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S. Alfonso Maria de Liguori La vera Sposa di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
§ 2 - Degli scrupoli
1. Lo scrupolo non è che un vano timore di peccare, nato da false apprensioni, che non han fondamento di ragione.
Or questi scrupoli per altro sogliono esser giovevoli in principio della conversione, poiché un'anima, la quale da poco tempo è uscita dai peccati, ell'ha bisogno di rimondarsi più volte; e ciò operano gli scrupoli, essi la purgano ed insieme la fan cautelata a fuggire i peccati veri: in oltre la rendono umile, sì ch'ella, non fidando più nel proprio giudizio, ubbidiente si mette in mano del padre spirituale, acciocché la guidi a suo arbitrio. Dicea S. Francesco di Sales: Quel timore che genera scrupoli in coloro che di fresco sono usciti da' confini del peccato, e un presagio certo di una futura purità di coscienza.1
All'incontro gli scrupoli son dannosi a quelle persone che attendono alla perfezione, e da molto tempo si son date a Dio. A quest'anime, dicea S. Teresa, gli scrupoli sono rami di pazzia, poiché le soggettano ad impressioni stravolte, per le quali poi si riducono a stato che più non daranno un passo nella via della perfezione.2 Lo stesso lasciò scritto il medesimo S. Francesco di Sales: Siate diligenti, ma guardatevi dalle inquietudini, perché non vi è cosa che più impedisce dal camminare alla perfezione.3
2. Bisogna non però distinguere le coscienze scrupolose. Alcune monache si vantano d'esser anime sciolte, e si vergognano d'essere stimate scrupolose, e perciò si danno a fare una vita larga: regalano e ricevono a voglia loro: fan poco conto delle regole, dicendo che poco stanno in uso: danno
libertà agli occhi, alla lingua, alle orecchie, di vedere, dire ed ascoltare quanto lor piace: si prendon rossore di farsi veder mortificate, e rimproverano l'altre che lo sono: chiamano affettazioni e singolarità il parlar basso, il tener gli occhi a terra: facilmente poi si fan trasportare dalle monache imperfette a farle compagnia ne' loro vani divertimenti. Queste tali lascino di vantarsi d'essere sciolte di coscienza, poiché elle son tepide ed imperfette, per non dir rilasciate; volesse Dio che fossero scrupolose, cioè delicate di coscienza, come dovrebbero essere! Ma avvertano le misere che non sieno di coloro di cui parla Davide, che, seguendo come pecore il mal esempio delle altre, non si trovino un giorno con esse miseramente confinate all'inferno: Sicut oves in inferno positi sunt (Psal. XLVIII, [15]). Il non voler dunque trattenersi a perdere il tempo al parlatorio o al belvedere, o pure il non voler parlare nel coro o in tempo di silenzio, il non voler dire una bugia, per minima che sia, non sono segni questi di coscienza scrupolosa, ma di coscienza delicata, qual si richiede in ogni religiosa.
3. I segni dell'anima scrupolosa son questi: per 1. temere nelle sue confessioni di non aver mai vero dolore e proposito: per 2. temer di peccare in ogni cosa, per motivi frivoli e insussistenti, come, per esempio, chi teme di far sempre giudizi temerari o d'acconsentire ad ogni mal pensiero che s'affaccia alla mente: per 3. essere incostante ne' suoi dubbi, ora stimando lecita un'azione, ora illecita, con gran timori ed angustie: per 4. non acquietarsi al parere del confessore, e cose simili.
Del resto il decidere se una persona sia scrupolosa o no, spetta a' confessori, non a' penitenti: perché tutti gli scrupolosi dicono che i loro scrupoli non sono scrupoli, ma veri dubbi e peccati; poiché se li conoscessero come scrupoli, essi stessi non ne farebbero conto. Stanno eglino all'oscuro, e perciò non vedono come son le cose nella loro coscienza; il confessore, che sta di fuori, ben le conosce: e per tanto il penitente dee ubbidire al di lui consiglio; altrimenti, se vuol egli mettersi a decidere, quanto più si affaticherà a quietarsi col proprio giudizio, più si confonderà, più s'inquieterà, e forse si porrà ancora in pericolo di perdersi, come appresso spiegheremo.
