- CAPO XI - Della santa umiltà.
- § 1 - De' beni che apporta l'umiltà.
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CAPO XI - Della santa
umiltà.
§ 1 - De' beni che apporta
l'umiltà.
1.
L'umiltà vien chiamata da' santi la base e la custode di tutte le virtù.
Quantunque la virtù dell'umiltà non sia la prima in eccellenza, nondimeno dice
S. Tommaso (2. 2. q. 161 a. 5) ch'ella ha il primo luogo in ragion di
fondamento; ond'è che siccome nelle case il fondamento dee precedere alle mura
ed a' soffitti, benché questi sieno d'oro, così nella vita spirituale dee
precedere l'umiltà, affin di scacciar la superbia, alla quale Dio resiste: Humilitas primum locum tenet, in quantum
expellit superbiam, cui Deus resistit (S. Thom., Loc. cit. a. 4, ad
2).1 Quindi scrisse S. Gregorio che chi pratica molte virtù, ma senza
umiltà, è come chi porta la polvere in faccia al vento, che subito la disperge:
Qui sine humilitate virtutes congregat,
quasi in ventum pulverem portat (In Psal. poenit. 3).2
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2.
Narrasi (In Spec. exempl., Dist. 9, exempl. 199) che in un deserto eravi un
romito che stava in molto credito di virtù; costui trovandosi in morte, mandò a
chiamare il suo abbate, acciocché gli portasse il Ss. Viatico. Venne l'abbate, e
vi accorse ancora un certo ladro pubblico, il quale, compunto in quella
funzione, non si stimò degno di entrar nella cella del solitario, e da fuori
diceva: Oh foss'io quale sei tu!
L'intese il monaco, e gonfio di sé disse lo sciaurato: Certamente beato te, se fossi qual son io! Ora che avvenne? Il
ladro, da quel luogo correndo a confessarsi, cadde in un precipizio e subito
morì, e morì tra poco anche il romito. Il monaco ch'era compagno del romito,
nella morte di lui pianse, ma nella morte del ladro dimostrò un gran giubilo.
Dimandato poi perché, disse che il ladro s'era salvato per la contrizione che
avea avuta de' suoi peccati, e 'l compagno s'era perduto per la
superbia.3 Ma non creda qui alcuno che colui solamente stando in morte
fosse stato superbo; quel suo parlare che fece in morte dà segno che la
superbia stava radicata molto tempo prima nel suo cuore, e perciò così
miseramente si perdé. Del resto dice S. Agostino che se l'umiltà non precede ed
accompagna l'uomo sino alla fine, tutto il bene che fa gli sarà rapito dalla
superbia: Nisi humilitas praecesserit et
comitetur et consecuta fuerit, totum extorquet de manu superbia (Epist. 58, ad Dioscor.).4
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3.
Era questa bella virtù dell'umiltà poco conosciuta e poco amata, anzi abborrita
nella terra, ove regnava da per tutto la superbia, la quale fu il principio
della ruina di Adamo e di tutti i suoi discendenti; venne perciò dal cielo il
Figlio di Dio ad insegnarcela non solo colla voce, ma anche col suo esempio. Ed
a tal fine si umiliò sino a farsi uomo ed a prender la forma di servo: Semet ipsum exinanivit formam servi
accipiens (Philip. II, 7). Anzi volle tra gli uomini esser trattato come il
più vile di tutti, talmente che Isaia lo chiamò despectum et novissimum virorum (LIII, 3), il disprezzato e
l'ultimo tra gli uomini. Ed in fatti miriamolo colà in Betlemme, nato in una
stalla e collocato in una mangiatoia di bestie: in Nazaret sconosciuto e povero
in una bottega, a far l'officio di garzone d'un misero artigiano. Miriamolo poi
in Gerusalemme flagellato da schiavo, schiaffeggiato da vile e coronato di
spine qual re di burla, e finalmente morto giustiziato su d'una croce da
malfattore. Ma udiamo poi ciò ch'egli ci raccomanda: Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmodum ego feci [vobis], ita et vos
faciatis (Io. XIII, 15). Come dicesse: Figli miei, io perciò ho abbracciate
tante ignominie, acciocché voi al mio esempio non le sdegnate. S. Agostino,
parlando dell'umiltà di Gesù Cristo, disse:
Haec medicina si superbiam non curat, quid eam curet nescio:5 Se
questa medicina non ci libera dalla nostra superbia, io non so qual altro mezzo
possa essere più atto a liberarcene. Quindi scrisse il santo a Dioscoro: Se
vuoi sapere, amico, qual è la
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virtù principale che ci rende discepoli
di Gesù Cristo, ch'è più atta ad unirci a Dio: Ea est prima humilitas, secunda humilitas, tertia humilitas; et quoties
interrogares, hoc dicerem (S. Aug. ad Diosc.).6
4.
