo assomiglia
l'ingordigia del danaro all'idolatria: Avarus,
quod est idolorum servitus (Eph. V, 5).19 E con ragione, perché
l'avaro fa che il danaro diventi il suo Dio, cioè il suo ultimo fine. Perciò
disse S. Giovanni Grisostomo: Contemnamus
pecunias, ne contemnamur a Christo (Hom. VII, in c. 3 ad Rom.):20
Disprezziamo il danaro, se non vogliamo esser disprezzati da Gesù Cristo.
Quindi i primi Cristiani, dopo aver vendute le loro robe, ne metteano il prezzo
a' piedi degli apostoli (Act. IV, 34 e 35);21 dinotando con ciò, come
dice S. Girolamo, che i danari non debbono stare nel cuore dell'uomo, ma sotto
i piedi.22 Alcune religiose col pretesto delle loro necessità non
lasciano sempre
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di accumular danari. Dicea S. Caterina da Siena: Vogliamo abbondare di beni temporali,
parendoci sempre aver necessità, se non si abbonda.23 Ma non fanno
così le religiose che amano la perfezione; elle non vogliono altro che il puro
necessario, e perciò si riserbano quel solo livello, che appena loro può
bastare. Ed a che altro mai il livello maggiore loro servirà, se non a farle
più superbe, più comode, più vane e meno mortificate, col soddisfare tutt'i
capricci che gli vengono in testa? Onde se mai avete voi qualche livello
maggiore di quello che vi basta, buono sarebbe che lo deste all'abbadessa per
disporne a suo piacere, o almeno l'impiegaste in soccorrere le monache più
povere, non già per fine di avere delle dipendenti, ma per solo affetto di
carità. Qual confusione è il vedere, scrisse S. Caterina da Siena in una sua
lettera (Epist. 15), che quelle religiose le quali debbon esser specchi di
povertà stiano in tante delizie, più che se fossero nel secolo!24 E
qual disonore maggiore
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è poi veder che una monaca pretenda di aver
nel monastero più di quello che avrebbe avuto restando nel mondo!
7.
Bisogna ancora usar molta cautela nello spendere, per non offendere la povertà.
Vi sono certe religiose, che vantansi d'essere spiriti grandi e generosi -
specialmente a' tempi nostri, in cui è cresciuto l'eccesso delle spese a
dismisura - le quali dicono: Quando si ha
da spendere, bisogna spendere. Bella proposizione, che sta bene in bocca
d'una persona di mondo, ma non d'una religiosa. Né occorre palliarsi col
pretesto che tali spese si fanno per onor di Dio nelle solennità del monastero.
Clemente V - nella sua Clementina Exivi,
§ Rursus, de Verb. Signif. - proibì a' religiosi espressamente ogni spesa
superflua, anche a rispetto del culto divino.25 E perciò S. Carlo
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Borromeo ordinò espressamente che nelle feste delle monache gli
apparati fossero bensì divoti, ma non sontuosi.26 Dimanda S. Bernardo: Quid putas? in his quaeritur poenitentia, compunctio
aut intuentium admiratio? (Serm. ad Guilielm.)27 Che pensi, dice,
che quella monaca nel far quella festa pomposa cerchi l'onor di Dio, con
muovere gli altri a divozione: o pure cerchi la sua vanità, con muovere gli
altri ad ammirare il suo buon genio e la sua splendidezza? Lo stesso S.
Bernardo si fa poi l'opposizione: Ma i vescovi non hanno ripugnanza di spender
molto nelle feste. E poi risponde: Alia
causa est episcoporum, alia monachorum: nos, qui mundi pretiosa reliquimus, in
his devotionem excitare intendimus:28 Altra è la condizione de'
vescovi, altra de' monaci che professano povertà: noi che abbiamo lasciati i
beni del mondo, anche nelle feste dobbiamo dimostrarci poveri, e co' segni
della povertà eccitare negli altri la divozione. Oh Dio e quanti difetti commettono
oggidì le monache per queste benedette feste! Non si contentano di spender
solamente nella copia dei lumi, negli apparati e nella musica, ma voglion far
comparire la loro vanità anche in regalare gl'invitati che vengono alla festa.
E quale sconcerto è poi
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il far passare i sacerdoti immediatamente
dopo detta la Messa dall'altare al parlatorio, a prender rinfreschi, cioccolata
e dolci!
8.
Ma dice colei: Che si ha da fare? cosi
fanno l'altre, cosi bisogna che faccia ancor io. Almeno, io dico, non
cercate voi di sorpassare l'altre e di avanzare gli eccessi più di quello che
già s'è introdotto; perché se voi avanzate, la monaca a cui toccherà dopo di
voi a far la festa, non farà certamente meno di voi, per non esser tenuta più
miserabile di voi: almeno, replico, non introducete più abusi: vi bastino
quelli che ci stanno; altrimenti ne darete gran conto a Dio, poiché così questi
abusi di spese si sono introdotti, e poi son tanto cresciuti. Una monaca ha
passata un poco la spesa e la pompa, un'altra un altro poco, e così si è
arrivato poi a tali esorbitanze che non si sa come più hanno da crescere; e
perciò può dirsi che tante intiere comunità hanno perduto lo spirito e
l'osservanza. Quante monache per queste spese si vedono distratte, inquiete per
tutta la vita, senza raccoglimento, senza divozione e piene di difetti e
vanità! E con tutto che i Sommi Pontefici e le sagre Congregazioni di Roma han
cercato tante volte di rimediare a questo sconcerto,29 tuttavia molto
poco e, per meglio dire, niente han guadagnato. Che voglio dire di più? Altro
non mi
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resta che esclamare: Guai a quella monaca che introduce abusi
e vanità nel monastero!
Chi
ha poi il maneggio delle robe della comunità, stia attenta a non fare spese eccedenti
per li propri comodi, perché in ciò può offender gravemente il voto della
povertà. Avvertasi che le licenze di spendere non si hanno da aver dal
confessore, ma dalla superiora, perché nelle cose temporali alla superiora è
tenuta ogni religiosa di ubbidire. Di più avvertasi che la licenza data di
spendere in qualche uso, non può servire per un altro, senza offender la
povertà. Avvertasi ancora che offende la povertà quella monaca che fa regali
senza giusta ragione, e solo per capriccio e vanità, a persone che non han
bisogno. Pars sacrilegii est rem pauperum
dare non pauperibus (Ep. ad Pammach.):30 È sagrilegio contra la
povertà dar la roba de' poveri, cioè de' religiosi che niente hanno di proprio,
a coloro che non son poveri. Si avverta inoltre che i Decreti Apostolici
vietano a' confessori il ricever regali dalle monache, specialmente se sono di
molto valore, e più specialmente se sono a vicenda.31 Dice S. Girolamo:
Crebra munuscula
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et sudariola et fasciolas et degustatos cibos
blandasque litterulas sanctus amor non habet (Ep. ad Nepot.):32 Non
si confà col santo amore la frequenza de' doni, benché piccioli, di fazzoletti,
di cibi delicati o di dolci, e tanto meno di lettere affettuose. Ma di questo
punto se ne parlerà più di proposito al seguente Capo X, § 3.33
9.
Il terzo grado circa la povertà importa
che non facciate lagnanze allorché talvolta vi manchi ancora il necessario.
