- CAPO XII - Della carità del prossimo.
- § 3 - Della carità che dee praticarsi colle opere, e con chi dee praticarsi.
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§ 3
- Della carità che dee praticarsi colle opere, e con chi dee praticarsi.
1.
In quanto finalmente alla carità che dovete usare coll'opere, procurate d'esser
pronta a servir le vostre sorelle in tutti i loro bisogni. Alcune religiose
dicono di amar le loro sorelle e che tutte le tengono nel cuore, ma poi niente
si vogliono scomodare per loro amore; ma l'apostolo S. Giovanni scrisse a' suoi
discepoli: Filioli mei, non diligamus
verbo neque lingua, sed opere et veritate (I Io. III, 18). Non basta, a
contentar la carità, amare il prossimo solamente colle parole, bisogna amarlo
ancora co' fatti: Iusti... misericordes
sunt (Prov. XIII, 13). Tutti i santi son pieni di carità e di compassione
verso d'ognuno, che sta in bisogno delle loro opere. Scrivesi di S. Teresa
ch'ella procurava ogni giorno di praticare qualche carità verso le sue sorelle,
e quando in alcun giorno non l'avea fatta, procurava di farla nella notte,
almeno con uscire a far luce colla candela a qualche monaca, che passava allo
scuro per avanti la sua cella (Ribera, in Vita, l. IV, c. 11).1 Quando
potete far qualche limosina del vostro peculio, fatela. Dice la Scrittura che
la limosina libera l'uomo dalla
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morte, lo purga da' peccati, e gli
ottiene la divina misericordia e la salute eterna: Eleemosyna a morte liberat, et ipsa est quae purgat peccata, et facit
invenire misericordiam et vitam aeternam (Tob. XII, 9). E riflette S.
Cipriano che, il Signore niuna cosa più spesso raccomanda nella Scrittura che
la limosina: Dominus nil crebrius mandat
quam ut insistamus in eleemosynis (S. Cypr., de eleem. in Ev.).2
2.
Per limosina poi non solo s'intende il danaro o la roba, ma ogni sollievo che
si dà al prossimo bisognoso di tale aiuto. Dice S. Giovanni: Qui... viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit viscera
sua ab eo, quomodo caritas Dei manet
in eo? (I Io. III, 17): Come può dirsi che abbia carità colui il quale,
vedendo il suo fratello in qualche necessità e potendo aiutarlo, non lo
soccorre? Limosina già molto cara a Dio è ne' monasteri che una sorella aiuti
l'altra nelle fatiche. S. Teodora monaca procurava d'aiutar tutte le suore ne'
loro offici, e fuggiva all'incontro di farsi aiutare dall'altre.3 S.
Maria Maddalena de' Pazzi, quando v'era da far qualche fatica straordinaria,
subito si offeriva a farla ella sola; e poi aiutava le monache in tutti i
servigi più faticosi, onde correa voce che la santa faticava più di quattro
converse.4 Procurate ancor voi di far così, per quanto potete; e quando
vi trovate stracca, mirate allora lo Sposo che porta la croce, ed abbracciate
allegramente quella nuova fatica. Il Signore aiuterà voi con quella misura
colla quale voi aiuterete le vostre sorelle: [In] qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis (Matth. VII, 2). Onde disse il Grisostomo che
l'usar carità col prossimo è l'arte di fare gran guadagni con Dio: Eleemosyna est ars omnium artium
quaestuosissima.5 E S. Maria Maddalena
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de' Pazzi dicea
ch'ella trovavasi più contenta nel tempo che sovveniva il prossimo, che quando
era sollevata in contemplazione; e ne adducea la ragione, dicendo: Quand'io sto in contemplazione, Dio aiuta
me; ma quando sto soccorrendo il prossimo, io aiuto Dio.6 Giacché
in verità il nostro Salvatore dichiarò che quello che noi facciamo al prossimo,
lo facciamo a lui stesso.7 Ma in far ciò, voi non dovete pretendere
dalle vostre sorelle alcuna ricompensa o ringraziamento; anzi rallegratevi, se
in vece di ringraziamenti ne ricevete disattenzioni
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e rimproveri,
perché allora farete doppio guadagno. È carità ancora il condiscendere a
qualche onesta dimanda che vi fa alcuna sorella. S'intende ciò nondimeno,
purché la cosa non apporti discapito al vostro profitto spirituale; per
esempio, se la sorella senza alcuna causa volesse che lasciaste le vostre
divozioni per restarvi a discorrere con lei per suo vano divertimento; in tal
caso meglio è che attendiate a' fatti vostri. La carità è ordinata, come disse
la Sposa de' Cantici: Ordinavit in me
caritatem (Cant. II, 4). E perciò non è carità quella che apporta qualche
danno allo spirito proprio o della vostra sorella.
3.
Il miglior atto poi di carità è l'aver zelo per lo bene spirituale de'
prossimi. Quanto lo spirito è più nobile del corpo, tanto più la carità che si
fa all'anima del prossimo è a Dio più accetta che quella che si fa al corpo.
Questa carità primieramente si esercita col correggere chi pecca. Chi converte un
peccatore, salva non solamente colui, ma anche se stesso, poiché Dio per quella
carità gli perdonerà tutt'i suoi peccati; così scrisse S. Giacomo (Ep. V,
20).8 All'incontro dice S. Agostino che chi vede che 'l prossimo si
perde, v. gr. coll'adirarsi verso del suo fratello, maltrattandolo con
ingiurie, e trascura di aiutarlo, si rende peggiore egli col tacere che colui
coll'ingiuriare: Tu vides eum perire et
negligis? Peior es tacendo, quam ille conviciando (De verb. Dom., serm. 16,
cap. 4).9 Né occorre scusarvi col dire che voi non sapete correggere;
il Grisostomo vi fa sapere che nel correggere vi bisogna più carità che
sapienza.10 Fate la correzione a tempo
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opportuno con carità e
dolcezza, e farete profitto. Se siete superiora, siete obbligata a farla per
officio; se poi non siete tale, siete obbligata per carità, sempre che ne
sperate frutto. Chi vedesse un cieco andare ad un precipizio, non sarebbe un
crudele se non l'avvertisse per liberarlo dalla morte temporale? Ma più crudele
e chi, potendo liberare la sorella dalla morte eterna, per negligenza lascia di
farlo. Se poi giudicate prudentemente che la vostra correzione non giovasse,
almeno procurate di avvisarne segretamente la superiora o altra che può darvi
rimedio. E non istate a dire: Ma questo
non è officio mio, non mi voglio impacciare. Questa è risposta di Caino, il
quale similmente disse: Num custos
fratris mei sum ego? (Gen. IV, 9). Ciascuno è obbligato, potendo, di
liberare il prossimo dalla ruina: Et
mandavit illis unicuique de proximo suo (Eccli. XVII, 12).
4.