I superbi sono l'odio e l'abbominazione di Dio: Abominatio Domini est omnis
arrogans (Prov. XVI, 5). Sì, perché il superbo è ladro, è bugiardo ed è
cieco. È ladro, perché appropria a se stesso quello ch'è di Dio: Quid... habes quod non accepisti? dice
l'Apostolo (I Cor. IV, 7). Se mai ad un cavallo fosse posta sopra una
gualdrappa d'oro, potrebbe mai il cavallo, se avesse l'uso di ragione,
gloriarsi di quella, sapendo che ne può essere spogliato ad ogni cenno del
padrone? Di più è cieco, siccome fu detto a quel prelato dell'Apocalisse: Dicis: Dives sum, et nescis quia tu es miser
et caecus (Apoc. III, 17).7 E che altro abbiamo noi del nostro, se
non il niente ed i peccati? Anche quel poco di bene che facciamo, dice S.
Bernardo, se vogliamo distintamente giudicarlo, non si troverà esser altro che
disordine e difetto: Si distincte
iudicetur, iniustitia invenietur omnis
iustitia nostra.8 Di più è bugiardo, perché tutt'i pregi che ha
l'uomo, o di natura, come di buona sanità, di buon intelletto, di bellezza, di
abilità e simili; o di grazia, come di buoni desideri, d'animo docile, di mente
illuminata; tutti certamente son doni del Signore. Perciò dicea S. Paolo: Io
quel che sono, non sono altro che grazia di Dio: Gratia Dei sum id quod sum (I Cor. XV, 10). Mentr'è certo, come
dice lo stesso Apostolo, che noi non possiamo aver da per noi neppure un buon
pensiero: Non quod sufficientes simus
cogitare aliquid a nobis (II Cor. lII, 5).9
5.
Misera quella monaca ch'è superba! finche regna in lei la superbia non vi può
entrar mai lo spirito di Dio, ed all'incontro il demonio ne farà quel che
vuole. Dicea il B. Giuseppe
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Calasanzio: Il demonio si serve de' religiosi superbi, come d'una palla da giuoco.10 Narra
Cesario (Lib. IV, c. 5) che essendo stato portato una volta un ossesso ad un
monastero, il priore portò seco un monaco giovane, stimato santo, e disse poi
al demonio: Se questo religioso ti comanderà di uscire, avrai ardire di
restare? Rispose lo spirito maligno: Non
ho paura di costui. E perché? Perch'è
superbo.11 Il Signore per vederci liberi dalla superbia, permette
alle volte che i servi suoi sieno afflitti da tentazioni vergognose, quali sono
le tentazioni d'impurità; ed anche pregato e ripregato, li lascia a combattere,
come avvenne a S. Paolo, il quale scrisse: Datus
est mihi stimulus carnis meae, angelus Satanae, qui me colaphizet; propter quod
ter Dominum rogavi ut discederet a me; et dixit mihi: Sufficit tibi gratia mea (II
Cor. XII, 7 et seq.). Dunque, dice S. Girolamo, non volle il Signore
liberar S. Paolo dalla molestia di quell'impura tentazione, affine che si
conservasse umile.12 Di più Iddio talvolta giunge a permettere che
alcuno cada in qualche peccato, acciocché impari ad esser umile, come accadde a
Davide, il quale confessa d'essere caduto per non essere stato umile: Priusquam humiliarer, ego deliqui (Ps.
CXVIII, 67).
6.
