- CAPO XIV - Della rassegnazione nella volontà di Dio.
- § 2 - In quali cose noi dobbiamo specialmente rassegnarci.
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§ 2
- In quali cose noi dobbiamo specialmente rassegnarci.
1.
Abbiamo già veduto di sovra quanto vale la rassegnazione alla divina volontà
per renderci cari a Dio e per farci acquistare gran bene. Veniamo ora alla
pratica, e vediamo in quali cose specialmente e come abbiamo da rassegnarci.
Per 1. avvertasi che molto
giova l'avvezzarsi a rassegnarsi nella volontà di Dio nelle cose minute; per esempio a soffrire una
parola pungente, una mosca importuna, un cane che latra,
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un inciampo
nel camminare, una candela che si smorza, una veste che si straccia e cose
simili. Più importa il sopportar con rassegnazione queste cose minute che le
croci grandi; prima perché le minute sono più frequenti; secondo perché così
acquistiamo più presto il buon abito a rassegnarci nelle cose ardue.
2.
Per 2. attendiamo a rassegnarci nelle
nostre infermità. Chi desidera piacere a Dio, dee desiderar le occasioni di
piacergli; e perciò quelle che 'l mondo chiama disgrazie, l'anime buone le
chiamano grazie, e grazie tanto maggiori quanto più sono afflittive e pesanti.
Gl'infermi che patiscono e non sanno uniformarsi alla divina volontà, sono i
più compatibili e deplorabili del mondo, non tanto per le loro pene, quanto
perché non san conoscere le ricchezze che Dio loro offerisce nel patire.
Miseri! essi convertono in veleno il rimedio de' loro mali, mentre i mali del
corpo sono i rimedi più efficaci per guarire i mali dell'anima: Dolor vulneris abstergit mala, dice il
Savio (Prov. XX, 30).1 All'incontro diceva il P. Baldassarre Alvarez
che chi si rassegna negli affanni e dolori, corre per le poste2 ad
unirsi con Dio;3 o pure tira Iddio ad unirsi con esso, secondo il
Signore medesimo rivelò a S. Geltrude, dicendole che vedendo egli un'anima
tribulata, sentivasi a lei tirare; e che questa era la sua delizia, lo star
colle persone inferme e travagliate,4 siccome in più luoghi ce ne
assicura Davide: Iuxta est Dominus iis
qui tribulato sunt corde (Psal. XXXIII, 19): Iddio gode di starsene vicino
ai tribulati. Cum
ipso sum in tribulatione (Psal. XC, 15). Dice Dio stesso: Io
sto unito co' tribulati.
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3.
In tempo dunque d'infermità ben possiamo, anzi dobbiamo prendere i rimedi che
ci vengono prescritti dal medico, perché ciò anche lo vuole Dio; ma poi
dobbiamo totalmente rassegnarci al suo divino volere. Ben possiamo ancora
domandargli la sanità, affin d'impiegarla in servirlo; ma poi dobbiamo
rimetterci nelle sue mani, acciocché faccia di noi quel che gli piace: e questo
è il miglior modo d'impetrar la grazia di guarire. Chi nelle sue preghiere non
cerca Dio, ma se stesso, non sarà esaudito; all'incontro ben sarà esaudito chi
nelle sue domande cerca Dio e la sua divina volontà: Exquisivi Dominum, et exaudivit me (Psal. XXXIII, 5). Apparve un
giorno il Signore a S. Gertrude che stava cruciata dalla febbre, e le dimandò
se voleva la sanità; ella si abbracciò al di lui Cuore e disse: Questo è quello
che eleggo; altro non voglio che la vostra volontà (Op. S. Gertr., 1. III, c.
53).5 Oh che gran rimedio per tutte l'infermità è quella bella parola: Fiat voluntas tua! S. Liduvina, stando
inchiodata in un letto, tutta piaghe e dolori, diceva: Signore, questo è il mio piacere, che mi carichiate di pene; perché
questa è l'unica mia consolazione, di eseguire in me la vostra volontà.6
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Un'anima
tepida non può arrivare a tanto, ma ben vi arriva un'anima amante. Oh che bel
patire è il patire amando! Questo è quell'agrodolce così gustoso all'anime
innamorate di Dio, che rendeva dolci a' santi martiri i flagelli, gli eculei e
le piastre infocate. S. Epitetto martire, mentr'era tormentato, facendogli il
tiranno stracciar le carni con unghie di ferro e bruciare i fianchi con torce
ardenti, non faceva altro che replicare:
Signore, facciasi in me la vostra volontà: Signore, facciasi in me la vostra
volontà (Rosveid. in Vit. PP. l. 1).7 E così soffrì tutte quelle
pene con gran pace. Narra parimente S. Bonaventura di S. Francesco (In Vita c.
14), che stando il santo molto oppresso da' dolori, gli disse un frate
semplice: Padre, pregate Dio che vi
tratti un poco più dolce, mentre par che troppo calchi la mano sopra di voi.
S. Francesco allora gli rispose:
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Sentite,
fratello, se non sapessi che quel che dite viene da semplicità, non vorrei più
vedervi, giacché voi volete riprendere quello che fa Dio. E ciò detto, si buttò
a terra dal letto dove giaceva, e baciandola disse: Vi ringrazio, Dio mio, di
questi dolori, e vi supplico ad accrescermeli, se così vi piace: perché altro
non desidero che di far la vostra volontà.8
4.
