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S. Alfonso Maria de Liguori La vera Sposa di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO XVIII - Della frequenza de' sagramenti della confessione e comunione.
§ 1 - Della confessione.
1. Non parliamo qui delle confessioni delle persone imbrattate in peccati mortali - benché non lasceremo di avvertire più cose circa le occasioni prossime e le confessioni sagrileghe - ma principalmente intendiamo di parlare delle confessioni dell'anime timorate che amano la perfezione, e però cercano di sempre più purificarsi dalle macchie de' peccati veniali.
Narra Cesario (Lib. II, c. 38) che un buon sacerdote, essendogli apparso un demonio, esso gl'impose da parte di Dio che dicesse qual cosa più gli noceva. Rispose che niun'altra cosa più gli noceva e dispiaceva che la frequente
Ma udiamo quel che disse Gesù Cristo a S. Brigida, che chi volea conservare lo spirito, deve spesso purgarsi colla confessione, accusandosi di tutt'i suoi difetti e negligenze nel servirlo (Apud Blos., Monil. spir., cap. 5).2
Scrisse Cassiano (Collat. 1, cap. 5) che l'anima, la quale aspira alla perfezione, dee attendere ad avere una gran purità di coscienza, perché da questa purità si passa poi all'acquisto del perfetto amor divino, il quale non si dona se non all'anime pure; ond'è che alla mondezza del cuore corrisponde l'amore.3 Ma bisogna intendere che tal purità negli uomini, secondo il presente stato, non consiste già in una totale esenzione da qualunque difetto, perché, eccettuandone il nostro divino Salvatore e la sua divina Madre, non v'è stata né vi sarà nel mondo anima senza le sue macchie: In multis... offendimus omnes (Iac. III, 2). Ma consiste in due cose: per prima in una vigilante custodia del cuore, affinché non v'entri alcuna colpa avvertita,
benché leggiera; per secondo consiste nel procurare che, se mal v'entra, subito l'anima se ne purghi.
2. Or questi due buoni effetti appunto produce la confessione frequente.
Con essa primieramente la persona si lava dalle macchie contratte. Narra a tal proposito S. Giovanni Climaco (Scala, gradu 4) che un giovane, affin di lasciar la mala vita che menava nel secolo, andò a farsi religioso in un monastero. L'abbate, prima di riceverlo, volle provarlo, e gli disse che se voleva esser ammesso, si fosse confessato in pubblico di tutt'i suoi peccati. Il giovane, che veramente stava risoluto di darsi a Dio, ubbidì; ed ecco che, mentr'egli alla presenza de' monaci palesava le sue colpe, un santo religioso, che v'era tra essi, vide un uomo d'aspetto venerando, che siccome il penitente confessava alcun suo peccato, cosi quegli lo cancellava da una carta scritta che teneva in mano; talmente che, terminata la confessione, si videro in quel foglio cancellate tutte le colpe del penitente.4 Or quello che allora visibilmente avvenne, avviene invisibilmente ad ognuno che si confessa colla dovuta disposizione.
3. Non solo poi colla confessione si cancellano le macchie dell'anima, ma di più l'anima acquista forza per non ricadervi. Dice il Maestro Angelico (3 p., q. 85, a. 2) che la virtù della penitenza opera che la colpa commessa non solo si distrugga, ma ancora che più non ripulluli.5 E riferisce S. Bernardo a tal proposito nella Vita di S. Malachia che v'era una certa donna la quale continuamente s'impazientiva e adiravasi a tal segno ch'erasi renduta insopportabile. S. Malachia, intendendo da lei che di tale impazienza non se n'era mai confessata, l'indusse a farsene un'intiera confessione. Scrive poi S. Bernardo che questa donna dopo la confessione divenne così paziente e mansueta, che parea non saper più risentirsi a niun travaglio o maltrattamento che riceveva.6
E perciò molti santi, affin d'acquistare la purità di coscienza, han costumato di confessarsi ogni giorno; così praticavano S. Caterina da Siena,7 S. Brigida,8 la B. Coletta;9 così anche S. Carlo Borromeo,10 S. Ignazio di Loiola11 e molti altri; e S. Francesco Borgia non si contentava d'una volta, si confessava due volte il giorno.12 Ma se gli amanti del mondo non possono tollerare di comparire avanti le loro persone amate con alcuna macchia nel volto, qual maraviglia è che l'anime amanti di Dio procurino di sempre più purificarsi, per rendersi più gradite agli occhi del loro amato Signore?
Del resto non intendiamo qui di obbligare le religiose, che frequentano la comunione, a confessarsi ogni volta che si cominicano;
ma è bene ch'elleno si confessino due volte o almeno una la settimana, ed in oltre quando avesser commessa qualche colpa avvertita.