Scrive S. Agostino: Altus est Deus:
humilias te, et descendit ad te; erigis te, et fugit a te (Serm. de
Ascens.):13
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Quando tu ti umilii, Iddio discende ad unirsi con
te; ma quando t'insuperbisci, egli fugge da te. Dice il profeta reale: Dominus [et] humilia respicit, et alta a
longe cognoscit (Ps. CXXXVII, 6): Il Signore guarda gli umili con occhio
amoroso, ma i superbi li mira da lontano; e siccome noi, vedendo alcuno da
lontano, non lo conosciamo, così Dio par che dica de' superbi che non li
conosce. In un certo monastero vi era una religiosa superba che giunse a dire
una volta ad un'altra monaca queste parole: Eh badate che l'abito che ambedue
vestiamo fa che sediamo nello stesso scanno; del resto sappiate che voi non
meritereste di stare neppure per serva nella mia casa. Or come pensate voi che
Iddio guardasse una tal monaca così altiera? Con Dio non ci fan bene i superbi;
egli non può sopportarli; gli angeli superbi appena stiedero un momento nel
paradiso, e nel secondo momento il Signore li discacciò e mandolli lontani da
sé all'inferno. Non può venir meno la divina parola: Qui autem se exaltaverit, humiliabitur (Matth. XXIII, 12). Narra S.
Pier Damiani (Tract. de duello) che un cert'uomo superbo, prima di venire a
duello con un suo rivale, per causa d'una possessione che volea difendersi
colla spada, sentendo Messa udì recitare le mentovate parole: Qui se exaltaverit, humiliabitur. Allora
egli disse: Or questo si che non è vero, perché se io mi fossi umiliato, avrei
perduta la roba e la stima che possedo. Ma che accadde? quando venne a tenzone,
il nemico lo ferì colla spada propriamente nella bocca e gli trapassò quella
lingua sacrilega, e così lo rovesciò morto a terra.14
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7. Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (Iac. IV, 6). Il Signore ha
promesso di esaudire ognun che lo prega: Omnis...
qui petit, accipit (Luc. XI, 10). Ma i superbi Dio non li sente, mentre
dice S. Giacomo ch'egli resiste alle loro orazioni. All'incontro cogli umili
Dio è tutto liberale: Humilibus autem dat
gratiam; a costoro apre le mani e dona loro quanto cercano e desiderano. Humiliare Deo, et exspecta manus eius,
dice la Scrittura (Eccli. XIII, 9): Umiliati a Dio, e poi aspetta dalle sue
mani quanto domandi. Perciò dicea S. Agostino: Domine, da mihi thesaurum humilitatis.15 L'umiltà è un
tesoro, perché il Signore fa abbondare gli umili d'ogni bene. Il cuore
dell'uomo, quando è pieno di se stesso, non può esser riempito de' doni divini;
bisogna che prima rendasi vacuo colla cognizione del proprio niente. Disse
Davide: Qui emittis fontem in
convallibus: inter medium montium pertransibunt aquae (Psal. CIII, 10).
Iddio fa abbondare d'acque le valli, cioè di grazie l'anime umili; ma non già i
monti, cioè gli spiriti superbi; per costoro vi passano le grazie, ma non vi
restano. Quindi cantò la divina Madre: Quia
respexit humilitatem
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ancillae
suae... fecit mihi magna qui potens est (Lucae I):16 L'Onnipotente
mi ha fatti gran doni, riguardando l'umiltà della sua serva, cioè la cognizione
ch'io ho del mio niente. Riferisce S. Teresa di se stessa che le maggiori
grazie ch'ella ebbe da Dio, le ricevé quando nell'orazione stavasi più
umiliando avanti a Dio.17 La preghiera dell'umile, dice
l'Ecclesiastico, penetra i cieli, e non si parte di là, finché Dio l'esaudisce: Oratio humiliantis se, nubes penetrabit...
et non discedet donec Altissimus aspiciat (Eccli. XXXV, 21). Sicché gli
umili ottengono da Dio quanto cercano. Non v'è timore che l'umile resti confuso
e sconsolato: Ne avertatur humilis factus
confusus (Psal. LXXIII, 21). Quindi diceva il B. Calasanzio: Se vuoi esser santo, sii umile; se vuoi
essere santissimo, sii umilissimo.18 Un sant'uomo ciò appunto
consigliò a S. Francesco Borgia, mentre era ancor secolare, che se volea farsi
santo non lasciasse ogni giorno di pensare alle sue miserie. E per ciò il santo
spendeva poi ogni giorno le prime due ore d'orazione nella cognizione e
dispregio di se stesso.19
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8.