Per 3. dobbiamo uniformarci al voler divino
circa i difetti naturali che abbiamo, d'ingegno tardo, mala memoria, poca
vista, poco udito, poca abilità per gli offici, poca sanità. Dobbiamo dire a
chi ci oppone tali difetti: Ipse fecit
nos, et non ipsi nos (Psal. XCIX, 3). E così rassegnarci alla volontà di
Dio. Noi siam poveri, dobbiam contentarci di quella limosina che ci dà il
Signore. Che direste voi se vedeste un povero, il quale si lamentasse che
quella veste che gli è data non è così ricca come la voleva, che il cibo non è
così delicato come l'appetiva? E perciò contentiamoci noi di quel che ci ha
dato Iddio, senza cercar altro. Non poteva egli lasciarci nel nostro niente?
Non potea fare che, in vece d'uomini, fossimo rospi, moschini o fili d'erba? Oh
quante volte ha giovato a molti per salvarsi l'essere stati privi d'ingegno
acuto, di bellezza di corpo a di altro dono naturale! poiché se avessero avuti
quei pregi, forse coll'occasione d'essi sarebbonsi dannati. A quanti il gran
talento, la bellezza, la nobiltà, le ricchezze sono stata causa d'insuperbirsi
e di precipitare in molte scelleraggini. Desideriamo pertanto quei soli beni
che Dio vuol darci e niente più. Dicea il B. Errico Susone: Io vorrei piuttosto essere il più vile
animale della terra colla volontà di Dio, che un serafino colla mia.9
Anche a rispetto dunque della nostra perfezione,
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noi dobbiamo dal
canto nostro aspirare alla maggior santità che possiamo ottenere, ma poi
dobbiam contentarci di quel solo grado che ce ne dona il Signore.
5.
Per 4. dobbiamo specialmente rassegnarci
nelle desolazioni di spirito, che sono per altro le pene più dure a chi ama
Dio; ma non occorre inquietarsi col dire: Io
non mi attristerei, se sapessi che sto cosi desolata, perché lo vuole Iddio; ma
temo che 'l Signore s'è da me ritirato in castigo de' peccati miei. Sia per
castigo, io vi rispondo, è volontà di Dio che voi soffriate questa pena?
accettatela dunque, e Dio ne resterà contento. Per toglierci poi da angustia,
bisogna intendere che vi sono due sorte di aridità: un'aridità è nel senso, la
quale non istà a noi di rimuoverla, e questa non dispiace a Dio; l'altra
aridità sta nella nostra volontà - che propriamente è la tepidezza volontaria -
e questa sta in mano nostra di toglierla. Di questa seconda non serve qui a
parlarne, perché bastantemente ne abbiam parlato nel capo V e VI.
Ma
in quanto alla prima, non importa che ci vediamo quasi inabili ad alzar la
mente a Dio e a fare atti buoni di amore, di contrizione o di conformità; basta
che vogliamo farli colla punta della volontà; allora, benché quest'atti sien
per noi secchi, senza gusto, e quasi impercettibili, Iddio pure l'accetta e li
gradisce. Quando altro non possiamo fare in tale stato di oscurità, almeno
annichiliamoci innanzi a Dio e, confessando le nostre miserie, gittiamoci nelle
sue mani, appunto come si gitta una pietra dal monte in una valle, senza saper
dove vada, e così troveremo pace. E preghiamo sempre, in ogni stato in cui ci
troviamo, o di tenebre o di luce, dicendo: Signore,
conducetemi per quella via che vi piace; fatemi eseguir la vostra volontà,
altro non voglio. L'anima che nell'aridità s'inquieta, dà segno che non
ancora si è abbandonata intieramente nella divina volontà. Dicea S. Teresa: Tutto quel che dee procurare chi si esercita
nell'orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri che in
ciò consiste la più alta perfezione. Chi meglio ciò praticherà, riceverà più
doni da Dio.10 Quindi
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ben concludea S. Maria Maddalena
de' Pazzi: Tutte le nostre orazioni non
debbono esser d'altro che di fare la divina volontà.11
6.
Pertanto voi, sposa benedetta del Signore, avvezzatevi nell'orazione ad
offerirvi sempre a Dio pronta a patire per suo amore qualunque pena di spirito
o di corpo, qualunque desolazione, qualunque dolore, infermità, disonore o
persecuzione; con pregarlo poi sempre a darvi forza di fare in tutto la sua
santa volontà. E notate questo bello avvertimento che danno i maestri di spirito:
Quando accade qualche grave avversità, allora non ci è più bella materia da
prender per soggetto dell'orazione, che quella stessa tribulazione avvenuta, e
sopra quella bisogna replicare gli atti di uniformità. Questo di unir la nostra
volontà a quella di Dio, è stato il continuo esercizio de' santi. S. Pietro di
Alcantara, anche quando metteasi a dormire, figuravasi come stesse morendo, in
punto di spirare, e replicava: Domine,
fiat in me voluntas tua; ed intendea che ogni respiro, mentre riposava,
fosse un atto di rassegnazione.12 Oh quanto il Signore si compiace di
queste offerte ed atti d'uniformità; non già perché egli godesse del nostro
patire, ma perché ivi conosce a qual segno noi l'amiamo.
