- CAPO XIII - Della pazienza.
- § 1 - Della pazienza in generale
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CAPO
XIII - Della pazienza.
§ 1 - Della pazienza in
generale
1.
Patientia autem opus perfectum habet
(Iac. I, 4). La pazienza è un perfetto sagrificio che noi offeriamo a Dio,
perché nel patire le tribulazioni e le cose contrarie, noi non vi mettiamo
niente del nostro, se non che di accettare dalle sue mani quella croce che ci
manda. Melior est patiens viro forti
(Prov. XVI, 32): Chi patisce con pazienza è miglior dell'uomo forte. Taluno
sarà forte in promuovere e sostenere qualche opera pia, ma poi non avrà
pazienza in soffrir le avversità; meglio sarebbe per lui che fosse più forte
nella pazienza, che nell'opere che intraprende. Questa terra è luogo di meriti,
e perciò non è luogo di riposi, ma di fatiche e patimenti; poiché i meriti non
col riposo, ma col patire si acquistano; ed ognuno che vive quaggiù, o sia
giusto o peccatore, ha da patire. A chi manca una cosa, a chi un'altra: taluno
sarà nobile, ma gli mancano gli averi: un altro sarà ricco, ma gli manca la
nobiltà: un altro sarà nobile e ricco, ma gli manca la sanità. In somma tutti,
anche i sovrani, han da patire; anzi per costoro, perché sono più grandi nella
terra, più grandi ancora sono i loro travagli. Tutto dunque il nostro bene sta
in soffrir con pazienza le croci. Quindi ci avvisa lo Spirito Santo a non
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farci simili alle bestie, che si adirano, allorché non posson
giungere a contentare i lor propri appetiti: Nolite fieri sicut equus et mulus quibus non est intellectus (Psal.
XXXI, 9). Ed a che giova mai l'impazientarci nelle cose contrarie, se non a
render doppi i nostri mali? Il buono e 'l mal ladrone, ambedue morirono
crocifissi colle stesse pene: ma perché il buono le abbracciò con pazienza, si
salvò; il malo, perché le patì con impazienza, si dannò. Una eademque tunsio, dice S. Agostino, bonos perducit ad gloriam, malos redigit in favillam:1 Lo
stesso travaglio manda i buoni alla gloria, perché l'accettano con pace, e
manda i cattivi al fuoco, perché lo soffrono con impazienza.
2.
E spesso avviene che taluno, per fuggir quella croce che Dio gl'invia, ne
incontra un'altra assai maggiore. Qui
timent pruinam, irruet super eos nix, parla Giobbe (VI, 16): Quei che si
scansano dalla brina, resteran coverti dalla neve. Dice quella monaca: Datemi ogni altr'officio, e toglietemi
questo che tengo. Ma la misera patirà molto più, in quell'altro officio che
nel primo, e con poco o niun merito. Non fate voi così; abbracciatevi quella
fatica e quella tribulazione che Dio v'impone; perché in quella acquisterete
più meriti, e meno patirete: almeno patirete con pace, capendo che quel patire
è per volontà di Dio e non per volontà vostra. Persuadiamoci di quel che dice
S. Agostino, che tutta la vita d'un cristiano ha da essere una continua croce: Tota christiani vita crux est (Serm. 31,
de Sanct.).2 Specialmente tale ha da esser la
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vita delle
religiose che voglion farsi sante. Dice S. Gregorio di Nazianzo che queste
anime nobili mettono la lor ricchezza nell'esser povere, la loro gloria
nell'esser disprezzate, e 'l lor piacere nel privarsi de' piaceri
terreni.3 Perciò dimanda S. Giovanni Climaco: Chi è la vera religiosa?
È quella, risponde, che si fa una perpetua violenza.4 E quando finirà questa
violenza? Quando finirà la vita, vi risponde S. Prospero: Tunc finienda pugna, quando succedet victoria (De Vita
Contempl.):5 Allora finirà la pugna, quando si conseguirà la vittoria
del regno eterno. Se poi voi vi ricordate di aver offeso Dio per lo passato, e
desiderate salvarvi, dovete consolarvi in vedere che Dio vi dà da patire.
Scrive S. Gio. Grisostomo: Peccatum
sanies est, poena ferrum medicinale; ita peccans, si non puniatur, miserrimus
est (Hom. 6, ad Pop. Ant.):6 Il
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peccato è una postema
dell'anima; se non viene la tribulazione ad estrarne il putrido umore, l'anima
è perduta. Povero quel peccatore che dopo il peccato non è punito in questa
vita!
3.
Intendete dunque bene, vi dice S. Agostino, quando il Signore vi dà da patire,
la fa da medico, e la tribulazione che vi manda non è già pena della vostra
condanna, ma è rimedio per la vostra salute: Intelligat homo medicum esse Deum, et tribulationem medicamentum ad
salutem, non poenam ad damnationem.7 Ond'è che dovete ringraziare
Iddio quando vi castiga, perch'è segno che vi ama e vi riceve per figlia: Quem... diligit Dominus, castigat; flagellat
autem omnem filium quem recipit (Hebr. XII, 6). Quindi dice S. Agostino: Gaudes? agnosce Patrem blandientem.
Tribularis? agnosce Patrem emendantem (In Ps. 148).8 State
consolata? riconoscete il Padre che v'accarezza. State tribulata? riconoscete
il Padre che vi corregge. All'incontro, dice lo stesso santo dottore, povera
voi, se dopo i peccati Dio vi esenta da' flagelli in questa vita, è segno che
vi esclude dal numero de' figli: Si
exceptus es a passione flagellorum, exceptus es a numero filiorum (Lib. de
Past. c. 5).9 Non dite più dunque, allorché vi vedete tribulata,
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che
Dio s'è scordato di voi; dite più presto che voi vi siate scordata de' vostri
peccati. Chi si ritrova avere offeso Dio, bisogna che preghi con S. Bonaventura: Curre, Domine, curre et vulnera servos
tuos vulneribus sacris, ne vulneremur vulneribus mortis (Stim. de Div. Am.
c. 3):10 Correte, Signore, e ferite i vostri servi con quelle ferite
che son d'amore e di salute, acciocché non abbiamo a restar feriti con ferite
di sdegno e di morte eterna.
4.
Stiamo sicuri che Dio non ci manda le croci per vederci perduti, ma per vederci
salvi; se poi noi non ce ne sappiamo avvalere a nostro bene, tutta la colpa è
nostra. S. Gregorio spiegando queste parole di Ezechiele: Facti sunt mihi ferrum et plumbum in medio fornacis (Ez. XXII,
18),11 dice: Ac si dicat: Purgare
eos per ignem tribulationis volui, et aurum fieri quaesivi, sed in fornace mihi
in plumbum versi sunt (S. Greg., Pastor. p. 3):12 Ho cercato col
fuoco de' flagelli di renderli oro, ma essi mi son diventati piombo. Questi son
quei peccatori che, dopo aversi meritato più volte l'inferno, vedendosi toccati
di qualche flagello, s'impazientano, si adirano, e quasi voglion trattare Dio
da ingiusto e da tiranno, giungendo taluno a dire: Ma, Signore, non sono stato io solo che vi ho offeso; par che solo con
me ve la pigliate; io son debole, non ho forza di sopportare una croce cosi
grande. Misero, oimè che dici? dici:
Non sono stato io solo che vi ho offeso? Se gli altri ancora l'hanno
offeso, e Dio vuole usar loro misericordia, egli anche li punirà in questa
vita; non sai che il maggior castigo di Dio verso di un peccatore è il non
castigarlo su questa
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terra? secondo quel che dice Dio stesso per
Ezechiele: Recessit zelus meus a te;
ultra non irascar tibi (XVI, 42):13 Io non ho più zelo per l'anima
tua, e perciò non mi vedrai adirato più con te, mentre vivi. Ma dice S.