Un giorno la divina Madre disse ad una monaca francescana sua divota: Figlia
mia, se tu ottieni tutto ciò che ti bisogna, non sei vera povera: la vera
povertà consiste nell'aver meno di ciò ch'è necessario. Dicea la B. Giovanna di
Sciantal (Vita, Lib. III, c. 13): Il
lamentarsi della povertà dispiace a Dio e agli uomini. Io non mi stimo mai
tanto felice, quanto allorché ho qualche insegna di povertà.34
Parimente la gran Serva di Dio D. Battista
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Vernazza, canonichessa
regolare, dicea di provare gran gusto in intendere che se le venisse qualche
bisogno, non avea come provvedervi.35 S. Maria Maddalena de' Pazzi
s'affliggea quando si vedea provveduta dalla priora di ciò che le mancava. Una
volta mancandole il pane a mensa, talmente se ne compiacque che poi si accusò
del troppo gusto che ne ebbe.36 Esclamava talora: Oh che grazia sarebbe la mia, se andassi a mangiare e non trovassi
cibo! se andassi a dormire e non trovassi letto! se andassi a vestirmi e non
trovassi vesti! Oh mi mancasse tutto!37 Ditemi, sorella, parlate e
praticate ancora voi così? Benché voi abbiate lasciato l'affetto al mondo ed
alle cose superflue e vane, io temo nonperò che stiate attaccata a ciò
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che stimate necessario, sollecita che non vi manchi la veste, il
cibo, il letto e cose simili, quali voi le desiderate; e perciò v'inquietate
poi, allorché queste cose vi vengon meno.
10.
Ma come voi volete esser povera? volete godere il premio della povertà, e poi
volete che non vi manchi niente? Qual povero, anzi qual ricco anche nel secolo,
ha tutto quello che vuole? Se voi foste rimasta nel mondo, quante cose vi
sarebbero mancate? e poi nel monastero, dove siete venuta a patire e a
professar povertà, volete che non vi manchi niente? Dicea S. Francesco di
Sales: Il volere esser povero e non riceverne
alcuno scomodo, e voler l'onore della povertà e 'l comodo delle ricchezze.38
- Ma direte: Se io fossi di buona salute, soffrirei tutto; ma io sono inferma, e
perciò mi è insopportabile il vedere che le superiore si scordano di me, come
se fossi sana. Ma lasciate ora dire a me: Voi vi lagnate che l'altre si
scordano di voi, ma voi vi siete scordata di essere venuta alla religione per
patire? La monaca dee abbracciare il patire non solo quando è sana, ma ancora
quando è inferma. Nelle Costituzioni de' Teresiani vi è specialmente questo
avvertimento: I nostri fratelli infermi,
se loro manca qualche cosa, si ricordino che essi hanno abbracciata la povertà
di Gesù Cristo, e perciò non vogliano esser trattati da ricchi, né quando sono
sani né quando sono infermi.39 Inoltre a questo proposito S. Maria
Maddalena de' Pazzi dà un altro bello avvertimento alle religiose, e dice: Per inferma che siate, non prendete né
cercate cosa che non sappia di povertà.40 Perciò S. Bernardo volea
che i suoi monaci infermi non si avvalessero d'altri rimedi che di semplici
decotti d'erbe, dicendo che disconvenivano agl'infermi che son poveri le
medicine di prezzo.41 Se voi foste rimasta nel
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secolo, io non
so se avreste potuto avere tutti questi rimedi e medici che ora vi dà la
religione: e voi ne pretendete di più? Eh via, contentatevi non solo di vivere,
ma di morire anche da povera; e rallegratevi che la morte, allorché verrà a
togliervi dal mondo, vi ritrovi trattata da povera. In tutte le occasioni
pertanto in cui vi occorrerà di patire qualche mancanza, abbiate avanti gli
occhi questo bel sentimento della B. Giovanna di Sciantal, la quale diceva che
le occasioni di esercitar la povertà son tanto rare, e perciò quando si
offeriscono, bisogna accettarle con allegrezza.42
11.
Il quarto ed ultimo grado della povertà
importa che la religiosa non solo si contenti delle cose povere, ma che si
elegga tra quelle le più povere, la cella più povera, il letto più povero, la
veste più povera, il cibo più povero. S. Maria Maddalena de' Pazzi godeva in
alimentarsi delle reliquie de' cibi che lasciavano le altre monache;43
e portava poi una veste così logora che la priora ebbe da farcela mutare per
ubbidienza.44 Dicea
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la beata Giovanna di Sciantal che la
perfezione della povertà consiglia che dove basta lo stagno non si adoperi
l'argento, e dove basta il piombo non si adoperi lo stagno.45 E questa,
similmente parlando in tutte le cose che occorrono, dee esser la regola d'una
monaca che vuol farsi santa.
12.
Giova qui in fine riferire una bella istruzione che diede il P. D. Antonio
Torres, mentovato di sopra, ad una monaca sua penitente circa la povertà:
«Amerà come un tesoro la povertà, avendola così stimata lo Sposo. La praticherà
in tutte le cose, gloriandosi più di questa che di qualsivoglia ornamento. Non
le dia cuore di vedere in monastero monaca o conversa più povera di lei. Non
porterà sopra di sé cose di ornamento o che non sieno di estrema necessità,
praticando la povertà ne' veli stessi più grossi e più rappezzati, e nella
stessa corona che porta al lato. Si diletterà di portar l'abito povero e
rattoppato, non lasciandolo sin tanto che non si potrà più portare; e fugga al
possibile di avere due abiti, o più biancherie di quelle che ha l'ultima fra le
sorelle converse. Non posseda né cerchi cosa alcuna, ancorché le paresse
necessaria, senza prima specchiarsi al suo Sposo nudo in croce, e da lui
dimandar prima la licenza. Richiesta, non dia cosa per minima che sia, né la
riceva da altri, se prima non avrà avuta licenza dalla superiora. In camera non
avrà altro che 'l suo povero letto con poverissime lenzuola e coverte, due
sedie di paglia, il Crocifisso, quattro figure di carta, que' pochi libri che
le saranno assegnati dalla guida, e quel tanto solo che servirà alla sua
necessità e non più. Spesso col Crocifisso esaminerà la sua vita in
- 341 -
questa virtù, e se vedrà in sé cosa superflua, la porterà alla
superiora. Non dimandi per sé a' parenti cos'alcuna: potrà bensì farlo per li
bisogni della comunità, senza farsi riserbare cosa veruna per sé» (Vita, lib.
2, cap. 11).46
13.
Per carità voi, sorella benedetta, che avete rinunziato al mondo e a tutte le
cose del mondo, non vogliate ora preferire il fango a Dio. S. Clemente vescovo
d'Ancira, quando Diocleziano gli presentò argento, oro e gemme, acciocché
avesse rinnegato Gesù Cristo, diede un gran sospiro di dolore in vedere il suo
Dio paragonato al loto.47 Si narra ancora
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di S. Basilio
martire, che quando il tribuno gli offerì da parte di Licinio imperatore la
dignità di primo pontefice e capo di tutti i suoi sacerdoti, se avesse lasciato
d'esser cristiano, rispose: Dite
all'imperatore che quando mi volesse dar tutto il suo impero, non mi potrebbe
dar tanto quanto mi toglierebbe privandomi di Dio, per farmi schiavo del
demonio.48 E così dico a voi: Giacché avete lasciato tutto per Dio,
non fate ora che qualche miseria di questa terra v'abbia a mettere in pericolo
di perdere Dio. Figuratevi che Dio vi ponga innanzi se stesso e le creature, e
poi vi dica quel che disse appunto in simil caso alla Ven. Suor Maria
Crocifissa (Vita, 1. I, c. 9): Scegli di
loro e me, chi ti contenta?49 No, che il tesoro d'una religiosa non
ha da essere altro che Dio. Termino colle parole di S. Maria Maddalena de'
Pazzi: O fortunati i religiosi, che,
staccati da tutto per mezzo della santa povertà, possono
- 343 -
dire:
Dominus pars hereditatis meae! Dio è la porzione in tutto ciò che desidero
in questa e nell'altra vita. Onde udivasi poi esclamare la santa: Niente, niente, se non Dio; né voglio Dio,
se non per Dio.50
1
Leggi: Margherita: Suor Margherita della Croce, figlia dell' imperatore
Massimiliano II, nata nel 1567, monaca scalza dell' Ordine di S. Chiara nel
monastero di Madrid, + 1633.- «Altrettanto ebbe in uso di fare tosto che s'
accorgesse d' aver dell' attacco ad una qualche sua cosa. Subito se ne
disfaceva, rimettendola in mano della superiora, e al totale suo arbitrio.»