Dicea S. Filippo Neri che quando si tratta di aiutare il prossimo, specialmente
nelle sue necessità spirituali, Dio si contenta che anche lasciamo l'orazione,
se bisogna.11 Un giorno S. Geltrude desiderava trattenersi ad orare, ma
v'era un'opera di carità da fare, e perciò il Signore le disse: Dimmi,
Geltrude, che cosa vuoi? vuoi ch'io serva a te, o vuoi tu servire a me? (Vita
cap. 5).12 Dicea S. Gregorio: Si
ad Deum tenditis, curate ne ad Deum
soli veniatis (Hom. 6, in Ev.).13
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Lo
stesso dicea S. Agostino: Si amatis Deum,
rapite omnes ad amorem Dei (In
Ps. XXXIII).14 Pertanto, se voi amate Dio, dovete procurare di non
esser sola ad amarlo, ma di tirar tutti al suo amore, tutt'i vostri parenti,
tutte le persone con cui trattate, e sovra tutto le vostre sorelle. Eh che una
monaca santa può santificare tutto il suo monastero, e colle parole e col suo
buon esempio, facendo i suoi esercizi divoti anche a questo fine, d'indurre
l'altre a far lo stesso ch'ella fa. Né abbiate voi in ciò scrupolo di
vanagloria: quelle azioni che non hanno dello straordinario, ma convengono ad
ogni religiosa che attende alla perfezione, secondo il suo obbligo, debbon farsi
anche a tal fine di dar buon esempio e di tirare le sorelle più a Dio: Sic luceat, disse Gesù Cristo, lux vestra coram hominibus, ut videant opera
vestra bona, et glorificent Patrem vestrum qui in caelis est (Matth. V,
16). Il farvi dunque vedere divota, mortificata, osservante delle regole,
applicata all'orazione, a comunicarvi spesso, affin di dar buon esempio
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all'altre, non è atto di vanità, ma atto di carità molto grato a Dio.
5.
Cercate pertanto di aiutar tutti, quanto potete, colle parole, colle opere e
specialmente ancora colle orazioni. Tutte le spose di Gesù Cristo debbono
zelare il suo onore, come egli stesso disse a S. Teresa, quando la dichiarò sua
sposa: Deinceps, ut vera sponsa, meum
zelabis honorem (In festo, noct. 2).15 Se una sposa di Gesù Cristo
non prende le sue parti, chi l'ha da prendere? Insegnano molti dottori,
coll'autorita' di S. Basilio, che la promessa fatta da nostro Signore di
esaudire chi lo prega - Amen dico vobis
si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23) - non
solamente vale per la persona che prega, ma anche per tutti gli altri per cui
prega, purché essi non vi mettano positivo impedimento.16 Posto ciò,
voi non lasciate mai nell'orazione comune, nel ringraziamento dopo la
comunione, e nella visita al SS. Sacramento, di raccomandare a Dio i poveri
peccatori, gl'infedeli, gli eretici e tutti gli altri che vivono senza Dio. Oh
quanto piace a Gesù Cristo l'esser pregato dalle sue spose per li peccatori!
Egli medesimo disse un giorno alla Ven. Suor Serafina da Capri: Aiutami, figlia mia, a salvare anime colle
tue orazioni.17 Similmente disse a S. Maria Maddalena de' Pazzi: Vedi,
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Maddalena, come i Cristiani stanno nelle mani del demonio? Se i miei eletti
colle orazioni non li liberassero, resterebbero divorati.18 Quindi
dicea la santa alle sue monache: Sorelle,
Dio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora
perché lo pratichiamo a favore de' peccatori.19 Ed un'altra volta
disse loro: Sorelle, noi abbiam da
rendere conto per tante anime perdute; se noi le avessimo raccomandate
caldamente a Dio, forse non si sarebbero dannate.20 Quindi leggesi
nella sua Vita che la santa non lasciava
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passare ora del giorno, in
cui non pregasse per li peccatori.21 Quell'altra gran serva del
Signore, Suor Stefana da Soncino, per quarant'anni fece aspre penitenze, e
tutte l'applicò per li peccatori.22 Oh quante anime alle volte si
convertono non tanto per le prediche de' sacerdoti, quanto per le orazioni de'
religiosi! Fu rivelato ad un predicatore che 'l frutto ch'egli facea, non era
effetto delle sue prediche, ma delle orazioni d'un fraticello che gli assisteva
al pulpito.23 Nello stesso tempo non lasciate di pregare anche per li
sacerdoti, acciocché attendano con vero zelo alla salute dell'anime.
6.
Non lasciate ancora di pregare per l'anime del purgatorio. La santa carità non
solo ci consiglia, ma ancora ci obbliga, come dice un dotto autore, a pregare
per quelle anime
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sante, che hanno molto bisogno delle nostre
orazioni.24 Insegna S. Tommaso che la carità cristiana si estende non
solo a' vivi, ma ancora a tutti coloro che sono morti in grazia.25
Ond'è che siccome noi siam tenuti di soccorrere i prossimi viventi, che han
bisogno del nostro aiuto, così anche siamo obbligati a soccorrere quelle sante
prigioniere. Elle patiscono tali pene che, come dice l'Angelico, sorpassano
ogni pena di questa vita;26 ed all'incontro stanno in necessità del
nostro soccorso, poiché da per loro non possono aiutarsi, siccome dichiarò un
certo monaco cisterciense defunto, il quale comparendo al sagrestano del suo
monastero, gli disse: Aiutatemi colle
vostre orazioni, mentre io da per me niente posso ottenere (Istor.
dell'Ord. cist.).27 E se tutti i fedeli debbono aiutar
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quelle
sante anime, tanto più son tenute a soccorrerle colle loro orazioni le
religiose, le quali stan poste da Dio ne' monasteri, che tutti son case di
orazione. Non lasciate voi dunque ogni giorno in tutte le vostre orazioni di
raccomandare ancora a Dio quelle sue spose, che vi domandano aiuto. Non vi
rincresca ben anche di offerire per esse qualche digiuno o altra mortificazione.
Sovra tutto applicate loro le Messe che udite, poiché questo è un gran
suffragio per quell'anime sante, che non sanno esserci ingrate anche da quella
carcere, in ottenerci grazie grandi da Dio; e meglio poi lo faranno allorché
giungeranno al paradiso.
7.
Da tutto ciò che si è detto già vedete quanto v'è necessaria la virtù della
carità per farvi santa, ed anche per salvarvi. Questa carità dovete usarla con
tutti i vostri prossimi, ma specialmente colle vostre sorelle del monastero. Se
voi abitaste in un deserto, questa virtù non vi sarebbe tanto necessaria:
stando sola in quella solitudine, vi basterebbe a farvi santa l'attendere
solamente all'orazione ed alla penitenza: ma stando nel monastero in compagnia
di tante vostre sorelle, se non avete una gran carità, farete mille difetti
ogni giorno, e forse anche vi perderete. Se si trovasse una nave in mezzo al
mare ed in tempo d'una gran tempesta, i passaggieri non penserebbero ad altro
che ad aiutarsi gli uni cogli altri, per liberarsi dal naufragio. Così
figuratevi che 'l Signore vi abbia poste in codesto monastero come in una nave,
ove dovete soccorrervi l'una coll'altra, per liberarvi dal naufragio della
morte eterna, e per giungere al paradiso, dove poi sperate di stare unite in
eterno a lodare Dio.