Bernardo: Tunc magis irascitur Deus cum non irascitur. Volo irascaris mihi,
Pater misericordiarum (Serm. 43, in Cant.).14 Allora maggiormente si
adira Iddio, quando non si adira col peccatore e non lo castiga. Quindi il
santo poi lo pregava: Signore, io voglio che con me vi portiate da Padre di
misericordie, e perciò voglio che mi castighiate qui per li peccati miei, e
così mi liberiate dal castigo eterno. - Dici: Io non ho forza di sopportar
questa croce? Ma se tu non hai questa forza, perché non la cerchi a Dio? Egli
ha promesso di dare l'aiuto suo ad ognuno che ce lo domanda: Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7).
5.
Per tanto voi, sorella benedetta, quando siete visitata dal Signore con qualche
infermità o perdita o persecuzione, umiliatevi e dite col buon ladrone: Digna factis recipimus (Luc. XXIII,
41): Signore, io la merito questa croce, perché vi ho offeso. Umiliatevi e
consolatevi, perché vedendovi punita in questa vita, è segno che Dio vuol
perdonarvi la pena eterna. Et haec mihi
sit consolatio, dicea Giobbe, ut,
affligens me dolore, non parcat (VI, 10): Questa sia la mia consolazione,
che il Signore mi affligga quaggiù e non mi perdoni, acciocché mi perdoni
nell'altra vita. Oh Dio, chi si ha meritato l'inferno, come può lamentarsi se
il Signore gli manda qualche croce! Se nell'inferno non avesse a patirsi che
solamente un picciolo dolore, nondimeno, perché quel dolore sarebbe eterno,
dovressimo noi cambiarlo con ogni dolore temporale che finisce; ma no, che
nell'inferno vi sono tutti i dolori, e tutti sono grandi ed eterni. Ed ancorché
voi aveste conservata l'innocenza battesimale e non mai vi aveste meritato
l'inferno, almeno vi avete meritato un lungo purgatorio; e sapete che viene a
dire pena di purgatorio? Dice S. Tommaso (In 4 Sent. Dist. 21) che le anime
purganti sono tormentate dallo
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stesso fuoco che tormenta i
dannati;15 e perciò dice S. Agostino che quel fuoco è più tormentoso di
qualunque dolore che può patirsi in questa vita: Gravior erit ille ignis quam quidquid potest homo pati in hac vita
(In Psal. 37).16 E così contentatevi di esser castigata in questa vita,
e non già nell'altra. Tanto più che in questa vita, accettando le croci con
pazienza, patirete con merito; ma nell'altra patireste più, e senza merito.
6.
Inoltre consolatevi nel patire colla speranza del paradiso. Diceva il B.
Giuseppe Calasanzio: Per guadagnare il
paradiso, ogni fatica è poca.17 E prima lo disse l'Apostolo: Non sunt condignae passiones huius temporis
ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Sarebbe poca
spesa il patir tutte le pene di questa terra per godere un solo momento di
paradiso; quanto maggiormente poi dobbiam noi abbracciar le croci che Dio ci
manda, sapendo che il breve patire di quaggiù ci frutterà una felicità eterna: Momentaneum et leve tribulationis nostrae...
aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17). Non dobbiamo
dunque attristarci, ma consolarci nello spirito, quando Dio ci manda da patire
in questa terra. Chi passa all'altra vita con più meriti, quegli avrà maggior
premio; e perciò il Signore
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ci manda le tribulazioni. Le virtù, che
sono le fonti de' meriti, non si esercitano se non cogli atti; chi ha più
occasioni di turbarsi, farà più atti di pazienza; chi riceve più ingiurie, farà
più atti di mansuetudine. Quindi dice S. Giacomo: Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit
accipiet coronam vitae (Iac. I, 12): Beato chi soffre i travagli con pace,
perché dopo che sarà così provato, riceverà la corona della vita eterna.
7.
Questo pensiero facea dire a S. Agapito martire, giovinetto di quindici anni,
quando il tiranno gli fe' circondar la testa di carboni ardenti: È cosa troppo picciola che mi sia bruciato
questo capo, il quale mi ha da essere in cielo coronato di gloria.18
Questo pensiero anche facea dire a Giobbe: Si
bona suscepimus de manu Domini, cur
non mala? (II, 10).19 E volea dire: Se noi abbiam ricevuti da Dio i
beni con allegrezza, perché non riceveremo poi più allegramente i mali
temporali, che ci faranno acquistare i beni eterni del paradiso? Questo
pensiero ancora facea giubilare quel romito, che ritrovato da un soldato in
mezzo ad una selva, talmente coperto di piaghe che le carni gli cadevano a
pezzi, e cantava. Gli dimandò il soldato: «Voi eravate quegli che cantava?»
«Sì, disse, io cantava; e con ragione, perché tra me e Dio altro non si
frappone che questo muro di fango del mio corpo: ora lo vedo cadere a pezzi, e
perciò canto, mentre vedo già vicino il tempo d'andar a godere il mio Signore.»
(In spec. exempl., dist. IX, ex. 139).20 Ciò
anche facea dire a S. Francesco d'Assisi:
Tanto è grande il ben che aspetto, c'ogni pena m'è diletto.21 I
santi in somma si consolano quando si vedono tribulati
- 17 -
in questa
vita, e se ne affliggono in certo modo quando si vedon consolati. La madre Suor
Isabella degli Angioli, come si narra nelle Croniche teresiane, quando nel dir
l'Officio recitava quelle parole: Quando
consolaberis me? (Ps. CXVIII, 82), le dicea con tanta fretta che anticipava
l'altre sorelle; interrogata poi perché ciò facesse, rispose: Temo che Dio non mi consoli in questa vita.22
8.
L'esser tribulato in questa vita presente è un bel segno di predestinazione. Electorum, dice S. Gregorio, hic est conteri, quibus servatur de
aeternitate gaudere (Lib. 16 Mor. c. 17).23 L'esser quaggiù
afflitti e dispregiati24 è cosa degli eletti, a cui sta riserbata la
beatitudine eterna. E perciò leggiamo nelle Vite de' santi che tutti, senza
eccezione, in questa terra sono stati colmi di croci. Ciò appunto scrisse S.
Girolamo alla vergine Eustochio: Quaere,
et invenies singulos sanctos adversa perpessos. Solus Salomon in deliciis fuit,
et ideo forsitan corruit (Ep. 22):25 Ricerca, e troverai che
ciascun santo è stato tribulato; solamente Salomone visse tra le delizie, e
forse perciò, dice il santo, Salomone si dannò! Disse l'Apostolo che tutti i
predestinati si han da ritrovare simili a Gesù Cristo: Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui
(Rom. VIII, 29). Ma la vita di Gesù Cristo fu un continuo patire; dunque dice
S. Paolo: Si tamen compatimur, ut et
conglorificemur
- 18 -
(Rom. VIII, 17): Se noi patiremo insieme con Gesù
Cristo, allora saremo glorificati insieme con Gesù Cristo.
9.
Ma ciò s'intende se patiremo con pazienza, come patì il nostro Salvatore, il
quale, cum malediceretur non maledicebat;
cum pateretur non comminabatur (I Petr. II, 23). Dice S. Gregorio che
siccome il patir con pazienza è segno di predestinazione, così il patir con
impazienza è presagio di dannazione.26 Quindi ci avverte il Signore che
noi non troveremo la nostra salute, se non in patir con pazienza: In patientia vestra possidebitis animas
vestras (Luc. XXI, 19). E persuadiamoci che Dio non per altro ci tribula,
se non perché ci vuol bene; così egli cerca di distaccarci da' piaceri terreni,
che posson farci perdere la salute eterna. Dice S. Agostino: Amarus est mundus, et diligitur; puta si dulcis esset, qualiter
amaretur? (Serm. de temp.):27 Il mondo è così amaro, poiché tutte
le sue delizie non contentano il cuore dell'uomo, e tutte in fine riduconsi ad
amarezze e rimorsi di coscienza, e pure così si ama; or pensate, dice il santo,
se il mondo fosse dolce, come si amerebbe, e come allora ci scorderessimo
dell'anima, del paradiso e di Dio? E perciò il Signore mette fiele alle poppe.
