- CAPO VII - Della mortificazione interna o sia annegazione dell'amor proprio.
- § 5 - De' quattro gradi dell'ubbidienza perfetta.
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§ 5
- De' quattro gradi dell'ubbidienza perfetta.
1.
Acciocché una religiosa sia perfettamente ubbidiente, bisogna che ubbidisca con
prontezza, con esattezza, allegrezza e semplicità: questi sono i gradi per
giungere alla perfetta ubbidienza.
Il
primo grado dunque è l'ubbidire con prontezza, eseguendo ciò che viene imposto
dall'ubbidienza, subito, senza replica e senza dimora. Vi sono alcune religiose
che non si risolvono ad ubbidire, se non dopo molte scuse o dopo molte preghiere
della superiora. Non fanno così le vere ubbidienti. Fidelis obediens, dice S. Bernardo, nescit moras, parat aures auditui, manus operi, itineri pedes
(Serm. de obed.).1 Il vero ubbidiente non sa esser tardo nell'ubbidire,
ma subito che applica l'orecchie a sentire ciò che gli viene ordinato, applica
le mani all'opera, e i piedi per andare ad eseguirla. La religiosa che ama
l'ubbidienza, in udire il campanello dello sveglio nella mattina, non si
trattiene a voltarsi e rivoltarsi nel letto, ma, come dice S. Teresa, subito
sbalza da quello per ubbidire alla voce di Dio che la chiama.2 Così
parimente in ascoltare l'incombenza che le dà la superiora, non replica, non
porta scuse, né dimostra ripugnanza col tacere - cosa che spesso affligge le
superiore - ma subito e con sembiante allegro risponde: Eccomi, son pronta; e subito va ad ubbidire. Ella non ha bisogno,
per ridursi ad ubbidire, d'esser pregata, e che più volte le sia replicato il
comando, e che se le adducano ragioni: come fanno talune, le quali si chiaman
«cavalli duri di bocca», che per ubbidire a chi li guida han bisogno
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di più sbrigliate, e con ciò perdono la maggior parte del merito di
quell'ubbidienza che fanno così stentatamente, ma alla prima voce, senza
replica, si pongono ad ubbidire.
2.
Oh come premia il Signore questa prontezza nell'ubbidire! Più volte egli ha
dimostrato, anche con prodigi soprannaturali, quanto gradisce questa pronta
ubbidienza. S. Marco monaco, mentre stava scrivendo, fu chiamato dall'abbate
Silvano suo superiore. Egli, ubbidendo prontamente, lasciò di finire anche la
parola incominciata; ritornò dapoi, e ritrovò finita quella parola a lettere
d'oro (Vita Patrum, de Obed. § 1).3 Riferisce inoltre Blosio che
essendo apparso Gesù bambino ad una monaca, ed essendo stata la medesima allora
chiamata
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ad una certa osservanza regolare, subito partì; ritornata
che fu, ritrovò Gesù Cristo cresciuto in età di 24 anni, che le disse:
«Figliuola mia, la tua pronta ubbidienza mi ha fatto così crescere nel tuo
cuore».4 Apparve similmente Gesù bambino ad un altro religioso, il
quale, sonando il vespro, lo lasciò per far l'ubbidienza del coro; ritornò poi
in cella, e vi ritrovò il Bambino che gli disse: «Perché mi lasciasti, m'hai
ritrovato: se tu non fossi partito ad ubbidire, mi sarei partito ancor io da
te» (Cron. S. Franc., cap. 39).5 Narrasi ancora che
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S.
Colombano, volendo egli far prova dell'ubbidienza di alcuni suoi monaci che
stavano infermi, disse loro: «Orsù, alzatevi tutti, e andate all'aia a battere
il grano.» Li veri ubbidienti subito andarono e si posero a faticare; gli altri
infermi, poiché erano infermi anche di spirito, restarono a giacere. Ma che
avvenne? Gli ubbidienti subito si trovarono fatti sani, e gli altri restarono
infermi quali erano (P. Plat., De bono stat. rel. l. 2, c. 5).6 Così
all'incontro il Signore ha dimostrato talvolta quanto gli dispiace la dimora
nell'ubbidire. Ritrovandosi un giorno il B. Giunipero nell'orto a piantare un
ginepro, fu chiamato da S. Francesco; egli non ubbidì subito, ma volle finire
di piantare il ginepro che teneva in mano, e poi andò; ma il santo, per
fargl'intendere il difetto commesso in non aver subito ubbidito, maledisse il
ginepro e gli comandò da parte di Dio che non crescesse più di quello che si
trovava, e l'albero ubbidì, non crescendo neppure un dito di più. E narra
l'autore, che rapporta questo fatto, che sino a' suoi tempi nel convento della
città di Carinola, dove il fatto avvenne, si conservava questo ginepro, verde
sì, ma sempre picciolo qual fu piantato (Wading., Annal. Minor. ann. 1222, n.
11).7 Che miseria
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è vedere certe religiose che lasciano di
ubbidir subito, non per altro se non perché quell'opera vien loro imposta
dall'ubbidienza! Che se non fosse stata loro comandata, la farebbero forse con
prontezza, perché di propria volontà. Taluna, in ricever qualche incombenza,
non si riduce a farla, se prima non avrà replicato più volte: Non posso, non posso; meglio dicesse: Non
voglio, non voglio. Dicea il B. Giuseppe Calasanzio: Chi invece di dire Non voglio, dice Non posso, non inganna il
superiore, ma se stesso.8
3.
Il secondo grado è ubbidire con esattezza, cioè puntualmente e senza interpretazioni.
- Puntualmente, viene a dire senza rubare a Dio parte del sagrificio, con
mozzar la vittima; ma ubbidire con tutte le circostanze ed attenzione, ed
impiegandovi tutto il tempo che richiede l'incombenza imposta. Alcune religiose
a vista della superiora son puntuali, ma se la superiora è lontana, fanno
l'ubbidienza, ma così imperfetta che non si sa se sia più il demerito o il
merito che ne ricavano. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: La religiosa non ha donata la sua volontà
agli uomini, ma a Dio; e non a pezzi e stracci, ma intiera.9 -
Puntualmente e senza interpretazioni.
Un giorno ritrovandosi in Bologna S. Tommaso d'Aquino, capitò ivi un frate
converso d'un altro convento, il quale, dovendo uscire subito per un affare
importante, ebbe licenza dal priore di prendersi per compagno il primo che
trovava; incontrò quegli a caso S. Tommaso, e gli disse che andasse seco ad
accompagnarlo per ubbidienza del superiore. Il santo subito ubbidì; ma essendo
che il converso camminava in fretta, e il santo, per essere gravante di corpo,
andava a passo
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lento, lo pregò che si affrettasse nel cammino, perché
il negozio portava premura. Avendo poi saputo il frate chi era quel suo
compagno, gli cercò più volte perdono, ma S. Tommaso non dimostrò affatto
alcuna doglianza di lui (Ap. Sur. 7 mart.). Avrebbe potuto il santo ben
interpretare che quella licenza data dal priore non era per lui; ma no,
voll'egli ubbidire senza replica e senza interpretazione; ed a chi poi gli
dicea che avrebbe potuto scusarsi, rispose che il religioso non dee attendere
ad altro che ad eseguire esattamente l'ubbidienza.10
4.