4. Per l'anime che camminano alla perfezione, ordinariamente il demonio è quello che le riempie di scrupoli e d'angustie, acciocché finalmente per liberarsene o lascino la buona vita o si abbandonino alla disperazione e si diano volontariamente la morte. E che forse ciò non è avvenuto a tanti? Narra un dotto autor moderno (P. Scaramelli, Dirett. ascet., tr. II, n. 438) d'aver egli stesso conosciute due persone, delle quali, per causa degli scrupoli, una si ferì con un coltello più volte nel petto, ed un'altra si sparò verso di sé un'arme di fuoco, e cadde morta.4 Ed io so un'altra persona, che, per simili angustie di coscienza, una volta si buttò per una finestra, ma scappò la morte; ed un'altra volta già volea gittarsi in un pozzo, e per soggezione di chi la mirava non si gittò; e si narrano più casi di tali scrupolosi che da loro stessi s'han tolta la vita. - Almeno cerca il tentatore d'inquietar le religiose cogli scrupoli, per renderle inabili a farsi la comunione, a dir l'Officio divino, ed anche per far loro, se gli riesce, perdere il cervello e diventar pazze; o pure per render loro odiosa la vita spirituale, acciocché poi lascino l'orazione, lascino la frequenza de' sagramenti e così, a poco a poco, perdendo l'aiuto e l'amore a Dio, si rilascino alla vita larga, e dagli scrupoli passino a peccati veri.
E per questo dicono molti Teologi che l'anima scrupolosa, quando ella ha l'ubbidienza dal confessore di operare con libertà e di vincere lo scrupolo, non solo può, ma è obbligata a farlo, altrimenti pecca, così per lo danno che fa a se stessa, rendendosi inabile ad avanzarsi nella via di Dio, come anche per lo pericolo in cui si mette di perdere la sanità, il cervello ed anche l'anima con rilasciarsi ne' vizi.
5. I Maestri di spirito danno molti rimedi contra gli scrupoli, ma tutti poi comunemente, così i Teologi come gli Ascetici, concludono che il principale, anzi l'unico rimedio è che il penitente si metta in mano del suo padre spirituale e gli ubbidisca alla cieca, diffidando affatto del giudizio proprio.
Dicea S. Filippo Neri non esserci cosa più pericolosa negli affari di coscienza, che volersi reggere secondo il proprio parere.5 Una persona scrupolosa che non ubbidisce al suo direttore è perduta. Scrisse S. Giovanni della Croce: Il non appagarsi di ciò che dice il confessore, è superbia, ed è mancamento di fede (Tom. 3, Tratt. delle spine, coll. IV, § 2, n. 8).6 E con ragione, mentre Gesù Cristo ha dichiarato che chi ubbidisce a' suoi sacerdoti, ubbidisce a lui stesso; ed all'incontro che chi li disprezza, disprezza lui stesso: Qui vos audit, me audit; et qui vos spernit, me spernit (Matth. 16).7 Onde il nominato San Giovanni (nel luogo citato, al num. 4) parlando in nome del Signore ad un penitente che non ubbidisce, gli dice così: Essendo tu infedele a' confessori, lo sei anche a me che ho detto: Chi disprezza voi, me stesso disprezza.8 Per contrario poi, chi ubbidisce al padre spirituale non può errare. Dice S. Bernardo che ciò che comanda l'uomo quando sta in luogo di Dio, purché non sia cosa che certamente dispiace a Dio, non dee prendersi altrimenti che se la comandasse lo stesso Dio: Quidquid vice Dei praecipit homo, quod non sit tamen certum displicere Deo, haud secus omnino accipiendum est quam si praecipiat Deus (De disp. et praec. c. 11).9
6. Quindi dicea il B. Errico Susone (ap. il P. Brencola, I Strada alla perfez.) che Dio non cerca da noi conto di niuna cosa fatta per ubbidienza.10 E lo stesso insegnava S. Filippo Neri a' suoi penitenti: Quelli che desiderano far profitto nella via di Dio si sottomettano ad un confessore dotto, al quale ubbidiscano in luogo di Dio. Chi fa così, si assicura di non render conto a Dio delle azioni che fa.11 Onde esortava poi che al confessore si avesse fede, perché il Signore non lo lascerebbe errare.12 Se taluno, io dico, diventasse cieco, altro rimedio per lui non vi sarebbe che prendersi una guida fedele che lo conducesse nelle vie, per le quali ha da camminare. E così un'anima che si trova in istato di tenebre e confusione per causa de' suoi scrupoli, dee farsi condurre dalla guida che le ha data Iddio, ed a lei dee ubbidire alla cieca.