LONGARO DEGLI ODDI, S. I., Vita, cap.
19, n. 5.
2
«Il giorno 5 di luglio del 1587, dopo aver servito a mensa alle monache, mentre
se n' andava al dormentorio delle novizie... fu rapita in Dio...Andatesene in
cella, levò ogni cosa, ben che minima, dall' altarino, fuor che un Crocifisso.»
PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte
1, cap. 21, pag. 35.
3
«Iba ya sintiendo mi alma cualquiera ofensa que hiciese a Dios, por pequeña que
fuese, de manera que si alguna cosa superflua traia, no podia recogerme hasta
que me la quitaba.» S. TERESA, Libro de
la Vida, cap. 24. Obras, I, 186.
4
«Sicut dicitur in libro de Eccles.
Dogmat., «bonum est facultates cum dispensatione pauperibus erogare, sed
melius est, pro intentione sequendi Dominum, insimul donare, et, absolutum
sollicitudine, egere cum Christo.» S. THOMAS, Sum. Theol. II-II, qu. 32, art. 8, ad
1.- «Bonum est facultates cum dispensatione pauperibus
erogare. Melius est pro intentione sequendi Dominum
semel donare, et absolutum sollicitudine cum Christo egere.» De ecclesiasticis dogmatibus, (libro attribuito a Gennadio e ad altri), cap. 38 (al.
71). Inter Opera S. Augustini, in
Appendice: ML 42-1219.
5
«Diceva che una persona che ha fatto voto di povertà deve ricordarsi dell'
esempio de' due Apostoli, i quali non avevano un sol minuto da dare al povero
stroppiato, che stava alla porta del Tempio chiedendo limosina, al quale
diedero la santità, cento volte migliore del denaro che chiedeva. La buona
religiosa deve essere liberale e caritatevole di quei doni che ella riceve da
Dio, che sono orazioni, buon esempio, ottimi consigli, e aiuti alla salute
delle anime de' mendicanti.» Mgr Carlo
Augusto DI SALES (nipote e successore di S. Francesco di Sales, Vita della Ven. M. Suor Maria Amodea Blonè (cioè:
Marie-Aimèe de Blonay), decima religiosa dell' Ordine della Visitazione,
Napoli, De Bonis, 1694, cap. 22, pag. 218.
6
«Sunt nonnulli qui cultum subtilium pretiosarumque vestium non putant esse
peccatum. Quod si videlicet culpa non esset, nequaquam sermo Dei tam vigilanter
exprimeret quod dives qui torquetur apud inferos bysso et purpura indutus
fuisset. Nemo quippe vestimenta praecipua (al.
pretiosa) nisi ad inanem gloriam quaerit, videlicet, ut honorabilior
ceteris esse videatur. Nam quia pro sola inani gloria vestimentum pretiosius
quaeritur res ipsa testatur, quod nemo vult ibi pretiosis vestibus indui, ubi
ab aliis non possit videri.» S. GREGORIUS MAGNUS, Homiliae in Evangelia, lib. 2, hom. 40, n. 3. ML 76-1305.
7
«Filius loquitur (nempe Christus Dominus): «Attende tibi ab assatura diaboli,
quam diabolus igne luxuriae et cupiditatis decoquit. Ubi enim pinguedo
applicatur igni, necesse est ut inde aliquid distillet. Sic ex conversatione et
societate mundialium procedunt peccata; quamvis autem ignoras conscientias
omnium, tamen exteriora signa produnt quid in animo latet intus.» Revelationes S. BIRGITTAE, lib. 4, cap.
114 (in principio).- «Respondit Mater (nempe quidam hypocrita) est quasi servus
monetarii, id est diaboli, qui congiat et percutit monetam suam, id est
servientem sibi, suggestionibus et tentationibus suis donec perficiat eum ad
velle suum. Cumque voluntatem hominis corruperit, et ad
delectationes carnis et amorem mundi inclinaverit, mox quasi formam et
superscriptionem ei imprimit, quia tunc ex signis exterioribus satis apparet
quem diligit toto corde. Quando vero homo opere explet affectum mentis suae, et
plus implicare se vult mundo quam status suus requirit, pluraque faceret et
vellet si posset, tunc perfecta moneta diaboli comprobatur.» Id. op., lib. 4, cap. 23.
8 «Hoc enim studium in ornando
corpore animae indicat deformitatem, et huius deliciae illam fame laborare
clare significant, et huius vestium sumptus illius declarat nuditatem.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Genesim, homilia 37, n. 5. MG 53-349.
9
«Quanto amplius corpus foris propter vanam gloriam componit atque ornatur,
tanto interius anima foedatur et sordidatur.» Liber de modo bene vivendi, IX, n. 25. ML 184-1215: inter Opera S. Bernardi. Ora il Libro de modo bene vivendi non è di S.
Bernardo, ma d' ignoto autore. S. Alfonso, nella citazione, si riferisce alle
Omilie Super Missus est, ove,
quantunque non colle citate parole, inveisce S. Bernardo contro la vanità dell'
abito monacale: «Quid de ipso habitu dicam, in quo iamnon calor, sed color
requiritur: magisque cultui vestium quam virtutum insistitur? Pudet dicere:
vincuntur in suo studio mulierculae, quando a monachis pretium affectatur in
vestibus, non necessitas; nec saltem forma religionis retenta, in habitu
ornari, non armari appetunt milites Christi: qui, dum se praeparare ad
praelium, et contra aereas potestates praetendere paupertatis insigne
debuerant- quod utique adversarii valde formidant- in mollitie vestimentorum
pacis potius praeferentes iudicium, ultro se hostibus sine sanguine tradunt
inermes.» S. BERNARDUS, Super
Missus est, homilia 4, n. 10. ML 183-85.
10
«In un giorno di Domenica, mentre nel coro si cantava il Vespro, fu rapita in
estasi, e le mostrò il Signore gran numero di anime religiose, le quali
profondarono nell' inferno a guisa di folgori precipitosamente; intese allora
che queste essendo vissute in monasteri poco osservanti, per non aver osservato
i voti promessi a Sua Divina Maestà, e particolarmente quel della povertà,
erano state condannate all' eterno supplizio.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 30, pag. 335-336.- «In estasi,
vide gran moltitudine d' anime religiose, che nelle fiamme dell' inferno
ardevan dannate, e le fu fatto sapere che di que' martori si atroci eran quelle
tapine state punite, perchè, nel tempo che alle religiose si concede qualche
ricreazione acciò vie più s' invigoriscano nella divozione, quelle, in tutto
scordate di Dio, avean preso tanto piacere e diletto disordinato, congiunto con
molte offese mortali, massimamente nel travestirsi e portar vesti secolaresche,
che avean meritato la pena dell' eterne miserie. Ella perciò soprafatta da
pianto amarissimo, e dogliosa oltr' ogni credere per tal vista sì miserabile,
esclamava con gran voce, e diceva: «O misere anime religiose! Oimè miseria
graned, che quel ch' è conceduto ai religiosi per ricreazione abbia ad esser
causa d' eterna dannazione.» E non cessando in questa vista di piangere e
lagrimare dirottamente, porgeva preci al Signore che desse vero lume a quell'
anime religiose che avean ancora tempo di penitenza.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 30,
pag. 334.- Cf. PUCCINI, Vita, Venezia
1671, cap. 64, pag. 99.