Narra di più Cassiano (Instit. 1. 5, c. 40) che avendo un giorno l'abbate
Giovanni mandati due giovani con un canestro di fichi in dono ad un monaco
vecchio che stava lontano, essi smarrirono la strada, in modo che andarono per
più giorni vagando per quel deserto senza avere di che cibarsi. Poteano anche
ben interpretare che in quella necessità, senza offender l'ubbidienza, poteano
cibarsi di quei fichi mandati al monaco; ma nol vollero fare, e furono trovati
morti col canestro de' fichi accanto.11 Con ciò non vogliamo dire che
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l'ubbidienza dee sempre eseguirsi secondo la lettera, e che non mai
sia lecito interpretare la volontà del superiore in qualche caso, in cui
l'interpretazione sembra giusta e necessaria; ma diciamo che certe
interpretazioni poi sofistiche e stiracchiate, queste non molto differiscono
dalle formali disubbidienze. Pertanto, sempreché non si giudica per certo
essere stata altra l'intenzione del superiore, il suddito dee ubbidire. Talune
religiose poi, ancorché sappiano la volontà della superiora in qualche cosa,
con tutto ciò fanno quel che loro detta il capriccio, dicendo di non aver
precetto in contrario. No, dice Alberto Magno, non fanno così le vere
ubbidienti: Verus obediens numquam
praeceptum exspectat, sed solum voluntatem praelati sciens vel credens,
exsequitur pro praecepto (De virtut. c. 2):12 Il vero ubbidiente
non aspetta il comando espresso del superiore, ma intendendo la volontà di lui,
quella gli basta per precetto, e quella eseguisce. Questo è il modo di
perfettamente ubbidire; poiché, siccome insegna l'Angelico (2. 2. q. 104, a.
2), il volere del prelato, in qualunque modo s'intenda, dee tenersi per un
tacito precetto, a cui dee ubbidire il perfetto ubbidiente.13
5.
Il terzo grado è ubbidire con allegrezza. L'ubbidire di mala voglia e
mormorando de' superiori, è più difetto che atto di virtù. Dice S. Bernardo: Si coeperis diiudicare praelatum, murmurans
in corde, etiamsi exterius impleas, non est
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virtus, sed velamentum
malitiae (Serm. 3 De Circumcis.):14 Se in ricevere il precetto hai
cominciato a mormorare internamente del tuo prelato, ancorché poi l'adempisci,
l'opera tua non è virtù, ma è una certa veste soprapposta alla tua malizia;
mentre tu ubbidisci per farti vedere ubbidiente, ma in verità pecchi
disprezzando quell'ubbidienza nel tuo cuore. Qual miseria è vedere alcune religiose,
che non fanno di buona voglia se non quelle sole cose ch'esse han domandate, o
delle quali almeno non ne sono state pregate e ripregate! e solamente quelle
incombenze abbracciano volentieri, in cui il loro amor proprio vi ritrova la
sua soddisfazione!
6.
Colei che va procurando che la superiora le imponga ciò ch'è secondo la sua
inclinazione, e per quello solamente è pronta, per altro no, come mai potrà
chiamarsi religiosa ubbidiente? Dicea S. Ignazio di Loiola essere un inganno il
pensare che si osservi l'ubbidienza, quando il suddito tira il superiore a
comandargli quello ch'esso desidera; e rapporta a tal proposito le parole di S.
Bernardo, il quale scrisse: Quisquis vel
aperte vel occulte satagit ut quod habet in voluntate, hoc ei spiritualis pater
iniungat, ipse se seducit, si sibi quasi de obedientia blandiatur; neque enim
in ea re ipse praelato! sed magis ei praelatus obedit:15 Colui che
direttamente o indirettamente procura che il suo superiore gl'imponga ciò che
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esso suddito vuole, egli inganna se stesso e si lusinga di far
l'ubbidienza; poiché in ciò non esso ubbidisce al prelato, ma il prelato a lui.
Le religiose che ubbidiscono di mala voglia, Tritemio giunge a chiamarle mostri
del demonio, monstra diaboli:16
perché il demonio anche ubbidisce, ma ubbidisce a forza. Anzi tali religiose,
che a forza ubbidiscono, in certo modo possono dirsi peggiori del demonio,
perché il demonio non ha promessa a Dio ubbidienza, com'elleno l'han promessa
col voto fatto. Vorrei domandare alle monache di questa fatta, in che consista
la loro ubbidienza? in far solamente con allegrezza quelle cose che sono di
loro genio? ed altre che non sono di loro genio, farle di mala voglia e con
disturbo tale che si dia a vedere anche di fuori? Quis locus obedientiae, dice S. Bernardo, ubi tristitiae cernitur amaritudo? (De virt. obed.):17
Qual luogo mai può stimarsi dato all'ubbidienza, dove nell'ubbidire non si vede
altro che amarezza e malinconia?
7.
Hilarem... datorem diligit Deus, dice
l'Apostolo (II Cor. IX, 7): Iddio ama chi gli dà con allegrezza ciò che fa per
suo amore. Le religiose che son vere ubbidienti, eseguiscono con maggiore
allegrezza quelle ubbidienze che sono più contrarie al loro genio, perché
allora sono più certe di non far la loro volontà, ma quella di Dio. E che
maggior contento può avere un'anima che in dire nel far qualche azione: lo con
far questo, do gusto a Dio? Sorella benedetta, se voi desiderate di piacer
molto a Gesù Cristo, pregate la vostra superiora che vi comandi a suo arbitrio
e senza riguardo, perché così ella avrà più libertà in impiegarvi dove bisogna,
e voi avrete maggior merito in tutti i suoi ordini che eseguirete. Ed allora sì
che potrete star sicura di guadagnare egualmente in quelle cose a cui vi porta
la vostra inclinazione, che in quelle a cui ripugna l'amor proprio. Teniate
sempre ferma in voi la bella regola di S. Francesco di Sales, in questa materia
dell'ubbidienza, di nulla chiedere e di
nulla rifiutare.18
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8.
Dice S. Giovanni Climaco (Gradu 4): Obedientia
est sepulchrum propriae voluntatis.19 Alcuni chiamano l'ubbidienza
morte della propria volontà, ma meglio questo santo la chiama sepolcro della
volontà propria: perché un defunto, quando sta fuori della sepoltura, benché
sia morto, pure si fa vedere; ma quando è seppellito, non comparisce più sulla
terra. Alcune religiose tengono bensì morta la volontà in ossequio
dell'ubbidienza, ma tuttavia la fan comparire di fuori. Le religiose più
perfette, non solo tengono la loro volontà morta, ma anche seppellita, sì che
non la fanno neppur comparire. In ciò fu specialmente ammirabile S. Maria
Maddalena de' Pazzi, che non facea mai conoscere alle sue superiore a quali
cose avesse genio o avversione.20 Così fate ancora voi: dimostratevi
sempre affatto indifferente in tutti gli offici, esercizi ed impieghi, che
possono esservi ingiunti dall'ubbidienza. E quando vi son dati, eseguiteli con
tutta l'allegrezza. E se volete eseguirli con vera allegrezza, adempiteli solo
per fine di piacere a Dio; altrimenti se li farete per altro fine, come per
acquistarvi la grazia della superiora o per obbligarla a non negarvi poi ciò
che le domandate o per non esser ripresa e
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notata di poco ubbidiente,
ubbidendo per questi altri fini di proprio interesse, voi contenterete la
superiora, ma non contenterete Dio; e perciò soffrirete la fatica e l'incomodo
dell'ubbidienza data, e resterete tuttavia inquieta. Di più vi dico che quando voi
non avrete altro fine che di dar gusto a Dio, farete allegramente l'ubbidienza
non solo quando la superiora vi comanderà con bel modo e dolcezza, ma ancora
quando ve lo dirà con asprezza ed imperio. E qui sta il merito. Narra il P.