4. È noto già che per la buona confessione ricercansi tre cose: L'esame di coscienza, il dolore, ed il proposito.
E primieramente in quanto all'esame, a chi frequenta i sacramenti, non occorre rompersi la testa per andar trovando tutte le minuzie delle colpe veniali. Più presto vorrei che taluna badasse a scovrire le cause e le radici de' suoi attacchi e tepidezze; dico ciò per quelle monache che vanno a confessarsi col capo pieno di cose intese alla grata, e così fanno sempre la stessa canzona, con recitare gli stessi loro difetti, senza dolore e senza pensiero d'emenda.
Del resto per l'anime spirituali che si confessano spesso e si guardano da' peccati avvertiti, non ci bisogna gran tempo per l'esame; poiché a riguardo de' peccati gravi, non fa bisogno scrutinar la coscienza, perché se mai vi fosse stata qualche colpa mortale, senza farsi cercare, da sé farebbesi conoscere. Circa poi i peccati veniali, se fossero stati pienamente volontari, ben anche si farebbero sentire colle loro punture; oltreché non v'è obbligo di confessare tutte le colpe leggiere che sono nella coscienza; e per conseguenza neppure v'è l'obbligo di farne esatta ricerca, e tanto meno del numero e delle circostanze, del come e del perché sieno state commesse; basta che si dicano quelle che più pesano e che più impediscono la perfezione; le altre si accusino con termini generali. E quando non vi fosse materia certa presente, si dica alcun peccato della vita passata, che muove più a dolore, per esempio: Mi accuso specialmente di tutte le colpe commesse per lo passato contra la carità, la purità o l'ubbidienza.
Quanto consola circa questo punto ciò che scrisse S. Francesco di Sales:13 Non vi date alcun fastidio, se non vi ricordate di tutte le vostre picciole cadute per confessarvene; perché, siccome cadete spesso senza avvedervene, cosi anche spesso vi
dirizzerete in piedi senza avvedervene. E volea dire cogli atti d'amore o altri atti buoni che soglion fare l'anime divote.
5. In secondo luogo vi bisogna il dolore, e questo si richiede principalmente per ottenere la remissione de' peccati. Non sono già migliori le confessioni più lunghe, ma le più dolorose. Il contrassegno d'una buona confessione, dice S. Gregorio, non si prende dalle molte parole del penitente, ma dal pentimento che ne dimostra.14
Del resto le religiose che si confessano spesso e che hanno abborrimento anche alle colpe veniali, discaccino i dubbi se hanno o no il vero dolore. Talune di costoro si angustiano, perché non lo sentono; vorrebbero, ogni volta che si confessano, aver lagrime e tenerezze; e perché poi, con tutto lo sforzo e violenza che si fanno, non possono averle, stanno sempre inquiete delle loro confessioni. Ma bisogna persuadersi che il vero dolore non già sta nel sentirlo, ma nel volerlo. Tutto il merito delle virtù sta nella volontà; onde scrisse il Gersone, parlando della virtù della fede, che talvolta merita più chi vuol credere che colui che già crede: Aliquando non tam meritorium est credere quam velle credere (De praep. ad Miss., cons. 3).15 Ma prima, parlando specialmente del dolore, ciò l'insegnò S. Tommaso, dicendo: In contritione est duplex dolor, unus in ipsa voluntate, qui est essentialiter ipsa contritio, quae nihil aliud est quam displicentia peccati praeteriti: alius dolor est in parte sensitiva, qui causatur ex ipso dolore (Suppl. 3. p., q. 3, a. 1).16 Dice dunque l'Angelico che il dolore essenziale, necessario
per la confessione, è la dispiacenza del peccato commesso; e questo dolore non già sta nella parte sensitiva, ma nella volontà, mentre il dolor sensibile è un effetto del dispiacere della volontà, il quale effetto non sempre da noi può aversi, perché la parte inferiore non sempre siegue ed ubbidisce alla superiore. Sempre che dunque nella volontà v'è la dispiacenza sovra ogni male della colpa commessa, la confessione è buona.
6. E per tanto astenetevi di sforzarvi per sentir il dolore. Parlando degli atti interni, sappiate che quelli sono i migliori che son fatti con minor violenza e più soavità, giacché lo Spirito Santo ordina tutte le cose con soavità e quiete: Disponit omnia suaviter (Sap. VIII, 1). Quindi diceva il santo penitente Ezechia, parlando del dolore che avea de' suoi peccati: Ecce! in pace amaritudo mea amarissima (Is. XXXVIII, 17). Sentiva una grande amarezza, ma in pace.