11 V. M. Costanza della Concezione, prima figlia del Monastero
di S. Giuseppe di Talavera: 1594; +1645. «Portando in certa occasione un velo
assai logoro, lo motivò (sic) alla Prelata, quale o per oblio o per
esercitarla, glielo lasciò per alcuni giorni. Volendo in uno di questi porselo
in capo, e vedendo che solo nel nome era velo, e che in verità non gli corpiva
la faccia, disse: «E' possibile ch' ho d' andare con questo straccio?» e con
qualche moto lo gettò via. Le comparve in quel punto il Redentore molto
piagato, e con la corona di spine, e le disse: «Così sprezzi l' insegna che ti
diedi di mia sposa?» Prese subito il velo, e se lo pose piena di confusione e
di lagrime, compensando un istante d' imperfezione con molt' anni di pentimento.»
GIUSEPPE DI S. TERESA, Riforma de' Scalzi
di Nostra Signora del Carmine, III, lib. 9, cap. 12, n. 6.
12
«Mirandola (l' Arciduca Alberto) coll' abito non solo ruvido ed abietto, ma
anco stracciato e rappezzato, le disse che era bastevole alla povertà la
bassezza di quell' abito, e non accadeva che portasse gli stracci e
rappezzamenti. Sorrise l' Infanta, e rispose questa esser la sua gala, e che in
tal maniera quanto più dispiaceva agli occhi del mondo, più gradiva al cielo.
«Crede Vostra Altezza, fratello mio, che quello è qua oscuro e non d' onore,
non risplenda grandemente appresso Iddio? Questa povertà nella vita temporale è
ricchezza nell' eterna. Di questo, di che il mondo si schernisce, se ne
compiace la Maestà divina, e quanto rigettano gli uomini per viltà e dispregio,
tutto accettano i Serafini nella beata corte, facendone gran festa. Non può mai
giungere la mia povertà a quella di Cristo, nè la mia nobiltà alla sua, e così
quando si tratta d' imitare la sua umiltà, non abbiamo da far caso della nostra
grandezza. Più contenta sto io così stracciata e rappezzata, che i re più
poderosi con tutti gli splendori dei loro reali vestimenti. O quanto minori
travagli ricuopre questo povero sacco di lana! Quanto meno si possiede in questo
mondo, più s' acquista, e quanto più si dispregia, più si può aspettare, perchè
il maggior tesoro di questa vita è trasportare il suo tesoro nell' altra.» Benedetto MAZZARA, O. M., Leggendario Francescano, VII, 5 luglio,
pag. 69.
13
Nulla ci è riuscito sapere di Violante Palombara, nè chi sia nè il luogo dove
sia vissuta.
14
«In chronicis Ordinis S. Hieronymi legitur, sub illius initia hoc exacte
solitum observari, ne quis religiosorum superfluum aut curiosum quid
possideret: hinc, cum penes aliquem quid aut curiositatem aut parvam
religiositatem spirans reperiretur, fratres omnes ad capitulum convenientes,
ingenti illic excitato foco, ipsum mox fiammis absumebant, id genus inanias
«religiosorum idola» appellantes.» Alf. RODERICIUS, Exercitium
perfectionis, pars 3, tract. 3, cap. 7, num. 13.
15
«In cella di lei non ebbero entrata i bei quadri... e tutto l' arredo della
curiosità... Ne men quelle coselle di divozione che si permettono in religione,
ne men pochi libbricciuoli che sono il sollazzo e la consolazione de'
rinchiusi. Un solo libro era con lei in cella, perchè diceva che a leggerlo era
a lei bastante, ed a metterlo in opera era soverchio. E se talvolta le bisognava
o le veniva desiderio di leggerne altro, umilmente lo chiedeva in presto.» Scipione SGAMBATI, S. I., Vita, lib. 3, cap. 3.- Duchessa d'
Andria, madre del P. Vincenzo Carafa, settimo Generale d. C. d. G.; giovane
sposa, ebbe assai da soffrire per parte dell' infedele marito, il quale,
insieme colla complice, venne ucciso per vendetta nell' atto del peccato, ma
ottenne, mercè le ardenti preghiere della santa moglie, la grazia di pentirsi e
di salvarsi, come fu rivelato a tre anime elette, tra le quali la Ven. Orsola
Benincasa, amicissima della Duchessa. Questa, vedova a 25 anni, assestò prima
le cose di famiglia, messe in iscompiglio dalla trascuraggine del marito,
governò con saggezza e somma carità i suoi feudi, provvide ai figli; e, libera
infine di assecondare i propri voti, vinte le resistenze della famiglia, entrò
(1608) nel monastero della Sapienza (Domenicane claustrali) in Napoli, ed ivi
morì, con fama di santità ai 29 dicembre 1615, in età di 49 anni.
16 Parlando di quel tempo di sua vita in cui
tornò ad essere del tutto amante e desiderosa della perfezione, dice la Santa
Madre Teresa: «Iba ya sintiendo mi alma cualquiera ofensa que hiciese a Dios,
por pequeña que fuese, de manera que si alguna cosa superflua traia, no podia
recogerme hasta que me la quitaba.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 24. Obras,
I, 186.- Da quel tempo in poi, restò così affezionata alla povertà, che,
non solo per se stessa, ma anche per il monastero, più godeva nella mancanza
del necessario che nell' abbondanza. Camino
de perfecciòn, cap. 2. Obras, III,
13, 14.- Però, quell' usanza di visitar spesso la cella per toglierne ogni cosa
superflua, se per caso vi si trovasse, vien riferita piuttosto di S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Se n'
andava bene spesso in cella, e con somma diligenza considerava se v' era alcuna
cosa fuori del suo bisogno.» PUCCINI, Vita,
Firenze, 1611, parte 1, cap. 62.
17
«Contàronme que en un convento de cierta Religiòn, que yo amo mucho, muriò
subitamente el superior; y teniendo en deposito algunos dineros de obras pias,
donde solo èl sabia en que parte estaban, permitiò Dios se apareciese al que
gobernaba el convento para que lo digesse: hablòle y se lo advirtiò.
Preguntòle, ¿si estaba en carrera de salvaxiòm? Respondiò, que sì. Preguntòle,
¿si padecia mucho? Respondiò, que muchissimo; y que de lo que tocaba al voto de
pobreza, se tomaba estrechissima cuenta allà, y de cosas que aqui no se hacia
caso; y que padecia mucho por unos escritorios de nogal que tenia en su celda.»
Don Juan de PALAFOX Y MENDOZA, VIII, Luz a los
vivos y escarmiento en los muertos, Madrid, 1763, Relaciòn V, notas 4, pag. 16, 17.
18
Non sappiamo chi sia la Ven. M. Maria Giovanna della Nunziata, n' abbiamo
potuto avere alcuna Vita o memoria che parlii di lei.
19 Hoc enim scitote intelligentes, quod omnis fornicator, aut immundus,
aut avarus, quod est idolorum servitus, non habet hereditatem in regno Christi
et Dei. Eph. V, 5.
20 «Pecunias ergo contemnamus, ut ne a
Christo contemnamur; pecunias contemnamus, ut et ipsas pecunias assequamur. Nam
si illas hic servemus, illas omnino et hic et illic perdimus; si distribuamus
liberaliter, in utraque vita multa fruemur opulentia. Qui vult ergo dives
fieri, sit pauper, ut fiat dives; expendat, ut colligat: spargat, ut
congreget.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In
Epist. ad Rom. homilia 7, n. 9. MG 60-454.