Scrisse pertanto S. Gregorio che siccome l'esser superbo è contrassegno de'
reprobi, così all'incontro l'esser umile è contrassegno de' predestinati: Evidentissimum reproborum signum superbia,
ac contra humilitas electorum (S. Greg., Lib. 34 in Iob, c. 56).20
S. Antonio abbate, vedendo il mondo pieno di lacci tesi dal demonio, allora sospirando
disse: E chi potrà mai scampare da questi lacci? Ma sentì una voce: Antonio, la sola umiltà è quella che passa
sicura: chi va colla testa bassa, non ha timore di restarvi preso.21
In somma, come disse il nostro Salvatore, se non ci rendiamo fanciulli, non
d'età, ma d'umiltà, non giungeremo a salvarci: Nisi... efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum caelorum
(Matth. XVIII, 3). Narrasi nella vita di S. Palemone che un certo monaco,
camminando sulle brace, se ne vantò, dicendo a' compagni: Ditemi chi di voi
cammina su i carboni senza bruciarsi? Lo corresse S. Palemone di questa sua
vanagloria, ma il misero non si emendò e restò gonfio di se stesso; e poi
disgraziatamente, cadendo in peccati, finì la vita in cattivo stato.22
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9.
Agli umili che sono disprezzati e perseguitati in questa terra, sta promesso il
paradiso: Beati estis cum maledixerint
vobis et persecuti vos fuerint... quoniam merces vestra copiosa est in caelis
(Matth. V, 11 et 12). Inoltre gli umili non solamente nell'altra vita, ma
ancora in questa son felici. Discite a
me, disse il medesimo nostro Redentore, quia
mitis sum et humilis corde, et invenietis requiem animabus vestris (Matth.
XI, 29): Imparate da me ad esser mansueti ed umili, e troverete pace nelle
anime vostre. Il superbo non trova mai pace, perché non arriva mai a vedersi
trattato, secondo il vano concetto ch'egli ha di se stesso: anche quando è
onorato, neppur è contento, mirando altri più onorati di lui: sempre almeno gli
mancherà qualche onore che desidera, e la mancanza di quell'onore lo tormenterà
più che nol consolano tutti gli onori che possiede. Quanti onori possedea già
Aman nella corte di Assuero, giungendo sino a sedere nella stessa mensa di lui!
ma perché Mardocheo non volea salutarlo, disse che si stimava infelice: Cum haec omnia habeam, nihil me habere puto,
quamdiu videro Mardochaeum [iudaeum ]
sedentem ante fores regias (Esther V, 13). Ma che onori sono quelli che
ricevono i superbi? non sono onori che rallegrano, perché sono onori dati a
forza e per solo rispetto umano. Scrisse S. Girolamo che la vera gloria virtutem quasi umbra sequitur et, appetitores sui deserens, appetit
contemptores:23 La vera gloria fugge da chi la desidera e siegue
chi la disprezza; appunto come l'ombra siegue chi la fugge e fugge da chi la
vuol prendere.
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L'umile all'incontro sta sempre contento, perché qualunque onore che riceve,
stima che quello è maggior de' suoi meriti; e quando poi riceve affronti, pensa
che merita peggio per li suoi peccati, e dice con Giobbe: Peccavi et vere deliqui, et ut eram dignus non recepi (XXXIII,
27). S. Francesco Borgia ci diede di ciò un bello insegnamento: dovendo egli
fare una volta un lungo viaggio, fu avvertito da altri a mandare innanzi un
foriero, acciocché mettesse in ordine l'alloggiamento ove dovea giungere, e
così non patisse l'incomodo che avrebbe sofferto giungendo colà
improvvisamente. Rispose il santo: Oh in quanto a ciò sappiate che non manco
mai di mandar avanti il mio foriero; ma questo sapete chi è? è il pensiero
dell'inferno che mi ho meritato; e così ogni alloggio che trovo mi pare una
reggia, a confronto del luogo dove meriterei di stare.24
1 «Post virtutes theologicas, et
virtutes intellectuales, quae respiciunt ipsam rationem, et post iustitiam,
praesertim legalem, potior ceteris est humilitas.» S.