Quando voi volete ricevere l'assoluzione, fate così: in apparecchiarvi per la confessione, prima domandate a Gesù Cristo ed a Maria Addolorata un vero dolore de' vostri peccati; indi fate brevemente l'esame, come di sovra si è detto; e poi in quanto al dolore basta che dite così: Dio mio, v'amo sovra ogni cosa, spero al sangue di Gesù Cristo il perdono di tutti i peccati miei, de' quali per aver offeso e disgustato voi, bontà infinita, me ne pento con tutto il cuore e abborrisco sopra ogni male; ed unisco questo mio abborrimento all'abborrimento che Gesù mio n'ebbe nell'orto di Getsemani. Propongo di non offendervi più colla grazia vostra. E sempre che ciò avete voluto dirlo con vera volontà, andate quietamente a prendervi l'assoluzione, senza timore e senza scrupolo.
S. Teresa, per toglier l'angustie circa il dolore, dava un altro bel segno: Vedete, dicea la santa, avete voi vero proposito di non commetter più le colpe che vi confessate? e se avete questo proposito, non dubitate che avete ancora vero dolore.17
7. In terzo luogo si richiede il proposito. Il proposito nella confessione, per esser buono, dee essere fermo, universale ed efficace.
Per 1. dunque dee esser fermo. Taluni dicono: Non vorrei
più commetter questo peccato: non vorrei più offendere Dio. Oimè, questo vorrei dinota che 'l proposito non è fermo. Acciocché egli sia fermo, bisogna dire con volontà risoluta: Non voglio far più questo peccato: non voglio più offender Dio deliberatamente.
Per 2. dee esser universale, sì che il penitente proponga di evitar tutt'i peccati senza eccezione. Ciò nondimeno s'intende a rispetto de' peccati mortali; perché in quanto a' veniali, basta, per lo valore del sagramento, dolersi e proponere di fuggire una sola specie di veniali. Le persone poi più spirituali debbon proponere di evitare tutti i veniali deliberati; ed in quanto agl'indeliberati, mentr'è impossibile evitarli tutti, basta proponere di guardarsene quanto più si può.
Per 3. il proposito dee esser efficace, cioè che induca la penitente a prendere i mezzi per più non commettere le colpe di cui si accusa, e specialmente a fuggire l'occasioni prossime di ricadere.
Occasione prossima s'intende quella nella quale la persona spesso è caduta in peccati gravi o, senza giusta causa, è stata di occasione agli altri di cadere. Ed allora non basta il proponer solamente di togliere il peccato, ma è necessario anche proponere di toglier l'occasione, altrimenti le sue confessioni, ancorché riceva mille assoluzioni, tutte saranno invalide, perché lo stesso non voler rimuovere quell'occasione prossima di peccato grave, è in sé grave colpa. E siccome noi abbiam dimostrato nella nostra Opera Morale (Lib. VI, n. 454), chi riceve l'assoluzione senza il proposito di levar l'occasione prossima, commette nuovo peccato mortale e sagrilegio.18
8. Dirà taluna: Ma se licenzio quella persona, se tolgo la familiarità con quella sorella, si darà scandalo, e si darà che dire a tutto il monastero. Rispondo: Sorella mia, non dite bene; anzi si darà scandalo se non troncate tale occasione, perché già tutte le monache sanno l'amicizia; e quantunque avanti di voi non parlano, tenete per certo che già pensano e dicono tra di loro tutto quello che ci è.
Dirà: Ma il licenziar quel tale è un'inciviltà, ed anche è ingratitudine, perché colui m'aiuta, mi serve e mi soccorre. Vi aiuta? ma a che? vi aiuta ad allontanarvi da Dio, ed a
farvi fare una vita infelice di qua ed un'altra più infelice di là. È inciviltà? è ingratitudine? La prima civiltà e gratitudine dobbiamo usarla con Gesù Cristo, ch'è un Signore d'infinita maestà, e da cui abbiam ricevuti immensi benefici.