Rodriguez che S. Geltrude pregava un giorno il Signore a voler liberare la
badessa del suo monastero dal difetto che avea di esser aspra e di spesso
impazientarsi colle sue monache; ma Iddio le rispose che egli permetteva quel
difetto nella superiora, per primo, acciocch'ella si mantenesse più umile, e
per secondo, acciocch'esse suddite più meritassero in soffrire quel mal
procedere della loro badessa.21
9.
Il quarto grado ed ultimo, che rende perfetta l'ubbidienza, e l'ubbidire con
semplicità, secondo dice l'Apostolo: Obedite...
in simplicitate cordis vestri (Ephes. VI, 5). La semplicità del cuore
importa il soggettare il giudizio proprio al giudizio del superiore, riputando
giusto tutto ciò che dal superiore viene imposto. Ecco come lo Spirito Santo insegna
alla sua sposa come debba ubbidire, per ubbidire perfettamente: Si ignoras te, o pulcherrima inter mulieres,
egredere et abi post vestigia gregum (Cant. I, 7): 0 bellissima tra le
donne, se tu
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non sai conoscerti, cioè non sai quanto puoi farti a me
cara col tuo operare, io tel dirò: esci da te stessa e va dietro l'orme delle
pecorelle: osserva che queste, allorché son cacciate a pascere, non dimandano
perché si va a quel luogo o a quell'ora: perché così di fretta o così
lentamente: elle ubbidiscono al pastore senza replicare. Così dee far la buona
religiosa: ubbidire senza sapere il perché. Diceva quel gran Servo di Dio, il
P. Pavone della Compagnia di Gesù, che l'ubbidienza per esser perfetta dee
andare con ambedue le gambe, cioè colla volontà e coll'intelletto: quando si
ubbidisce colla sola volontà e non coll'intelletto, giudicandosi altrimenti di
quel che giudica il superiore, una tale ubbidienza, dicea, non è perfetta, ma
zoppa.22 Così parimente disse S. Maria Maddalena de' Pazzi: La perfetta ubbidienza richiede un'anima
senza volontà, ed una volontà senza giudizio.23 E perciò dicea la
santa che ella, per indursi ad ubbidire perfettamente, prima cercava di
cattivare il suo giudizio, e poi si metteva ad ubbidire.24 Altrimenti
chi non ubbidisce ancora col giudizio, difficilmente ubbidirà di buona voglia;
onde la sua ubbidienza
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sarà ubbidienza di schiava, fatta a forza, e
non di figlia, fatta per amore. E ciò volle significare l'Apostolo quando
disse: Cum bona voluntate servientes,
sicut Deo, et non hominibus (Ephes. VI, 7): Ubbidite con buona volontà,
intendendo di ubbidire non agli uomini, ma a Dio. Sicché non ubbidiremo mai di
buona voglia, se non quando intenderemo di ubbidire a Dio, che non può errare
in ciò che comanda, e non ci comanda che cose di nostro bene.
10.
Dice S. Tommaso l'Angelico (l. 2. q. 13, a. 5, ad 3) che il religioso dee porsi
ad eseguire il precetto del superiore, ancorché la cosa gli paresse
impossibile; perché non dee decidere egli, se quel che gli è imposto è
impossibile o no.25 S. Bernardo scrisse: Perfecta obedientia est indiscreta (De vit. solit.):26
L'ubbidienza perfetta, in quanto al suddito, non ricerca discrezione. Ed in
altro luogo disse: Novitium prudentem in
congregatione durare impossibile est: Un novizio il quale nell'ubbidire
vuol regolarsi colla prudenza propria, non può perseverare nella comunità. E ne
apporta il santo la ragione: perch'è una superbia insoffribile il voler
assumersi quell'officio che spetta al superiore: Discernere superioris est, subditi obedire: Il decidere quel che
convien di farsi, tocca
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al superiore; al suddito altro non
s'appartiene che l'ubbidire. Dicendo un giorno S. Ignazio di Loiola che se 'l
Papa gli avesse ordinato di porsi a viaggiare per mare in una barca senza
albero, senza remi e senza vele, egli avrebbe subito ubbidito alla cieca, uno
gli disse che questa non sarebbe stata prudenza, il mettersi volontariamente in
pericolo di morte. Rispose saggiamente il santo che la prudenza si richiede nel
superiore, ma la prudenza del suddito consiste nell'ubbidire senza
prudenza.27
11.
E ben ciò si uniforma a quel che disse lo Spirito Santo: Quasi lutum figuli in manu ipsius (Eccli. XXXIII, 13). Il suddito
si ha da mettere in mano del superiore come un pezzo di creta, acciocché ne
faccia quel che vuole. Numquid, dice
Isaia, dicet lutum figulo suo: Quid facis?
(Is. XLV, 9): Forse la creta avrà la temerità di dire al vasaio: Che cosa voi fate
di me? Se mai ciò fosse, il vasaio risponderebbe: Tacete, non tocca a voi il
vedere quel che fo io; a voi tocca solamente l'ubbidire, e farvi lavorare
secondo a me pare. E questa è la risposta che meritano di sentire quelle
religiose che vogliono sapere perché si dà loro quell'ubbidienza o
quell'ufficio e non quell'altro. Ciò appunto scrisse S. Girolamo a Rustico
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monaco: Nec de maiorum
sententia iudices, cuius officium est obedire:28 Il tuo officio è
di ubbidire, guardati pertanto di metterti a giudicare di quel che fanno i
superiori. Si legge nelle Vite de' monaci della Trappa (Prodigi della graz. t.
2, p. 24) che ad un buon religioso chiamato D. Arsenio, avendo l'abbate fatta
meglio accomodare la chiesa, venne il pensiero che quella spesa era stata
superflua; ma pensando poi che questo era stato un giudizio contra il giudizio
del suo superiore, andò subito ad accusarsene, piangendo dirottamente come d'un
gran delitto; e quantunque l'abbate gli avesse risposto non sembrare a lui quel
difetto sì grave, com'esso se lo figurava, con tutto ciò non poté trattenere il
corso delle sue lagrime, e lo lasciò così piangendo.29
12.
Questa è l'ubbidienza cieca tanto lodata da' santi, il credere che va bene
tutto ciò che fanno i superiori; primieramente,
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perché niuno dee
fidarsi nelle cose proprie del suo giudizio. Dice il proverbio: Nemo rectus iudex sui ipsius: Niuno è
buon giudice in ciò che spetta a se stesso, per causa dell'amor proprio, che
poco ci fa distinguere il vero dal falso. - Per 2. perché il suddito solamente
sa le cose sue, ma il superiore avrà avanti gli occhi molte altre cose, e
perciò il suo giudizio sarà il migliore. - Per 3. perché il suddito spesso non
riguarda che il suo bene particolare, ma il superiore dee riguardare il ben
comune. - Per 4. perché i superiori, come dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi,
sono assistiti da Dio con modo particolare intorno al governo della comunità, e
perciò hanno quella luce che non hanno i sudditi.30
13.