La madre per islattare il figlio e fargli abborrire il latte, mette fiele alle
poppe; così fa Iddio con noi: fa che gli stessi diletti di questa terra ci
diventino amari, acciocché distaccandoci noi
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da loro, aneliamo i
piaceri eterni, ch'egli apparecchia in cielo a chi l'ama. Ed a questo fine il
nostro amoroso Salvatore volle venire in terra a patire, acciocché col suo
esempio noi non isdegnassimo d'imitarlo:
Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia
eius (I Petr. II, 21). Ecco com'egli ci chiama a seguirlo: Si quis vult post me venire, abneget semet
ipsum, [et] tollat crucem suam et sequatur me (Matth. XVI, 24). Come
dicesse: Chi non vuol patire e rifiuta la croce, lasci di pretendere d'esser
discepolo mio e di seguirmi al paradiso.
10.
Ma il fine più nobile che nell'abbracciare i patimenti dee avere un'anima che
ama Dio, ha da essere il desiderio di dargli gusto. Dice l'Ecclesiastico che
alcuni sono amici solo in tempo di prosperità, ma in tempo di guai abbandonano
l'amico: Est enim amicus secundum tempus
suum, et non permanebit in die tribulationis (Eccli. VI, 8). Ma la
testimonianza più certa dell'amore è il patir volentieri per la persona amata.
Questo è 'l sagrificio più caro a Dio, l'abbracciar con pazienza tutte le croci
che manda. Caritas
patiens est... omnia suffert (I Cor. XIII, 4). L'amore tutto
sopporta: croci esterne, perdita di sanità, perdita di robe, d'onori, di
parenti, d'amici: croci interne, angustie, tentazioni, dolori, desolazioni di
spirito. Colla pazienza si prova la virtù. Perciò nelle Vite de' santi
specialmente suol farsi menzione della pazienza nelle cose contrarie. Così il
Signore prova la nostra fedeltà. Tenta il demonio, e Dio ancora tenta; ma il
demonio tenta per perderci, Dio tenta per provarci: Tamquam aurum in fornace probavit illos (Sap. III, 6). Come l'oro
si prova col fuoco, così Iddio prova l'amore de' suoi amanti col fuoco delle
tribulazioni. Sicché l'essere un'anima tribulata è segno d'essere cara a Dio: Quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut
tentatio probaret te, così disse l'angelo a Tobia (Tob. XII, 13). Dice S.
Gio. Grisostomo che quando il Signore dà ad alcuno occasion di patire, gli fa
più grazia che se gli desse la virtù di risuscitare i morti: Quando Deus dat alicui ut mortuos
resuscitet, minus dat quam cum dat occasionem patiendi. E ne adduce la
ragione il santo: Perché quando noi facciam miracoli, allora restiam noi
debitori a Dio; ma quando noi sopportiamo i travagli con pazienza, allora in
certo modo Dio resta debitore a noi: Pro
miraculis
- 20 -
enim debitor sum Deo, at pro patientia debitorem habeo
Christum.28 Così diceva il santo.
11.
Oh Dio, chi guarda il Crocifisso e vede un Dio morto in un mare di dolori e di
disprezzi, com'è possibile, se l'ama, che non sopporti volentieri, anzi non
desideri di patire ogni pena per suo amore? Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi:
Ogni gran pena riesce gustosa, quando si
mira Gesù in croce.29 Giusto Lipsio ritrovandosi una volta molto
afflitto da' dolori, uno degli astanti cercava animarlo a soffrirli con
fortezza con porgli avanti la pazienza degli stoici; ma egli allora guardando
il Crocifisso disse: Questa è la vera
pazienza.30 Volendo dire che l'esempio d'un Dio che tanto ha patito
per nostro amore, questo solo basta per animarci a patire ogni pena per amor
suo. Grata ignominia crucis, dicea S. Bernardo, ei qui Crucifixo ingratus non est (Serm. 25, in Cant.).31 A
chi ama il Crocifisso, troppo son cari i dolori e gli obbrobri. S. Eleazaro
interrogato dalla vergine sua sposa S. Afra com'egli soffrisse tante ingiurie
da gente villana, senza punto risentirsi, rispose: «Sposa mia, non pensare
ch'io sia già insensibile a queste ingiurie; ben io le sento, ma mi rivolgo a
Gesù crocifisso, e non lascio di mirarlo, finché l'animo mio non si
tranquilli.»32
- 21 -
L'amore, dice S. Agostino, rende facile ogni
cosa: Omnia facilia caritati (De
natur. 69).33 S. Caterina da Genova, dopo ch'ella fu ferita del divino
amore, dicea che non sapea cosa fosse patire; benché patisse gravissime pene,
nulla sentiva, pensando che quelle pene gliel'inviava chi tanto l'amava.34
Così parimente un buon religioso della Compagnia di Gesù, quando Dio lo
visitava con qualche infermità, dolore o persecuzione, dimandava ogni volta tra
sé: «Dimmi, dolore, infermità, persecuzione, chi ti manda? ti manda Dio?
benvenuto, benvenuta;» e così stava sempre in pace.35
12.
Concludiamo. - Giacché in questa vita, o di buona o di mala voglia, si ha da
patire, procuriamo di patire con merito, cioè con pazienza. La pazienza è uno
scudo che ci difende da tutte le pene che ci apportano le persecuzioni, le
infermità, le perdite e tutti gli altri travagli. Chi all'incontro sta senza
questo scudo, è soggetto a tutte queste pene. Procuriamo pertanto,
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prima di tutto, di cercare a Dio questa pazienza; senza domandarlo,
non otterremo già questo gran dono. Quando poi ci avvengono le avversità,
procuriamo dalla parte nostra di farci forza a non prorompere in parole
d'impazienza o di lamenti. Allorché si toglie l'esalazione al fuoco che arde in
un vaso, subito quello si smorza.
Vincentibus dabo manna absconditum (Apoc. II, 17).36 Quando la
persona si fa violenza a vincersi nelle cose contrarie, con abbracciar subito
quella croce che Dio le manda, oh che dolcezza le fa da poi provare il Signore
nella stessa tribulazione che patisce! dolcezza nascosta agli uomini mondani,
ma che ben si assaggia dalle anime amanti di Dio. È più dolce, dicea S.
Agostino, godere della buona coscienza in mezzo a' travagli, che star con mala
coscienza in mezzo alle delizie: Iucundius
est gaudere de bona conscientia inter molestias, quam de mala conscientia inter
delicias (S. Aug., De Catech. rud. c. 6).37 S. Teresa, parlando di
se stessa, dicea: Ho sperimentato più
volte che se al principio mi delibero generosamente di far una cosa, Dio subito
mi da gioia in farla. Egli vuole che l'anima abbia questi spaventi in
principio, acciocché più meriti.38
13.
Chi si risolve a patire per Dio, non patisce più. Leggiamo le Vite de' santi,
vediamo com'essi sono stati innamorati del patire! S. Gertrude dicea ch'ella
godeva tanto nel patire, che non avea tempo più penoso che quando non
pativa.39
- 23 -
S. Teresa dicea che non si fidava40 di
vivere senza patire; onde spesso esclamava: O
patire o morire.41 S. Maria Maddalena de' Pazzi si avanzava a dire:
Patire e non morire.42 S.