21 Quotquot
enim possessores agrorum aut domorum erant, vendentes afferebant pretia eorum
quae vendebant, et ponebant ante pedes Apostolorum. Act. IV, 34, 35.
22 «Abundantia tua multorum inopiam
sustentavit... Laudanda res, et apostolicorum temporum virtutibus coaequanda:
quando venditis possessionibus suis, credentes afferebant pecunias, atque
fundebant ante pedes Apostolorum, ostendentes avaritiam esse calcandum.» S. HIERONYMUS, Epistola 71, ad Lucinium, n. 4. ML
22-671.- «In Actis Apostolorum (IV, 34, 35), quando Domini nostri adhuc calebat
cruor et fervebat recens in credentibus
fides, vendebant omnes possessiones suas, et pretia earum ad Apostolorum
deferebant pedes, ut ostenderent pecunias esse calcandas.» Epistola 130, ad Demetriadem, n. 14. ML 22-1118.
23
«Elli elesse povertà volontaria, quello che era somma ed eterna ricchezza...
Questo dolce ed innamorato Verbo fu satiato di pene, e vestito d' obrobrii,
dilettandosi delle ingiurie, delli scherni e villanie, sostenendo fame e sete
Colui che satia ogni affamato con tanto fuoco e diletto d' amore. or questa è
la dottrina, e la via, la quale Elli à fatta, e noi miseri miserabili pieni di
difetti, non spose vere ma adultere, facciamo tutto el contrario, perocchè noi
cerchiamo diletto, delitie, piaceri, amore sensitivo uno amore proprio, del
quale amore nasce discordia, disobedientia: la cella si fa nemico; la
conversatione de' secolari e di coloro che vivono secolarescamente, si fa
amico: vuole abbondare, e non mancare nella sustantia temporale, parendoli, se
non abonda sempre, aver necessità.» S. CATERINA DA SIENA. Lettera 149 (al. 158),
all' Abadessa e Monache di S. Pietro in Monticelli a Lignaia in Firenze. Opere, II, Lucca, 1721, pag. 842.
24
Vedi la nota precedente.- «Oimè dove è il voto della povertà, perocchè con
disordinata sollicitudine, e amore, e appetito delle ricchezze del mondo
cercano di possedere quello che li è vietato, con una cupidità d' avaritia e
crudeltà del prossimo; poichè vedranno il convento, e le suore inferme, ed in
grande necessità, e non se ne curano, come esse avessero a reggiare la brigata
de' figliuoli, e lasciarli loro eredi. O misera, tu non ai questo attacco, ma
tu vuoi fare ereda la propria sensualità, e roine reggiare l' amistà (Ediz. Ferretti, 1924, vol. III, lettera 215,
pag. 322: «vuoine reggere l' amistà») e la conversatione de' tuoi devoti,
notricandoli con presenti, e il dì stare a cianciare, e novellare, e perdere il
tempo tuo con parole lascive e otiose... O misera! or debba fare questo la
Sposa di Cristo? O vituperata a Dio e al mondo! quando tu dici l' Offitio tuo,
il cuore va a piacere a te di piacimento sensitivo, e delle creature, che tu
ami di quello amore medesimo... Oimè, oimè, a che partito è venuto il giardino,
nel quale è seminata la puzza della immondizia; ed il corpo, che debba essere
mortificato col digiuno, e con la vigilia, con la penitentia, e con la molta
orazione, ed egli sta in delizie, ed adornato, e con lavamenti di corpo, e
disordinati cibi... Per viver più largamente e con più dilettezza di cibi
mangia in particulare.... Unde nascono tanti mali? dall' amore proprio
sensitivo... Per l' amore proprio, ella trapassa e non osserva il voto
promesso, perocchè per amore di sè, ella possiede e desidera le ricchezze e li
onori del mondo, la qual cosa è povertà e vergogna della Religione.» S.
CATERINA DA SIENA, Lettera 145, a certi monasteri di Bologna, in astrattione
(estasi) fatta, § V. Opere, II, pag. 822, 823, 824.-
«Sappiate, figliuoli carissimi, che el religioso che non vive secondo la santa
Religione con costumi religiosi, ma lascivamente, e con appetito disordinato,
con impatientia, portando impatientemente le fadighe dell' Ordine, e con
disordinata allegrezza nei diletti e piaceri del mondo... o con desiderare l'
onore e lo stato e le ricchezze del mondo, le quali sono la morte dell' anima,
vergogna e confusione de' religiosi: questo cotale è fiore puzzolente, e gitta
puzza a Dio, ed agli Angeli, e nel cospetto degli uomini.» Lettera 69, al Convento de'
Monaci di Passignano di Vall' Ombrosa, § I. Opere, II, pag. 454.- «Quanta confusione e quanta vergognaè, e sarà
in quella mente ed in quella anima, che à promesso e non attiene, ma fa tutto
il contrario? Questa non seguita Cristo, e non va per la via della croce, ma
vuole andare per la via de' diletti: non è questo il modo, ma Cristo umile ci
conviene seguitare, Agnello immacolato, Agnello povero.» Lettera 156, alla Priora....
ed all' altre Suore in Perugia, § IV. Opere,
II, pag. 878.- «Grande vergogna è alla religiosa di possedere tanto che
ella abbi che dare: non debba fare così, ma con una carità fraterna vivere
caritativamente con tutte le Suore: non debba sostenere che l' altre patiscano
fame e necessità, ed ella abondi.» Lettera
157, Alla Priora e Monache di Santa
Agnesa allato a Monte Pulciano, § I. Opere,
II, pag. 881.
25. Clementina Exivi (Clementis V, in concilio Viennensi, pro Fratribus
Minoribus), Clementinarum lib. 5,
tit. 11, de verborum significatione, cap.
1, Exivi, § Rursus: «Cum vir sanctus (Franciscus) fratres suos in paupertate
summa ac humilitate fundare voluerit,... convenit ipsis quod nullo modo
deinceps fieri faciant vel fieri sustineant ecclesias vel alia quaecumque
aedificia, quae, considerato fratrum inhabitantium numero, excessiva in
multitudine et magnitudine debeant reputari. Ideoque volumus quod ubique in suo
Ordine deinceps temperatis et humilibus aedificiis sint contenti, ne huic
tantae paupertati promissae, quod patet oculis, contrarium foris clamet....
Sufficere debent eis vasa et paramenta ecclesiastica decentia, in numero et in
magnitudine sufficientia competenter. Superfluitas autem aut nimia pretiositas,
vel quaecumque curiositas in his seu aliis quibuscumque, non potest ipsorum
professioni vel statui convenire: xcum enim haec sapiant thesaurizationem seu
copiam, paupertati tantae quoad humanum iudicium derogant manifeste.»
26 «Ne magnifici et sumptuosi apparatus
fiant, cum dies festus ecclesiae monialium celebratur, et qui religionem, non
inanem aliquam speciem praeseferant.» Acta Ecclesiae
Mediolanensis, a S. CAROLO Card. S. Praxedis Archiep. condita. Constitutiones et Decreta condita in Provinciali Synodo
Mediolanensis prima. Pars I, pag. 46, col. 2. Patavii, 1754, Typis Seminarii.
27 «Quid, putas, in his omnibus
quaeritur? poenitentium compunctio, an intuentium admiratio?» S. BERNARDUS, Apologia ad Guillelmum, cap. 12, n. 28
bis. ML 182-915.