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Quando
Dio comandò ad Abramo di sagrificargli Isacco, non già volea la morte del
figlio, ma volea conoscere se Abramo era pronto ad eseguire il suo volere. E
ciò è quello che Dio vuole da tutti noi, che teniamo sempre la nostra volontà
unita alla sua. Alcune religiose, leggendo libri di mistica, s'invaniscono
dell'unione soprannaturale, chiamata passiva: ma io vorrei che desiderassero
l'unione attiva, ch'è la perfetta
uniformità alla volontà di Dio, dove consiste, dice S. Teresa, la vera unione
dell'anima con Dio.13 Quelle persone, soggiunge la santa, che hanno la
sola unione attiva, potrà essere che
abbiano molto più merito, perché ciò è con loro travaglio, e
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il
Signore le conduce come forti; e tutto quel che non godono qui, lo serba per
darlo poi loro tutto insieme colà in cielo.14 Dice similmente il
cardinal Petrucci che senza la contemplazione infusa ben può giungere un'anima
colla grazia ordinaria ad annichilare la propria volontà e trasformarla in
quella di Dio; onde conclude che non dobbiamo altro noi bramare e chiedere a
Dio, se non ch'egli faccia in noi la sua volontà, dove tutta la santità
consiste.15 Questo è quel morire a noi stessi, cioè il rinunziare a
tutte le nostre soddisfazioni e desideri, per far vivere in noi solamente la
divina volontà. E questo è quel che dicea l'Apostolo: Vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal. II, 20):
Non vivo più io in me, ma vive Gesù Cristo; perché io non voglio altro se non
quello ch'egli vuole.
7.
Procurate voi dunque, sorella benedetta, in ogni avvenimento, specialmente
nelle cose disgustose al senso, di aver sempre in bocca quel che dicea il
nostro Salvatore. Ita, Domine, quoniam
sic fuit placitum ante te (Matth. XI, 26): Signore, così sia fatto ciò ch'è
avvenuto, perché così è piaciuto a voi. Un certo buon monaco, come riferisce
Cesario (Lib. X, c.6), facea molti miracoli; interrogato poi dal superiore che
cosa egli mai facesse di straordinario, per cui Dio gli concedesse
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quella grazia, rispose: Io non
fo niente, se non che stare attento a voler solo ciò che Dio vuole ed a
prendere ogni cosa dalle sue mani. Ma, ripigliò l'abbate, quel gran danno
che ieri l'altro ci fece quel nostro nemico non vi turbò? No, rispose, perché
pensai, tal essere stata la volontà di Dio. E da ciò scorse l'abbate perché
quel religioso era così caro a Dio.16 Così ancora quando vi affligge il
timore di qualche grave travaglio, che può venirvi sopra, subito allora dite: Signore, voglio quel che volete voi; fate
di me e di tutte le cose mie ciò che vi piace. Narra di più S. Gregorio
(Dial. 1. III, c. 16) che 'l demonio in forma di serpente tormentò per tre anni
un buon religioso, il quale, benché molto patisse in ciò, nondimeno, dice il
santo che non perdé mai la sua pace, dicendo al nemico: Fa di me quel che vuoi, se così piace a Dio.17 Pertanto
la vostra continua preghiera questa sia:
Fiat voluntas tua: questa nel levarvi la mattina, nel porvi a letto la
sera, questa nella meditazione, nella comunione, nella visita al Ss.
Sagramento, e sempre: fiat, fiat voluntas
tua. S. Gertrude ripetea trecento volte il giorno: Gesù mio, non si faccia la volontà mia, ma la vostra.18
8.
Beata voi, se parimente farete sempre così, di star sempre rassegnata alla
divina volontà! troppo felice sarà la vostra
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vita, e più felice sarà
la vostra morte. Dice Blosio che chi in punto di morte fa un atto di perfetta
uniformità alla volontà di Dio, non solo sarà libero dall'inferno, ma anche dal
purgatorio, ancorché avesse fatti tutti i peccati del mondo: Hoc si facere potuerit, sono le sue parole, neque infernum neque purgatorium subibit, etiamsi totius mundi peccata
commisisset (Blos., De consol. pusill., c. XXXIV, § 2).19 E la
ragione si è, perché chi accetta la morte con perfetta rassegnazione, acquista
un merito simile a quello de' santi martiri, che diedero spontaneamente la vita
per Gesù Cristo. Di più chi muore tutto uniformato al voler divino, anche in
mezzo a' dolori muore contento e giubilando. Stava morendo un monaco di
Cistercio, gli marcivano le carni sovra con dolori sì acerbi ch'era un continuo
morire; e 'l buon religioso altro non facea che ringraziare il Signore, sempre
sereno e consolato. Quando poi fu vicino a spirare e si trovò più oppresso da'
dolori, egli allora cominciò più allegramente a cantare. I monaci gli stavano
d'intorno, attoniti in vedere tanta allegrezza fra tante pene: ma egli sino
all'ultimo così giubilando terminò felicemente la vita.20 Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum
(Rom.
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VIII, 28). A chi ama Dio tutto riesce materia di merito e di
consolazione; poiché è certo che Iddio non ci manda le croci che per nostro
bene. Così appunto egli disse un giorno a S. Caterina da Siena: Io non posso volere, se non ciò ch'è utile
per voi. Com'io colla mia libertà creai l'uomo, cosi inestimabilmente l'amai.
Quindi raccoglierete che le tribulazioni in niun modo io le dispongo, se non
per vostro bene, ch'io voglio più che nol volete voi stessi.21
Un'altra santa donna moriva consumata da un ulcere, che l'avea tutta
trasformata; il vescovo che l'assisteva, in vederla tanto patire, non potea
ritenere le lagrime: ma ella rideva e si stupiva in veder piangere il vescovo:
il prelato all'incontro si stupiva di veder lei ridere; onde le dimandò: Perché ridete? Ed ella rispose: Ditemi: Se una principessa, stando in
carcere, sapesse che non può andare al suo regno, finché non è distrutta la
prigione, in veder
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cadere le mura di quella quanto si rallegrerebbe?
e così, vedendomi vicina ad uscire dal carcere di questo mio corpo, mi rallegro
e rido.22
9.
Non mi dilungo più in questa materia della volontà di Dio - di cui non cesserei
mai di parlare - perché già ne ho fatto un trattatino a parte, che è inserito
nel mio libretto della Visita al Ss.