8.
Specialmente attendete ad aver carità colle sorelle inferme, sieno coriste o
converse. Il P. D. Antonio Torres era
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solito dire: Se volete conoscere se in una comunità vi è
spirito di Dio, dimandate come sono trattati gl'infermi. Perciò egli quando
era superiore, benché fosse di natura piacevole, nulladimeno quando vedeva che
si mancava alla carità cogl'infermi, mortificava severamente chi ne avea la
cura.28 Oh quanto piace a Dio la carità che s'usa cogl'infermi! Tutte
le religiose che attendono alla perfezione, se la fanno spesso o nel coro o
nelle stanze dell'inferme. S. Maria Maddalena de' Pazzi, anche quando non avea
l'officio d'infermiera, non lasciava mai, sempre che poteva, di assistere e
servire le inferme; e diceva che avrebbe desiderato di star sempre in qualche
spedale per far sempre quest'officio così caro a Dio.29 Avvertasi che
il merito in servire le inferme è molto maggiore che in servire le sane;
primieramente perché l'inferme hanno maggior bisogno di essere assistite, alle
volte si trovano abbandonate dall'altre, si trovano tormentate da' dolori, da
malinconie, da' timori; oh come piace a Dio il cercare di consolarle ed
aiutarle in quello stato di afflizione! Inoltre vi è più merito, perché nel
servire le inferme si trova maggior incomodo: nelle loro stanze per lo più vi è
puzza e malinconia. Pertanto voi, sorella mia, non lasciate, quando potete, di
visitar le inferme, ancorché sieno le converse più abbiette del monastero: anzi
queste sieno da voi più assistite, perché ordinariamente queste sono più
abbandonate, specialmente quando le loro infermità vanno a lungo. Consolatele,
servitele, portate anche loro qualche regaluccio; e non cercate ringraziamenti,
ma soffrite i loro lamenti, le loro impazienze e rozzezze; tanto più il Signore
vi rimunererà le carità che loro usate. Si narra nelle Croniche teresiane che
la Madre Suor Isabella degli Angeli in morte fu veduta salir diritto al
paradiso, portata dagli angeli in mezzo ad una gran luce; ed allora ella disse
a quella religiosa a cui comparve, che Dio
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l'avea donata quella
gloria sì grande per la carità usata coll'inferme.30
9.
Sopra tutto finalmente vi raccomando la carità colle sorelle che vi son contrarie.
- Io son grata, dice quella monaca, con chi si porta bene con me; ma non posso
sopportare ingratitudini. Ma anche gl'infedeli, dice Gesù Cristo, sanno
essere grati con chi loro fa bene: la virtù d'un cristiano consiste nel voler
bene e far bene a chi ci odia e ci fa male: Ergo
autem dico vobis: Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos: et
orate pro persequentibus et calumniantibus vos (Matth. V, 44). Che orrore
poi sarà il vedere una religiosa, che fa l'orazione ogni giorno, si comunica
spesso, e tuttavia conserva il rancore verso qualche sorella! e non si vergogna
anche di dimostrarlo! quando ne sente parlare, cerca di discreditarla, sempre
che può! se l'incontra, non la saluta! se quella le parla, le volta le spalle!
Ma ella volta le spalle alla sorella, e Dio volta le spalle a lei. Pensate come
l'Agnello divino guarderà queste tigri d'inferno. Ma povera ed infelice quella
monaca che vive nel monastero con qualche odio nel cuore! Patirà la misera un
inferno di là ed un inferno di qua, patendo anche in questa vita la pena de'
dannati, essendo costretta a viver sempre con una che non può vedere.
10.
Ma, padre mio, replica, questa sorella e
troppo impertinente, non si può proprio sopportare. Ma qui sta la virtù
della carità, a sopportare colei ch'è insopportabile. Ella vi discredita, ella
attraversa i vostri disegni, vi toglie anche la fama; e voi, come niente ne
sapeste, dovete farvi forza a
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non dimostrarle minimo allontanamento o
freddezza; parlatele con serenità, sempre ch'occorre; e s'ella si dimostra
alienata da voi, voi prevenitela nel salutarla, e cercate di guadagnarla colla
dolcezza. Il far ciò non è viltà, ma è l'azione più grande che potete fare,
perché è cosa che molto piace a Dio. Né mi state a dire ch'ella non ha ragione
di far ciò; udite quel che dice S. Teresa: Colei
che non vuole portar la croce, se non fondata in ragione, se ne torni al mondo,
dove queste ragioni le saran fatte buone.31 La ragione che in voi
dee prevalere, è di praticar la carità per dar gusto a Dio, ancorché ne abbiate
a crepar di pena.
11.
Se poi quella sorella di più s'è avanzata a farvi qualche danno positivo,
vendicatevi, ma colla vendetta de' santi. Qual'è la vendetta de' santi? Ve la
fa sapere S. Paolino: Inimicum diligere
vindicta caelestis est:32 Con amare, lodare e far bene a chi loro
ha fatto male, si son vendicati i santi. S. Caterina da Siena, ad una donna che
l'avea infamata nell'onestà, ella andò ad assisterla per molto tempo, mentre
colei stiè inferma, come una serva.33 S. Acaio vendé le sue robe per
soccorrere uno che gli avea tolta la stima.34 S. Ambrogio ad un sicario
che gli aveva insidiata la vita, gli fe' un assegnamento per ogni giorno, con
cui quegli poté comodamente vivere.35 Venustano, governador della
Toscana, per causa della
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fede fe' troncare le mani a S. Sabino
vescovo, ma poi sentendosi il tiranno trafiggere da un gran dolore d'occhio, lo
pregò ad applicargli qualche rimedio; il santo fece orazione, ed alzando il
braccio ancor grondante di sangue, lo benedisse e gli ottenne la sanità; e con
quella anche la salute dell'anima, perché colui indi ravveduto si
convertì.36 S. Melezio, narra il Grisostomo, stando in carrozza col
governadore che lo portava in esilio, e vedendo che il popolo armato di pietre
voleva lapidare il governadore, esso gli stese le braccia sopra, e così
tenendolo abbracciato liberollo dalla morte.37 Narra di più il P.
Segneri (Crist. istr., p. I, disc. 20, n. 20) che in Bologna fu ucciso ad una
dama l'unico figliuolo che aveva; l'uccisore venne poi a salvarsi dalla corte
nella stessa casa di lei, ed ella che fece? lo nascose da' ministri della
giustizia, e poi gli disse: Orsù, giacché ho perduto il mio figlio, d'oggi
innanzi voi avete da essere il figlio mio e 'l mio erede: prendetevi intanto
questo danaro e salvatevi altrove, perché qui non istate sicuro.38 A
questi esempi mi dirà taluna: Ma questi
sono stati santi: io non ho questa forza. Vi risponda per me S. Ambrogio:
Se voi non avete questa forza, cercatela a Dio, ed egli ve la darà: Si infirmus es, ora; tu oras, et Deus
protegit.39
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12.