Sta scritto di S. Paolo che quando egli si convertì, Apertis oculis nihil videbat, ad manus autem trahebatur (Act. IX,
8):31 teneva aperti gli occhi, ma niente vedeva; onde fu bisogno che
altri lo conducesse per mano. Alcune religiose vogliono ubbidire, ma vogliono
vedere se è buono o male per esse ciò che loro è imposto; e se poi giudicano
che qualche cosa loro non conviene, o ripugnano all'ubbidienza o pure
ubbidiscono di mala voglia, giungendo talvolta anche a tacciar la superiora
d'imprudente, d'indiscreta o di parziale. Tutto ciò nasce dal non ubbidire alla
cieca, ma dal volere esiger la ragione da' superiori nelle cose che impongono: Imperfecti cordis indicium est, dice S.
Bernardo, exigere de quibusvis rationem
(De disp. et praec.):32 Dà segno
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di avere una volontà molto
imperfetta chi esige la ragione delle ubbidienze che gli son date. Per tal via
il demonio tentò Eva e gli riuscì di farla prevaricare: Cur praecepit, le disse, vobis
Deus, ut non comederetis de omni ligno paradisi? (Gen. III, 1): Perché Dio
vi ha comandato di non cibarvi di qualunque frutto del paradiso? Se Eva a
principio avesse risposto: Non tocca a noi esaminare il perché, a noi tocca
l'ubbidire, la misera non sarebbe prevaricata; ma perché cominciò ella ad
esaminare il perché, rispondendo: Noi possiamo cibarci d'ogni frutto; il frutto
d'un solo albero ci sta vietato, acciocché forse non incorriamo la morte, ne forte moriamur; allora il serpente
vedendo che Eva incominciava a mettere in dubbio con quel forse il castigo
minacciato, le disse: Non temete, perché non morirete: Nequaquam morte moriemini. E così l'indusse a trasgredire il
precetto.
14.
Le monache vere ubbidienti non si mettono ad indagare la ragione; elle tengono
gli occhi aperti, come li tenea S. Paolo, cioè hanno la mente per poter
giudicare, ma niente vedono, soggettando in ossequio dell'ubbidienza il loro
giudizio al giudizio di chi presiede. Dice pertanto S. Giovanni Climaco che i
religiosi debbon discacciare i pensieri contra l'ubbidienza de' superiori, come
si discacciano i pensieri contro la castità, cioè subito e senza discorso; ed
in vece di sottoporli alla critica, debbono andare indagando ragioni per sempre
difendere la loro giustizia.33 Il Signore più volte ha fatto vedere con
prodigi quanto gli piace l'ubbidienza cieca delle persone religiose. Narra
Severo Sulpizio (Dial. de vita S. Mart. c. 12) ch'essendo ricorso ad un
monastero un certo giovine per esser ricevuto, l'abbate gl'impose, per provarlo
nell'ubbidienza, ch'entrasse in una fornace che colà attualmente ardeva; il
giovine subito si slanciò nel fuoco, ma non ne
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ricevé alcun danno
neppur nelle vesti.34 È celebre ancora il fatto di S. Benedetto,
riferito da S. Gregorio (Dial. lib. 2, c. 7), ch'essendo caduto nel fiume il
giovinetto S. Placido, impose il santo a S. Mauro che l'andasse a prendere, e
quegli lo prese già camminando sull'acqua.35 Questi esempi non sono già
imitabili, poiché questi son certi impulsi straordinari del Signore, il quale
assicura allora i superiori e i sudditi della sua divina volontà; ma servono
per far conoscere a noi quanto piace a Dio la cieca ubbidienza senza discorso.
Molte volte i superiori, per esperimentare questa ubbidienza cieca, comandano
cose
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inette e che son contrarie alla ragion naturale. S. Francesco
facea piantare da' suoi frati i cavoli colle cime in giù e colle radici di
sopra.36 Facea girare fra Masseo sino a cadere a terra.37 S.
Teresa anche facea simili esperienze colle sue figlie.38 Ma taluna
dirà: A che servivano queste cose? Ma a che serve, io rispondo, ora il far
correre i polledri, ora il fermarli, ora il farli andare in dietro, senza
esservene alcun bisogno? serve per renderli ubbidienti alla briglia. Ed a
questo serve parimente l'esercitare i sudditi in cose che sembrano disordinate
ed inette: serve ad avvezzarli a rompere la loro volontà e sottomettere il
giudizio all'ubbidienza.
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15.
Diceva il B. Giuseppe Calasanzio: Non è
ubbidiente, chi ubbidendo siegue il proprio giudizio.39 Guardatevi
pertanto voi, sorella benedetta, in tutte le operazioni di vostra vita, di
credere a voi stessa, contra ciò che vi dicono i vostri superiori. Avvertiva S.
Filippo Neri che non vi è cosa più pericolosa che 'l volersi reggere col
proprio parere.40 E prima lo scrisse Pietro Blessense: Sibi solum credere, pessimum est.41
Non v'è maggior ruina per un'anima che 'l voler credere a sé sola; mentre dice
Cassiano esser impossibile che chi si fida del proprio giudizio, non resti
ingannato dall'astuzia del demonio: Impossibile
est, qui proprio fidit iudicio, diaboli illusione non decipi (Collat. 16,
c. 11).42 Quindi diceva S. Gio. Grisostomo: Nihil est quod Ecclesiam Dei ita destruere potest, ut quando discipuli
magistris non cohaerent (Hom. in dict. S. Paul.):43 Non vi è cosa
che possa maggiormente ruinar la Chiesa di Dio, che l'avere i discepoli sentimenti
contrari a quel che giudicano i maestri. Ed io dico che non vi è cosa che più
rovini le comunità, quanto l'essere i religiosi di parere contrario a quello
che hanno i superiori.
1 «Fidelis obediens nescit moras, fugit crastinum, ignorat
tarditatem, praeripit praecipientem, parat oculos visui, aures auditui, linguam
voci, manus operi, itineri pedes; totum se colligit, ut imperantis colligat
voluntatem.» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, sermo 41, n. 7. ML 183-657.
2 «Santa Teresa soleva dire che
quando una religiosa vien chiamata dal sonno, deve subito balzare in terra,
come se al letto si fosse attaccato il fuoco.» S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO,
Manuale sacro (per le religiose),
Roma, 1734, parte 2, § 1.
3 «Dicebant de abbate Silvano quod habuerit
in Scythi discipulum, nomine Marcum, et hic fuerit magnae obedientiae, quique
etiam scriptor antiquarius erat: diligebat autem eum senex propter obedientiam
suam. Habebat etiam alios undecim discipulos, qui
contristabantur quod diligebat eum plus eis. Quod cum audissent vicini senes
quia senex plus eum ceteris diligebat, moleste tulerunt. Una autem die venerunt
ad eum: quos assumens secum abbas Silvanus, egressus est de cella sua, et
coepit singulorum discipulorum suorum cellas pulsare, dicens: «Frater ille,
veni, quia opus te habeo.» Et unus ex his non est mox secutus eum. Venit autem
ad cellam Marci, et pulsavit, dicens: «Marce.» Ille autem, cum audisset vocem
senis, statim exivit foris; et misit eum ad quoddam ministerium. Abbas ergo
Silvanus dixit senibus: «Ubi sunt ceteri fratres?» Et ingressus est in cellam
Marci, et invenit quaternionem, quem eadem hora inchoaverat, in quo litteram O
faciebat. Et audita voce senis, non fixit, nec gyravit calamum ultra, ut
impleret et clauderet litteram quam in manus habebat. Et dixerunt senes: «Vere,
abba, quem tu diligis, et nos diligimus, quoniam et Deus diligit eum.» De Vitis Patrum, lib. 5, auctore graeco incerto,
interprete Pelagio; libell. 14, n. 5.