Sagramento;23 onde vi prego, se avete quel libretto, a leggere quel
che ivi ho scritto, ed a leggerlo più volte, perché certamente qui consiste
tutta la nostra salute, pace e perfezione, nell'unirci alla volontà di Dio. Et vita in voluntate eius (Psalm. XXIX,
6).
10.
Vi prego per ultimo a procurare di far tutte le azioni che fate, solo per far
la volontà di Dio, perché così poi non v'inquieterete mai, quando le cose non
succederanno secondo il vostro desiderio. Così starete sempre in pace, e darete
sempre gusto a Dio. Oh bella cosa dar gusto a Dio! Volete sapere che vuol dire
dar gusto a Dio? vel dirò con quel che lasciò scritto il P. D. Antonio Torres:
«Vuol dire piacere a quel Cuore amoroso, a cui tanto da noi si dee: gradire a
quell'occhio divino sempre sollecito del nostro bene: appagare quella volontà
sempre impiegata col suo amore verso di noi. Dar gusto a Dio è quel fine per
cui Dio ci ha creati: quella meta a cui
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debbon aspirare i nostri
desideri: quella regola che dee esser la misura del nostro vivere. Dar gusto a
Dio è quello che più si cerca da' santi: è quello che mosse tante vergini a
consagrarsi a lui ne' chiostri, e mandò tanti anacoreti ai deserti. Ciò non fe'
sentire a' perseguitati le calunnie e gl'improperi; ed a' martiri rendé dolci i
tormenti e la morte. Dar gusto a Dio è quello per cui l'anima illuminata si
offerisce a tutti gli spogliamenti, a tutt'i dolori, a tutte le calunnie più
infami, a tutte le morti più penose, e all'inferno medesimo. Dar gusto a Dio e
tale che ognuno l'ha da preferire ad ogni interesse, ad ogni felicità. È tale
che gli stessi beati, se sapessero essere più gusto di Dio lo star nell'inferno
che nel paradiso, tutti, e la prima sarebbe la Santissima Vergine, si
precipiterebbero nell'inferno per incontrare fra que' tormenti eterni quel
maggior gusto di Dio. Questo vuol dire dar gusto a Dio.»24
1 Livor
vulneris absterget mala. Prov. XX, 30.
2
Correr per le poste, modo di dire
antiquato: andare sollecitamente.
3
«A chi Dio aprì gli occhi per discernere quanto di bene sia in lui, li apre
eziandio affinchè vegga col medesimo lume la preziosità degli affanni e de'
dolori, e conosca esser loro come i cavalli delle poste, co' quali
velocissimamente si corrono gli immensi spazi, che sono tra Dio e l' anime, e
ch' è ingiurioso alla sua Provvidenza chi li ha a disturbi.» Lod. DA PONTE, Vita, cap. 50, § 1.
4
«Simile huic etiam alia vice divinitus inspirata intellexit: scilicet quod
Dominus, cuius deliciae sunt esse cum
filiis hominum (Prov. VIII, 31), quandoque cum nihil inveniat in homine,
quo placita sibi dignatione eum adesse deceat, etiam tribulationes sive
molestias,tam corporales quam spirituales, immittit, ut inde habeat
opportunitatem manendi cum ipso, quia Scriptura veritatis dicit: Iuxta est Dominus his qui tribulato sunt
corde (Ps. XXXIII, 19). Item: Cum ipso sum in tribulatione (Ps. XC, 15).» S. GERTRUDIS MAGNA, Legatus divinae pietatis, lib. 3, cap.
32. Editio Solesmensium, 1875, pag. 194.
5 «Infirmitate detenta, quandoque, post
sudorem, febris invalescebat, quandoque decrescebat. Unde cum nocte quadam
sudore madesceret, anxia coepit cogitare utrum ex ipso infirmitas in peius sive
in melius mutari deberet. Et apparuit illi Dominus Iesus, totus ad instar
floris amoenus, in dextera sua ferens sanitatem, et in sinistra infirmitatem;
praebuitque ei utrasque manus, ut eligeret quidquid magis optaret. Illa vero
utrasque respuens, ac inter utrasque manus Domini procedens in fervore
spiritus, accedebat ad Cor illud dulcissimum, in quo sciebat reconditam totius
boni copiam, ipsius laudabilissimam inquirens voluntatem. Quam Dominus blande
suscipiens et leniter circumplectens, ipsam super Cor suum pausaturam
reclinavit. At illa faciem suam protinus avertens a Domino, et a tergo caput
reclinans super pectus Domini, ait: «Ecce nunc, Domine, faciem meam avertoa te,
toto corde desiderans ut non meam respicias voluntatem, sed tuam in omnibus
circa me laudabilissimam placentiam perficias.»- Per quod notari potest quod
fidelis anima tam secura confidentia se totam et omnia sua divinae committit
dispositioni, quod etiam delectetur nescire quid circa ipsam Dominus agat, ut
eo purius divinae voluntatis complacitum in se faciat esse perfectum. Tunc
Dominus ex utraque parte dulciflui Cordis sui tamquam ducillis a cupa plena
extractis, immisit duos rivulos inundantes in sinum eius, dicens: «Ex quo
omnino propriae renuntiando voluntati, sic avertisti faciem tuam a me, ego
omnem dulcedinem et delectationem divini Cordis mei emittendo, dirigo a te.» S.
GERTRUDIS MAGNA, Legatus divinae
pietatis, lib. 3, cap. 53. Editio Solesmensium monachorum O. S. B., 1875,
pag. 225.