THOMAS, Sum. Th. II-II, qu. 161, art. 5, c.-
«Sicut ordinata virtutum congregatio per quamdam similitudinem aedificio
comparatur, ita etiam illud quod est primum in acquisitione virtutum,
fundamento comparatur, quod primum in aedificio iacitur. Virtutes autem verae infunduntur a Deo. Unde primum in acquisitione virtutum potest
accipi dupliciter. Uno modo, per modum removentis prohibens. Et sic humilitas
primum locum tenet, inquantum scilicet expellit superbiam, cui Deus resistit,
et praebet hominem subditum et semper patulum ad suscipiendum influxum divinae
gratiae, inquantum evacuat inglationem superbiae; ut dicitur Iac. IV, 6, quod Deus superbis resistit,
humilibus autem dat gratiam. Et secundum hoc, humilitas dicitur spiritualis
aedifici fundamentum. Alio modo est aliquid primum in virtutibus directe: per
quod scilicet iam ad Deum acceditur. Primus autem accessus ad Deum est per
fidem... Et secundum hoc, fides ponitur fundamentum, nobiliori modo quam
humilitas.» Ibid., ad 2.
2 Omnes... virtutes in conspectu Dei
vicaria ope se sublevant, nec virtutes verae sunt, si a se invicem aliqua
diversitate discordant. Una enim virtus sine altera, aut omnino nulla est, aut minima...
Quomodo oculis eius (Dei) accepta erit castitas elata, vel humilitas immunda?
Non enim Bona accepta sunt Deo, quae malorum admistione maculantur... et qui
sine humilitate virtutes congregat, quasi ni ventum pulverem portat.» S. GREGORIUS MAGNUS, Expositio in
septem Psalmos poenitentiales, Expositio tertii Psalmi, v. 3, n. 3. ML
79-569,
3 Magnum
speculum exemplorum, auctore D. Henrico GRAN, distinctio 9, exem lum 199. Comincia così: «Refert
frater Wilhelmus, Lugdunensis episcopus...» cioè Guglielmo chiamato Peraldo (Pérault)
dal paese nativo (oggi Peyraud); detto «Lugdunensis» per ragione della
professione religiosa, ed anche per la vicinanza del luogo di nascita; domenicano
contemporaneo di S. Tommaso, a cui venne attribuito il suo De eruditione principum. Scrisse varie altre opere: Super Sententias, Summa virtutum, Summa
vitiorum, ecc.- Secondo lo Speculum il
monaco che ha la duplice rivelazione è il compagno
dell' abbate e non già quello del romito, come si legge nel testo.
4
«Huic (Verbo Dei homine induto) te, mi Dioscore, ut tota pietate subdas velim,
nec aliam tibi ad capessendam et obtinendam veritatem viam munias, quam quae
munita est ab illo qui gressuum nostrorum tamquam Deus vidit infirmitatem. Ea
est autem prima, humilitas: secunda, humilitas; tertia, humilitas: et quoties
interrogares, hoc dicerem; non quo alia non sint praecepta quae dicantur, sed
nisi humilitas omnia quacumque bene facimus et praecesserit et comitetur et
consecuta fuerit, et proposita quam intueamur, et apposita cui adhaereamus, et
imposita qua reprimamur, iam nobis de aliquo bono facto gaudentibus totum
extorquet de manu superbia. Vitia quippe cetera in peccatis, superbia vero
etiam in recte factis timenda est, ne illa quae laudabiliter facta sunt, ipsius
laudis cupiditate amittantur. Itaque sicut rhetor ille nobilissimus (nempe
Demosthenes) cum interrogatus esset quid ei primum videretur in eloquentiae
praeceptis observari oportere; Pronuntiationem dicitur respondisse; cum
quaereretur quid secundo, eamdem pronuntiationem; quid tertio, nihil aliud quam
pronuntiationem dixisse: ita si interrogares de praeceptis christianae
religionis, nihil me aliud respondere nisi humilitatem liberet, etsi forte alia
dicere necessitas cogeret.» S. AUGUSTINUS, Epistola
118 (al. 55), ad Dioscorum, n.
22, ML 33-442.
5
«Erat unde extolleretur gens Iudaea, et per ipsam superbiam factum est ut
Christo nollet humiliari auctori humilitatis, repressori tumoris, medico Deo,
qui propter hoc, cum Deus esset, homo factus est, ut se homo hominem
cognosceret. Magna medicina. Haec medicina si superbiam non curat, quid eam
curet nescio.» Sermo 77, cap. 7, n.
11. ML 38-488.
6
Vedi sopra, nota 4.