Chi perdona a chi l'ha offeso, sta sicuro d'esser perdonato da Dio, il quale
dice: Dimittite et dimittemini (Luc.
VI, 37). Dicea la B. Battista da Varano francescana: Se io risuscitassi i
morti, non sarei tanto sicura d'esser amata da Dio, quanto son sicura allorché
mi sento inclinata a far bene a chi m'ha fatto male.40 Inoltre disse il
Signore alla B. Angela da Foligno: Il più chiaro segno dell'amore scambievole
fra me ed i miei servi è l'amore ch'essi portano a chi l'offese.41
Pertanto voi, s'altro non potrete, almeno pregate e raccomandate caldamente a
Dio tutti coloro che vi hanno mai offesa e perseguitata, come vi comanda Gesù
Cristo: Orate pro persequentibus
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et calumniantibus vos.42 La B. Giovanna della Croce non
faceva altro che pregare per chi l'avea dato qualche disgusto; onde le suore del
suo monastero solean poi dire: Chi vuole le orazioni della madre Giovanna,
bisogna che le faccia qualche ingiuria.43 S. Elisabetta regina
d'Ungheria, avendo una volta pregato per chi l'aveva offesa, intese dirsi da
Dio: Sappi che non hai fatta mai preghiera a me più gradita di questa; e per
questa io ti perdono tutti i peccati tuoi.44 Praticate così ancora voi,
e vi acquisterete sicuramente il perdono e l'affetto del vostro divino sposo.
1
RIBERA, Vita, lib. 4, cap. 11.-
YEPES, Vita, lib. 3, cap. 26 (in fine).
2 «Itaque in Evangelio Dominus, doctor
vitae nostrae et magister salutis aeternae... nihil crebrius mandat et
praecipit quam ut insistamus eleemosynis dandis.» S. CYPRIANUS, Liber de opere et eleemosynis, n. 7. ML
4-607.
3 «Ei familiare erat omnibus omnia
ministrare, neque pati ut sibi ministraret aliquis; in eoque Christum
imitabatur, illius vestigia subsequens.» NICOLAUS CABASILAS, Archiep.
Thessalonicen., Encomium S. Theodorae, Viduae,
Sanctimonialis Thessalonicae, cap. 2, n. 10: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 5 aprilis.
4
«Le stesse monache affermano che ella sola durava più fatica, e faceva più, che
quattro Converse insieme.» PUCCINI, Vita,
Venezia, 1671; cap. 114.- Gli esercizi particolari della carità di questa
Santa, la loro molteplicità e continuità, recano stupore.- Vedi Appendice, 16.
5
«Ostendamus eleemosynam artem esse et omnium artium optimam. Nam si artis est
proprium in aliquid utile desinere, eleemosyna vero nihil est utilius, liquet
eam et artem esse et omnium artium praestantissimam. Non enim illa nobis
calceos parat, non vestimenta texit, non luteos domos construit; sed vitam
sempiternam conciliat, atque ex mortis manibus nos eripit, et in utraque vita
splendidos reddit, mansiones nobis caelestes exaedificat et illa aeterna
tabernacula...» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In
Matthaeum, hom 52 (al. 53), n. 3
(vedi pure i num. 4 e 5). MG 58-522 (e seg.).- In antiche edizioni (Parigi,
1581, Venezia, 1583, una almeno delle quali servì a S. Alfonso), tom. 5, gran
parte di questa omilia- pur trovandosi tra le omilie in Matthaeum. costituisce l' omilia 33 ad populum Antiochenum, e comincia così (interprete Bernardo Brixiano): «Eia, carissimi,
prius dicta resumamus et hodie, et ostendamus qualiter est ars omnium artium
quaestuosissima eleemosyna».- Per altro, non parla qui il Grisostomo della sola
limosina propriamente detta, ma di ogni opera di misericordia e carità verso il
prossimo: il che egli più espressamente espone in Acta Apostolorum, hom 25, n. 4: MG 60-196.- Questa medesima
sentenza (misericordiam artem esse pretiosissimam) svolge pure il Grisostomo
nell' omilia 49 (al. 50) in Matthaeum, n. 3, in fine, e 4. MG
58-500, 501; ove, tra altro, dice: «Discat... egenis largiri, melioremque illis
omnibus artem callebit. Nam haec est illis omnibus
artibus sublimio. Huius
officina in caelo structa est. Huius artis Christus doctor est
necnon eius Pater.... Non tempore vel labore opus habet ut exerceatur: sufficit
enim velle, et totum perfectum est.... Quis tandem finis illius est? Caelum et caelestia bona.»
6
«Teneva in tanto pregio l' aiutar le anime, che per cagion di quest' opere
stimava degno lasciare l' orazione ed ogni gusto spirituale; e più conto facea
di dare aiuto ad un' anima, che di tutti gli (sic) estasi ed eccessi di mente
che ella avesse potuto avere; e rendendo di ciò la ragione, diceva: «In quelli
io sono aiutata da Dio; ma sovvenendo il prossimo, io aiuto a Dio». PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 104.- «Ella
faceva queste cose per osservare quella regola datale da Gesù.... ch' ella
fosse sitibonda, come è il cervo dell' acque, d' esercitare per ogni tempo la
carità verso i prossimi, e non facesse stima della debolezza e stanchezza del
suo corpo.» La stessa opera, cap.
114.- «Diceva: «Io mi metterei a sopportare qualsivoglia cosa per il prossimo
mio, e specialmente per quietare e consolare un' anima; perchè il cuore
inquieto non dà vero riposo a Dio in sè, ed io non bramo altro che poter dare a
Dio le sue creature». La stessa opera, cap.
120.- «Per aiutare il prossimo ne' suoi bisogni, o spirituali o corporali, fu
sempre pronta a lasciar le sue orazioni, contemplazioni, ed ogni suo gusto
spirituale.... dicendo che lasciava Dio per Dio.» La stessa opera, cap. 114.
7 Amen
dico vobis, quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis. Matth. XXV, 40.
8
Qui converti fecerit peccatorem ab errore
viae suae, salvabit animam eius a morte, et operiet multitudinem peccatorum. Iac.
V, 20.
9
«Hoc ergo debet facere (veniam petere), qui fecit iniuriam. Qui autem passus est, quid debet? Quod audivimus hodie: Si peccaverit in te frater tuus, corripe eum
inter te et ipsum solum (Matth. XVIII, 15). Si neglexeris, peior es. Ille
iniuriam fecit, et iniuriam faciendo gravi se ipsum vulnere percussit: tu
vulnus fratris tui contemnis? Tu eum vides perire, vel perisse, et negligis? Peior es tacendo, quam ille
conviciando. Quando ergo in nos aliquis peccat, habeamus magnam curam, non pro
nobis: nam gloriosum est iniurias oblivisci; sed obliviscere iniuriam tuam, non
vulnus fratris tui. Ergo corripe eum
inter te et ipsum solum, intendens correctioni, parcens pudori.» S.