Replicherà: Ma io gli ho data la parola di non lasciarlo. Ma voi non vi trovate prima data parola a Gesù Cristo, quando vi faceste religiosa, di non amare altri che lui? Non foste voi che diceste allora: Nullum, praeter eum, amatorem admittam?19 che non volevate amare altri né essere amata da altri che da Dio? Ed ora che altra parola andate trovando? Eh via, non date più pena al Cuore del vostro sposo, il quale si sente quasi ferir nel Cuore, in vedere una sua sposa che mette affetto ad altri fuori di lui: come appunto un giorno dimostrò a S. Lutgarde, alla quale, stando la medesima allora miseramente invischiata in una cattiva amicizia, apparve Gesù e le fe' vedere il suo Cuore gravemente ferito. La santa a tal vista si ravvide, pianse il suo errore, ed abbattendosi poi col giovine corrispondente, con fortezza lo licenziò, dicendogli ch'ella non poteva amare altri che Gesù Cristo, a cui s'era sposata. E d'indi in poi pose tutto il suo amore al suo divino sposo, e si fece santa.20
9. Tutto ciò sia detto di passaggio, poiché tali occasioni prossime sono rare ne' monasteri. La tentazione più frequente e più perniciosa, che soglion patire le monache, è quella di tacere i peccati per rossore. Avverrà che taluna disgraziatamente cade in qualche colpa grave, ed ecco allora il demonio che le serra la bocca, facendole apprendere essere una
gran vergogna il palesarla. Oh Dio, e quante religiose per questa maledetta vergogna ardono ed arderanno per sempre nell'inferno! diciamo meglio, nel fondo dell'inferno! perché le monache, strascinate dal rispetto umano, per non dar che due all'altre e perdere il concetto, facilmente seguitano per mesi ed anni a far confessioni e comunioni sacrileghe.
Narrasi nelle Croniche de' Carmelitani Scalzi (Tom. III, 1. X, c. 34) che una giovane di una gran bontà cadde per disgrazia in un peccato disonesto; indi per tre volte lo tacque in confessione e tre volte si comunicò, ma dopo la terza comunione cadde la misera repentinamente morta. Per esser ella stata in concetto di santa, il suo cadavere fu posto in luogo a parte in una chiesa de' padri Gesuiti. Ma appena che finirono l'esequie e si chiuse la chiesa, il confessore di quella infelice fu condotto da due angioli alla sepoltura della defunta, la quale, uscendo dalla sepoltura e postasi genuflessa, con un colpo che ricevé da quegli angioli sul collo, vomitò dentro un calice già preparato le tre particole ricevute sacrilegamente e miracolosamente conservate nel suo petto. Dopo ciò gli angioli le tolsero di dosso l'abitino del Carmine, e subito poi la misera, dimostrando un aspetto orribile, fu rapita da due demoni, e più non comparve.21
Ma come mai un'anima ch'ha avuto l'ardire d'offender gravemente la divina Maestà, e per ciò meriterebbe un inferno eterno, a cui va unita una confusione eterna, può trovare scusa davanti a Dio, tacendo la colpa nel confessarsi, per ragion della poca e breve confusione che dee soffrire in palesarla per una sola volta ad un solo sacerdote? Se ella
vuol esser perdonata da Dio e liberarsi dall'inferno meritato, questa confusione appunto, che dee soffrire in dire il suo peccato al confessore, è quella che la dispone a ricevere il perdono. Chi ha disprezzato Dio, è giusto che si umili e si confonda. Questa fu la bella risposta che diede al demonio Adelaide peccatrice; ella, chiamata dal Signore a mutar vita, si converti, e subito risolse di farsi una buona confessione; ma allorché andava già a confessarsi, il demonio, mettendole avanti gli occhi il rossor che dovea patire in manifestare al confessore tutti i suoi peccati, le domandò: Dove vai, Adelaide? Rispose ella con coraggio: Brutta bestia, mi domandi dove vado? vado a confonder me e te.22
10. Oltre del rossore, il demonio poi mette in capo molti inganni e timori vani.
Dice colei: Ma il confessore mi sgriderà in sentire questo mio peccato. E perché v'ha da sgridare? Ditemi, se voi foste confessore, e venisse una povera penitente e vi manifestasse le sue miserie, avendo confidenza in voi che l'abbiate a far risorgere dalla sua caduta, la sgridereste voi? e come poi potete
pensare che il confessore, il quale è obbligato per officio ad usar tutta la carità con chi si confessa, abbia da sgridarvi e ingiuriarvi, se gli dite il vostro peccato?
Ma il confessore almeno si scandalizzerà di me, e mi prenderà in abbominio per sempre. Tutto falso; non si scandalizzerà, ma si edificherà di voi, vedendovi così ben disposta col dir così sinceramente le vostre colpe, non ostante la confusione che vi provate. E poi, che forse il confessore non avrà intesi, confessando altre, molti altri peccati simili, e forse più gravi de' vostri? Oh volesse Dio che voi foste stata sola ad offenderlo! Né è vero che vi prenderà in abbominio; anzi farà più stima di voi e più s'impegnerà ad aiutarvi, riflettendo alla confidenza avuta con lui di svelargli le vostre miserie.