6 «Suam quidem in Domino ita fixit
voluntatem.... ut
nihil cogitare, dicere vel facere praemeditate liberet, quod divinae putaret
volitioni displicere. Unde verbum hoc, cum patientissimo Iob et B. Francisco,
bonae voluntatis alumna saepius dixisse virtualiter fertur: «Hoc mihi, Domine,
acceptissimum erit, ut affligens me dolore non parcas: cum tuae voluntatis
adimpletio sit mihi consolatio superplena.» B.
Lidivinae Vita posterior auctore Io. BRUGMAN,
pars. 2, cap. 1, n. 69: inter Acta SS. Bollandiana, die 14 aprilis.
7
Vita SS. Epicteti presbyteri et Astionis
monachi, auctore incerto. ML 73-393 et seq. Vitae Patrum, sive HIstoriae eremiticae libri decem, auctoribus suis et nitori
pristino restituti ac notationibus illustrati, opera et studio Heriberti Rosiveydi, Ultraiectini e
Societate Iesu Theologi. Liber primus.- Cap. 13, col 402: «Cum diu multumque
caederentur, et nihil eius immanitas adversus Dei cultores praevaluisset,
taliter iratus contra eos Latronianus locutus est: «Ubi est mirabilis ille
vester defensor, quem sine cessatione vobis in auxilium invocastis? Veniat itaque nunc, et si potest, de meis vos eripiat manibus.» Sancti martyres dixerunt:
«Christiani sumus, o tyranne, fiat voluntas Dei nostri in nobis.» Haec cum audisset Latronianus, iussit eos in eculeum levari, et fortiter
ungulis ferreis radi. Cumque raderentur, iterum dicebant; «Christiani sumus, o tyranne
Latroniane, fiat voluntas Dei nostri in nobis.» Tunc
deinde iussit tyrannus ut lampades ardentes, cum adhuc in eculeo penderent, ad
latera eorum applicarent. Cumque et hoc tormenti genus magnanimiter tolerarent, dicebant:
«Christiani sumus, o tyranne, fiat voluntas Dei in nobis.»- Cap. 15, col. 403:
Dopo cinque giorni passati in carcere, condotti di nuovo i santi martiri
dinanzi al tribunale, e trovati fermi nel loro proposito, «taliter ad suos
milites locutus est (Latronianus), dicens: «Velociter.... sal et acetum huc
afferte, et prioribus eorum lacerationibus confricate, simulque picem et adipem
in cacabum aeneum mittite, et cum coeperit fortiter ebullire, eos in eumdem
mittite.» Et sancti haec audientes dicebant: «Christiani sumus, o tyranne, fiat
voluntas Dei in nobis.»- Cap. 17, col. 404, 405: Dopo che furon lasciati trenta
giorni in prigione senza cibo, in un nuovo interrogatorio, «iussit
(Latronianus) ministris suis ut cum lapidibus ora sanctorum contunderent.
Deinde imperavit ut virgas afferrent, quamdiu spiritum exhalarent... Nihil
aliud dicebant, nisi: «Domine Deus noster, tua voluntas fiat in nobis.»
Condannati finalmente ad aver la testa tagliata, «cum ducerentur psallebant,
dicentes: «Laudate nomen Domini, laudate,
servi, Dominum (Ps. CXXXIV), quia facta est voluntas Dei nostri in nobis
per omnia.»
8
«Cum autem semel gravius solito dolorum urgeretur aculeis, quidam Frater
simplex dixit ad eum: «Frater, ora Dominum, ut mitius tecum agat; manum enim
suam plus debito super te gravare videtur.» Quo audito, vir sanctus cum eiulatu
exclamans ait: «Nisi nossem in te simplicem puritatem, tuum ex nunc abhorrerem
consortium, qui ausus fueris circa me divina iudicia reprehensibilia iudicare.»
Et licet totus esset attritus gravis prolixitate languoris, proiiciens se in
terram, ossa debilia duro casu collisit. Et deosculans humum: «Gratias, inquit,
tibi ago, Domine Deus, de omnibus his doloribus meis, teque, mi Domine, rogo ut
centuplum, si tibi placuerit, addas; quia hoc erit mihi acceptissimum, ut affligens me dolore non parcas, cum
tuae sanctae voluntatis adimpletio sit mihi consolatio superplena.» S.
BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap.
14, n. 2. Opera, VIII, ad Claras
Aquas, 1898, pag. 546.
9
Quantunque forse non in questi termini, il B: ENRICO SUSONE esprime più volte
questa sentenza: risponde alla sua dottrina fondamentale della perfettissima e
totale rassegnazione dell' anima nelle mani di Dio, anche nelle cose
spirituali.- Vedi il nostro vol. I, Appendice,
89, pag. 499: «Minimus esse malim voluntate Dei, quam maximus voluntate
propria.»
10
«Tota la pretensiòn de quien comienza oraciòn- y no se os olvide est, que
importa mucho, - ha da ser trabajar y determinarse y deponerse (disponerse),
con cuentas diligencias pueda, a hacer su voluntad conformar con la de Dios; y,
como dirè despuès, estad muy cierta que en esto consiste toda la mayor
perfeciòn que se puede alcanzar en el camino espiritual. Quien màs
perfetamiente tuviere esto, màs recebirà del Señor, y màs adelante està en este
camino.» S. TERESA, Moradas segundas, cap.
unico. Obras, IV, 27, 28.
11
«Tutte le nostre orazioni devono essere condizionate, non chiedendo a Dio altro
mai che la sua amabilissima volontà.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in fine: Detti
e sentenze, § 5, n. 34.- «Avrebbe stimato in sè difetto notabile, se per se
stessa o per altri avesse domandata al Signore alcuna grazia con maggior
istanza che con semplici preghiere. Usava di dire in tal proposito: «Io mi godo
e mi glorio di fare la volontà di Dio, non ch' egli faccia la mia. Onde maggior
obbligo tengo a Dio, quando non mi esaudisce che quando mi concede quanto gli
chieggo.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 59.