AUGUSTINUS, Sermo 82 (al. de verbis Domini, 16), cap. 4, n. 7.
ML 38-508, 509.
10
«Basilius (non già S. Basilio di
Cesarea, ma un condiscepolo del Grisostomo e suo principale amico, a cui
Grisostomo, intende dimostrare che abbia avuto ragione sia di far ordinare l'
amico vescovo, probabilmente di Rafanea, presso Antiochia, sia di fuggire egli
stesso il medesimo onore): «An ad proximorum emendationem vim caritatis satis
esse putas? Chrysostomus: Maxime
quidem et magna ex parte ad id conferre caritas possit. Quod si velis ut
prudentiae quoque tuae specimina proferamus, ad id quoque me conferam,
ostendamque te magis prudentia valere.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De sacerdotio, lib. 2, n. 6. MG 48-638.
11
«Quando poi in questi tempi (di orazione) fosse stato chiamato, subito calava a
basso a dar sodisfazione a chi l' avea fatto chiamare, dicendo, che questo non
era lasciar propriamente l' orazione, ma sì bene lasciar Cristo per Cristo; il
che egli dichiarava non esser altro, che privarsi de' gusti spirituali per
guadagnar anime a Cristo; e finito ch' aveva di trattar quel tanto perchè era
stato chiamato, ritornava di sopra, e seguitava le sue meditazioni. Nè per
questo, come esso diceva, si sentiva niente distratto, ma sì bene, per aver
trattato opere di carità, sentivasi maggiormente infiammato e raccolto.» BACCI,
Vita, lib. 2, cap. 5, n. 6.
12
Vedi Appendice, 17.
13 «Alius, doctrina veritatis plenus,
audientium mentes inebriat. Per hoc ergo quod dicit, profecto phialam porrigit.
Alius explere quod sentit non valet, sed quia hoc utcumqe denuntiat, profecto
per cyathum gustum praebet... Si per doctrinae sapientiam ministrare phialas minime potestis, in
quantum pro divina largitate sufficitis, proximis vestris boni verbi cyathos
date. In quantum vos profecisse pensatis, etiam vobiscum alios trahite, in via
Dei socios habere desiderate. Si quis vestrum, fratres, ad forum aut fortasse
ad balneum pergit, quem otiosum esse considerat ut secum veniat invitat. Ipsa
ergo terrena actio vestra vos conveniat, et si ad Deum tenditis, curate ne ad
eum soli veniatis. Hinc enim scriptum est: Qui audit, dicat: Veni (Apoc. XXII, 17); ut qui iam in corde vocem
superni amoris acceperit, foras etiam proximis vocem exhortationis reddat. Et
fortasse panem, ut indigenti eleemosynam porrigat, non habet; sed maius est
quod tribuere valeat, qui linguam habet. Plus enim est verbi pabulo victuram in
perpetuum mentem reficere, quam ventrem moriturae carnis terreno pane satiare.
Nolite ergo, fratres, proximis vestris eleemosynam verbi subtrahere.» S.
GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in
Evangelia, hom. 6, n. 9. ML 76-1098.
14 Magnificate
Dominum mecum. Nolo solus magnificare, nolo solus amare, nolo solus
amplecti. Non
enim si ego amplexus fuero, non habet alius ubi manus ponat. Latitudo tanta est
in ipsa Sapientia, ut omnes animae amplectantur et perfruantur. Et quid dicam, fratres? Erubescant qui sic amant Deum, ut invideant aliis.
Aurigam perditi homines amant, et quisquis amaverit aurigam aut venatorem (cioè
qualcuno di quei che conducevano i carri o si offrivano a combattere colle
belve nei giuochi pubblici), vult ut totus populus cum illo amet; et hortatur,
et dicit: Amate mecum illum pantomimum, amate illam mecum et illam
turpitudinem... Clamat ille in populo, ut ametur cum illo turpitudo: et
christianus non clamat in Ecclesia, ut ametur cum illo veritas Dei! Excitate
ergo in vobis amorem, fratres, et clamate unicuique vestrorum, et dicite: Magnificate Dominum mecum. Sit in vobis
iste fervor. Quare vobis recitantur ista, et exponuntur? Si amatis Deum, rapite
omnes ad amorem Dei qui vobis iunguntur, et omnes qui sunt in domo vestra: si
amatur a vobis corpus Christi, id est unitas Ecclesiae, rapite eos ad fruendum,
et dicite: Magnificate Dominum mecum.» S.
AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. XXXIII, sermo
2, n. 6. ML 36-311.
15 BREVIARIUM ROMANUM, die 15 octobris,
lectio 5.- «Estando en la Encarnaciòn el segundo año que tenia el priorato,
Otava de San Martin (a mediados de noviembre de 1572)... representòseme (Su Majestad)
por visiòn imaginaria, como otras veces, muy en lo interior, y diòme su mano
derecha, y dijome: «Mira este clavo, que es se ñal que seràs mi esposa desde
hoy. Hasta
ahora no lo habias merecido; de aqui adelante, non sòlo como Criador y como Rey
y tu Dios miraràs mi honra, sino como verdaderaesposa mia. Mi honra es ya tuya
y la tuya mia.» S. TERESA, Las
Relaciones, Mercedes de Dios, XXXV. Obras,
II, 63, 64.
16
«Ad communionem precum omnes adiunge. Magnum enim est eorum qui Deum
placare possunt auxilium.» S. BASILIUS MAGNUS, Epistola 174,
ad viduam. MG 32-651.- Sermones XXIV,
per Simeonem Metaphrasten ex S.
Basilii operibus selecti, sermo 9, n. 2. MG 32-1239.- «Hoc itaque tibi notum
sit, frater, non Christi praesentia, sed petentis fide liberatum fuisse
aegrotantem (filium centurionis). Ita et nunc precante te in quo fueris loco,
et aegroto credente se precibus tuis adiutum iri, evenient illi omnia ex
sententia.» Epistola 42, ad Chilonem
discipulum suum, n. 2 (in fine). MG 32-351.- Nella Praevia institutio ascetica (MG 31, col. 619-626), S. Basilio fa
più allusioni alla potenza d' intercessione del monaco presso Dio, e, verso la
fine (n. 3, col. 626), invita i parenti a consacrare i loro figli e le loro
figlie al Signore, dicendo che troveranno in essi «apud Christum patronos
bonosque legatos ac deprecatores».
17
«Circa 4 anni prima, alii 11 di febraio 1652, pur dopo la santa comunione,
nella quale le aveva dato il Signore a gustare, com' ella dice, inesplicabili
consolazioni di paradiso; ella mossa da affetto di gratitudine pregò Gesù
Cristo a manifestare che avrebbe dovuto fare per dargli gusto. E si compiacque
risponderle con interna locuzione: «Aiutami alla salute delle anime con
orazioni; e quel desiderio che senti della salute di quelle, io te l' ho dato.