7 Quia
dicis: Quod dives sum et locupletatus, et nullius egeo; et nescis quia tu es
miser, et miserabilis, et pauper, et caecus, et nudus. Apoc. III, 17.
8
«Quid potest esse omnis iustitia nostra coram Deo? Nonne iuxta prophetam, velut pannus menstruatae reputabitur
(Is. LXIV, 6) et si districte iudicetur, iniusta invenietur omnis iustitia
nostra, et minus habens?» S. BERNARDUS, In festo omnium Sanctorum, sermo 1, n.
11. ML 183-459,
9 Non
quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis: sed
sufficientia nostra ex Deo est. II Cor. III, 5.
10
«Veluti pila ludit daemon religioso vano.» TALENTI, Vita, lib. 7, cap. 9, III, n. 39.
11
«Obsessum quemdam amici sui ad quoddam coenobium Ordinis nostri spe
liberationis traxerunt. Ad quem egressus prior, assumpto secum monacho magnae
opinionis adolescente, quem noverat virginem corpore, ait daemoni: «Si
praeceperit tibi monachus iste ut exeas, quomodo audebis manere?» Respondit daemon: «Non eum timeo; superbus est enim.» CAESARIUS,
Heisterbacensis monachus, Ord. Cist., Dialogus miraculorum, distinctio 4, cap. 5.
12 «Patitur et Apostolus aliquid quod
non vult, pro quo ter Dominum deprecatur. Sed dicitur ei: Sufficit
tibi gratia mea: quia virtus in infirmitate perficitur (II Cor. XII, 9): et
ad revelationum humiliandam superbiam, monitor quidam humanae imbecillitatis
apponitur, in similitudinem triumphantium, quibus in curru retro comes
adhaerebat, per singulas acclamationies civium dicens: Hominem te esse
memento.» S. HIERONYMUS, Epistola 39,
ad Paulam, super obitu Blaesillae filiae,
n. 2. ML 22-467, 468.
13 «Altus est Deus: erigis te, et fugit
a te; humilias te, et descendit ad te.» Sermo 177, sermo 2 in Ascensione Domini, n. 2, ML
39-2083, in Appendice ad Sermones S. Augustini (cioè «inter
dubios et nothos). Il compilatore però ha preso questo pensiero - ed altri - da
S. Agostino, il quale l' esprime più volte. «Descendit,
ut sanaret te: ascendit, ut levaret te. Cadis, si levaveris te: manes, si
levaverit te.» S. AUGUSTINUS, Sermo 261,
cap. 1: ML 38-1203. «Excelsus Dominus, et
humilia respicit, et excelsa a longe cognoscit (Ps. CXXXVII, 6). Excelsa
ipsa posuit pro superbis. Illa ergo respicit ut attollat; ista cognovit, ut deiiciat.» IDEM, Sermo 351, cap. 1, n. 1: ML 39-1536.- Il
Sermone 177 (al. 175 de Tempore) si legge, nel Breviario Romano, nel II Notturno della Domenica infra Octavam Ascensionis.
14
«Novis (al. nostris) quoque
temporibus accidit, ut in Burgundiae regno quidam clericus esset superbus nimis
ac tumidus, et non modo carnali vitae saeculariter deditus, sed et contra suum
ordinem terribiliter bellicosus. Hic itaque cum ecclesiam B.
Mauritii, multis inclitam praediis, suis dictionibus usurparet, potens autem
quidam.... sui
iuris esse... contenderet, tandel belli dies utroque paciscente statuitur...
Potens autem ille... nuntium ad hostilia castra direxit, qui... apparatum belli
solerti speculatione perpenderet... Forte tunc clericus Missam cum
his, qui dimicaturi erant, suis fautoribus audiebat. Cumque ad Evangelium
veniretur, in fine lectum est: Omnis qui se exaltat, humiliabitur; et qui se
humiliat, exaltabitur (Matth. XXIII; Luc. XIV, XVIII). ILlico clericus in hanc sacrilegam vocem
protervus erupit: «Haec, inquiens, sententia vera non est; nam si ego me meis
adversariis humiliter inclinassem, hodie tot possessionum atque clientium
copias non haberem.» Reversus autem nuntius domino suo fideliter retulit, non
modo quod in bellici procinctus apparatu conspexit, sed hoc etiam quod in ore
clerici.. audivit. Tunc ille.... laetus efficitur, atque ad spem
procul dubio obtinendae victoriae milites cohortatur.... ex utraque parte pugna
committitur... Habebat autem clericus equam... tantae velocitatis ac roboris,
ut nullus sibi videretur equus aut mulus ad dimicandum posse praeferri. Casu,
imo Deo disponente, contingerat, quod praecedenti nocte iumentum illud stabulo
solutum abscederet, acervumque salis inveniens, ex eo plurimum comederet.