Oimè, che dite? Io voglio confessarmi, ma quando viene lo straordinario. E frattanto volete vivere in disgrazia di Dio, in pericolo di perdervi per sempre ed in uno inferno presente di rimorsi di coscienza che vi lacerano l'anima e non vi fanno trovar pace né di giorno ne di notte, per non dire una parola al confessore: Padre, per disgrazia son caduta in un peccato, ma per questo non voglio disperarmi? Voi dite: Mi confesserò allo straordinario. E frattanto al peccato fatto volete aggiungere più sacrilegi? e sapete che peccato orrendo è un sacrilegio? Dunque la medicina che Gesù Cristo vi ha preparata col suo sangue nella confessione, voi volete farla diventare, per l'anima vostra, veleno di morte eterna? Mi confesserò appresso. E se vi coglie una morte improvvisa, la quale oggidì si è renduta così frequente che quasi ogni giorno si sentono persone morte di subito, che ne sarà di voi per tutta l'eternità?
11. Ma io non ci ho confidenza col mio confessore. E voi andate da un altro; domandatelo al vescovo o pure dite ad una vostra compagna che volete cercare un consiglio al suo direttore, e così ben potete rimediare al vostro bisogno. Ma finalmente in caso che non vi fosse altri con cui palesarvi, che 'l vostro confessore, ditemi: Se voi aveste una piaga che vi porterebbe alla morte, se presto non vi deste rimedio, non chiamereste subito il cerusico per non morire, ancorché molto fosse il rossore da soffrirvi? E per sanare l'anima morta e liberarvi dall'inferno, non vi fidate di manifestarvi al vostro padre spirituale? E badate che non serve dire: Mi confesso di tutti i peccati da che son nata, come stanno avanti a Dio. Se non dichiarate
la vostra coscienza, queste parole non servono che per tenervi più ingannata e perduta.
12. Eh via, fatevi animo, e superate generosamente questo rossore, che 'l demonio vi fa apparire sì grande. Basterà che cominciate a svelarvi, che presto svaniranno tutte le vostre apprensioni. E sappiate che dopo la confessione resterete voi più contenta di aver palesate le vostre colpe che se foste fatta regina di tutta la terra. Raccomandatevi a Maria santissima, ch'ella vi otterrà forza di vincere ogni ripugnanza. E se non avete cuore di manifestare a principio il vostro peccato, fate così, dite al confessore: Padre, aiutatemi, perché ho bisogno d'aiuto; ho un certo peccato che non mi fido di confessarlo. Perché così il confessore ben egli troverà il modo di cacciar dalla tana quella fiera, che vi sta divorando, senza molta vostra pena; basterà che rispondete di sì o di no. O pure fate cosi: se non volete dirlo colla bocca, scrivetelo in una carta, e datela al confessore, e poi dite: Mi accuso di quel peccato che avete letto. Ed ecco sparito l'inferno eterno e l'inferno temporale, e ricuperata la grazia di Dio e colla grazia anche la pace di coscienza.
E sappiate che quanto sarà maggiore la violenza che vi fate per vincervi, tanto più grande sarà l'amore con cui Iddio vi abbraccerà. Narrava il P. Paolo Segneri iuniore (appres. il Muratori nella Vita del detto padre) che una monaca si fe' tanta forza per confessare certi suoi peccati commessi in figliolanza che, in manifestarli al confessore, venne meno e tramortì. Ma poi il Signore, in premio di quella violenza ch'ella si fece, le donò tanta compunzione ed amore, che d'indi in poi si diede alla perfezione, facendo grandi penitenze, e morì in concetto di santa.23
13. Io non voglio però che quello che di sovra qui si è detto, abbia a servirvi per inquietarvi. Ciò corre solamente per coloro che avessero nella coscienza peccati gravi e certi, e non volessero confessarli per rossore: del resto in quanto a' dubbi, che forse avete di peccati commessi o di confessioni mal fatte, se volete manifestarli al vostro direttore per vostra maggior quiete, farete bene; eccetto che se la vostra coscienza fosse scrupolosa, poiché per le scrupolose non è consiglio che si confessino de' loro dubbi, come meglio dichiareremo appresso. Nulladimeno e bene che sappiate alcune dottrine approvate da' Teologi, le quali possono liberarvi da molte angustie e mettervi in pace.