Dico: Dalla guida che le ha data Iddio, perché una tal penitente che sta agitata dagli scrupoli, ordinariamente parlando, non conviene che parli de' suoi dubbi con altri padri spirituali che col proprio, ancorché sieno santi e dotti: un altro perché non sarà appieno inteso della di lei coscienza, le farà forse un'interrogazione o le sputerà13 una parola che non sarà conforme ai sentimenti del direttore proprio, ed ecco che per quella parola di nuovo se le metterà in rivolta la coscienza, e, perdendo la confidenza che prima avea alla guida propria, resterà per sempre o almeno per molto tempo inquieta ed in tempesta.
7. Ubbidite voi, sorella benedetta, al vostro direttore, e non dubitate, che ubbidendo non potete errare. Così han fatto i santi, i quali ben anche spesso sono stati angustiati tra le perplessità e timori d'offender Dio, e l'hanno accertata. S. Caterina di Bologna stava trafitta dagli scrupoli, nulladimeno ella in tutto eseguiva l'ubbidienza del suo confessore; alle volte temea di accostarsi alla comunione, ma ad un cenno del suo padre spirituale, non ostanti tutti i suoi timori, subito andava e si comunicava; onde le apparve un giorno Gesù Cristo e, per vie più animarla ad ubbidire, le disse che stesse allegramente, perché, ubbidendo così, come faceva, gli dava gran gusto.14 Un altro giorno il medesimo nostro Salvatore apparve
alla B. Stefana Sonziano domenicana, e le fe' sentire queste parole: Giacché hai riposta la tua volontà in mano del confessore, che rappresenta la mia persona, domandami qualunque grazia, che ti sarà concessa. Ed allora ella rispose: Signore, io non voglio altro che solo voi.15 Lo stesso consiglio diede prima S. Agostino all'amico suo S. Paolino, il quale gli scrisse alcuni suoi dubbi, e il santo dottore così gli rispose: Confer ea cum aliquo cordis medico, et quod per illum tibi loquentem Dominus aperuerit, scribe mihi (Epist. ad Paulin. 20):16 Conferisci, gli scrisse, questi tuoi dubbi con alcun buon medico d'anima, e quel che il Signore ti dirà per di lui mezzo fammelo sapere. Sicché tenea per certo S. Agostino che consigliandosi
S. Paolino con un padre spirituale, Dio per mezzo di colui gli avrebbe certamente parlato e fatta intendere la sua divina volontà. Narra S. Antonino (P. 1, tit. III, c. 10 § 10) che stando un certo religioso domenicano molto travagliato dagli scrupoli, gli apparve un altro religioso defunto, e gli diede questo consiglio: Consule discretos, et acquiesce eis:17 Consigliati co' savi ed acquietati a quel che ti dicono. Riferisce lo stesso santo arcivescovo che un discepolo di S. Bernardo per causa degli scrupoli s'era ridotto a non dir più Messa; ma stando così inquieto, andò a consigliarsi col suo santo maestro, e S. Bernardo altro non gli disse, senza addurgli ragioni, che queste parole: Va e dì Messa in mia coscienza. Ubbidì il monaco, e d'allora in poi si liberò da tutte le sue angustie.18
8. Non occorre che voi mi stiate a dire: Se avessi S. Bernardo per confessore, anch'io ubbidirei alla cieca: ma il mio confessore non è S. Bernardo. Non è S. Bernardo, vi dico io, ma è più che S. Bernardo, perché sta in luogo di Dio. Ma udite quel che vi risponde il Gersone: Quisquis ita dicis, erras: non enim te commisisti in manibus hominis, quia litteratus etc., sed quia tibi est praepositus. Quamobrem obedias illi, non ut
homini, sed ut Deo (Tract. de praepar. ad Miss.).19 Voi che dite così, dice questo dotto autore, prendete errore, poiché non vi siete posta in mano d'un uomo, perché è dotto o santo, ma perché egli v'è stato assegnato da Dio per vostra guida. Per lo che ubbiditelo, non come uomo, ma come Dio, e non potrete errare. - S. Ignazio di Loiola nel principio della sua conversione si ritrovò così assalito da tenebre e scrupoli, che non trovava pace; ma perché egli avea vera fede alle parole di Dio che dice: Qui vos audit, me audit, disse con gran confidenza: Signore, mostratemi la via che debbo tenere; che, quantunque mi deste un cagnolino per guida, io vi prometto di fedelmente seguirlo. E perché in fatti fu il santo fedele in ubbidire a' suoi direttori, non solo fu liberato dagli scrupoli, ma divenne eccellente maestro agli altri.20 Ben dunque dicea S. Teresa: L'anima