Clericus itaque dum in acie constitutus super aquae rivulum deveniret, ibique
cominus adversantium armis arma conferret, iumentum, ut erat assumpti salis
copia sitibundum, frenum de manu rectoris violenter extorsit, suisque totum
viribus vindicavit, ac praesto caput in aquam ad bibendum inhianter immersit.
Ille vero, dum ea manu, qua scutum tenebat, cum iumento configit, hostilibus
iaculis faciem coactus exponit: et ecce repente gladius os eius fulminis more
transfixit, talique vir reprobus vitam suam fine conclusit. O quam congrue in illa
pertulit corporis parte vindictam, qua nigri fellis in Dominum vomuerat
blasphemiam!» S. PETRUS DAMIANUS, Opusculum 34, De variis
miraculosis narrationibus, cap. 4. ML 145-576, 577.
15 «Redemptor meus, expelle a me
spiritum superbiae, et concede propitius thesaurum humilitatis tuae.» Meditationum liber unus, cap. 1. ML 40-901: inter Opera S.
Augustini, a cui vennero per molto tempo attribuite; sembra siano, per la
maggior parte, opera, per altro non spregevole, di Giovanni, abbate, a quanto si crede, «Fiscamnensis» (di Fecamp):
+1178.
16
Luc. I, 48, 49.
17
«Lo que yo he entendido es, que toto este cimiento de la oraciòn va fundado en
humildad, y que, mientra màs se abaja un alma en oraciòn, màs la sube Dios. No
me acuerdo haberme hecho merced muy señalada, de las que adelante dirè, que no
sea estando deshecha de verme tan ruin; y aun procuraba Su Majestad darme a
entender cosas para ayudarme a conocerme, que yo mo las supiera imaginar.» S.
TERESA, Libro de la Vida, cap. 22. Obras, I, 171.
18
«Solito era di dire: «Vuoi esser santo? sii umile; vuoi esser più santo? sii
più umile; vuoi esser santissimo? sii umilissimo. La misura e peso di questa
vita, è l' umiltà, parlando noi della grazia e gloria dell' anima.» INNOCENZIO
di S. GIUSEPPE, delle Scuole Pie, Vita, Roma,
1734, lib. 4, cap. 15, pag. 293.
19
«Ferunt beatum Patrem Franciscum de Borgia (in
nota: L. 4 Vitae, c. 1), cum
adhuc Gandiae ducem ageret, a quodam eximiae sanctitatis viro monitum, ut si in
Dei obsequio insignem profectum facere vellet, vel unum sibi diem elabi non
sineret, quo non aliquid mente pertractaret, quod ad confusionem et despectum
sui aliquatenus pertineret. Adeo autem Francisco sancti viri consilium placuit,
ut, ex quo in orationis exercitium coepit incumbere, duas quotidie horas
solidas in huius cognitionis et despectus sui ipsius meditatione insumeret, in
eoque ita totus erat, ut, quidquid audiret, legeret videretve, ei ad hanc sui
demissionem et confusionem deserviret.» Alf. RODERICIUS, Exercitium perfectionis, pars 2, tract. 3, cap. 12, num. 6.- Ora il
RIBADENEIRA, Vita del B. Francesco
Borgia, lib. 4, cap. 1, Firenze, 1600, pag. 241, dice così: «Da che si
dette all' esercizio della orazione mentale, impiegava ogni giorno le due prime
ore di essa in questo conoscimento e dispregio di se stesso, e quanto udiva o
leggeva o guardava, tutto gli serviva per questa abbiezione e confusione.» Del
consiglio ricevuto da un sant' uomo quando il santo era ancora nel secolo, non
ne fa parola il Ribadeneira, nè altri
biografi come il Bartoli e il Cepari, nè il Sacchini, Historia Societatis Iesu, pars 3, lib. 8, n. 36-181,
Romae 1649, ove dà un succoso compendio della vita di S. Francesco Borgia. Onde
si deve conchiudere a quanto segue nello stesso paragrafo. Il fatto particolare
del consiglio ricevuto, facilmente l' avrà conosciuto il Rodriguez per mezzo
della tradizione, ancora fresca a tempo suo: ipotesi che concorda colla parola
usata da lui: Ferunt.