Primieramente è sentenza soda e molto probabile de' Dottori che non v'è obbligo di confessare i peccati gravi dubbi, dubitandosi della piena avvertenza o pure del consenso perfetto e deliberato. Solamente avvertono che in punto di morte v'è l'obbligo o di far l'atto di contrizione, se mai quel peccato dubbio fosse stato veramente grave, o pure di prendere il sagramento della penitenza, senza però che vi sia obbligo di dire il peccato di cui si dubita, bastando che si metta altra materia certa, anche di peccati veniali. Ciò nonperò s'intende, sempreché la persona dopo l'atto di tal peccato dubbio non abbia ancora ricevuta altra assoluzione sagramentale. Oltreché con molta ragione dicono molti gravissimi Teologi che le persone, le quali per molto tempo han menata vita spirituale, allorché dubitano di aver commesso o no qualche peccato grave, possono star certe di non aver perduta la divina grazia; perché è moralmente impossibile che una volontà confermata ne' buoni propositi si muti in un subito e consenta ad un peccato mortale, senza chiaramente conoscerlo; mentre il peccato mortale è un mostro così orrendo, che non può entrare in un'anima che per lungo tempo l'ha abborrito, senza farsi chiaramente conoscere. Ciò sta appieno provato nella nostra Opera Morale (Lib. 6, m 450 et 476, vers. Item).24
14. Secondariamente, quando poi il peccato mortale fosse stato certamente commesso, e si dubita se sia o no stato confessato, allora, se 'l dubbio è negativo, come dicono i dottori, cioè, se non v'è ragione di giudicare che 'l peccato sia stato confessato, allora certamente dee palesarsi. Ma quando poi v'è ragione o sia presunzione fondata che il peccato sia stato qualche volta confessato, è sentenza comune che non v'è più obbligo di confessarlo. Quindi i Dottori anche comunemente ne inferiscono che chi ha fatte le sue confessioni generali o particolari colla dovuta diligenza, se poi dubita d'aver lasciato alcun peccato o circostanza, non è tenuto a dirlo, potendo prudentemente credere d'averlo già palesato come dovea (Nostra Op. Mor. lib. VI, n. 477).25
E non importa che taluna avesse molta ripugnanza in palesare quel suo dubbio che la tormenta. Dirà colei: Ma s'io fossi tenuta a dir la tal cosa, ci avrei gran rossore. Ma che importa, vi rispondo, che ci avreste rossore a dirla? sempre che non siete obbligata, ciò non vi faccia specie. Il palesar certe azioni naturali della persona propria anche cagiona rossore, ma non perciò v'è obbligo di dirle. E così parlando per esempio di certe leggerezze o sieno burle immodeste fatte in tempo di fanciullezza, ma senza cognizione della loro malizia, non v'è obbligo di confessarle. Né è argomento certo della malizia il pensare che siensi fatte di nascosto, perché certi atti naturali anche da' fanciulli si fan di nascosto, con tutto che non sono peccati. Onde di tali cose non siam tenuti a confessarci particolarmente, se non quando ci ricordiamo di averle commesse con coscienza di colpa grave, o almeno con dubbio che fossero colpe gravi: basterà che la persona solamente dica tra sé: Signore, se veramente io conoscessi d'esser tenuta a confessarmele, prontamente lo farei, ancorché ci dovessi patire ogni pena.
15. Ciò sia detto per sollevare qualche religiosa, che si sente molto angustiata dal timore di non aver saputo bene spiegare al confessore tutti i suoi dubbi. Del resto è bene che ognuna palesi al suo direttore que' dubbi che l'inquietano, almeno per umiliarsi, eccetto che se fosse scrupolosa; perché,
essendo tale, non dee parlarne, come spiegheremo a lungo nel §. seguente.
Quello che più vorrei è che ciascuna esponesse al confessore le sue passioni, i suoi attacchi e le cause delle sue tentazioni, acciocché quegli possa metter mano a troncar le radici, le quali se non si svellono, non cesseranno mai le tentazioni, con gran pericolo di acconsentirvi, quando può togliersi la causa e non si toglie.
Gioverà ancor ad alcune per umiliarsi lo scovrire le tentazioni che più ci umiliano, come sono specialmente i pensieri contro la castità, ancorché si sieno discacciati. Diceva S. Filippo Neri: La tentazione scoverta è mezza vinta.26 Ho detto ad alcune, perché ad alcun'altre poi, le quali sono di provata bontà, ed all'incontro son troppo timide in questa materia, temendo sempre di consenso dato, talvolta gioverà proibir loro che si confessino di tal materia, sempreché non son certe di avervi commessa colpa; perché, come si disse altrove, parlando ad altro proposito, collo stesso riflettere che farà la persona, per accertarsi se v'è stato consenso o no, e per pensare al modo come ha da spiegare al confessore la tentazione avuta, più si eccita l'immaginazione di quegli oggetti laidi presentati alla mente, e così ella più s'inquieterà, replicandosi con ciò i timori di consenso. Basta; su questo punto voi ubbidite al vostro confessore, e regolatevi secondo egli vi dice.