pigli il confessore con determinazione di non pensar più alla causa nostra, ma di fidarsi delle parole del Signore: Qui vos audit, me audit. Stima tanto il Signore questa sommissione che, ancorché con mille battaglie, parendoci sproposito quello che si giudica, con pena o senza pena lo facciamo, il Signore aiuta tanto che ben renderà la penitente conforme alla sua divina volontà. (Fondaz. cap. 18).21
Se mai Gesù Cristo, sorella mia, quando vi giudicherà, vi dimandasse conto di quel che avete fatto secondo l'ubbidienza del vostro direttore, apparecchiatevi a dargli questa risposta: Signore, io ho fatto ciò per ubbidire al vostro ministro, come voi mi avete imposto. Ditegli allora così, che non v'è timore ch'egli possa condannarvi. Scrisse il P. Giacomo Alvarez (Lib. 1, p. 3, c. 12) che ancorché il confessore per caso errasse, il penitente, ubbidendogli, non erra e va sicuro.22 E che forse
voi, per andar sicura nella coscienza, siete obbligata ad esaminare il confessore s'è abbastanza dotto o no? basta ch'egli sia stato legittimamente approvato dal suo vescovo, come già siete tenuta a supponere, egli già sta in luogo di Dio per voi, e voi non potete errare in far la sua ubbidienza.
9. Ma io, dice colei, non sono già scrupolosa, le mie angustie non sono timori vani, ma fondati. Rispondo: Niun pazzo si stima pazzo; ma in ciò consiste la sua pazzia, nell'esser pazzo e non conoscerlo. E così parimente dico a voi: Perciò voi siete scrupolosa, come vi stima il vostro direttore, perché non conoscete la vanità dei vostri scrupoli; poiché se voi intendeste che sono apprensioni vane, non ne fareste conto, e non sareste più scrupolosa. E perciò quietatevi, ed ubbidite a quel che vi dice il confessore, il quale ben conosce la vostra coscienza.
Vi sento replicare: Ma non manca per lo confessore, manca per me, che non mi so spiegare, e perciò egli non può intendere lo stato miserabile dell'anima mia. Oh bene! Ma voi, io dico, fate tanti scrupoli allo sproposito, e poi non fate scrupolo di trattare il vostro padre spirituale o da ignorante o da sagrilego. Mi spiego: Quando voi vi siete confessata dei vostri dubbi ed in materia grave, come già voi dite, il confessore era obbligato a farvi le dimande convenienti e così regolarsi per fare il dovuto giudizio de' vostri dubbi; ond'è che se poi egli, senza giusta ragione e senza comprendervi, come voi pensate, vi ha imposto a non farne conto, come scrupoli vani, o l'ha dovuto fare per ignoranza o per malizia. Dunque temendo voi del suo consiglio, per timore che non v'abbia capita, venite a giudicarlo, come ho detto, o per ignorante o per sacrilego; e di questa vostra gran temerità non ve ne fate scrupolo? A tutte queste tali che si mettono a giudicare giudizi che fa il confessore, bisognerebbe rispondere quel che disse il dotto monsignor Sperelli vescovo di Gubbio, com'egli scrive nel Ragion. 21 alle monache, ad una religiosa scrupolosa, la quale venne a denunziargli il suo confessore come eretico, perché le avea detto che i suoi peccati non erano peccati: ma egli allora le fece questa risposta: Ditemi, reverenda
mia, in quale università avete studiata la teologia, che voi sapete più del vostro confessore? Eh via, andate a filare, e non date più orecchio a questi vostri spropositi.23
10. Io non voglio dir lo stesso a voi, ma vi dico che vi acquietiate a tutto quello che vi dice il vostro padre spirituale. Basta che una volta gli abbiate esposti i vostri dubbi, al presente e sempre ch'egli vi dice: Orsù basta, non voglio sentir altro; fate l'ubbidienza, andate a comunicarvi ecc., voi dovete ubbidirlo senza pensare ad altro, e dovete credere ch'egli già v'ha capita bastantemente; né dovete più dubitare del suo consiglio, ma ubbidirlo alla cieca, senza voler replicare e senza voler sapere il perché, rimettendovi in tutto alla sua guida; poiché se volete voi farvi capace della ragione di ciò che vi dice, sempre più v'imbroglierete, e ritornerete alle vostre angustie. Ubbidite alla cieca, cioè senza voler intendere come va la cosa. E perciò non vi mettete mai a riflettere sopra l'ubbidienza datavi dal confessore. Gli scrupoli sono una pece che quanto più si maneggia, più si attacca: più che voi vi riflettete, più vi empite la mente di tenebre.