12
«Quotidie sibi tamquam mortuo, psalmum De
profundis recitans, priusquam cubitum iret, animam suam Deo commendabat.»
IO. DE LUCA, Venetus, O. M., Annales
Minorum, anno 1542, n. 5 (de Sancto adhuc iuvene).»- Lo stesso dice
LAURENTIUS A S. PAULO, Vita, lib. 1,
cap. 2.- «Ante cubitum, autem, ut legitur, semper sibi ipsi veluti mortuo
psalmum De profundis recitare
consuevit.» IOS. M. DE ANCONA, n. 308.- «Quanto più interiormente ed
esteriormente veniva molestato, interrompeva nell' istesso tempo con un
sospiro, dicendo: Sit nomen Domini
benedictum; fiat, Domine, fiat voluntas tua....» GIOVANNI DI S. BERNARDO,
O. M., Vita, lib. 5, cap. 14.
13
S. TERESA, Moradas segundas, cap.
unico, Obras, IV, 27, 28: vedi sopra,
nota 10.- Las Fundaciones, cap. 2: Obras, V, 42, 43, 44: «En lo que està la
suma perfeciòn, claro està que no es en regalos interiores, ni en grandes
arrobamientos ni visiones, ni en espiritu de profecia; sino en estar nuestra
voluntad tan conforme con la de Dios, que ninguna cosa entendamos que quiere,
que no la queramos con toda nuestra voluntad, y tan alegremente tomemos lo
sabroso como lo amargo, entendiendo que lo quere Su Majestad... Mirà, hermanas,
si quedarà bien pagado el dejar el gusto de la siledad. Yo os digo, que no por
falta de ella dejarèis de disponeros para alcanzar esta verdadera uniòn que
queda dicha, que es hacer mi unos emebecimientos muy regalados que hay, a quien
tienen puesto nombre de uniòn, y serà ainsì, siendo despuès de ésta que dejo
dicha. Mas si despuès de esa suspensiòn queda poca obediencia y propia
voluntad, unida con su amor proprio me parece a mi que estarà, qua no con la
voluntad de Dios.»- Moradas quintas, cap.
3, Obras, IV, 86: «Pues la verdadera
uniòn se puede muy bien alcanzar, con el favor de Nuestro Señor, si nosostros
nos esforzamos a procurarla, con no tener voluntad si no atada con lo que fuere
la voluntad de Dios. ¡Oh, què de ellos habrà qu digamos esto, y nos parezca que
no queremos otra cosa, y moririamos por esta verdad, como creo ya he dicho!
Pues, yo os digo, y lo dirè muchas veces, que cuando lo fuere, que habèis
alcanzado esta merced del Señor, y ninguna cosa se os dè de estotra uniòn
regalada que queda dicha, que lo que hay de mayor precio en ella es por
proceder de èsta que ahora digo, y por no poder llegar a lo que queda dicho, si
no es muy cierta la uniòn de estar resinada nuestra voluntad en la de Dios. ¡Oh
què union ésta para desear! Venturosa el alma que la ha alcanzado, que vivirà
en esta vida con descanso, y en la otra tambièn.»- Moradas quintas, cap. 3, hijas, que es necesario que muera el
gusano, y màs a vuestra costa; porque acullà ayuda mucho para morir el verse en
vida tan nueva; acà es menester que, viviendo en ésta, le matemos nosotras. Yo
os confieso que serà a mucho màs trabajo, mas su precio se tienen; ansi serà
mayor el galardòn si salis con vitoria. Mas de ser posible no hay que dudar,
como lo sea la uniòn verdaderamente con la voluntad de Dios. Esta es la uniòn
que toda mi vida he deseado; ésta es la que pido siempre a Nuestro Señor, y la
que està màs clara y sigura. Mas ¡ay de nosotros, que pocos debemos de llegar a
ella! aunque a quien se guarda de ofender a el Señor y ha entrado en relisiòn,
le parezca que todo lo tiene hecho.»
14
«Es cosa que importa mucho entender que no a todos lleva Dios por un camino, y
por ventura el que le pareciere va por muy màs bajo, està màs alto en los ojos
del Señor; ansi que, no porque en esta casa todas traten de oraciòn, han de ser
todas contemplativas. Es imposibile y serà gran desconsolaciòn para la que no
lo es, no entender esta verdad, que esto es cosa que lo da Dios; y pues no es
necessario para la salvaciòn, ni nos lo pide de premio, no piense se lo pedirà
nadie; que por eso no dejarà de ser muy perfeta, si hace lo que queda dicho;
antes podrà ser tenga mucho màs mèrito, porque es a mas trabajo suyo, y la
lleva el Señor como a fuerte, y la tiene guardado junto todo lo que aqui no
goza.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap.
17. Obras, III, pag. 79, 80.
15
«Che se nella contemplazione acquistata non sempre si gusta quel «gaudio d'
amore e soavità di quiete» che nell' infusa si sperimenta, come dice il Santo
(S. Bon. de prof. relig. l. 2., c. 72); non però è sempre minore di merito:
imperochè consistendo la grandezza del merito nella grandezza della carità e
dell' altre virtù operanti, non già nella grandezza delle spirituali soavità;
anzi accrescendosi il merito per la difficoltà che s' incontra nell' opera
virtuosa; ne siegue, che se con uguale amor di Dio contempleranno due anime, l'
una addolcita dalle rugiade celesti infuse in lei, e l' altra con le proprie
fatiche industriandosi, potrà questa meritar quanto quella per l' uguaglianza
della carità, e forse più di quella per le difficoltà che orando ella supera.» Pier Marreo PETRUCCI, vescovo di Iesi, La contemplazione mistica acquistata, Venezia,
1682, cap. 11, § 2, n. 7, pag. 178, 179.