Quello ch'io vi raccomando è che siate sincera e fedele col vostro padre spirituale in palesargli tutti i nascondigli della vostra coscienza, e in dirgli le cose come sono: per esempio, quando v'è stata l'opera, non basta dire solamente d'aver avuti mali pensieri.
Vi raccomando ancora, quando vi confessate de' vostri difetti, di astenervi di apportarne le scuse. Chi adduce scuse e coperture, dimostra d'aver poco dolore delle colpe di cui si confessa. Chi giudica d'avere avuto ragione in aver fatto
quel che ha fatto, io non so come mai possa dolersene come dee. Talune riducono tutta la confessione ad esagerare la grande occasione ch'hanno avuta di commetter quell'impazienza o quell'altro difetto. Ma io dico: Ciò a che serve? confessatevi voi della colpa commessa, e lasciate di addurre la cagione perché l'avete commessa.
16. In oltre lasciate i discorsi inutili: a che serve narrare al confessore tutt'i disgusti ricevuti dalle monache? fare tanti sfoghi delle vostre infermità e tribulazioni? Se voi troncaste tutti questi racconti, ben vi basterebbe un quarto d'ora per tutta la confessione, nella quale ciò che più dovete cercare è il modo per liberarvi da qualche difetto abituato, e per avanzarvi nella perfezione.
Talune poi, sempre che si confessano, recitano la stessa canzona imparata a mente, che durerà almeno mezzo quarto d'ora: Mi accuso del poco amore portato a Dio, di non aver adempito l'obbligo mio, di non aver amato il prossimo come dovea, e cose simili. Questa canzona a che serve? non è tutto tempo perduto? Sovra tutto astenetevi di fare col confessore certe espressioni affettuose che posson nuocere a lui ed a voi. Dicea S. Caterina di Bologna: Le monache deono stimare i loro padri spirituali come loro gran benefattori; ma debbono guardarsi di dimostrare verso di essi alcun'affezione.27 E perciò volea la santa che le sue monache non trattassero d'altro co' confessori che delle loro coscienze, e che, se l'amavano, pensassero a raccomandarli a Dio; avvertendole poi che, avendo esse donato tutto il lor cuore a Gesù Cristo, non doveano ammettervi amore verso d'alcuna creatura, per quanto santa essa si fosse. Di più S. Teresa avvertiva così: Detti i peccati e ricevuta l'assoluzione e chiesto ancora se bisogna, dal confessore qualche consiglio concernente all'anima, subito si parta la monaca; essendo facile che tra' discorsi spirituali - quando son lunghi - s'insinui qualche
affetto, se non cattivo, almeno certamente non buono.28 In oltre dicea S. Caterina da Siena: Le religiose non solo non debbon introdurre discorsi non necessari col confessore, ma debbono anzi troncare quelli che lo stesso confessore introducesse.29 E veramente così la monaca si conserverà sempre sciolta, e non s'inquieterà quando le mancherà il suo padre spirituale.
Ciò va detto per li discorsi inutili; ma all'incontro quando parla il confessore e vi parla circa la guida del vostro spirito, voi non l'interrompete, e state attenta a quel che vi dice, senza pensare ad altro; vi sono alcune che pensano solo a parlare, e se il confessore loro dice qualche cosa, poco gli danno udienza. Diceva S. Francesco di Sales che deve farsi gran conto delle parole che dice il direttore nella confessione, poiché allora egli sta in luogo di Dio, che con modo speciale l'illumina a dirci quel ch'è meglio pel nostro profitto.30
17. Alcune religiose poi voglion vivere senza direttore, pensando che, avendo già le regole e la superiora, non bisogna loro altra guida. Ma non dicono bene, perché le monache, oltre le regole e la superiora, conviene che abbiano ancora il direttore, così per gli esercizi interni, come ancora acciocché sieno ammonite e guidate negli stessi esterni. È vero, dice S. Gregorio, che alcuni santi sono stati guidati immediatamente da Dio; ma tali esempi, soggiunge il santo: Veneranda sunt, non imitanda; ne dum se quisque discipulus hominis esse despiciat,
magister erroris fiat (Dial. lib. I, cap. 1).31 La virtù sta nel mezzo. Nella vita spirituale siccome è vizio l'usar pigrizia, cosi anche è vizio l'usare indiscretezza: il direttore poi è quegli che dee correggere o moderare l'una o l'altra; e perciò è necessaria la guida.