ML 73-948, 948.- Cf. De Vitis Patrum,
lib. 3, auctore probabili RUFFINO, n. 143. ML 73-788.- In quanto alla
lettera d' oro, si legge nel RODRIGUEZ, Exercitium perfectionis, pars 3, tract. 5, cap. 3, n. 7: «Ut autem nobis ostenderet
Dominus quantopere sibi haec exacta et punctualis obedientia in littera
inchoata abrumpenda placeat, saepius id per miracula dignatus est confirmare;
uti illo in monacho, qui cum inter scribendum per campanae signum quopiam
vocatus, litteram semiperfectam reliquisset, eam post, ad cellam reversus
perfectam reperit, parte illa media, quam perficiendam reliquerat, aureo colore
inducta.»- Nel Dialogo, capo 165 (del «Trattato
della Obedientia» cap. 12: Opere, IV,
Siena, 1707, pag. 319), così parla il
Padre Eterno a S. CATERINA DA SIENA: «Il vero obediente obedisce più alla
intenzione che alla parola, giudicando che la volontà del prelato sia nella
volontà mia, e per mia dispensatione e volontà comandi a lui; e però ti dissi che obediva più alla
intentione che alla parola. Però obedisce alla parola, perchè prima obediva con
l' affetto alla volontà sua, vedendo col lume della fede e giudicando la
volontà sua in me. Bene il mostrò quello che si legge in Vita Patrum, che prima obediva con l' affetto, che
essendoli comandato dal prelato suo una obedientia, avendo cominciato a
scrivere uno O che è così piccola cosa, che non diè tanto spatio a sè medesimo,
ch' egli el volesse compire; ma subbito fu pronto all' obedientia. Onde per
mostrare quanto m' era piacevole, vi feci il segno, e compì l' altra metà,
scritto d' oro, la clementia mia.»
4 Lud. BLOSIUS,
Institutio spiritualis, appendix 4, cap. 6, n. 5, ex Thaulero. Opera, Antverpiae, 1632, pag. 351.- Io. THAULERUS,
Homilia seu Sermones in Evangelia, sermo
I in Dom. III post Trinitatem (Lugduni, 1558, pag. 520, 521): «Virgo quaedam
in monasterio degebat, divino amore impendio flagrans. Haec cum quodam tempore,
immenso dilectissimi sponsi sui Iesu Christi desiderio teneretur, ex toto corde
suo eumdem alloquebatur, dicens: «O unice et amantissime Fili Dei, Redemptor
animae meae, utinam vel ad momentum te in hac vita cernere mihi liceret!» Quo
dicto, repente adstitit illi Dominus noster Iesus Christus in forma pueruli
cuiusdam. Contigit autem ut sanctimonialis quaedam ad cellam huius sanctae ac
devotae pulsaret virginis, eamque festinatione ad opus quoddam communitatis ex
obedientia peragendum accersiret. Audiens haec obedientiae iussionem, puerulo
illi in haec verba loquebatur: «En dulcissime Domine mi Iesu Christe, pro
explenda obedientia abeo: obsecro te, si placet tibi, me hic interim exspecta,
donec ad te redire liceat.» His dictis, sancta haec virgo e cella exiit, et
quod facere iussa erat, libenti ac hilari vultu peregit. Quo facto, magna cum
celeritate properabat ad cellam: cumque hanc aperiret, mira quaedam et
radiantissima lux eius se ingerebat oculis, ita ut vix eam ferre posset,
viditque amantissimum Dominum Deum suum perfectae aetatis, tamquam
speciosissimum iuvenem annorum quatuor supra viginti, sibi assistere. Tum vero
hilari corde in risum soluta, ita eumdem alloquebatur: «O dilectissime Domine
Iesu Christe, quomodo tam speciosus et grandis tam brevi tempore effectus es,
qui tam pusillus apparebas, quando a te recessi? dic, obsecro, dic, unica spes
animae meae, qui id factum est?» Respondit ei pius ac dulcis Dominus Iesus
Christus, et ait: «O filia carissima, profunda velocis ac impigrae obedientiae
tuae humilitas, hoc brevi spatio tam grandem me effecit. Semper ergo mei amore
libenter obedito, si mihi continue sine medio optas uniri.» His dictis, visio
illa disparuit.»
5 «A me parrebbe (dicea il B. F. Egidio), che se
alcuno avesse ottenuto grazia di parlare con gli angeli, e che in quel punto
che con lor parlasse, fosse chiamato dal suo superiore, dovrebbe lasciar subito
gli angeli, e ubbidire all' uomo a cui si è fatto suddito per amor di Dio. E la
verità di questa dottrina santa mostrò il Signore in F. Andrea, mio compagno
divotissimo, al quale, essendo nella sua cella in fervente orazione, gli
apparve Gesù Cristo in forma di un bellissimo figliuolino, che col splendore
della sua vista e con la famigliarità che gli mostrava, riempiendolo d'
indicibile consolazione, nel qual mentre sonando il Vespro, il povero religioso
non sapendo che farsi, alla fine deliberò lasciare il Signore, se ne andò
subito in coro, dicendo ch' era meglio ubbidire alla creatura per amor del
Creatore, sodisfacendosi in tal modo all' uno e all' altro; il qual consiglio
quanto fosse buono, si dimostrò per quel che ne seguì; perciochè finito che fu
il Vespro, F. Andrea, ritornato alla cella, vi trovò ancora il figliuolino
Gesù, il quale gli disse: «Se tu non andavi al coro, io mi partiva subito di
qua, nè mai più ritornava.» MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib. 7, cap. 39
(in fine).
6 PLATUS (Piatti) Hieronimus, S. I., De bono status religiosi,
lib. 2, cap. 5.- «Morabatur alio rursus tempore in eo scopuli sinu a quo
ursum expulerat.... Cognovit autem per revelationem fratres, qui
Luxovii erant, diversis morborum generibus vexari, nec plures superesse
incolumes quam qui aegrotis ministrarent. Egressus itaque de specu, LUXO vium
venit; cumque omnes affictos cerneret, iubet omnes surgere, et messem in area
virgis caedere. Surrexerunt ergo, quorum conscientiam obedientiae fervor
incendebat, ad areamque venientes, virgis fruges caedere ardenti fide aggressi
sunt. Videns autem pater fidem in filiis et obedientiae gratiam abundare:
«Sinite, inquit, fessa aegritudine membra a labore recreari.» Mirantur obedientes fratres,
nullo doloris vestigio remanente, integra se sospitate frui. Iubet pater
apparari mensas, ut uberi gaudio omnes reficerentur. Increpat deinde
inobedientes, arguit fidei ignaviam, aegritudinis longam moram denunciat. Mira
ultio. Supra anni tempus immorigeros morbi dolor tam vehementer attrivitit, ut
vix mortem evaderent: impleveruntque mensuram poenitentiae pro admissae
inobientiae ratione.» Vita S. Columbani,
auctore eius aequali IONA abbate, cap. 12: apud SURIUM, De probatis Sanctorum historiis, die 21 novembris.