Procopio martire, quando il tiranno gli apparecchiava nuovi tormenti, gli
disse: Tormentami quanto vuoi: non sai
che a chi ama Gesù Cristo non v'è cosa più cara ch'il patire per Gesù Cristo? (Ap.
Sur. 8 iul.).43 S. Gordiano, come narra San Basilio, minacciato di gran
supplici, se non rinnegava Gesù
- 24 -
Cristo, rispose: Mi dispiace che non posso morire che una sola volta per Gesù Cristo mio;44
e così poi intrepidamente morì. S. Potamiena vergine (Ap. Pallad. c. I) al
tiranno che le minacciava di farla morire in una caldaia di pece bollente, la
santa rispose: «Orsù ti prego di farmi calare in questa caldaia, non in un
colpo, ma a poco a poco, acciocch'io così patisca più per Gesù Cristo mio.» E
così fece fare il tiranno, finché la pece, arrivata al collo, le tolse la
favella e la vita.45 È celebre anche il martirio, come riferisce il
Baronio (An. 122), di quelle tre sante verginelle chiamate Fede, Speranza e
Carità, le quali, tentate dal tiranno, nomato Antioco, colle minacce de'
tormenti, animosamente gli risposero: Ma
tu non sai che a' Cristiani non v'è cosa più desiderabile che 'l patire per
Gesù Cristo? S. Fede prima fu flagellata, poi le furono tagliate le
mammelle, poi fu tormentata col fuoco, e finalmente fu decapitata. S. Speranza
prima fu battuta co' nervi di bovi, poi le furono stracciate le coste co'
pettini di ferro, poi fu posta in una caldaia di pece ardente. S. Carità era la
più picciola, non passava nove anni, onde sperava il tiranno ch'ella cedesse
per timor de' tormenti; perciò le disse: Figliuola mia, siate saggia almeno
voi, se non volete morir cruciata come le vostre sorelle. - Allora la santa
fanciulla le rispose: T'inganni, Antioco,
tutti i tormenti non mi faranno mai lasciar Gesù Cristo. Il tiranno la fece
attaccare alla corda, e poi sopra di quella la fe' tormentare, facendola più
volte cadere da alto, sicché le restarono slogate tutte l'ossa; poi le fece
traforar le membra co' ferri, in modo che la santa verginella morì
svenata.46
- 25 -
14.
Vediamo altri esempi più moderni. Nel Giappone una certa donna maritata,
chiamata Massenzia, posta che fu ne' tormenti, uno de' carnefici voleva
alleggerirle la pena, ella non volle. Seguendo poi a star costante in confessar
la fede, uno le pose due volte la spada alla gola per intimorirla, ma ella gli
disse così: Oh Dio, come tu vuoi
spaventarmi con quella morte ch'io desidero? Il modo di spaventarmi è di
promettermi la vita. E detto ciò, ella stese il collo al carnefice, che le
troncò la testa.47 Parimente nel Giappone il P. Gio. Battista Maciado
della Compagnia di Gesù, essendo stato carcerato in
- 26 -
un luogo umido,
dove stiede48 per quaranta giorni così addolorato che non avea potuto
riposare né di giorno né di notte, di là scrisse ad un altro religioso: Padre mio, con tutto ciò io sto cosi
contento, che non cangerei lo stato mio coi primi monarchi della terra.49
Parimente il P. Carlo Spinola scrisse dalle carceri, dove molto pativa, a' suoi
compagni: Oh che cosa dolce è il patire
per Gesù Cristo! Io ho già ricevuta la nuova della mia condanna, vi prego a
ringraziarne la divina bontà del gran dono che mi fa. Ed in quella lettera
poi si firmò: Carlo Spinola condannato
per Gesù Cristo. E tra poco poi fu bruciato a fuoco lento. Dicesi che
quando fu attaccato al palo, in ringraziamento a Dio intonò il salmo Laudate Dominum omnes gentes, e cosi
morì.50
- 27 -
Ma come, ammirerà taluno, poteano i santi martiri patire con tanta allegrezza?
forse non erano di carne? o il Signore gli avea renduti insensibili ai dolori?
No, dice S. Bernardo: Non hoc facit
stupor, sed amor; non deest dolor, sed superatur, sed contemnitur (Serm.
61, in Cant.).51 Il patir con tanta pazienza e giubilo, dice il santo,
non era effetto d'insensibilità, ma dell'amore che portavano a Gesù Cristo; non
mancava il dolore, ma per amore del lor Signore lo superavano e disprezzavano.
Diceva il gran Servo di Dio, il P. Ippolito Durazzo della Compagnia di Gesù: Costi Dio quanto vuol, non fu mai caro.52
E il B. Giuseppe Calasanzio dicea che Non
sa guadagnarsi Gesù Cristo, chi non sa patir per Gesù Cristo.53 Eh
che l'anime che intendono il linguaggio di amore, ben sanno ritrovar nelle
croci tutto il lor contento, sapendo che con abbracciarle dan gusto a Dio.
1
«Una eadem tunsio bonos producit ad gloriam, malos redigit in favillam.» Inter Opera S. Augustini, in Appendice, Sermo 52, n. 4. ML 39-1845.-
Però, il compilatore ha preso più sentenze da S. Agostino; tra le altre,
questa: «In tubis ductilibus.... Ductiles tubae aereae sunt, tundendo producuntur. Si tundendo, ego vapulando. Eritis tubae ductiles, ad laudem Dei productae, si cum tribulamini
proficiatis: tribulatio tunsio, profectus productio est. Tuba ductilis erat
Iob.... Quomodo
sonuit! quam suavem sonum dedit!.. Malleum universae terrae (Ier. I, 23)
diabolum voluit intelligi. De ipso malleo in manu Dei posito, id est in
potestate Dei, tunduntur ductiles tubae, ut resonent laudes Dei.» S.
AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. XCVII, n. 6. ML 37-1255.
2
«Tota igitutr vita christiani hominis, si secundum Evangelium vivat, crux est
atque martyrium.» Inter Opera S.
Augustini, in Appendice, Sermo, 207
(al. de Sanctis, 32), n. 3. ML
39-1039.- Però, anche qui, il pensiero è di S. Agostino. «Qui autem Iesu Christi sunt, carnem suam
crucifixerunt.... In hac quidem cruce, per totam istam vitam, quae in mediis
tentationibus ducitur, perpetuo debet pendere christianus.» S. AUGUSTINUS, Sermo 205, in Quadragesima, n. 1. ML
38-1039.
3
S. GREGORIUS NAZIANZENUS, passim. Specialmente Carminum lib. 1, sect. 2, carm. 10, De virtute, MG 37-679 et seq.;
principalmente dal verso 412: «Sed quid mihi opus est peregrinis fabulis et
doctrinis?- Ipse
iam mecum meas leges (nempe a Christo datas) considera.» - Si notino i seguenti
versi: «Gloriam etiam laudo in caelis mihi repositam- Pondus iustissmium, bonum
minime mendax (v. 437, 438).» «Mihi vero Christus omnibus emendus est- Ac
pauperem crucem opulente fero - Postquam ea quae rodit tinea, et instar cuborum
volvuntur, proieci (v. 465-467).» «(Christus) ne iuveni quidem discere -
Cupienti quomodo ad summum quis perveniat- Alio vel solo perfectionem
circumscribit - Ut scilicet omnia pauperibus distribuat- Magnamque semper
crucem humeris ferat- Ac rebus terrenis mortuus ipsum sequatur- Si etiam cum
Deo in altum tolli cupiat (v. 567-573).» «Deliciis carere pro deliciis
habentes, o novas delicias! (v. 648).» Sugli anacoreti: v. 654-675; sui
martiri: v. 697-757; sulle vergini: v. 890-928.- Si noti pure la conclusione:
«At nunc quantum potes - Expurgare te ipsum et innovare cures splendida vita.- Sic enim Deum apprehendes mente conceptum.- Deum ad suum templum
accurrere, omnium est vox.- Puri namque purum esse debet habitaculum (v. 971-975).... Qui enim dilexerit, et ipse diligetur:- Qui autem dilectus fuerit, is
Deum hospitem accipit (v. 980, 981).... Haec si religiose colas et teneas,
honesta vita- Abiiciens omnem terrenae vitae tempestatem,- Per doctrinam veram
et odium fabularum- Sursum effereris, atque utinam me altius,- Ut maiorem consequaris
libertatem (v. 994-998).»