16
«Retulit nobis nuper Abbas quidam Ordinis nostri de quodam monacho, cui tanta a
Domino concessa est gratia ut virtute vestimentorum eius multi sanarentur.
Saepe, si tamen adhuc vivit, dum fratres vestes eius induunt, vel cingulo se
cingunt, sanantur. Quod cum tempore quodam Abbas eius considerasset, nec
aliquid specialitatis in illo vidisset, his verbis eum secretius allocutus est:
«Dic mihi, fili, quae est causa tantorum miraculorum?» Respondit ille: «Nescio,
domine. Non plus ceteris fratribus oro, non plus ieiuno, non plus vigilo, non
plus laboro; sed unum sscio, quod me extollere non potest prosperitas, neque
frangere adversitas, sive de persona mea sit, sive de aliorum.» Cui cum
dixisset Abbas: «Non te turbavit quod miles talis nuper grangiam nostram
incendit?» respondit: «Non. Totum enim Deo commisi. Si modicum habeo, cum
gratiarum actione recipio; si multum, iterum gratias ago.» Et cognovit Abbas quod causa tantae virtutis esset amor Dei, et contemptus
rerum terrenarum.» CAESARIUS, Heisterbacensis monachus, Ord. Cist., Dialogus miraculorum, distinctio
10, cap. 6.
17 «Vir sanctus omnino imperterritus,
eius (serpentis) ori manum vel pedem extendebat, dicens: «Si licentiam
accepisti ut ferias, ego non prohibeo.».... Perpende, quaeso, iste vir Domini in quo mentis
vertice stelit, qui cum serpente per triennium iacuit securus.» S. GREGORIUS
MAGNUS, Dialogi, lib. 3, cap. 16: De Martino monacho de monte Marsico. ML
77-257.
18
«Divinitus inspirata, legit vice omnium mebrorum suorum CCCLXV (Cod. Vind. CCXXV) vicibus illud
Evangelicum: «Non mea sed tua voluntas
fiat (Luc. XXII, 42), amantissime Iesu.» Quod Domino multum sensit
complacere.» S. GERTRUDIS MAGNA, Legatus
divinae pietatis (edit. Solesmens.), lib. 4, cap. 23, p. 373.
19
«Hoc si revera facere potuerit, si, inquam, sese ex pura dilectione, cum
perfecta sui resignatione, ad omnem poenam pro honore divinae iustitiae tolrandam
animo spontaneo obtulerit, ipse neque infernum, neque purgatorium subibit,
etiamsi solus omnia totius mundi peccata commisisset.» Ludovicus BLOSIUS, Abbas Laetiensis, Consolatio pusillanimium, cap. 34, §2: Opera, Antverpiae, 1632, pag. 398.
20 Exordium
magnuum Cisterciense, dist. 4, cap. 16.- S. Bernardi
Vita prima, lib.
7, (ex Exordio magno Cisterciensi), cap.
25. ML 185-441, 442. - Questo monaco, tre volte fuggitivo per leggerezza, e tre
volte ricevuto nel monastero, finalmente convertito colle ammonizioni e le
preghiere di S. Bernardo, divenne un modello di osservanza regolare e di
penitenza. «Dispondente Domino.. percussus est circa femora ulcere pessimo...
et..... totus contabuit, ita ut... ossa nudata patescerent, et vulnera vermibus
scaturirent. Annis itaque pluribus in grabato carceratus...
quot horis vivebat, totidem pene interitionibus subiacebat.... Sategebat autem
frater idem infirmus et doloribus et pressuris suis semper gratias agere, corde
credens et ore confitens sese recipere longe adhuc imparia meritis... Sed antequam de lacu miseriae... educeretur, ad consolationem.... poenitentium, meruit in hac
vita... nescio quid ineffabile de... superna dulcedine... praegustare. Qua
gustata... protinus erupit in iubilum praeconii caelestis, et serenata facie
coepit idiota, et qui numquam cantare aut legere didicerat, cum suavissima
melodia quosdam novos multumque delectabiles hymnos ac modulos cantare de
canticis Sion. Facta autem hac voce, convenit multitudo fratrum videre cum
grandi miraculo hominem tantis miseriis et calamitatibus oppressum, in ipso
mortis accessu cantando et tripudiando insultantem... Ita ergo praecentor
noster modulizans... in voce exsultationis et confessionis beatam animam illam
exhalavit. De cuius felici consummatione beatus Bernardus hilaratus, sermonem
devotissimum ad fratres in capitulo fecit.»