7
«Carinulam, sive Calenum (oggi Calvi) Campaniae felicis civitatem, ad quatuor
millia passuum ab oppido Mondragonio notissimo distantem, venit vir sanctus
(Franciscus).... accepitque pro suis habiaculum... quod post eius mortem ipsius
sancti viri monimi dicatum est.... Hic etiam conspicere licet iuniperum arborem
a B. F. Iunipero plantatam, quae in eius inobedientiae poenam, nec latum unguem
a die, quo terrae infixa est, crevit. Dum enim praefatus B. F. Iuniperus ei
plantandae, quae in eius inobedientiae poenam, nec latum unguem a die, quo
terrae infixa est, crevit. Dum enim praefatus B. F. Iniuniperus ei plantandae
intenderet, vocatusque a Seraphico Patre, quousque coeptum perfecisset opus,
parere detrectasset, maledixit beatus Franciscus arbori, quod eius causa
salutaris obedientia detrimentum passa esset, eique praecepit ne in posterum
cresceret, sed ut in ea prorsus quantitate, ut salutare aliis esset exemplum,
perpetuo maneret, prout et factum est.» WADDINGUS, Annales Minorum, an. 1222, 11.
8 «Non
superiorem, sed se fallit subditus, qui pro nolle dicit se non posse.» V. TALENTI, delle Scuole Pie, Vita, 1753, lib. 7, cap. 9, III, n. 34.
9 «La persona religiosa non ha già
donata la sua volontà agli uomini, ma a Dio. Nè l' ha donata a pezzi e a
stracci, ma tutta intera.» Detti e sentenze,
§ 3, n. 27. PUCCINI, Vita, Venezia, 1671,
in fine.
10 «De cuius mirabili dicitur humilitate, quod cum in
Bononiensi conventu praedictus Doctor transiens moraretur, et more solito per
claustrum contemplativus incederet, quidam frater alterius conventus, qui
Doctorem non noverat, venit ad eum, petita et obtenta licentia a priore, ut cum
eo qui primo occurreret, in civitatem ad sua negotia ire liceret; et dixit ei:
«Bone frater, prior mandavit quod veniatis mecum.» Qui
statim inclinans caput, secutus est eum. Post quem cum non potuisset sic
festinanter incedere, frequenter redargutus a nanter incedere, frequenter
redargutus a socio, se humiliter excusabat. Cives vero, qui eum noverant,
admirati quod tantus Doctor post fratrem tantae conditionis incederet, de quo
erat dignus ut praeiret, cogitantes hoc ex errore contigisse aliquo,
indicaverunt fratri quis esset quem duceret. Qui conversus ad fratrem Thomam,
petivit veniam, ut eius ignorantiae indulgeret; et conversus praedictis civibus,
cum reverentia Magistrum interrogantibus de tanto humilitatis exemplo,
respondit quod in obedientia perficitur omnis religio, qua homo homini propter
Deum subiicitur, sicut Deus homini propter hominem obedivit.» GUILELMUS DE THOCO, O. P.,
Vita, cap. 5, n. 26: inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 7 martii.-
Cf.: SURIUS, De probatis Sanctorum
historiis, die 7 martii.
11 «Cum ultra omnem admirationem ficus
quidam de Mareolae Lybiae partibus, velut rem ante in loco illo non visam,
abbati Ioanni oeconomo in eremo Scythi detulisset, qui dispensationem ipsius
ecclesiae temporibus beati Paphnutii presbyteri ab eodem sibi creditam
gubernabat: hic confestim eas ad senem quemdam, qui in interioribus deserti
mala valetudine laborabat, per duos adolescentes misit: siquidem decem et octo
millibus longe ab ecclesia commanebat. Qui pomis acceptis, cum ad praedicti
senis tenderent cellam, quod ibi perfacile solet etiam senioribus evenire,
infusa repente densissima nebula, tramitem recti itineris perdiderunt. Cumque
tota die et nocte discurrentes per aviam eremi vastitatem, nequaquam potuissent
aegrotantis cellulam reperire, tam itineris lassitudine, quam inedia sitique
confecti, fixis genibus, in orationis officio spiritum Domino reddiderunt. Qui
post haec vestigiorum suorum indiciis diutissime perquisiti, quae in locis
illis arenosis tamquam nivibus impressa signantur, donec ea vel levi ventorum
flatu tenuis arena discurrens rursus operiat, intenti sunt ficus intactas ut
acceperant reservasse: eligentes scilicet animam magis quam fidem depositi
prodere (al. melius: perdere), vitamque
potius amittere temporalem, quam senioris violare mandatum.» IO. CASSIANUS, De Coenobiorum institutis,
lib. 5, cap. 40. ML 49-264, 265.
12 «Verus obediens numquam praeceptum exspectat,
sed solum voluntatem praelati sciens vel credens, ferventer exsequitur pro
praecepto.» S. ALBERTUS MAGNUS, Paradisus animae, sive Libellus de virtutibus, cap. 3. Opera, XXI, Lugduni, 1651.
13 «Obedientia est
specialis virtus, et eius speciale obiectum est praeceptum tacitum vel
expressum. Voluntas enim superioris, quocumque modo innotescat, est quoddam
tacitum praeceptum: et tanto videtur obedientia promptior quanto praeceptum
expressum obediendo praevenit, voluntate superioris intellecta.» S. THOMAS, Sum. Theol., II-II, qu.
104, art. 2, c.
14 «Sed iam tibi in ipsa obedientiae via aliqua
fortassis dura et aspera occurrere possunt, ut accipias interdum praecepta
nonnulla, quae licet salubria sint, minus tamen suavia videantur. Haec si moleste coeperis
sustinere, si diiudicare praelatum, si murmurare in corde: etiamsi exterius
impleas quod iubetur, non est haec virtus patientiae (o forse obedientiae), sed velamentum malitiae. Necesse
est ergo ut illucescat dies patientiae, per quam omnia dura et aspera tacita
apmplectaris conscientia, te magis diiudicans et durius arguens, cui nimirum
displicent quae ad salutem sunt, et in cogitatione tua semper partem magistri,
quoad potes, adversus temetipsum iuvans; te quidem in omnibus accusare, ipsum
vero magis excusare laborans.» S. BERNARDUS, In Circumcisione Domini, sermo 3, n. 8. ML 183-140.
15 «Sane quam magnus est error, et quidem eorum quos
amor sui obcoecavit, obedientes existimare sese, cum superiorem, ad id quod
ipsimet volunt, aliqua ratione pertraxerint. Sanctum Bernardum in hac re praeclare
exercitatum audite: «Quisquis, inquit, vel aperte vel occulte satagit ut, quod
habet in voluntate, hoc et spiritualis pater iniungat, ipse se seducit, si
forte sibi quasi de obedientia blandiatur: neque enim in ea re ipse praelato,
sed magis ei praelatus obedit.» Epistolae S. IGNATII LOYOLAE (Bononiae, 1804), lib. 3, epist. 29, ad Conimbricense
Collegium, De obedientiae virtute, n. 8.-
S. BERNARDUS, Sermones de diversis,
sermo 35, n. 4. ML 183-636.
16 «Monachus enim sine
obedientia est monstrum diaboli.» Ioannes TRITEMIUS, O. S. B., Ad monachos dehortationes,
Romae, 1898, pag. 142, hom. 20.
17 «Quis enim locus obedientiae,
ubi tristitiae cernitur aegritudo? Ostendunt plerumque voluntatem animi signa
exteriora, et difficile est ut vultum non mutent, qui mutant voluntatem.
Nubilosa corporis compositio, et facies tenebris tristitiae obfuscata,
devotionem ab animo recessisse signant.» S. BERNARDUS, Sermones
de diversis, sermo 41, n. 6. ML
183-656, 657.