Compatiscimi perchè ho fatto tanto per quelle, e mi sono fatto uomo
sconosciuto.» «E queste parole me le diceva con grande afflizione, e io sono
rimasta tanto consolata, che mi pare avere il paradiso dentro di me, e non
guardo il cielo nè altro luogo per trovare Gesù Cristo mio sposo, ma solo il
mio cuore, nel quale vivamente lo sento.» Vita
della Ven. Madre Suor Serafina di Dio (detta da Capri, ove morì e fu
sepolta), fondatrice di sette monasteri dell' Ordine Carmelitano; proseguita e
data alla luce dal P. Tommaso PAGANI,
della medesima Congregazione (direttore spirituale di S. Alfonso, prima della
fondazione del suo Istituto). Lib. 1, cap. 15, pag. 111, n. 17, Napoli,
Roselli, 1723.
18
«Vedi, vedi, figliuola, come gli uomini per la loro malvagità stanno nelle mani
del demonio. Guarda come il demonio tiene la bocca aperta per divorarli. Onde
se i miei eletti con le loro orazioni non gliene cavassero dalle mani,
sarebbero divorati da quello, perocchè da loro lo provocano a tale
divorazione.» PUCCINI, Vita, Venezia,
1671, cap. 101; Firenze, 1611, parte 4, cap. 12, pag. 244.
19
«Spesso diceva alle Sorelle: «..... Noi non abbiamo a render conto a Dio solo
delle opere cattive che avremo commesse, ma ancora delle buone tralasciate, che
avremmo potuto fare. Dio non ci ha separate dal mondo perchè solo siamo buone
per noi, ma perchè aiutiamo le anime con le orazioni e penitenze, e lo
plachiamo, contro de' peccatori adirato: questa è la nostra parte.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 98.-
«Scorgendo talora nelle sue estatiche contemplazioni esser le creature
imperfette e macchiate di colpe, mossa da eccessivo zelo dell' altrui salute,
amaramente piangendo diceva: «O s' io fossi stata nell' orazione fervente, s'
io avessi avuto raccoglimento in me stessa o altre simili cose avessi fatto;
certo che Iddio m' avrebbe illuminata altrimenti, che non ha potuto fare per i
miei difetti, onde io avrei tenuto quei mezzi per impetrar lume a queste anime,
che non sarebbono in così misero stato.» Raddoppiava ella perciò le preci a sua
Divina Maestà ed esortava le sue figliuole spirituali a porger sempre a Dio
calde preghiere per la salute delle anime e conversion dei peccatori,
avvengachè - com' ella dicea- è molto grato a Dio questo esercizio e
profittevole per la propria salute.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 31, pag. 342.
20
«Altre volte diceva....: «Noi, Sorelle, abbiam a render conto a Dio, che tante
anime oggi ardono nell' inferno: che se voi ed io fossimo state ferventi a fare
orazione, ed offerire il Sangue di Gesù per loro, e raccomandarle con caldo
affetto a Dio, egli si sarebbe forse placato, e non sarebbero in quelle pene.»
PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap.
98.- Cf. PUCCINI, Vita, Firenze,
1611, parte 1, cap. 54, pag. 76.
21
«In un ratto.... disse: Desiderium
animarum tuarum comedit me.... e poco appresso soggiunse....: Conserva me, Domine, quoniam in desiderio animraum consumpta est anima
mea (cf. PUCCINI, Vita, Firenze,
1611, parte 4, cap. 23 bis, pag. 291). E quelle che più intrinsecamente con lei
conversarono, dicono che questo desiderio era in lei così continuo, che non
passava quasi mai ora, che ella con qualche parola o azione non lo
manifestasse, nè per qualsivoglia esercizio lo perdeva di memoria.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 98.
22
Vita della B. Suor Stefania Quinzani, dell'
Ord. di S. Domenico, fondatrice del monastero di S. Paolo di Soncino- data in
luce da Suor Felice CORONA TINTI, Crema, 1658.- Cap. 13: «S' impiegò tutto il
tempo di sua vita nel sovvenire alle creature che se ne stavano in pericolo»
(per la salvezza dell' anima).- Cap. 14: «Servò per lo spazio di trent' anni e
più l' esempio di S. Domenico.... il quale ogni notte si flagellava tre
volte... Così faceva anch' essa.... disciplinandosi una volta per i peccati
propri, un' altra per.... i peccatori, e la terza per le povere anime del
purgatorio.» - Cap. 21: «Ogni venerdì pativa qualche tormento della Passione di
Cristo, anzi la maggior parte, perseverando nel patire per lo spazio di anni
41. Cominciò d' età di 32 anni, e sempre fino al fine di sua vita.» Morì ai 2
di gennaio 1530, un mese prima di compiere i 73 anni.
23
Anche il MONSABRE', O. P., ricorda questo fatto, veramente «commovente» per chi
ne sa intendere il profondo significato. «Era lui (l' umile fratello converso)
che commovea il cielo per ottenere la conversione dei peccatori: era la
comunione dei santi, che per mezzo di quest' uomo oscuro e forse sprezzato,
determinava il movimento delle grazie straordinarie, che si attribuiva allo
zelo apostolico e alla eloquenza dell' oratore. Miracolo commovente, che mi sta
sempre dinanzi al pensiero e che mi fa sempre cercare nella Chiesa l' anima
ignota, della quale io non sono che l' umile collaboratore.» Esposizione del dogma cattolico, VII,
Quaresima 1880, conferenza 60, La
comunione dei Santi, versione italiana di Mgr Bonomelli, Torino, 1886, pag. 293, 294.
24
Probabilmente allude qui S. Alfonso al P. Carlo
Gregorio ROSIGNOLI, S. I., ed alla sua opera intitolata Meraviglie di Dio nelle anime del
Purgatorio. Opere, I, Venezia, 1713, pag. 701 e seg. Il primo pensiero
svolto nell' Introduzione della Parte prima, p. 707, è questo: esser
obbligo di carità di sovvenire quelle anime, per l' estrema necessità in cui si
trovano.
25
«Caritas, quae est vinculum Ecclesiae membra uniens, non solum ad vivos se
extendit, sed etiam ad mortuos qui in caritate decedunt.» S. THOMAS, Sum. Theol.,
Supplementum 3ae partis, qu. 71, art. 2, c.
26
«In purgatorio erit duplex poena: una damni, inquantum scilicet retardantur a
divina visione; alia sensus, secundum quod ab igne corporali punientur. Et
quantum ad utrumque poena purgatorii minima excedit maximam poenam huius vitae.