Contentatevi di camminare all'oscuro. Tenete avanti gli occhi le belle massime che insinuava S. Francesco di Sales (nella sua Vita, circa il fine). Una massima dicea così: Conviene contentarsi in saper dal padre spirituale che si cammina bene, senza cercare la cognizione. Un'altra diceva: Il meglio è camminare alla cieca sotto la divina Provvidenza, fra le tenebre e perplessità in questa vita. Di più un'altra diceva,
e questa dovrebbe in tutto quietarvi: Non s'è perduto mai un vero ubbidiente.24
Abbiate in somma sempre avanti gli occhi la regola certa, che ubbidendo al confessore ubbidite a Dio, e così fatevi forza ad ubbidire, senza far conto di tutt'i vostri timori. E state persuasa che, se non ubbidite, è impossibile che andate bene; ma se ubbidite, andate sempre sicura.
Ma se poi mi danno con ubbidire, chi mi caccerà dall'inferno? Ma questo che dite non è possibile, perché non è possibile che l'ubbidienza, la quale è la via sicura del paradiso, diventi per voi via dell'inferno.
11. Ma veniamo alla pratica. - Ordinariamente parlando, due sono i capi degli scrupoli, da cui per lo più son tormentati gli scrupolosi. Un capo è in quanto al passato, che non si sieno confessati bene. L'altro capo è in quanto al presente, ch'essi facciano peccato in ogni cosa, nella quale operano con timore.
In quanto al primo capo del passato, le monache scrupolose non vorrebbero far altro che fare e ripetere sempre confessioni generali, sperando così di quietare le loro angustie; ma che fanno? sempre fan peggio, perché sempre di nuovo si svegliano altre apprensioni e scrupoli di aver lasciati peccati o di non essersi abbastanza spiegate; onde quante più confessioni moltiplicano, tanto più raddoppiano le loro inquietitudini.
Non ha dubbio che la confessione generale è utilissima a chi non se l'ha fatta ancora. Ella molto giova, acciocché l'anima resti umiliata alla vista de' suoi sconcerti della vita passata, che allora le vengon posti tutti innanzi agli occhi. Giova ancora per concepir più dolore delle proprie ingratitudini usate con Dio, e per far risoluzioni più sante rispetto all'avvenire. Giova di più acciocché il confessore meglio intenda lo stato della di lei coscienza, le virtù che le mancano, le passioni ed i vizi a' quali ella è più inclinata, e così meglio possa applicare i rimedi e dare i consigli. Ma chi già una volta s'ha fatta la confessione generale, non serve che se la faccia più; e se mai le sovviene poi alcun dubbio, ordinariamente parlando, e precisamente se la penitente non si ricorda di aver mai lasciato alcun peccato a posta nelle sue confessioni, non è obbligata a confessarsi più di alcuna cosa, se non sa certo che quella per lei è stata colpa grave; e di più se non sta certa che non mai l'ha nominata al confessore.
12. Ma se mai, dice colei, il mio peccato è stato veramente grave, ed io non l'ho confessato, io mi salverò? Sì, vi salverete; mentre i Dottori25 con S. Tommaso (Suppl. 3 p., q. 10, a. 5) insegnano che se dopo una discreta diligenza si lascia nella confessione qualche peccato mortale per dimenticanza, quello viene già indirettamente assoluto.26 È vero che quando la penitente si ricorda o giustamente dubita di non averlo mai detto, è tenuta a dirlo; ma quando prudentemente, come di sopra abbiamo scritto al numero antecedente, può giudicare d'averlo palesato nelle confessioni passate, non è obbligata a confessarlo.