21
«(Parla il Padre Eterno.) E voglio che tu vegga, dilettissima figliuola, con
quanta patientia a me conviene portare le mie creature, le quali io ò create,
come detto è, alla imagine esimilitudine mia, con tanta dolcezza d' amore. Apre
l' occhio dell' intelletto tuo, e raguarda in me...» Allora, quella anima,
aprendo l' occhio dell' intelletto col lume della santissima fede, nella divina
sua Maestà, con ansietato desiderio, perchè per le parole dette più cognosceva
della sua Verità nella dolce Providentia sua, per obedire al comandamento suo,
specolandosi nellì abisso della sua Carità vedeva com' egli era somma ed eterna
Bontà, e come per solo amore ci aveva creati, e ricomprati del sangue del suo
Figliuolo, e che con quest' amore medesimo dava ciò ch' egli dava e permetteva,
tribulationi e consolationi, e ogni cosa era dato per amore, e per provedere
alla salute dell' uomo, e non per veruno altro fine, el sangue sparto con tanto
fuoco d' amore vedeva che manifestava che questa era la verità. Allora diceva
el sommo ed eterno Padre: «Questi sono come acciecati per lo proprio amore, che
anno di loro medesimi, scandalizzandosi con molta impatientia... Essi giudicano
in male in loro danno, in ruina, ed in odio, quello che io fo per amore e per
loro bene, per privarli delle pene eternali, per guadagno,e per dar lo' vita
eterna. E perchè dunque si lagnano di me? Pertchè non esperano in me, ma in
loro medesimi, e già t' ò detto che per questo vengono a tenebre, sè che non
cognoscono, unde odiano quel che debbono avere in reverentia, e come superbi
vogliono giudicare gli occulti miei giudicii e quali sono tutti diritti... E
già ti dissi che (del Verbo mio Figliuolo) ve ne avevo fatto ponte, acciochè
tutti poteste venire al termine vostro, e nondimeno con tutto questo non si
fidano di me, che non voglio altro che la loro santificazione. Per questo fine
e con grande amore lò dò e permetto ogni cosa, ed essi sempre si scandalizzano
in me, ed io con patientia li porto e gli sostengo, perchè io gli amai senza
essere amato da loro.» S. CATERINA DA SIENA, Il Dialogo, cap. 138, (cap. 5 del trattato 4). Opere, Siena, 1707, IV, pag. 249, 250.- Cf. La stessa opera, cap. 166, pag. 321 e seg.; B. RAIMONDO DA CAPUA, Vita, parte 3, cap. 3.
22
«Domina quaedam pulchra facie, sed pulchrior fide, devota Deo, pia pauperibus
et eleemosynis assueta, cum a piissimo Patre Deo tamquam filia carissima
percussa fuisset subito plaga leprae et tota facie deformata, plangentibus
omnibus qui videbant eam, ipsa sola gaudebat, gratias agens Deo. Visitans autem
eam quidam episcopus, et videns eam sic horribiliter deturpatam, quae tam
speciosa fuerat, et tam sancta dicebatur ab omnibus, flere coepit, et Dei
iudicium admirari. Illa vero ridens interrogavit eum quare fleret? Repondit
quod ex compassione non poterat a lacrimis abstinere. Inquirenti vero episcopo
quare ipsa risisset, respondit: «Domine, si quis detineretur in carcere tali
pacto quod numquam exiret donec muri funditus corruissent, si videret muros
paulatim corruere, pro sua liberatione gauderet. Unde cum anima teneatur in
corporis carcere, gaudere debet quando videt corpus suum deficere et ad finem
suum tendere, proculdubio sciens exitus sui tempus propinquare, ut ad sui
Redemptoris aspectum libera revertatur.» Magnuum Speculum exemplorum, dist.
9, exemplum 92.
23
Il trattatino, di cui parla S. Alfonso, è intitolato Uniformità alla volontà di Dio. Comparve nel 1755 nella II parte
della VI edizione delle Operette
spirituali impresse a Napoli dal Gessari: l' edizione antecedente curata
dal medesimo tipografo nel 1754 non l' ha. L' Autore asserisce ragionevolmente
che esso trovasi nella Visita al SS:
Sacramento, perchè così usava chiamare i suoi diversi librettini più uniti
insieme, li appellava cioè col titolo principale della I parte.- Nella nostra
edizione l' Uniformità alla volontà di
Dio trovasi nel volume I tra gli opuscoli sull' amore divino (pag.
283-312).
24
«In uno de' suoi sermoni... così dice: «Andiamo però prima vedendo che vuol
dire dar gusto a Dio: vuol dire, piacere a quel Cuore amoroso a cui tanto si
deve da noi; gradire a quell' occhio divino sempre aperto e sollecito del
nostro bene; appagare quella volontà sempre impiegata col suo infinito amore
verso di noi. Dar gusto a Dio, è quello stesso ch' è il fine perchè Dio ci
diede quest' essere; quella meta alla quale devono aspirare i nostri desideri,
affetti, e pensieri: quella regola che dev' esser misura del nostro vivere. Dar
gusto a Dio è quello che più si ambisce da' Santi; è quella mira che procura
avere chi è perfetto. Il dar gusto a Dio è quello che mosse tante vergini a
consacrare nè chiostri la loro verginità, fece sprezzare il mondo a tanti
religiosi, rendette tanto sopportabile l' aspro tenor della vita agli
anacoreti. Questo non fè sentire a' perseguitati le tante calunnie ed
improperi, a' martiri rendette dolci le tante loro pene e tormenti. Dar gusto a
Dio, è quello che in ogni tempo, chi ha l' anima illuminata, che conosce le
obligazioni col suo Signore si offerisce a tutte le rinunzie, a tutti gli
spogliamenti, a tutti i crucci più dolorosi, a tutte le calunnie più infami, a
tutte le morti più dolorose, all' inferno medesimo. Dar gusto a Dio è tale, che
ognuno, il quale non ha il cuor tutto tenebre, l' ha da preferire ad ogni suo
interesse per grande, ad ogni felicità per estimata, ad ogni gloria per ambita
che sia; è tale, che gli stessi Beati, che sono in tanta luce nel paese della
verità, se potesse sapersi essere un grado, un minuto, un filo più gusto di Dio
lo star nell' inferno, che in tanta gloria nel paradiso, tutti, nemine contradicente, e la prima sarebbe
la Vergine, si precipiterebbero dal cielo nell' inferno, per incontrare fra'
tormenti eterni, in quell' abisso di pene, quel poco di gusto di Dio maggiore a
quello che adesso gli danno. Questo vuol dire dar gusto a Dio; questo pesa il
piacere al suo Cuore divino, il gradire a suo occhio.» SABBATINI, Vita, lib. 2, cap. 2.
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