- Quanto enim aliquid magis desideratur, tanto eius absentia est molestior. Et
quia affectus quo desideratur summum bonum, post hanc vitam in animabus
sanctis, est intensissimus, quia non
retardatur affectus mole corporis; et etiam quia terminus fruendi summo
bono iam advenisset nisi aliquid impediret; ideo de tardatione maxime dolent.-
Similiter etiam, cum dolor non sit laesio, sed laesionis sensus (Topic. lib. 6, cap. 6, n. 27), tanto
aliquid magis dolet de aliquo laesivo, quanto magis est sensitivum: unde
laesiones quae flunt in locis maxime sensibilibus, sunt maximum dolorem
causantes. Et quia totus sensus corporis est ab anima, ideo, si in ipsam animam
aliquod laesivum agat, de necessitate oportet quod maxime affligatur. Quod
autem anima ab igne corporali patiatur, hoc ad praesens supponimus..... Et ideo
oportet quod poena purgatorii, quantum ad poenam istius vitae.» S. THOMAS, Quaestio de purgatorio,
art. 3, c. Appendix ad Supplementum 3ae partis Summae
Theol., seu, in IV Sent., dist.
21, qu. 1.
27 «Monachus quidam Cisterciensis
ordinis, religiosa admodum conversatione vitam suam (consummavit)... Quo
defuncto sacrista domus illius nocte quadam... vigilans sedebat... cum ecce
spiritus eiusdem fratris tamquam..... corpore vestitus, repente astitit coram
ipso, sicque... allocutus est eum: «Domine sacrista, ego sum ille frater nuper
defunctus... Licet per gratiam Dei vigilanter satis in observantiis Ordinis
maipsum exercerem, in uno tamen graviter deliqui: quod scilicet sacrum diaconatus
ordinem carnaliter concupivi, et ut ad hunc honoris gradum ascendere, sine
respectu timoris Dei valde inquietus fui... Absque condigna poenitentia huius delicti de corpore
exivi, quia nec tanti ponderis hoc fore putabam, quanti post mortem inveni. Sed
pius Dominus idcirco nunc me tibi apparere concessit, quantenus qui iam per
meipsum mereri nihil possum, fratrum nostrorum.... orationibus
debeam adiuvari...» Verum sacrista... cum esset homo maturi consilii, ipso die nemini,
quidquam super hoc verbo locutus est... Nocte vero sequenti.... idem defunctus
sicut antea vigilanti apparuit, dixitque ei: «.....O si scire posses quam
gravis est iam minima poena animae carne solutae, profecto non iam negligenter
ageres, sed totis viribus succurrere satageres.....» Exordium magnum Cisterciense, dist. 5,
cap. 7. ML 185-1133, 1134.
28
«Era solito dire: «Se volete conoscere se in una comunità vi è spirito di Dio,
dimandate come sono trattati gli infermi. Se vi è carità cogli infermi, vi è
spirito di Dio.».... Si è detto altrove quanto egli fosse di natura piacevole e
dolce: e pure da coloro che 'l praticarono a noi vien riferito, che quando
vedeva che si mancava cogli infermi, mortificava severamente chi ne aveva la
cura: anzi non mai acceso di zelo più fervido e più severo si fè vedere, che
quando le mancanze puniva degli infermieri.» Lod. SABBATINI d' Anfora, Vita,
lib. 3, cap. 8.
29
PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap.
120.- Vedi Appendice, 16.
30
«All' istessa ora che morì (in Salamanca, a' 13 di giugno 1574), stava la sua
grand' amica e compagna Maria di S. Francesco nel suo convento di Medina del
Campo accomodando la custodia del SS: Sagramento in compagnia d' altre
religiose. Le venne di repente un sì grande raccoglimento interiore, che per
non essere da quelle notata se n' andò ad una tribuna. Crebbe di maniera,
che... restò quasi priva de' sensi, e vidde Suor Isabella con una preziosa
corona di fiori in capo, ed una palma virginale in mano, e tutto il corpo
trasparente di color di madreperla, e che due Angeli la sostentavano su le
spalle. E dissele, che tutta quella gloria le era stata data per la carità, che
aveva esercitata con l' inferme, e per la pazienza, con la quale aveva
sopportati molti scrupoli e travagli interiori..... Il che tutto afferma con
giuramento l' istessa Madre Maria di S. Francesco nella deposizione che fece
per la canonizzazoine della N. S. M. Teresa.» FRANCESCO DI SANTA MARIA, Riforma de' Scalzi di N. S. del Carmine, I,
lib. 3, cap. 29, n. 7.
31
«La que no quisiere llevar cruz, sino la que le dieren muy puesta en razòn, no
sè yo para qué està en el monesterio; tòrnese al mundo adonde aun no le
guardaràn esas razones.» S. TERESA Camino
de perfecciòn, cap. 13. Obras, III,
63.
32
«Vinci videtur in hoc saeculo, cui tunicam suam alter abstulerit: at in Christo
triumphat, qui tunicam auferenti remittit et pallium. Vicem iniuriae reddere
humana ultio est: at inimicum etiam diligere, vindicta caelestis est.» S.
PAULINUS, Epistola 24, ad Severum, n.
17. ML 61-296.
33
B. RAIMONDO DA CAPUA, Vita, parte 2,
cap. 4, n. 9 e seg.
34
Vi sono vari santi col nome di Acaio, ma chi sia quello che ha fatto l' atto
eroico al quale accenna S. Alfonso, non sappiamo.
35
«Promittebat (imperatrix Iustina).... diversas.... dignitates iis qui illum
(Ambrosium) de ecclesia raptum, ad exsilium perduxissent. Quod cum multi
conarentur... unus.... nomine Euthymius in tantum furorem excitatus est, ut
iuxta ecclesiam sibi domum pararet, atque in eadem carrum constitueret, quo
facilius raptum, superpositum carpento ad exsilium perduceret. Sed.... post annum.... eodem die quo illum rapere se arbitrabatur, in eodem carpento
impositus, de eadem domo ipse ad exsilium destinatus est... Cui non minimum
solatii sacerdos (Ambrosius) praebuit, dando sumptus, vel alia quae erant
necessaria.» Vita S. Ambrosii, Mediolanensis
Episcopi, a PAULINO eius notario ad beatum Augustinum conscripta, n. 12. ML.
14-31.
36
«Venustianus (praeses Tusciae) cum furore iussit ut praecidentur ei (Sabino
episcopo) manus... Serena vero, christianissima vidua... adduxit ad eum
(Sabinum) in carcerem nepotem suum Priscianum, qui erat caecus. Tum S. Sabinus truncas manus super oculos eius posuit, et in fide Christi,
oratione facta, illuminavit.... Quod cum nunciatum esset Venustiano praesidi.
indoluerant enim ei oculi, et prae dolore neque cibum, neque potum, neque
somnum capere poterat- misit uxorem suam, et duos filios, ut adducerent beatum
Sabinum ad domum eius... Prostravit se ad pedes eius Venustianus... uxorque
eius et filii... rogantes se baptizari. Moz baptizatus.... nullum dolorem
oculorum sensit. Nunciatum est autem hoc Maximiano.... Lucius tribunus...
beatum Venustianum cum uxore et filiis necavit in civitate Assisina; sanctum
vero Sabinum adduxit in civitatem Spoletum, et tamdiu praecepit caedi, donec
deficeret.» SURIUS, De probatis Sanctorum
historiis, die 30 decembris.