28
«Et quidem alia causa est episcoporum, alia monachorum. Scimus namque quod illi
sapientibus et insipientibus debitores cum sint, carnalis populi devotionem,
quia spiritualibus non possunt, corporalibus excitant ornamentis. Nos vero qui
iam de populo exivimus: qi mundi quaeque pretiosa ac speciosa pro Christo
reliquimus; qui omnia pulchre lucentia, canore mulcentia, suave lentia, dulce
sapientia, tactu placentia, cuncta denique obiectamenta corporea arbitrati
sumus ut stercora, ut Christum lucrifaciamus: quorum, quaeso, in his devotionem
excitare intendumus? Quem, inquam, ex his fructum
requirimus? stultorum admirationem, an simplicium oblationem (al. oblectationem)? (Si legga: oblationem,
perchè S. Bernardo spiega subito dopo (n. 28bis) il suo pensiero: cioè che, con
tutte queste ricchezze, si vanno attirando ricche limosine.) Ibid., n. 28. ML 182-914.
29 «Intedicimus, ne ornandis
ecclesiis atque altaribus apparatus, aut argenteam, aliamque tam pretiosam quam
non pretiosam supellectilem, cuiusvis qualitatis et speciei a quocumque
commodato accipiant, neve in praenarratam causam pecunias, aut quaevis alia
bona cuiusvis generis.. a quibuscumque personis.. petant vel accipiant, neque in hunc finem
vendant industriae ipsarum monialium opera, eorumque pretium in sumptus
huiusmodi impendant... sed expensae necessariae ab abbatissa seu priorissa, ea
qua maiori poterunt cum parsimonia, fiant ex ordinariis et certis redditibus
tantum.. Praecipimus idem servari cum puellae seu mulieres ad habitum regularem
et votorum sollemnium emissionem seu professionem admittantur, ut scilicet
omnia sine pompa, sine sumptu, et absque cerarum, aliorumque munusculorum
quorumcumque distributione fiant, comprehensis etiam sculentis et poculentis.»
ALEXANDER VII, Bulla Pro commisso nobis, 24
sept. 1657.- Questa bolla fu emanata per la città di Roma, ma servì di norma
nelle altre diocesi.- Per Napoli già vi era un decreto della S. C. Ep. et Reg.,
Neapolitana, 16 nov. 1629, nel quale
fra l' altro si prescrive: «4. Si levinole spese dell' ingresso, professione e
velo, permettendo solante dell' ingresso un honesta ricreatione volontaria, che
non ecceda in tutto la somma di car. (carlini) cinque per ciascuna monaca, che
sia nel monasterio.»- Il 28 luglio 1708 la stessa S. C. Ep. et Reg. emanò al
riguardo una lettera circolare alli
Monsignori Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi, ed altri Ordinari dell' Italia ed
Isole adiacenti, ed anche alli Generali delle Religioni presidenti alle
monache. Cfr. Bizzarri, Collectanea
in usum Secretariae S. C. Ep. et Reg., pag. 291.
30
«Si vis ergo esse perfectus... vende... universa quae possides. Cumque
vendideris, da pauperibus, non locupletibus, non superbis. Da quo necessitas
sustentetur, non quo augeantur opes. Cumque legeris illud Apostoli: Bovi trituranti os non alligabis; et: Dignus est operarius mercede sua (I Cor.
IX, 9; I Tim. V, 18); et: Qui altario
ministrant, de altario participantur (I Cor. IX,
13), memento quoque huius sententiae: Habentes
victum et vestitum, his contenti simus (I Tim. VI, 8). Ubi videris fumare
patinas, et Phasides aves lentis vaporibus decoqui, ubi ferventes Mannos,
comatulos pueros, pretiosas vestes, picta tapetia, ibi ditior est largitore, cui
largiendum est. Pars
sacrilegii est, rem pauperum dare non pauperibus.» S. HIERONYMUS, Epistola 66, ad Pammachium. n. 8. ML 22-643, 644.
31 «.... Praecipimus... ut... neque
occasione festivitatum Sanctorum, aut susceptionis habitus et professionis
huiusmodi, vel quovis alio anni tempore, dispensari vel dono mitti possint
flores, fructusque, sive veri ii sint et naturales, sive fictitii et
artificiales, aut pharmaca, placentae, liba, scriblitae, crustula, spirulae, et
alia id genus edulia, cupediae et bellaria, quibuscumque personis, sive
secularibus, sive ecclesiasticis, etiam regularibus, utriusque sexus, tam intra
quam extra septa monasteriorum degentibus, ac etiam superioribus et praelatis
quovis gradu et dignitate etiam cardinalatus fulgentibus, protectoribus,
viceprotectoribus, deputatis,
praefectis, visitatoribus, confessariis, factoribus
et officialibus monasteriorum huiusmodi, quocumque nomine nuncupentur, aliisque
ab illis quoquo modo dependentibus.» ALEXANDER VII, Bulla Pro Commisso nobis, 24 sept. 1657. - Vedi anche i decreti della S.
C. Ep. et Reg., Vallisoletana, 4 apr.
1704, n. 8, e Camerinen., 9 dec.
1740, n. 4. Cfr. Codicis Iuris canonici
Fontes, vol. IV, nn. 1821, 1858. - Prescrizioni più particolareggiate si
trovano negli Acta Ecclesiae
Mediolanensis, Conc. Provinciale III, pars I, pag. 91, col. 1; Conc. Prov.
IV, pars I, pag. 166, col. 2, tenuti da S. Carlo Borromeo.
32 «Crebra munuscula, et sudariola, et
fasciolas, et vestes ori applicitas, et oblatos ac degustatos cibos, blandasque
et dulces litterulas sanctus amor non habet. «Mel meum, meum desiderium: omnes
delicias, et lepores,» et risu dignas urbanitates, et ceteras ineptias
amatorum, in comoediis erubescimus, in saeculi hominibus detestamur: quanto
magis in monachis et in clericis...?» S. HIERONYMUS, Epistola
52, ad Nepotianum, n. 5. ML 22-532.
33 Cap. X, § 2 (non 3): Del distacco da' secolari e dalle stesse sorelle.
34 Massime spettanti alla virtù della povertà:.... «Bisogna star molto
avvertite di non lamentarsi della povertà. Questo dispiace a Dio ed agli
uomini.» SACCARELLI, Vita, parte
3, cap. 8:- «Ce mot, ma très chère fille, n' est que pour vous dire que M. le
doyen et un autre (personnage) de Moulins nous ont fait savoir les grandes
plaintes que vous leur fites contre nos Sœurs de Moulins pour ces mille écus,
disant que cette maison traitait cruellement la vôtre de lui vouloir faire
payer cela, que vous étiez tant pauvres que vous n' avez pas de quoi vivre, et
mille autres choses semblables que ces bons messieurs ont pris prou à la bonne
foi... Je vous dis donc que jamais il ne faut faire des plaintes de nos
pauvretès, car cela sent la quayemente (quémande,
quémandeuse), et est contraire à l' esprit de notre Père, mais surtout, mon
cheer enfant, il ne faut, sous quelque prétexte que ce soit, se plaindre de
celles du même Institut.» S. JEANNE DE CHANTAL, Lettre 319, à la Mère de Monthoux, Supérieure à Nevres. (Euvres, IV, 507.- «Lorsqu' elle alla en
son dernier voyage de France, elle ne voulait jamais souffrir qu' on lui fit
des habits neufs.... Il lui semblait être si brave, quand elle avait quelque
chose qui sentait la pauvreté.» Mémoires
de la Mère DE CHAUGY, partie 3, ch. 13. (Euvres,
I, 425, 426.- «Il faut aux pauvres ce qui sent la pauvretè: il ne m' est
que bon d' avoir une robe pesante quand j' en aurais besoin d' une légère.» Même ouvrage, 427.- «Ne nous plaignons
jamais de la pauvretè; c' est la richesse des servantes de Dieu et leur trésor
plus précieux.» Paroles consolantes, recueillies
par les contemporaines, pour tous les jours de l' année: 16 mars. (Euvres, III, 409.