20
«Quia igitur Redemptor noster corda regit humilium, et Leviathan iste rex
dicitur superborum, aperte cognoscimus quod evidentissimum reproborum signum
superbia est, at contra humilitas electorum. Cum ergo quam quisque habeat
cognoscitur, sub quo rege militet invenitur. Unusquisque
enim quasi quemdam titulum portat operis, quo facile ostendat sub cuius serviat
potestate rectoris.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralium
in Iob lib. 34, cap. 23, n. 56. ML 76-750.
21 «Beatus Antonius retulit vidisse
omnes laqueos inimici super universam terram extentos. Et cum suspirans
dixisset: «Quis hos poterit transire?» vocem ad se dicentem audivit: «Humilitas
sola pertransit, Antoni, quam nullo modo valent superbi contingere.» Vitae Patrum, lib. 3, auctore probabili RUFFINO, n. 129. ML 73-785.
22
«Una vero dierum, cum vigilantes simul Palaemon et Pachomius accenderent ignem,
quidam frater superveniens, apud eos manere voluit. Qui cum
susceptus esset.... dixit: «Si quis fidelis est ex vobis, stet super hos
carbones ignis, et orationem Dominicam sensim lenteque pronuntiet.» Quem beatus
Palaemon intelligens superbiae tumore deceptum, commonuit dicens: «Desine,
frater, ab jac insania, nec tale quid alterius loquaris.» Qui correptione senis
non solum non profecit in melius, sed plus elatione mentis inflatus, super
ignem stare coepit audacter, nullo sibi penitus imperante; eratque conspicere
quomodo coperante inimico humani generis.. nequaquam perustus fuerit ignis
attactu. Hoc ipsum vero quod gessit impune, ad augmentum profecit eius insaniae...
Postera die.. mature proficiscens, aiebat: «Ubi est fides vestra?» Post non
multum tum vero temporis, cernens diabolus eum sibi per omnia mancipatum....
transfiguravit se in mulierem pulchram... Immisit ei turpem concupiscentiam. Qui mox cessit inimici suggestionibus... Quem spiritus immundus invadens,
elisit atrociter... Post aliquantos autem dies tandem in se reversus... ad
sanctum Palaemonem venit, et cum magno fietu quid sibi accidisset exposuit...
Cumque... sanctus Palaemon beatusque Pachomius lacrimas pro eo funderent
compatientis affectu, subito correptus ab immundo spiritu, de conspectu eorum
prosiliit, et per deserta discurrens, agebatur infrenis. Pervenit autem ad civitatem
Panos nomine, ac deinceps in fornace balnei per amentiam sese praecipitans,
incendio protinus interiit.» Vita S.
Pachomii, auctore graeco incerto, interprete Dionysio Exiguo, cap. 9: Vitae
Patrum, lib. 1. ML 73-234, 5.
23 «Latebat (Paula), et non latebat.
Fugiendo gloriam, gloriam merebatur; quae virtutem quasi umbra sequitur, et
appetitores sui deserens, appetit contemptores» S. HIERONYMUS, Epistola 108, ad Eustochium, Epitaphium Paulae matris, n. 3. ML 22-880.
24
«Una volta che viaggiava male in arnese di panni... avvenutogli di scontrarsi
in un personaggio suo caro amico, questi... si diè a pregarlo d' avere in
maggior conto la sua persona, in maggior cura la sua santità e la sua vita. A
cui il Santo: «Quanto a ciò, disse, non m' è bisogno di prendermi niun pensiero
di me, mentre v' è chi sel prende per me, e ne ha ogni cura. Oltre a ciò, io
non prendo mai a far niun viaggio... che non m' abbia spedito innanzi un
foriero ad apparecchiarmi la stanza. E 'l foriero è il conoscimento di me
medesimo, che non mi lascia giungere ad albergo sì povero, sì sprovveduto, sì
disagiato, che non mi paia agiatissimo: perochè mai non mi truovo male, che non
sia infinite volte minor di quello che conosco di meritare.» BARTOLI, Vita, lib. 4, cap. 4.
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