Dicesi: non è obbligata a confessarlo; e ciò vale per tutti, ma l'anima ch'è angustiata dagli scrupoli, è obbligata di più a non dirlo se non quando, come dicono i Dottori, può giurare che sia stato certo peccato mortale e che non mai l'abbia
detto in alcuna confessione; perché il ripetere le cose della vita passata, ad una coscienza scrupolosa, può esserle di gran rovina, e metterla in disperazione. E quando la penitente si trova molto agitata e confusa nel porsi a decidere se può o non può giurare, in tal caso può il confessore in tutto liberarla dall'obbligo di confessar le colpe della vita passata; poiché in tal caso di tanto pericolo e danno cessa l'obbligo di far confessione intiera, giacché altri incomodi meno gravi di questo scusano dall'integrità, come insegnano comunemente i Teologi.
Sicché per concludere questo punto, debbono intendere le persone scrupolose che la confessione generale è utile per gli altri, ma per esse è molto pericolosa e nociva. E perciò i buoni direttori non permettono mai loro di parlar delle cose passate. Il lor rimedio non già consiste nel dire, ma nel tacere ed ubbidire; onde bisogna non dar mai loro udienza quando voglion parlare; perché, se qualche volta si permette ad esse di parlare, resteranno poi sempre inquiete quando non parlano.
13. Ciò in quanto alla confessione generale; in quanto poi alle confessioni ordinarie, parlando per le religiose che attendono alla perfezione e si comunicano spesso, non è necessario che si confessino ogni volta che prendono la comunione; basta che ricevano l'assoluzione una volta o due volte la settimana, e quando commettessero qualche colpa veniale avvertita. Del resto dice S. Francesco di Sales in una sua lettera che anche allora non si lasci la comunione, non essendoci comodità di confessarsi,27 mentre per la remissione delle colpe leggiere, secondo insegna il Concilio di Trento, ci sono altri mezzi fuori della confessione, come sono gli atti di contrizione o d'amore di Dio.28 Appunto a tal proposito ho letto che un giorno
S. Metilde, non avendo comodità di confessarsi certe sue negligenze, fece un atto di contrizione e si comunicò. Dopo ciò le parlò Gesù Cristo e le disse che avea fatto bene.29 E dicea un certo dotto sacerdote che tal volta a chi per caso ha commesso qualche peccato veniale, riesce più fruttuosa la comunione senza confessarsi, che se ne prendesse l'assoluzione; perché la persona allora replicherà tanti atti di contrizione per quel difetto commesso, che prenderà la comunione con molto maggior disposizione ed umiltà.
14. Parlando poi del secondo capo di coloro che in ogni cosa fanno scrupolo di peccare o pure temono di acconsentire
ad ogni mal pensiero che loro sorge in mente, bisogna intendere due cose.
La prima si è che altro è il senso, altro il consenso. Tutti i movimenti di senso, che naturalmente avvengono, non sono mai peccati, sempreché la volontà li ributta. Né dee la persona farvi scrupolo per avervi data causa, quando la causa si è posta per buon fine di utilità spirituale o temporale.
La seconda cosa che dee intendersi è che a commettere il peccato mortale si richiede così la piena avvertenza della mente, come il pieno consenso della volontà: l'una o l'altro che manchi, non v'è colpa grave. Ed in dubbio, come già si disse nel § antecedente al n. 13 in fine, le persone timorate di Dio, e specialmente poi le scrupolose, debbono star certe di non aver peccato gravemente, sempreché non possono certamente affermarlo.
E quindi è bene avvertire che certe anime molto timide, e che sempre dubitano di aver dato consenso a' mali pensieri, talvolta conviene che non si accusino in particolare di alcune tentazioni, per esempio d'odio, d'incredulità o d'impudicizia; perché, come si disse altrove ad altro proposito, col riflettere elle se vi han dato o no consenso deliberato ed al come l'han da spiegare, più si eccita nella mente l'immaginazione di quegli oggetti, e più s'inquietano per lo timore di avervi dato nuovo consenso. A queste tali convien imporre che di tali pensieri se ne accusino solamente in generale, dicendo: M'accuso di tutte le negligenze commesse in discacciare i mali pensieri; e niente più.