35
«Avendole suo padre (Ettore Vernaccia) lasciato certe pensioni annuali per suoi
bisogni, essendo il monastero allora assai povero, essa intendendo benissimo la
strettezza del suo obbligo della vita comune, non s' acquetò in ritenere tal
danari per suo uso particolare, ma rinunciò il tutto al monastero, non volendo
mai più altro saperne. Così fece d' alcuni quadri, e certe altre cose di
camera, che non le parevano necessarie; e disse, che si trovava gran gusto in
dire: se ti venisse un bisogno, non ti troveresti niente in cella. Ed il
medesimo persuase agevolmente a sua sorella (donna Daniella).. quale... entrò
con essa nel monastero, e fu anco ella molto saggia... e spirituale, e morì
essendo ancor giovane.» DIONISIO DA PIACENZA, Can- Reg. Lateranense, Vita, cap. 14, pag. 50. (Opere spirituali di Donna Battista da Genova (1497-1587),
Canonica Regolare Lateranense: tom. I-II-III, Venezia, 1588; tom. IV con la Vita, Verona, 1602).
36
«Si condoleva molte volte d' esser ne' suo' bisogni proveduta dal Monastero:
anzi per questo spesso piangeva dirottamente, dicendo: «Morrò pure senz' avere
a mia voglia osservata la santa povertà.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 62; Venezia, 1671, cap. 122. -
«Avvenendo una volta, mentre si trovava a mensa, che per dimenticanza di chi
serve, non le fu messo pane innanzi;
questo le fu talmente grato che tutta lieta si levò da mensa senza domandarlo.
Ma costretta per ubbidienza dalla priora a palesare la cagione della sua
allegrezza, rispose con umiltà profonda aver avuto il maggior gusto che mai
avesse sentito in vita sua, perchè non aveva avuto pane a mensa.» PUCCINI, l. c.
37
«Alle Sorelle diceva alcuna volta: «Che cosa, ditemi, vi prego, pagheremmo noi,
se 'l Signore ci facesse questo singolarissimo benefizio, che, volendo noi
cibarci, non ci fosse dato altro che un poco di pane; volendoci riposare, non
avessimo letto; bisognandoci mutar vestimenti, ci mancassero? Io per me,
seguiva ella, vi dico che a chi mi facesse un tal favore, mi terrei obligata di
dargli lo stesso sangue. Deh dunque penetriamo bene questa nobil virtù: perchè
a chi la possiede è dato per premio lo stesso Dio.» Altra volta si ritirava ne'
luoghi più poveri del monastero con un Crocifisso in mano, e standosene a
ginocchione sopra la nuda terra, con gli occhi rivolti al Signore proferiva
queste parole con sospiri e con lagrime: «O me beata se tutto quello che ha di
bisogno questo corpo, gli mancasse; anzi invece d' esser ricercato, patisse
oltraggi e villanie per amor di voi, o Gesù mio. Allora sì, che mi terrei, in
qualche parte, povera per amor vostro.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, Venezia, 1671, l. c.
38 «Vouloir être pauvre et n' eu
recevoir point d' incommoditè, c' est une trop grande ambition; car c' est
vouloir l' honneur de la pauvretè et la commoditè des richesses.» S. FRANÇOIS
DE SALES, Introduction à la Vie devote, partie 3, ch. XVI. (Euvres, III, 194.
39 «Aegri vero Fratres nostri, si quid
eis- ut solet, ad experimentum patientiae ac meriti augmentum- defuerit,
meminerint se Christi paupertatem sponte quaesisse, ac nolint sibi, quasi
divitibus, ministrari.» Constitutiones FF.
Discalceatorum Congregationis S. Eliae, Ordinis B. M. V. de Monte Carmelo, pars 1, cap. 18, n. 7.
40
«Oer infermo che voi siate, non prendete mai cosa che non sappia di santa
povertà.» Detti e sentenze memorabili, §
3, n. 2: PUCCINI, Vita, Venezia,
1671, pag. 298.
41
«Minime competit religioni vestrae medicinas quaerere corporales, sed nec
expedit saluti. Nam de vilibus quidem herbis, et quae pauperes deceant,
interdum aliquid sumere, tolerabile est, et hoc aliquando solet fieri. At vero
species emere, quaerere medicos, accipere potiones, religioni indecens est, et
contrarium puritati, maximeque Ordinis nostri nec honestati congruit nec
puritati.» S. BERNARDUS, Epistola 345,
ad Fratres de Sancto Anastasio (Roma, alle Tre Fontane), n. 2. ML 182-550, 551.
42 «Une robière donna deux étés de suite
des bandeaux de jour à cette bienheureuse Mère, les plus étroits qu' elle
pouvait trouver, pensant qu' ils lui étaient plus commodes; et ils l'
incommodaient beaucoup, mais elle n' en dit jamais mot, jusqu' à une occasion
qu' elle demanda à la robière si elle ne faisait pas attention de lui donner
des petits bandeaux; la robière lui dit que oui, lui demandant si ceux-là l'
incommodaient. «C' est à quoi, lui répondit-elle, nous ne devons pas seulement
penser, ni prendre garde, car nous avons si peu d' occasions de pratiquer la
pauvreté effective, dans la nécessité; quand il s' en trouve quelque rencontre,
nous les devons chérir uniquement.» Mémoires
de la Mére DE CHAUGY, partie 3, ch. 13. (Euvres, I, 425.
43
«Stimava a lei convenirsi il cibarsi di quel che avanzava all' altre monache,
come bene spesso faceva.» PUCCINI, Vita, Venezia,
1671, cap. 135, pag. 243.
44
Il giorno 5 di luglio del 1587.... fu rapita in Dio... Giunta agli armari, ove
stanno le tonache delle Sorelle, quindi prese la più vile e rattoppata, e
ritiratasi in una stanza più segreta, se ne vestì.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 21.-
Due volte lascia quest' abito per ubbidienza: Vita, l. c.- «Ottenuto licenza da' Superiori di vivere in questa
povertà, seguitò il tempo di sua vita... ad andare così vilmente vestita... Tra
tutte le monache, ella più vilmente di tutte era vestita.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 123, pag.
219.- «Una volta, d' inverno (1588)... vedendo (la superiora) che questa Santa,
per esser così malamente vestita, difficilmente poteva passare l' inverno...
chiamò la Santa in mezzo al coro, e... le disse che, per avvezzarla a provare
maggiormente la santa povertà, voleva che si spogliasse della tonica che aveva
indosso;.... chiamò quivi nel mezzo un' altra monaca, e fece cavare anco a
quella la tonica, e la dette a Suor Maria Maddalena, e le disse: «Questa ve la
dà la Religione per l' amor di Dio...»; e così ella accettò, e sentì
grandissimo gusto d' essere così rivestita, come un poverino per l' amor di
Dio.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671,
cap. 123, pag. 219, 220.
45 «Une Sœur ayant appris à saigner, on
lui voulut faire présent d' un étui de chirurgie, dont les lancettes étaient
accommodées avec un peu d' argent. Jamais cette digne Mére ne voulut qu' elle
les prit, et, parce que c' était une supérieure d' una de nos maisons, qui
était venue céans pour quelques nécessités, cette digne Mère prit occasion de
l' instruire, mortifiant la Sœur, en présence de cette supérieure, lui disant
que le désir d' avoir ces lancettes mériterait une bonne pénitence, et lui dit
ces propres mots: «Ma fille, souvenez-vous toute votre vie que où l' argent
suffira, n' y mettez pas de l' or; où l' étain pourra servir, n' y mettez pas
de l' argent; où le plomb pourra être suffisant, n' y mettez pas de l' étain;
car la vraie fille de la Visitation ne doit pas chercher les choses riches,
polies et gentilles, mais les grossières, solides, et où le seul nécessaire
soit.» Mémoires de la Mère DE CHAUGY
partie 3, ch. 13. (Euvres, I, 427.