4 «Monachus est violentus et assiduus
naturae domitor.» S.
IO. CLIMACUS, Scala Paradisi, Gradus
1. MG 88-634.
5
«Tunc est finienda pugna, quando post hanc vitam succedit pugnae secura
victoria.» IULIANUS POMERIUS, De vita
contemplativa, lib. 1, cap. 1. ML 59-419.- Quest' opera, quantunque sia
stata spesso attribuita a S. Prospero d'
Aquitania, pur deve restituirsi al Pomerio. Questi, mauro di nazione, venne
nella città di Arles, dove prima insegnò rettorica, poi fu ordinato sacerdote;
si distinse colla santità della vita e coi suoi scritti. Viveva ancora nel 495;
morì verso l' anno 498.
6
«Peccatum sanies est: poena ferrum medicinale. Sicut igitur qui saniem habet,
etsi non secetur, male habet, et cum non secatur, tunc est in maioribus malis:
ita qui peccat, etsi non puniantur,omnium est miserrimus, et tunc maxime miser,
cum non punitur et grave nihil patitur.» S.
IO. CHRYSOSTOMUS, Ad populum Antiochenum hom.
6, n. 6. MG 49-89.
7 «Multi enim clamant in tribulatione,
et non exaudiuntur: sed ad salutem, non ad insipientiam. Clamavit Paulus.... et
non est exauditus.... ut intelligat homo medicum
esse Deum et tribulationem medicamentum esse ad salutem, non poenam ad
damnationem. Sub medicamento positus ureris, secaris, clamas: non audit medicus
ad voluntate, sed audit ad sanitatem.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. XXI, Enarratio 2, n. 4. ML
36-173.
8 «Sive tribulemur et angustiemur, sive
laetemur et exsultemus, ille laudandus est, qui et in tribulationibus erudit,
et in laetitia consolatur.... Gaudes, agnosce patrem blandientem; tribularis,
agnosce patrem emendantem. Sive blandiatur, sive emendet, eum erudit cui parat
hereditatem.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in
Ps. LIV, Sermo ad plebem, n. 2. ML
36-628.
9 «Para te flagellari, aut certe non
quaeras recipi. Flagellat autem, inquit,
omnem filium quem recipit (Hebr. XII,
6): et tu forte exceptus eris? Si exceptus a passione flagellorum, exceptus a
numero filiorum. Italne, inquies, flagellat omnem filium? Prorsus ita flagellat
omnem filium, ut et Unicum. Unicus ille de Patris substantia natus...non
habebat unde flagellaretur: ad hoc carne indutus est, ut sine flagello non
esset. Qui ergo
flagellat Unicum sine peccato, numquid relinquit adoptivum cum peccato?» S.
AUGUSTINUS, Sermo 46, n. 11. ML
38-276.- In antiche edizioni (p. e. Parisiis, in Officina Claudii Chevallonii,
1531, tom. 9, fol. 218, col. 3, et seq.) questo trattatello non viene stampato
tra i Sermones, ma come libro a parte,
con questo titolo: De Pastoribus liber
unus; il testo riferito appartiene al cap. 5, fol. 219, col. 3. Anche ML dà
come argomento di questo sermo 46, De pastoribus in Ezechiel XXXIV.
10
«Non ergo me, quaeso, differas vulnerare, ne multa dilatione amittas quem tuo
pretioso sanguine redemisti. Curre, curre, Domine Iesu,
curre, et me vulnera, quia fortasse nihil de me invenies, si exspectas». Stimulus amoris, pars 1, cap. 2. Inter Opera S. Bonaventurae, Lugduni, 1668, p. 195.- Vedi Appendice 10, del nostro vol. XIV, pag. 504.
11 Omnes
isti aes, et stannum, et ferrum, et plumbum in medio fornacis: scoria argenti
facti sunt. Ezech. XXII, 18.
12 «Ac si aperte dicat: Purgare eos per
ignem tribulationis volui, et argentum illos vel aurum fieri quaesivi, sed in
fornace mihi in aes, stannum, et ferrum, et plumbum versi sunt, quia non ad
virtutem, sed ad vitia etiam in tribulatione proruperunt.» S. GREGORIUS MAGNUS,
Liber Regulae Pastoralis, pars 3,
cap. 13, Admonitio 14. ML 77-71.
13 Auferetur
zelus meus a te, et quiescam, nec irascar amplius. Ezech. XVI, 42.
14 «Vides quia tunc magis irascitur
Deus, dum non irascitur. Misereamur
impio, inquit, et non discet facere
iustitiam (Is. XXVI, 10). Misericordiam hanc ego nolo. Super omnem iram
miseratio ista, sepiens mihi vias iustitiae.... Volo rascaris mihi, Pater misericordiarum;
sed illa ira qua corrigis devium, non qua extrudis de via.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 42, n. 4. ML 183-989.
15
«Locus purgatorii (secundum legem communem) est locus inferior inferno
coniunctus, ita quod idem ignis sit qui damnatos cruciat in inferno, et qui
iustos in purgatorio purgat.» S. THOMAS, In lib. IV Sententiarum, dist. 21. qu.
1. art. 2, c.- seu Appendix as
supplementum 3ae partis Sum. Theol.
16 «Ipse autem salvus erit, sic tamen
quasi per ignem (I Cor. III, 15). Et quia dicitur: salvus erit, contemnitur ille ignis. Ita plane quamvis salvi per ignem, gravior
tamen erit ille ignis, quam quidquid potest homo pati in hac vita.» S.
AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. XXXVII, n.
3. ML 36-397.
17
«Era.... avidissimo di faticare e patire, perchè rendute preziose le opere sue
dai meriti di Cristo, gli guadagnassero un tanto bene (il paradiso); e.... come
il Fratel Francesco Noberasco attestò.... «con questo spronava anche gli altri
ad avere fiducia in Dio e speranza.» Quindi soleva dire frequentemente: «Per
conseguire il paradiso, ogni fatica è poca;» e animava i suoi figliuoli agli esercizi
sì faticosi del lor istituto, come... scrisse a Napoli al P. Stefano: «Nella
guerra fanno i soldati la cucina, la sentinella, ecc., per tre baiocchi, per
così dire: meno ha da parer grave a' religiosi l' attendere a simili affari per
amore di Dio, che dona la vita eterna a chi lo segue perfettamente; però stiano
con allegrezza nelle molte occupazioni.» Vinc.
TALENTI, delle Scuole Pie, Vita, lib.
6, cap. 2, pag. 481, 482.- Dalla lettera del santo, 8 giugno 1628, al P.
Cherubini, Napoli: «Venale est regnum caelorum, et pretium eius est labor.»
(Nota manoscritta del P. Talenti, nell'
esemplare della Vita (in fine),
conservato nell' Archivio Generale delle
Scuole Pie, ed a noi cortesemente comunicato.)