37 «Cum praeses civitatis curru vectus
exiret per medium forum, sedente ad latus sancto viro, lapides nive crebriores
undique in caput praesidis ferebantur, civitate illam non ferente
separationem.... Quid ergo tunc fecit ille beatus? Cum vidisset iactus lapidum,
complexis suis vestibus ontexit caput praesidis: simul et inimicos pudore
afficiens ob insignem mansuetudinem, et suos docens discipulos, quantam
ostendere oporteat patientiam in eos, qui iniuria afficiunt.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, Homilia encomiastica in S. Meletium, Archiepiscopum
Antiochenum, n. 2. MG 50-517.
38
Il cristiano instruito nella sua legge, parte
1, ragionamento 20, n. 20.
39 «Etsi infirmus es, ora; etsi fortis
es, ora. Infirmus
pro te oras, fortis pro inimico tuo oras. Bonum
scutum infirmitatis, oratio: tu oras, et Dominus te protegit. Bonum scutum
etiam triumphantis, ut inimicum tuum, quem possis ferire, defendas.» S.
AMBROSIUS, Enarratio in Ps. XXXVIII, p.
11. ML 14-1044.
40
«La qual serva di Gesù (la Beata parla di se stessa) nelle sue.... orazioni
solea, esclamando al Signore, spesse fiate dire: «O Dio mio clementissimo, se
tu mi rivelassi tutti li secreti del tuo secretissimo Cuore, e si mi mostrassi
ogni giorno tutte le gerarchie angeliche, e se ogni giorno suscitassi morti,
non ti credere che per quello io mi creda che tu mi ami d' infallibile amore;
ma quando sentirommi avere grazia di perfetto cuore, far bene a chiunque mi fa
male, dir bene, e lodare senza condizione di mente, di chi so io che dice male
di me e che a torto mi biasima: allora, Padre eterno clementissimo, crederò per
questo segno infallibile ch' io ti sono vera figlia, confortandomi col tuo
dilettissimo Figliuolo Gesù Cristo crocifisso, unico bene dell' animamia, il
quale essendo in croce ti pregò per li suoi crocifissori.» Vita spirituale della B. Battista Varana, (+1527) Principessa di
Camerino, Monaca dell' Ordine di S. Chiara, cap. 26: B. CIMARELLI, Croniche dell' Ordine de' Frati Minori, parte
4, vol. 2.
41
Avendo la Beata domandato un segno sensibile di non esser nell' illusione, le rispose
Nostro Signore: «Ego... dabo tibi signum melius quam illud quod tu quaeris;
quod signum erit tecum continue intus in anima tua, et quod semper senties.
Signum autem erit istud: tu semper eris fervens in amore et de amore Dei, et
illuminata cognitione Dei intus in te. Hoc autem signum sit tibi certissimum
quod ego sum, quia hoc signum non potest facere aliquis nisi ego; et hoc est
signum quod ego dimitto intus in anima tua, quod tibi est melius alio quod
petisti. Dimitto in te unum amorem de me, quo anima tua erit ebria, fervens et
calida assidue de me; ita quod tribulationes amore mei tolerabis; et si quis
tibi dixerit malum, vel fecerit, tu habebis in gratia, et clamabis te indignam
tali gratia. Istum enim amorem habui ego ad vos, qui fuit tantus, quod pro
vobis omnia sustinui patienter et cum humilitate. Tunc igitur cognosces quod
ego sum in te, si quando quis dixerit vel fecerit malum tibi, tu habeas non
solum patientiam, sed hoc habeas in magno desiderio et pro gratia; et hoc est
certum signum gratiae Dei.....» Soggiunge la Beata: «.... Desiderabam quod
totus mundus diceret mihi verecundiam, et quod mors inferretur mihi cum omni
tormento. Et erat mihi multum deleectabile rogare Deum pro illis qui mihi haec
omnia mala fecerent..... Paratissima igitur eram rogare Deum pro illis qui mihi
mala fecissent, et cum magno amore diligere eos, et eis compati.» B. ANGELAE FULGINATIS Vita et
opuscula. Scripsit V.
F. Arnaldus, eius confessarius. Pars 3, cap. 10, pag. 80, 81.
Fulginae, 1714.
42 Matth. V, 44.
43
La B. Giovanna della Croce (+ 3 maggio 1481- nella quale medesima festività
della Croce entrò in Religione, fece la solenne professione, e prese più tardi,
per ordine di Nostro Signore, la cura della riforma del monastero), fu
riformatrice e badessa di un monastero di Terziarie Francescane claustrali,
detto di S. Maria della Croce, nella diocesi di Toledo. Di questa Beata (così
vien chiamata da parecchi) vengono celebrate le virtù e le grazie
soprannaturali tanto dal VADINGO (Annales
Minorum, a. 1534, n. 39-67) quanto dal Mazzara
(Leggendario Francescano, 3 maggio) e dal Cimarelli (Croniche dell' Ordine dei Frati Minori, parte 4, lib.
2). Tutti e tre parlano della sua pazienza, sia nei primordi della sua vita
religiosa, allorchè «per essere giovinetta tutte le altre prendevano ardire
sopra di lei: ma la mansueta agnella a ciascheduna s' umiliava, e con quelle
che la schernivano dicea sua colpa, per quelle pregando che la perseguitavano e
le facevano oltraggio» (Cimarelli, l.
c., cap. 6); «sia quando fu deposta dall' ufficio di badessa, per una falsa
accusa mossa dalla vicaria, la quale le succedette: a questa non solo perdonò, ma prestò
umilissima ubbidienza, esortando le altre monache, sdegnate di tanta
ingiustizia, a sottomettersi al par di lei; oltre a ciò, ottenne alla
colpevole, colpita da Dio con malattia mortale, la grazia di pentirsi e di
morire in pace con Dio.» (Vadingo, l.
c., n. 60; Cimarelli, l. c., cap.
19). La Beata ebbe altri biografi, tra i quali il «dotto e prudente» Pietro Navarro (Waddingus, l. c., num.
67), il quale scrisse secondo le memorie lasciate da Suor Maria Evangelista, discepola della Beata.
44
(S. Elisabetta, figlia di Andrea II, re d' Ungheria, sposò Lodovico, lantgravio
di Turingia.) «Ricevendo questa serva di Dio, dopo che fu vedova, una grande
ingiuria, si mise in orazione, e lagrimando pregava Dio per gli ingiuriatori,
dimandandogli, che per ciascuna ingiuria fattale, avesse per bene concederle
una grazia per ciascuno.... Sentì una voce che le disse: «Mai facesti orazione
più grata a me di questa, con la quale m' hai trapassato le viscere, perilchè
ti perdono tutti i tuoi peccati, e la mia grazia ti dono.» MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1,
lib. 9, cap. 12.
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