46
«(Istruzioni che dà ad ogni religiosa... in un libro... che ha per titolo Gesù povero e disprezzato:) «Amerà acome
sua carissima madre, e come un tesoro preziosissimo la povertà, avendola così
stimata lo Sposo; la praticherà in tutte le cose, gloriandosi più di questa che
di qualsivoglia ornamento. Non le dia cuore di vedere in monastero monaca o
conversa più povera di lei, nè sentirà senza rammarico che nel secolo vi sia,
senzachè ne abbia voto, persona che viva in maggior necessità e bisogno di lei,
ch' è povera volontaria per amore di Gesù Cristo. Non porterà sopra di sè cose
di ornamento, o che non siano di estrema necessità; praticando la povertà nei
veli stessi più grossi e più rappezzati, e nella stessa corona che porta a
lato. Si diletterà di portar l' abito povero e rappezzato, non lasciandolo
fintantochè non si potrà portar più; e fugga al possibile di avere due abiti, o
più biancherie di quelle che ha l' ultima fra le sorelle converse. Non posseda,
nè cerchi cosa alcuna, ancorchè a lei le paresse necessaria, senza prima
specchiarsi al suo Sposo nudo in croce, e da lui dimandar licenza. Richiesta non
dia cosa per minima che sia, nè la riceva da altre, se non avrà prima avuta
licenza dalla sua superiora. In camera non avrà altro che 'l suo povero letto
con poverissime lenzuola e coverte, due sedie di paglia, il Crocifisso, quattro
figure di carta, que' pochi libri che le saranno assegnati dalla Guida, e quel
tanto solo che servirà alla sua necessità, e non più. Spesso col Crocifisso
nudo sugli occhi esaminerà la sua vita in questa virtù; e se vedrà in sè cosa che sia superflua, la
porterà nelle mani della sua superiora. Non dimandi per sè a' parenti cos'
alcuna: potrà bensì farlo per i bisogni della sua comunità, senza farsi
riserbare veruna cosa per sè.» Lodovico SABBATINI,
d' Anfora, de' Pii Op., Vita, Napoli, 1732, lib. 2, cap. 11.
47
Clemente, vescovo di Ancira in Galazia, compiti appena i 20 anni, fu fatto
vescovo, nel 277, o piuttosto nel 284. Sulla fine dell' anno seguente, uscito
un decreto di persecuzione, fu messo in carcere. Dopo più e più anni di vari ed
atroci combattimenti, riportò la vittoria, in un giorno di Domenica, ai 23 di
gennaio, nell' anno bisestile 304, mentre regnavano ancora Diocleziano e
Massimiano, o forse nell' anno 309, sotto Galerio Massimiano. Cf. Acta Sanctorum Bollandiana,
die 23 ianuarii, De sanctis martyribus
Clemente, etc., § 1, n. 3.- «Iussit (Imperator) proferri auri et argenti
plurimum, codicillos dignitatum et praefecturarum, vestes pretiosas et
splendidas, et quaecumque ornatus avidi homines expetere solent: ex adverso
vero poenarum instrumenta... Tum martyrem... intuitus, protensa ad propositas
opes manu: «Ista, inquit, dii tibi offerunt, si eos agnoveris et colueris.»
Avertit faciem martyr, veluti a rebus vilibus, foedis et aspectu indignis,
dixitque cum gemitu: «Ea sin cum ipsis in perditionem.».... Christi martyr...
respondit: «Si largitiones vestrae splendidae... iis qui terrena sapiunt
videntur, quanto ampliora illa futura sunt bona quae Deus aeternus...
praeparavit diligentibus se...? Aurum et argentum terra sunt infructuosa...
Splendidae vestes, veermium opus, esca tinearum, aut irrationalibus animalibus
vi avulsa lana, aut in inutilibus oceani conchis reposita.... Optimi veri Dei nostri bona,
genuina et immutabilia sunt... quae neque tempus alterat, neque tinea
corrumpit, neque omnino aeternitas valebit conficere.» Acta S. Clementis, auctore anonymo, n. 14: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 23
ianuarii.
48
«Rex (Licinius) iussit ab eius aspectu episcopum amoveri: cui et per urbis
tribunum significans: «Condonabo, inquit, tibi erratum hoc, (cioè di aver
sottratto alla passione libidinosa dell' imperatore la santa vergine Glaffra),
et insuper honores maximos adiiciam, si mihi obtemperaveris, et deis meis
sacrificia obtuleris: quin etiam et eorum sacerdotum, qui hic sunt, Pontificem
te constituam.» Beatus vero ille Dei minister Basileus tribuno respondit: «Haec
dices Regi: Licet totum regnum tuum mihi dare volueris, numquam tantum mihi
dabis quantum auferre vis, cum a Deo vivente me separare studeas, et daemonibus
animarum corruptoribus adiungere, atque ab infinita, sempiterna immortalique
gloria abalienare...» Acta martyrii S.
Basilei (il quale fu vescovo di Amasea in Cappadocia, martirizzato a
Nicomedia in Bitinia, verso l' anno 322), auctore IOANNE presbytero
Nicomediensi, teste in plurimis oculato,
n. 11: inter Acta Sanctorum Bollandiana,
die 26 aprilis.
49 La Ven. Suor Maria Crocifissa della Concezione del Monastero di Palma, O. S.
B.+1699. «Carbonelli mi sembravano le creature, quantunque bellissime, e
particolarmente quelle che mi potevano nuocere con amarle soverchiamente, dalle
quali mi staccava il Signore, scegliendole tra tutte per mio insegnamento;
poichè per maggiori eccessi, in cui l' anima mia stava osservando le sue
increate bellezze, egli paragonandosi alle suddette creature, m' interrogava
con qualche dolce paroletta, dicendomi a fianco di quelle: «Scegli, di loro e
me, chi ti contenta.» Al che si dileguava il mio cuore, come cera alla fiamma.»
Girolamo TURANO, Canonico di
Girgenti, Vita, lib. 1, cap. 9.
50
«Ma felicissimi quelli, che puramente vanno seguitando te, (o Eterno Verbo),
senza possedere alcuna cosa transitoria, sendo che avranno per premio te, che
sei ricchezza d' ogni ricchezza, tesoro d' ogni tesoro, e la ricchezza infinita
del paradiso. Ma chi comprerà il paradiso? ove si troverà danaio che questo
agguagli? Che si può dare in prezzo di bene sì grande? O chi lo crederebbe? il
nulla, il nulla, ma per Dionon posseder nulla, non bramar nulla di questo
mondo, non voler altro che Iddio: Dominus
pars hereditatis meae. Dico più, anzi ne pure volere Iddio, se non per Dio.
O altissima, o ricchissima povertà!» PUCCINI, Vita, Venezia, 1611, parte 3, quinta
notte (dell' ottava di Pentecoste dell' anno 1585), pag. 124.- «Talora così
dicea: «O felici i religiosi, che sono stati tanto onorati da Dio, che la lor
parte vuol essere egli stesso, poichè per amor suo con voto solenne hanno
lasciato tutte l' altre cose. O ricca povertà che ne fai possessori del sommo
bene!» PUCCINI, Vita, Venezia, 1611,
parte 4, cap. 30, pag. 337.- Cf. Puccini, Vita,
Venezia, 1671, cap. 122.
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