18
«Cum autem prunae coepissent super caput sancti ardere, elevatis oculis in
caelum dixit: «Gloria tibi, Deus, qui regnas in saecula saeculorum, qui me
fecisti probari sicut aurum in fornace.» Et statim post haec psallere coepit,
ita dicens: «Propter innocentiam meam suscepisti me, et confirmasti servum in
conspectu tuo in aeternum.» Acta S.
Agapiti (2° loco), n. 4, inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 18 augusti.
19
Si bona suscepimus de manu Dei, mala
quare non suscipiamus? Iob II, 10.
20 Magnum Speculum exemplorum, auctore D. Henrico GRAN, dist. 9, exemplum 138.
21 S. FRANCISCI ASS. Opera omnia (Pedeponti, 1739), III, pag. 71, Apophtegma 57.- Mossosi dalla valle di
Spoleto per andare in Romagna, S. Francesco passò a piè del castello di
Montefeltro; ed udendo esser radunati in quel castello molti gentiluomini, in
occasione di una festa, vi andò anche lui, coll' intento di farvi «alcuno buono
frutto spirituale». Giunto al castello, «vassene in sulla piazza, dove era
raunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, ed in fervore di spirito
montò in su un muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua
predica queste parole in volgare: Tanto è
il bene ch' io m' aspetto, ch' ogni pena m' è diletto; e sopra questo tema,
per dittamento dello Spirito Santo, predicò sì divotamente e profondamente,»
adducendo in prova le diverse pene e martiri, penitenze, tribolazioni e
tentazioni dei santi, «che ogni gente stava con gli occhi e con la mente
sospesa verso lui ed attendevano, come se parlasse uno agnolo di Dio.» E fu
proprio in quella occasione che uno dei suoi uditori- «messer Orlando da Chiusi
di Casentino»- preso il santo in disparte, gli donò il monte della Vernia,
dove, poco dopo, S. Francesco ricevette le Sacre Stimmate. FIORETTI, parte 2, Considerazione 1 delle sacrosante Istimate.
22
FRANCESCO DI S. MARIA, Riforma dei Scalzi
di Nostra Signora del Carmine, I, lib. 3, cap. 29, n. 5.
23 «Electorum namque est hic conteri,
ut ad praemia debeant aeternae hereditatis erudiri. Nostrum est hic flagella
percipere, quibus servatur de aeternitate gaudere.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib. 26, cap. 21 (al. 18, al. 17), n. 37. ML 76-370.
24
Nelle ediz. di Napoli 1768 (Di Domenico) e 1781 (Stasi), e in quella veneta
1771 (Pezzana) manca: e dispregiati.
25 «Quis sanctorum sine certamine
coronatus est?.... Quaere et invenies singulos adversa perpessos. Solus in
deliciis Salomon fuit, et forsitan ideo corruit.» S. HIERONYMUS, Epistola 22, ad Eustochium, n. 39. L 22- 423.
26
«Amaritudo praesentis poenitentiae exstinguit supplicia sequentis irae. Duobus
autem modis in hac vita hominem Deus iudicat, quia aut per mala praesentia
irrogare iam tormenta sequentia incipit, aut tormenta sequentia flagellis
praesentibus exstinguit.... Solos quippe poena a supplicio liberat quos
immutat. Nam quos praesentia mala non corrigunt, ad sequentia perducunt.» S.
GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib.
9, cap. 45 (al. 33, al. 24), n. 68.
ML 75-897.- «Qui enim aeternos dolores impio per retributionem servat, et
aliquando eius mentem etiam temporali dolore transverberat... Neque enim poena
praesens, quae iniusti animam a pravis desideriis non immutat, ab aeternis
supplicis liberat... Ab eis doloribus peccator, qui non corrigitur, ad aeterna
supplicia vocatur.» IDEM, Moralia in Iob,
lib. 15. cap. 49 (al. 21, al. 29), n. 55. ML 75-1109.- «Sciendum quoque est nobis quia poena
praesens, si animum afflicti convertit, finis est culpae praecedentis; si autem
ad timorem Domini minime convertit, initium est poenae sequentis.» IDEM, Epistolae, lib. 11,
Indict. 4,
Epistola 30, ad Venantium. ML 77-1143.
27
Sermo 298, inter Opera S. Augustini, in Appendice,
n. 1. ML 39-2315. - Gli editori Benedettini ed altri, contro il sentimento
degli antichi e di Baronio, giudicano questo sermone doversi attribuire non a
S. Agostino, ma a S. Cesario Arelatense; ed essere stato pronunziato in
occasione non già dell' assedio d' Ippona posto dai Vandali, ma dell' assedio
di Arles dai Franchi contro i Goti.
28
«Vobis donatum est pro Christo, non solum
ut in eum credatis, sed etiam ut pro illo patiamini. Rursus
illos (Philippenses) componit (Paulus) ut de se modeste sentiant, totum Deo
adscribens, et gratiam et charisma et donum esse dicens pati pro Christo.
Itaque ne vos pudeat de charismate: est enim longe admirabilius quam mortuos ad
vitam revocare, ac cetera miracula facere. Nam ibi quidem ego sum debitor; hic
vero debitorem habeo Christum.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Epist. ad Philip., cap. 1, hom. 4, n.
3. MG 62-209.
29
«Ogni più eccessiva sofferenza riesce gloriosa e gustosa, quando si rimira Gesù
in croce.» Detti e sentenze. §. 5, n.
5. PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in
fine.
30 «Et certe non scriptis solum, sed et factis,
philosophum se christianum mirifice comprobavit. Cum enim ex circumstantibus
quispiam stoicam illi apathiam suggessisset: «Vana sunt ista,» respondit:
digitoque in Christi crucifixi imaginem, lectulo astantem, intento: «Haec vera
est patientia,» verissime subiecit.» Iusti Lipsii Vita, auctore Auberto MIRAEO: I. Lipsii Opera
omnia, Vesaliae, 1675, I, 26.- Nota che proprio Giusto Lipsio scrisse,
coll' intento espresso di rispettare la fede cattolica, l' opera intitolata Manductionis ad stoicam philosophiam libri
tres: Opera, IV.
31
S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 25,
n. 8. ML 183-902.
32
«Delphina sancta virgo.... admirans tam insignem... in illo patientiam....,
intra conclave ita ait ad eum: «Quid hominis es tu, Elzeari, qui numquam erga
illos, qui te iniuria afficiunt, commoveris? Videris
esse trunci instar aut statuae, nihil sentientis. Et tamen patibilis es, et
homo mundanus. Aut fortasse vel nescis vel non potes irasci. Et quid, obsecro,
officeret malis, qui interdum iniuste te laedunt, si te quandoque iratum illis
ostenderes?» Ad
haec homo lenissimus respondit: «Ecquid vero, Delphina, prodest irasci? Nihil profecto: at tamen explicabo ego tibi arcanum pectoris mei.
Noveris me interdum sentire aliquam in animo adversus infestantes me
indignationem; sed illico me converto ad cogitandas iniurias Christo illatas,
eumque imitari cupiens, dico mihi ipsi: Etiamsi famuli tui barbam tuam
convellerent, et colaphos tibi infringerent, nihil esset ad Dominum tuum, qui
maiora perpessus est. Certumque habeas, Delphina, me numquam cessare a
comemorandis iniuriis Salvatoris mei, donec animus meus plane sit
tranquillatus. Atque hanc fateor me a Domino habere peculiarem gratiam, ut eos,
qui mihi iniuriosi sunt, vel aeque, ut ante, vel plus etiam amem, et pro eis
specialiter orem; agnoscamque et confitear me maioribus et atrocioribus
iniuriis dignum esse.» WADDINGUS, Annales
Minorum, an. 1319, n. 5.
33 «Omnia quippe fiunt facilia
caritati.» S. AUGUSTINUS, De natura et
grat a, cap. 69, n. 83. ML 44-289.