15. Due sono dunque i privilegi circa l'operare dell'anima scrupolosa, che le vengono accordati comunemente da' Dottori, S. Antonino, Navarro, Suarez e da molti altri:30
Il primo ch'ella non pecca operando col timore dello scrupolo, sempre che opera secondo l'ubbidienza. E non è necessario che ogni volta faccia il giudizio pratico ed espresso di operar bene col riflettere all'ubbidienza ch'eseguisce; basta per farla esente da ogni colpa il giudizio virtuale, cioè basta che
operi in virtù del giudizio già prima fatto di non far conto di tali timori. - Né questo è operare col dubbio pratico: altro è operare col dubbio pratico di peccare, altro è operare col timore di peccare. Insegna saggiamente il Gersone che allora il dubbio è pratico e non è lecito operare, quando il dubbio nasce da coscienza formata, cioè quando, esaminate le circostanze, giudica la persona che, stante quel dubbio, non può operare senza peccato. Ma quando la mente sta perplessa e vacilla tra' suoi dubbi e non sa a che appigliarsi, nondimeno l'anima non vuol lasciar di fare quel che piace a Dio, dice Gersone che allora questo non è dubbio pratico, ma timor vano e scrupolo, che dee da lei, quanto si può, rigettarsi e disprezzarsi. Ecco le sue parole: Conscientia formata est quando post discussionem et deliberationem ex definitiva sententia rationis iudicatur aliquid faciendum aut vitandum; et contra eam agere est peccatum. Timor vero seu scrupulus conscientiae est quando mens inter dubia vacillat, nesciens ad quid potius teneatur; non tamen vellet omittere quod sciret esse placitum divinae voluntati: et iste timor, quam fieri potest, abiiciendus et exstinguendus (Tract. de consc. et scrupul.).31 Sicché quando la persona sta colla volontà ferma di non voler offendere Dio, ed opera secondo l'ubbidienza di superar lo scrupolo, ella non pecca, ancorché operi con timore ed ancorché attualmente non rifletta al precetto datole dal suo direttore.
16. Il secondo privilegio degli scrupolosi è che, dopo di aver operato, debbon tenere di non aver mai dato consenso
ad alcuna tentazione, se non son certi d'aver pienamente avvertita e voluta la malizia del peccato. Ond'è che quando ne dubitano, lo stesso dubitarne dà segno certo che v'è mancato o il pieno conoscimento della malizia o il pieno consenso: perché se vi fossero stati l'uno e l'altro, essi non ne sarebber dubbiosi, ma certi del peccato. E perciò se il confessore impone loro di non confessarsi di tali dubbi, debbono in ogni conto ubbidirlo; né debbono pensare mai di lasciarlo, se egli sta forte a non volerli sentire. - Nel che, aggiungo qui, molto difettano quei padri spirituali che son condiscendenti in sentire i dubbi delle anime scrupolose; poiché elle con voltare e rivoltare le loro coscienze parlando, sempre più s'inquietano e rendonsi sempre più inabili ad avanzarsi nella via di Dio.
Per altro ciò che ultimamente qui si è detto, non tanto riguarda i penitenti, quanto i direttori, per ben regolarsi nella guida delle loro coscienze. Alle penitenti altro non s'appartiene che sottomettere il lor giudizio al lor padre spirituale ed ubbidirgli in tutto. Nulladimanco s'è posto ciò, affinché almeno taluna sappia che quando il confessore le impone che di certe materie non se ne accusi e non ne parli, se non è certa di non avervi commessa colpa grave, o pure quando dopo averla intesa, la manda a comunicare senza assoluzione, non si metta a contendere col suo padre spirituale ed a fare la dottora, come suol dirsi, ma ubbidisca alla cieca, senza neppur cercar d'intendere la ragione di ciò che le vien comandato.