Quando alcuna religiosa non trovasse alcun direttore che potesse ben guidarla per la perfezione, allora supplisce Dio; ma il ricusare la guida di alcun suo ministro, quando può averlo, è temerità, per cui permetterà poi il Signore che ella cada in molti errori. Potrebbe Iddio guidarci tutti da se stesso, ma, per renderci umili, vuole che ci sottomettiamo a' suoi ministri, e dipendiamo dalla loro ubbidienza. Narra Cassiano (Collat. II, cap. 3) che stando nel deserto un solitario e trovandosi consumato dalla fame, gli furono offerti da un uomo alcuni pani, ma egli li ricusò, dicendo che aspettava d'esser provveduto di cibo immediatamente da Dio, e 'l disgraziato così miseramente se ne morì.32 Or si dimanda: Perché il Signore provvide già S. Paolo eremita per tanti anni, inviandogli il pane per mezzo d'un corvo, e poi non volle provvedere costui? La risposta è chiara: S. Paolo non aveva come cibarsi, ma costui non volle avvalersi del cibo offertogli, e perciò Iddio l'abbandonò. Ora ciò che dicesi del cibo del corpo, corre similmente per lo cibo dell'anima. Dal che conclude poi
Cassiano che non merita di esser guidato da Dio chi ricusa la guida de' savi.33
18. L'elezione poi del padre spirituale non dee farsi a caso né per genio; ma bisogna elegger colui che stimasi migliore per lo proprio profitto, e che non solo abbia dottrina e sperienza, ma ancora sia uomo di orazione e che cammini per la perfezione. La botte non può dare altro vino di quello che contiene. Diceva S. Teresa (Fondaz., cap. 3): Se i direttori non sono persone d'orazione, poco gioveranno le lettere.34
Posto poi che già si è scelto il confessore, non dee lasciarsi senza ragione evidente. Se il confessore è forte nel riprendere, non è ragione questa di lasciarlo, ma più presto di non partirsi mai dalla sua guida. S. Luigi re di Francia, questo fu il documento che lasciò al suo figliuolo erede del regno: Figlio mio, gli disse, scegliti il confessore che sappia insegnarti, ed insieme abbia l'animo di riprenderti quando bisogna.35 Non v'è peggior confessore che quello il quale poco riprende e troppo compatisce i difetti della penitente, poiché in tal modo farà ch'ella ne faccia poco conto. Se dunque voi, sorella benedetta, avete un confessore che vi porta per la via
stretta, e quando vede difetti volontari vi mortifica con rigore, tenetelo molto caro, e non lo lasciate mai.
19. Ubbidite poi al vostro direttore e non uscite punto da ciò che v'impone o vi permette, quantunque buona vi sembri la cosa, che voi vorreste fare contra il suo consiglio. Si narra nelle Vite dei Padri antichi che un certo giovine molto già avanzato nella virtù volle, contra il consiglio del suo padre spirituale, partir dal monastero ed andare al deserto a far vita solitaria. Ma che avvenne? Dal deserto volle una volta andare alla casa de' suoi parenti, ed ivi si scordò del deserto e si diede ad una vita rilasciata.36
Ma forse voi mi direte che, per seguir la condotta del vostro direttore, vi siete trovata mal guidata, siccome poi altri padri spirituali ve ne hanno accertata. Primieramente rispondo che difficilmente voi avete potuto errare. facendo in ciò l'ubbidienza; ma, ancorché ciò fosse stato, sapete perché forse voi siete stata mal guidata? perché in certe cose avrete ubbidito ed in altre no; ed a tale ubbidienza così difettosa Dio non è tenuto concorrere. Ma mettetevi tutta in
mano della vostra guida, con animo di ubbidirle in tutto, che allora non permetterà mai il Signore che voi erriate. Allorché il vostro confessore non avesse tutta la scienza che conviene, Iddio avrà cura di supplire, perché non è possibile che resti delusa un'anima, la quale desidera di farsi santa, e si fida di Dio, quando è fedele in ubbidire al di lui ministro.
20. Dal che io ritraggo che non può errare quella monaca la quale non tiene direttore particolare, ma si fa regolare dal confessore ordinario, non ostante che quegli si muti da tempo in tempo. Dicea la gran Serva di Dio Suor Paola Centurione: A me ogni confessore pare lo stesso, perché ognuno applica il sangue di Gesù Cristo a curare le piaghe dell'anima mia.37 Basterà, quando viene il nuovo confessore, ch'ella gli dia una general notizia di sua coscienza, e così si ponga sotto la sua direzione. Per chi desidera da vero farsi santa e non vuol altro che Dio, ogni confessore che le viene assegnato dal suo prelato, riesce buono.
Buona volontà ci vuole ed animo risoluto di negare all'amor proprio ogni soddisfazione, per trovare in tutte le cose il solo gusto di Dio. Perciò dicea la Ven. Suor Orsola Benincasa alle sue religiose: Sorelle mie, siate persuase che niun direttore potrà farvi sante, se voi non siete risolute di mortificar la volontà propria e le vostre passioni.38