34
«Diceva, dopo che fu chiamata, e dal suo Amore ferita, mai più non aver
conosciuto che cosa fosse patire, di dentro nè di fuora, di mondo, di demoni,
di carne, nè d' altra cosa che sia. Questo era, per esser lei tanto trasformata
in Dio interiormente, che sebbene pativa in sè molte avversitadi, nondimeno non
le sentiva nella volontà per cose contrarie, anzi le pigliava mandate dal suo
Amore; in modo che mescolate con esso amore, tutte le erano gran contentezza.»
MARABOTTO e VERNAZZA, Vita, cap. 24,
n. 2.
35
«Quando stava infermo(Il P. Sciamanna, S:
I., + 3 luglio 1670) con dolori gravissimi.... a chi voleva applicargli sacre
reliquie, o persuadevalo a raccomandarsi ad alcuno dei santi per liberarsene,
rispondeva, benchè tremante e tutto moto sul letto per gran dolore: «Questi
dolori mi sono cari, come altrettanti fratelli, nè li darei per tutto l' oro
del mondo: Iddio me li dona, teniamoli volentieri: non conviene riceverli con
mala cera.».... Per consolare talor qualche afflitta persona, diceva...: «Fate
come fo io: quando mi vengono i dolori, dimando: Chi siete voi? - Siamo dolori.
- Chi vi manda? - Iddio.- Siate adunque i benvenuti, e benediciamo Iddio.»
PATRIGNANI, Menologio, 3 luglio.
36
Vincenti dabo manna absconditum. Apoc. II, 17.
37 «Cito senties dulciores esse fructus
iustitiae quam iniquitatis, et verius atque iucundius gaudere hominem de bona
conscientia inter molestias, quam de mala inter delicias.» S. AUGUSTINUS, De catechizandis rudibus, cap. 16, n.
25. ML 40-330.
38 «Porque ya tengo expiriencia en
muchas, que si me ayudo al principio a determinarme a hacer lo que, siendo sòlo
por Dios, hasta en comenzarlo quiere, para que màs merezeamos, que el alma
sienta aquel espanto, y mientra mayor, si sale con ello, mayor premio y màs
sabroso se hace despues. Aun en esta vida lo paga Su Majestad por unas vias, que sòlo quien goza
de elio lo entiende. Esto tengo por expiriencia,
como he dicho, en muchas cosas harto graves.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 4. Obras,
I, 20.
39
Questa parola di S. Gertrude, non l' abbiamo ritrovata nè nel Legatus divinae pietatis nè nell' opera
del Lanspergio - identica al Legatus - intitolata
Vita della B. Vergine Gertruda. Però,
quanta fosse la sua pazienza, lo disse Nostro Signore ad un' anima santa:
«Tanto io mi contento della dilettazione dell' anima sua, che spesse volte
avviene, mentre che dalla malvagità degli altri uomini sono offeso, ripongo me
stesso di tal maniera a riposarmi in lei, ch' ogni affanno del cuore ed ogni
altra molestia del corpo sopra di lei tutta rimetto; la quale, mentre che- come
suole- con rendermi molte grazie volentieri accetta ogni cosa, e con tanta
pazienza e con tanta umiltà le sopporta, offerendo se stessa con tanta devozione
nell' unione della Passione mia, che del tutto mi rende placato, e fa sì che
per amore suo io perdono molte volte ad innumerabile moltitudine d' uomini.»
LANSPERGIO, Vita, lib. 1, cap. 4.-
Che alla santa fosse più penoso il non patire che non fosse il patire stesso,
facilmente si argomenta da quel che scrive di se stessa (op. cit., lib. 3, cap.
2): «Comprese che, siccome l' anello è segno di matrimonio, così le avversità,
tanto interne quanto esterne, sono certezza della divina elezione, e vengono quasi
a fare un matrimonio dell' anima con Dio; e questo di tal maniera, che chiunque
si trova tribulato, veramente, anzi confidentemente, può dire quelle parole,
cioè: «Il mio Signore Gesù Cristo col suo anello mi ha di già data l' arra;»
perchè se egli nelle avversità non mi manca di questo dono, cioè di darmi
fortezza d' indrizzare l' animo a Dio per la gratitudine, in laude ed in
rendimento di grazie: parimente potrà seguire con allegrezza, che non mi venga
anco meno di questo, d' ornarmi di corona come sua sposa; perciocchè la
gratitudine nelle avversità non è altro che una ornatissima corona di gloria
incomparabilmente più preziosa che oro o topazzi.»
40
Non aveva forza.
41
«Y ansi me parece que nunca me vi en pena despues que estoy determinada a
servir con todas mis fuerzas a este Señor y consolador mio, que, aunque me
dejaba un poco padecer, me consolaba de manera que no hago nada en desear
trabajos. Y ansì ahora no me parece hay para què vivir sino para esto. y lo que
màs de voluntad pido a Dio. Digolo algunas veces con toda ella: Señor, u morir
u padecer; no os pido otra cosa para mi.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 40. Obras.
I, 367.
42
«Bene spesso soleva dire non desiderar la morte così presto, perchè in paradiso
non si patisce.» PUCCINI, Vita, Firenze
1611, parte 1, cap. 47.- «Soleva ella dire che desiderava di vivere solo per
patire per amor di Dio, poichè nell' altra vita non v' era luogo a questo
glorioso patire.» PUCCINI, Vita, Venezia,
1671, cap. 138.- «Alius decubuam conficiebat dolor, quod lecto incessanter
afflixa, ab omni exteriori prohiberetur opere: cum enim... admodum activa
foret, maximam hac in catasta experiebatur mortificationem, dicere solita: non
potuisse graviorem aliam sibi a Domino umquam infligi poenam... Nihilominus de
divino certa beneplacito, tripudiabat prae gaudio, ingeminans frequenter: Pati, non mori.» PATRITIUS A S. IACOBO.
Ord. Carmel., Vita, Francoforti,
1670, lib. 1, cap. 21, n. 6.
43 «Quid enim, ei qui Christum amat,
iucundius esse potest quam pati propter Christum?» SURIUS, De probatis Sanctorum hisotiis, die 8 iulii, De s. Procopio martyre, cap. 26.- Questi atti («S. Procopii ducis», non già
quelli «S. Procopii lectoris»), mentre vengono accettati dal Baronio, ai
Bollandisti sono sospetti: cf. Acta
Sanctorum Bollandiana, die 8 iulii.
44
In vece di S. Gordiano, leggi S. Gordio.- S.
BASILIUS MAGNUS, hom. 18, in Gordium martyrem: MG 31-490 et seq. «Quantum damnum patior, quod
saepe pro Christo mori non possim!» N.4, col. 499.- «Desinite flere.... Ego
enim non semel solum mori paratus sum pro nomine Domini Iesu, sed et millies,
id si fieri posset.» Num. 7, col. 503.
45
«Per caput imperatoris quem tu times, si statuisti sic me supplicio afflicere,
ne iusseris me exui; sed iube me paulatim in picem ferventem dimitti, ut videas
quantam mihi largitus est patientiam Christus quem tu ignoras.» Quae sic
paulatim demissa spatio trium horarum, emisit spiritum cum pix pervenisset ad
eius collum» PALLADIUS, Historia
Lausiaca, cap. 3. MG 34-1014; ML 73-1094.- Ricordiamo esservi due sante
vergini martiri Alessandrine di questo nome: vedi il nostro vol. V, Appendice, 16, pag. 474.