18 S. FRANÇOIS DE SALES, Les vrais Entretiens spirituels, Vingt-unième entretien: Sur
le document de ne rien demander, ne rien refuser. (Per intero). (Euvres, VI, Annecy, 1895, pag.
383 e seguenti.
19 «Obedientia est sensuum in anima viva mactatio.
Obedientia est motus simplex et inexcussus: voluntaria mors, incuriosa vita,
securum periculum, expedita apud Deum defensio (indefensa Dei propugnatio),
mortis securitas, navigatio sine periculo, dormiens peregrinatio. Obedientia
est animi in morte securitas, sepultura voluntatis, excitatio humilitatis, quae non obloquitur (contradicit), non
diiudicat, nec bona tamquam mortua (i. e. quum ipsa sit perinde ac mortua), nec
vulgi opinione mala sentit.» S. IO. CLIMACUS, Scala paradisi, gradus 4. MG 88- 679.
20
«Quell' anima (sono parole della Santa) che ogni dì riceve il Santissimo
Sacramento dovrebbe esser tanto indifferente, e risegnata nel voler divino e
nell' obbedienza, che non si potesse conosere o sapere quel che le sarebbe di
gusto.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte
4, cap. 29, pag. 331.- «Con tanto gusto ubbidiva, come se l' ubbidienze
commessele fossero suo proprio volere. Anzi che, sendo ella grandemente
desiderosa del merito dell' ubbidienza, nè parendole, per la facilità che
trovava nell' ubbidire, avere a conseguire merito alcuno, cercava quanto poteva
di occultare i suoi desiderii e gusti, e mostrava di gustare di quelle opere
che le erano più gravi e noiose, e di restar attediata da quelle che l' erano
di sodisfazione; acciò essendole queste vietate e quelle comandate, come
frequentemente succedeva, avesse occasione di sentire qualche peso nell'
ubbidienza; e questo essa lo chiamava un capitale ascoso, perchè il patire che
ella faceva con questa santa industria,
era ascoso agli occhi delle creature e palese solo agli occhi di Dio.» PUCCINI,
Vita, Venezia, 1671, cap.
119.
21 «Abbatissam sancta Gertrudis habebat insigni quidem
sanctimonia praeditam, at indolis praefractioris et austerioris, quaeque
asperior erat in respondendo. Unde Dominum pia virgo rogabat hanc ut ab ea
asperitatem auferret. Respondit ei Dominus: «Cur hanc ab ea tolli cupis?
haec quippe illi humiliter de se sentiendi occasio est. Nam cum in impetientiam aliquam
incidisse se comperit, illico demisse de se ipsa sentit, suamque infirmitatem
agnoscit. Ad haec, quid vos religiosae obediendo mereremini, si antistita lenis
et placida foret? Hunc itaque in ea defectum ad exercitium
vestrum, utque obedientiam discatis, vigere patior.» RODERICIUS, Exercitium
perfectionis, pars 3, tract. 5,
cap. 8, n. 3.- Questo passo del Rodriguez non può esser altro che in parte
parafrasi, in parte compendio di quanto abbiamo riferito di sopra- cap. VII, §
3, not. 14, pag. 189- colle stesse parole della Santa, dal cap. 83, lib. 3 del
Legatus divinae pietatis. Dal testo della
Santa non apparisce chiaro che si tratti della sua badessa, ma sembra
piuttosto che parli di qualche altro prelato, essendo, invece, la badessa assai
mite nel comandare. - Blosio, chiamato in
testimonianza dal Rodriguez nel numero seguente, non cita altro che questo
medesimo cap. 83 (Opera, pag. 596) e dice:
«Orante eadem Virgine pro defectu cuiusdam personae quae Congregationi
praeerat...» La Santa però si esprime così: «Cum oraret pro uno defectu
cuiusdam Magistratus sui....»
22 «Diceva (il P. Pavone) che bisognava
caminare in essa (mell' ubbidienza) con amendue i piedi, cioè con amendue le
potenze, suggette al superiore, della volontà e dell' intelletto, a ben
caminare, e farlo a gran giornate nella strada della sua perfezione. Chi camina
col solo piè della volontà, zoppica, e poco avanza; chi v' aggiunge l' altro
dell' intelletto, vi corre.» A. BARONE, S. I., Vita, Napoli, 1700, lib. 2, cap. 10, pag. 134.
23
(Parla il Verbo): «Contro al proprio volere, prenderai una morta volontà, tanto
che non vogli anco me stesso, se non tanto quanto è volontà mia... Pe 'l
proprio sapere, distruggimento della virtù, e per il volermi servire a suo
modo, prenderai un nulla volere, nulla intendere, e nulla sapere a tuo modo.»
PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte
terza, Prima notte, pag. 18, 19.- (Parla
la Santa): «Guai, guai, guai a quelli che vengono alla Religione con volontà
propria, e per ispacciare quello che gli hai dato tu, (o Verbo), perchè, sebben
fossero d' altro sapere, da sè non s' hanno a stimare. Dunque che bisogna?
venir senza volere, spogliato d' ogni suo essere.» Op. cit., parte 4, cap. 27, pag. 312-313.- «La perfetta
ubbidienza richiede un' anima senza volontà, una volontà senza giudizio, un
giudizio senza spirito, uno spirito senza occhi, e che sia cieco ad ogni altro,
fuor che all' ubbidire a tutto il mondo.» Detti e sentenze, § 3, n. 21: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, pag. 299.
24 «Soleva dire che non si poteva ubbidire
perfettamente senza cattivare il proprio giudizio nella volontà e giudizio del
superiore, e che a lei non pareva d' ubbidire, ancorchè eseguisse il
comandamento, se prima non cattivava il suo giudizio, ancorchè fossero cose
alle quali ella avesse ripugnanza: e per ciò quando le era comandato qualche
cosa, s' ingegnava prima tenere per bene, giudicare e sentire come la sua
superiora teneva, giudicava e sentiva, e poi inchinava la sua volontà a volere
ciò che la sua superiora voleva.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 119.
25 «Proponitur obiectio 3: «Nihil homo
tentat agere nisi eligendo. Sed beatus Benedictus dicit
(Regula ad Monach., cap. 68) quod, si
praelatus aliquid impossibile praeceperit, tentandum est. Ergo electio potest esse
impossibilium.» «Ad tertium dicendum quod hoc ideo dicitur, quia an aliquid sit
possibile, subditus non debet suo iudicio definire: sed in unoquoque, iudicio
superioris stare.» S. THOMAS, Sum. Theol., I-II, qu. 13, art. 5, ad 3.
26 «Perfecta vero obedientia est,
maxime in incipiente, indiscreta: hoc est non discernere quid vel quare
praecipiatur, sed ad hoc tantum niti ut fideliter et humiliter fiat quod a
maiore praecipitur. Lignum enim scientiae boni et mali in paradiso, censura
discretionis est in conversatione religionis penes patrem spiritualem, qui
diiudicat omnia, ipse vero a nemina iudicatur. Ipsius
est discernere, aliorum est obedire. Adam gustavit in malum suum de ligno
vetito, edoctus ab eo qui suggerendo ait: Quare praecepit vobis Deus, ut de ligno non comederetis? Ecce discretio, cur
praeceptum sit. Et addit: Sciebat enim quia
quo die comederitis, aperientur oculi vestri, et eritis sicut dii (Gen. III, 1,
5). Ecce ut quid praeceptum sit, scilicet quod Deos fieri non sinat.