17. Dirà colei: Ma io voglio operar con sicurezza di non dar disgusto a Dio. E questa, io vi rispondo, è la maggior sicurezza che voi, la quale siete angustiata di coscienza, potete avere, l'ubbidire al vostro direttore in vincer lo scrupolo, non ostante quel timore attuale che vi tormenta. E sappiate che, ancorché vi trovaste in punto di morte, pure siete obbligata ad operar così, per non esser ingannata dal demonio. E qui ripeto quel che già dissi di sopra al num. 4., che voi dovete farvi scrupolo se non vi fate forza a superar lo scrupolo operando contro di quello, come v'ha imposto il padre spirituale, ancorché allora non siate persuasa che quello sia scrupolo vano: perché se lasciate di operare per lo scrupolo, non potrete più avanzarvi nella via di Dio, e di più, come si disse, vi metterete in pericolo di perdere l'anima o almeno il cervello: e l'esporsi a questo pericolo è certo peccato. A
questo fine il demonio affaccia tanti timori alle scrupolose, acciocché o si rilascino alla vita larga o diventino pazze o almeno non si avanzino nella perfezione e vivano sempre piene d'angustie e di confusioni, nelle quali l'inferno sempre guadagna qualche cosa. Dicea S. Luigi Gonzaga: Nell'acqua torbida sempre ritrova che pescare il demonio.32
18. E perciò se volete andar bene e sicura, ubbidite voi puntualmente a tutti i precetti e regole che vi dà il vostro direttore. E pregatelo che circa la vostra guida vi assegni le regole non solo particolari ma anche generali. Dico generali; per esempio, che superiate lo scrupolo senza farne conto, sempreché non vedete evidentemente che sia colpa grave; o pure che non vi confessiate di niuna cosa, se non potete giurare che vi abbiate commesso certo peccato mortale, e di più giurare che non mai l'abbiate detto in confessione; o pure che vi facciate la comunione, sempreché non siete certa di aver nella coscienza peccato grave; o pure che non mai replichiate l'Officio divino o parte di esso, se non siete certa di averlo lasciato, o altre regole simili che soglion darsi alle scrupolose, perché se una persona che patisce di scrupoli vuol regolarsi colle sole regole particolari, cioè date dal confessore ne' particolari casi avvenuti, quelle niente o poco le gioveranno; poiché la scrupolosa sempre dice che il secondo caso, dove fa scrupolo, non è come il primo; e così resterà sempre confusa ed inquieta.
19. Termino replicando sempre: Ubbidite, ubbidite; e per carità non trattate Iddio da tiranno. È vero ch'egli odia il peccato, ma non può odiare un'anima che detesta con dolore il suo peccato e sta pronta a morir mille volte prima che tornare
a peccare. Ditemi: Se voi aveste per una persona la volontà e l'amore che ora avete per Dio, credereste mai che quella non vi amerebbe assai? e perché avete da credere men buono il vostro Dio? Oh come è buono Dio con un'anima, che ha buona volontà! Ce ne assicura il Profeta reale: Quam bonus Israel Deus his qui recto sunt corde! (Ps. LXXII, 1). Dio non può non accogliere chi lo cerca: Bonus est Dominus... animae quarenti illum (Thren. III, 25). Disse un giorno il Signore a S. Margarita da Cortona: Margarita, tu mi cerchi? ma sappi che assai più io cerco te, che tu non cerchi me.33 Ed immaginatevi che lo stesso dica Dio a voi, se l'amate e lo cercate. Abbandonatevi dunque nelle sue braccia, come v'esorta il Salmista, e gittate sopra di lui la cura dell'anima vostra; ed egli vi conserverà e vi libererà da tutte le vostre angustie: Iacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet; non dabit in aeternum fluctuationem iusto (Ps. LIV, 23). Fate dunque l'ubbidienza e discacciate tanti timori. Gesù disse alla medesima S. Margarita che tanti suoi timori le impedivano d'avanzarsi nel divino amore.34 E non andate trovando con Dio tante minuzie; non pensate ch'egli si metta in collera con voi per ogni minimo errore che voi commettete, quando voi lo amate di cuore. Dicea S. Teresa: Figliuole mie, intendete che certamente Iddio non mira tante minutezze, come voi altre pensate; e non lasciate che vi si stringa il cuore, poiché cosi potreste perdere molti beni. L'intenzione sia retta, e la volontà risoluta di non offenderlo mai.35
Replico dunque e vi dico: Ubbidite in tutto al vostro padre
spirituale ed abbiate fede all'ubbidienza, perché, ubbidendo, anderete sempre sicura; e tenete sempre avanti gli occhi questo gran documento, che replicava S. Filippo Neri a' suoi penitenti: Al confessore abbiate fede, perché il Signore non lo lascerà errare; non essendovi cosa più sicura che tagli i lacci del demonio che fare la volontà altrui nel bene; ed all'incontro, dice, non v'è cosa più pericolosa che volersi reggere di proprio parere.36 Pertanto nell'orazione che fate, questa grazia cercate sempre a Dio: cercategli che vi faccia fare l'ubbidienza. E non dubitate che, facendola voi, certamente vi salverete e vi farete santa.