46
«Quid enim Christianis potest esse iucundius quam pati pro Christo?» SURIUS,
die 1a augusti: Martyrium SS. mulierum
Sophiae et eius filiarum, Fidei, Spei et Caritatis, auctore SIMEONE
METAPHRASTE, cap. 6. Di queste martiri fa menzione il Baronio, tanto nei suoi Annali,
anno 122, n. 2, quanto nelle sue Notationes
in Martyrologium Romanum, die 1a augusti. Scondo il Metafraste, questi
furono i loro tormenti: per la santa vergine Fede, «Virgae, abscissio vulnerum,
sartago pice et bitumine accensa, gladius»; per santa Speranza, «bonum crudi
nervi, ignis, unguli ferrei, gladius»: per santa Carità, «extensio membrorum et
lora, ignis, transfixio membrorum terebris gladius.» La loro madre, santa
Sofia, seppellì le tre figlie, e dopo tre giorni s' addormentò nel Signore.- Il
loro martirio è certo; il loro culto fu accettato dai Latini come dai Greci:
circa i particolari poi del martirio, non si ha la stessa certezza, data la
varietà delle «Leggende». Cf. Acta
Sanctorum Bollandiana, die 1a augusti.
47
CRASSET, S. I. Storia della Chiesa del
Giappone, traduzione di Selvaggio
Canturiani, Venezia, 1722, tomo III, lib. 14, pag. 430 e seg.: «I giudici
comandano che Lino (cognato di Massenzia), Massenzia e 'l suo figliuolo
maggiore sieno spogliati ignudi e legati dentro sacchi. Michele (fratello di
Lino e marito di Massenzia) fu riserbato a maggiori tormenti... I carnefici
avevano lasciata qualche spiga di biada ne' sacchi per pugnere e incomodar di
vantaggio i martiri; ma mossi a compassione per la delicatezza di Massenzia,
prima di mettervela dentro, volsero scuotere il sacco. Ella lo impedì ad essi,
dicendo dispiacerle di aver un sol corpo per patire, e che se dieci ne avesse,
ne farebbe volentieri un sacrifizio a Dio... Massenzia stette tre giorni in quello
stato assai strettamente legata, senza potersi volgere nè da una parte, nè
dall' altra (l. c., pag. 430, 431)....» Dopo pochi giorni, furono bruciati
vivi, sotto i suoi occhi, il marito Michele e il cognato Lino. «Massenzia,
vedendoli ardere, fece per tre volte degli sforzi violenti per lanciarsi nel
fuoco, come per l' addietro fece Sant' Apollonia, ma fu arrestata.» Spirato il
marito, fu condotta in una prigione vicina, dove furono fatti gli ultimi sforzi
per indurla a salvare la sua vita; ma com' ella persisteva nella risoluzione di
morire, fu ricondotta al luogo del supplizio, dove per tre volte le fu posta la
spada alla gola per recarle timore; ma ella ridendosi di que' vani terrori,
disse al carnefice: «Non è questa la maniera di mettere in timore un cristiano:
non si teme ciò che si desidera: se volete recarmi spavento, minacciatemi di
lasciarmi in vita.» Avendo ciò detto, prende i propri capelli che le
ondeggiavano sopra le spalle e rovesciandoli sugli occhi, si mette ginocchioni,
stende il collo al carnefice, ed avendogli detto che facesse il suo uffizio, l'
esecutore con un colpo le troncò il capo. Così morì la bella e virtuosa
Massenzia, dopo aver sofferti mille obbrobri e mille tormenti (l. c., pag. 433,
434).»
48 Stette.
49
CRASSET, op. cit., tomo III, lib. 15, nn. 8, 9, pag. 495 e seg.: «Ho in mio
potere tre lettere del P. Machade che sono di grandissima edificazione... Mi
contento riferire la terza ch' egli ha scritta a un religioso di sua Compagnia
ne' termini seguenti: «..... Di là fui condotto a Omura, dove sono prigione.
Piaccia a Dio ch' io soffra qualche cosa per amor suo. Lo benedico con tutto il
mio cuore delle grazie ch' egli mi fa, da me non mai meritate. Vi protesto, mio
carissimo Padre, con ogni verità, che non vorrei cambiare lo stato in cui ora
mi trovo, cogl' imperi secolari ed ecclesiastici del mondo. Non sono mai stato
tanto contento, quanto lo sono. Non sono mai stato tanto allegro, e non mi sono
mai trovato coll' animo così libero da ogni cura e da ogni inquietudine. Sia
benedetto Iddio che compensa con tanta abbondanza il poco che facciamo e
sopportiamo per esso (l. c. pag. 496, 497).» Fu preso ai 22 di aprile,
incarcerato ai 30 dello stesso mese; il martirio fu ai 22 di maggio. I quaranta
giorni di dolori, di cui egli fa menzione in una lettera, cominciarono prima
che fosse arrestato. Così egli scrive ai 3 di maggio al suo superiore in
Nangasaki: «Oggi è il giorno duodecimo da che sono stato preso... Mi dorrò sol
d' una cosa, ed è se m' avvenisse il dover patir poco per suo amore (del mio
Signore). Già sono quaranta giorni che sono cruciato da un duolo acerbissimo,
il quale per l' umidità di questo carcere, che sta nel mezzo d' un pantano, è
cresciuto a segno che non prendo riposo alcuno. Io stimo questo un gran
benefizio di Dio... Dai miei peccati in fuori, non c' è cosa che mi contristi,
non il carcere, non la morte aspettata.» PATRIGNANI, Menologio, 22 maggio (1616), pag. 151 e seg. del mese di maggio): P. Giambattista Macciado, o pure Tavara decollato dai barbari, pag. 153,
col. 1.
50 CRASSET, op. cit., tomo IV, lib. 16,
n. 5, pag. 26 e seg.- PATRIGNANI, Menologio, III,
10 settembre (1622), pag. 60 e seg. (del mese di settembre).- BARTOLI, Opere, XIII, Del Giappone, lib. 4, n. 34 e seg., pag. 145 e seg.- BOERO,
Relazione della gloriosa morte di 205
Beati Martiri del Giappone. Roma, 1867, (anno della beatificazione).- Il
primo periodo citato da S. A., delle lettere scritte in carcere dal B. Spinola:
«Oh! che cosa dolce...» è cavato da una lettera ad un Padre della Compagnia (Crasset, l. c., p. 30); il secondo da
una lettera al Rettore di Nangasaki (Crasset,
l. c., p. 31, 32); la sottoscrizione poi: «Carlo, condannato alla morte per
lo nome di Gesù Cristo,» è dell' ultima delle sue lettere, scritta al suo
Provinciale (Crasset, p. 35).- Tra il
canto del Laudate - intonato dal B.
Carlo, e continuato, con voci angeliche, secondo testimonianze anche giurate,
dai suoi compagni di martirio- e la sua morte vi fu un notevole spazio di
tempo; giacchè, finito il Salmo, parlò in giapponese ai giapponesi, in
portoghese ai portoghesi; poi vennero decapitati quei trenta che erano
condannati a questa morte, tra i quali, insieme colla madre, un bambino di
quattro anni, per nome Ignazio, figlio di un martire e figlio spirituale del P.
Spinola; quindi fu appiccato alle legna il fuoco, dal quale il Beato e i suoi
compagni vennero lentamente consumati; durò due ore quel supplizio, fino alla
morte di tutti i martiri; egli però fu il primo a spirare inquel tormento (Crasset, l. c., n. 2, 3, 4, pag. 16-21).
51 «Neque hoc facit stupor, sed amor.
Submittitur enim sensus, non amittitur. Nec deest dolor, sed superatur, sed
contemnitur.» S.
BERNARDUS, In Cantica, sermo 61, n.
8. ML 183-1074.
52
«Costi Dio quanto si sia, tutto vale, e tutto è bene speso.» Tom. CAMPORA, S. I., Vita, lib. 2, cap. 12.
53
«Nescit lucrari Christum, qui nescit pati pro Christo.» TALENTI, Vita, lib. 7, cap. 9, III, n. 57.
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