Discrevit, comedit, et inobediens factus est, et de paradiso eiectus est. Sic et animalem discretum,
noviitum prudentem, incipientem sapientem, in cella diu posse consistere, in
congregatione durare, impossibile est. Stultus
fiat, ut sit sapiens: et haec omnis sit eius discretio, ut in hoc nulla sit ei
discretio. Haec
omnis sapientia eius sit, ut in hac parte nulla ei sit.» S. BERNARDUS, Epistola
ad Fratres de Monte Dei, seu Tractatus de
Vita solitaria, lib. 1, cap. 5, n. 14.- Vedi Appendice, 3.
27 «Cum vero Praepositus esset
Generalis, aliquoties dixit: Si Summus Pontifex imperaret, ut ostio Tiberino
scapham, vel navigium, quodcumque primum invenisset, clavo, malo, velis, remis
ceterisque armamentis spoliatum conscenderet, et ita absque ullo commeatu mare
traiiceret, se id non solum aequo sed etiam libenti animo facturum. Cum autem
quidam summus vir, hunc illius animum admirans, Ignatio diceret: «Quae istaec
est prudentia?» respondit Ignatius: «Prudentia, Domine, non tan est parentis,
quam imperantis.» P. RIBADENEIRA, Vita, cap. 33, n. 501: inter Acta Sanctorum Bollandiana,
die 31 iulii.- «Vecchio poi, e 'l più del tempo infermo, fu udito più volte
dire, che si mal concio com' era, ad un cenno del Vicario di Cristo sarebbe ito
col suo bastoncello a piè fino in Ispagna; anzi così bisognando, ad Ostia,
antico porto di Roma, e quivi, senza provvedimento di viatico, per trapassar il
mare, sarebbe salito sul primo legno in cui si fosse avvenuto, tutto che
disarmato, senza vele nè remi, senza antenna, senza albero nè timone: e in così
ubbidire, non solamente non avrebbe in che usarsi forza, per vincere resistenza
o contrasto di ripugnanti pensieri che vi provasse, ma che anzi ne goderebbe
somma consolazione. Il qual detto inteso una volta da un di que' savi che
pesano ad una medesima bilancia le cose del mondo e quelle di Dio, il mosse a
dire con un certo che di derisione: «E che prudenza sarebbe la vostra, Padre
Ignazio?» Al che egli: «La prudenza, disse, non è virtù di chi ubbidisce, ma di
chi comanda. E se prudenza v' è nell' ubbidienza, ella è quest' una, di non
esser prudente, ove, per esser prudente, non si sarebbe ubbidiente.» BARTOLI,
Vita, lib. 4, n. 6 (fine).
28
«Praepositum monasterii timeas ut dominum, diligas ut parentem. Credas tibi
salutare quidquid ille praeceperit; nec de maiorum sententia iudices, cuius
officii est obedire, et implere quae iussa sunt, dicente Moyse: Audi, Israel et
tace (Deut. XXVII, 9, iuxta LXX).» S.
HIERONYMUS, Epistola 125, ad Rusticum
monachum, n. 15. ML 22-1081.
29 I Prodigi della grazia espressi nella conversione di alcuni grandi peccatori, morti
da veri penitenti nel monastero della Trappa. (Delle quaranta relazioni che
contiene l' opera francese, questa versione italiana ne ha scelto diciotto: le
quattordici prime sono state scritte dall' Abbate de RANCE'). Prima parte, III: Ragguaglio della morte di Don Arsenio, detto nel secolo Claudio Cordon, dottore di Sorbona (+ 1685). Pag. 40 e
seg.: «Per grande che fosse la sua confidenza (nel padre Abbate), non lasciò di
patire una specie d' eclissi.... Era il santuario della chiesa poverissimo e
molto incomodo... Si stimò bene di ridurre quel sacrosanto luogo in una forma
più conveniente.... Commosse alquanto Don Arsenio una sì fatta mutazione; si
figurò non essersi potuto fare quell' abbellimento senza un dispendio
considerabile, ed in quel primo movimento, che lo sorprese, gli vennero in
mente le parole dell' apostolo perfido ed avaro: Ut quid perditio haec? La riflessione....
immediatamente.... corresse il suo primo pensiero; gli seder mai confusaembrò
una bestemmia...; gli parve di aver sommessa una scelleraggine, biasimando le
azioni di colui che Dio gli aveva dato per superiore. Tosto se n' andò dall'
Abbate, gli si gittò a' piedi, e piangendo dirottamente, gli disse di aver
commesso un delitto che non meritava perdono... e raccontò il fatto come era
seguito. Il padre Abbate.... lo fece levar suo malgrado da terra, dicendogli la
sua colpa non essere quale da se stesso la figurava... Durò fatica l' Abbate ad
acquietarlo, ed a frenare il corso alle lagrime, e fu costretto di lasciarlo
per trasferirsi in chiesa all' ufficio... Nel patire ne ricevette un foglio,
scritto di proprio pugno di Don Arsenio del seguente tenore: Rinnovazione dell'
ubbidienza da me promessa dieci anni sono al reverendissimo P. Abbate in
capitolo... Essendo il dì seguente ritornato dal padre Abbate, gli diede un
altro foglio scritto a mano... Bisognava essere in una prodigiosa annegazione
di se medesimo.... per aver potuto far tanto conto di un semplice pensiero...
tuttochè appena vi si fosse trattenuto per brevi momenti.»
30
«Altra volta dicea la buona Madre, che volendo l' anima religiosa far frutto
grande nella Religione, fa di mestiere ch' ella faccia un' impressione nel suo
cuore che il suo superiore sia in luogo di Dio, e che quanto egli dice ed
ordina, abbia detto e ordinato Iddio per bocca di lui.» PUCCINI, Vita, parte 4, cap. 29, Firenze, 1611,
pag. 331.- «Si superiores sermper eligeremus iuxta puram Dei inspirationem et
illuminationem, nullo ad aetatem religiosam, et longe minus ad ullius creaturae
voluntatem et desiderium habito respectu, Deus iis semper assistentiam daret
Spiritus Sancti in regendo et gubernando.» Documenta
et monita, cap. 41, v. 1: PATRITIUS A S. IACOBO, Vita, Francofurti, 1670, p. 310, 311.- «Quando nell' elezione de'
superiori e superiore si procede puramente e sinceramente, Dio loro concede una
particolare assistenza dello Spirito Santo per governare e guidare i sudditi.» Detti e sentenze, § 4, n. 6: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, pag. 300.
31 Surrexit
autem Saulus de terra, apertisque oculis nihil videbat. Ad manus autem illum
trahentes, introduxerunt Damascum. Act. IX, 8.
32 «Porro imperfecti cordis et infirmae prorsus
voluntatis indicium est statuta seniorum studiosius discutere, haerere ad
singula quae iniunguntur, exigere de quibusque rationem, et male suspicari de
omni praecepto cuius causa latuerit; nec umquam libenter obedire, nisi cum
audire contigerit quod forte libuerit, aut quod non aliter licere seu expedire
monstraverit vel aperta, vel indubitata auctoritas. Delicata satis, imo nimis
molesta est huiuscemodi obedientia.» S. BERNARDUS, Liber de praecepto et dispensatione, cap.
10, n. 23. ML 182-874.
33 «Quo magis fides in animo subiecti
erga religiosos patres effloruerit, hoc promptius ad omnia corpus officia
discurret. Quicumque vero ad diffidentis animi scopulum offenderit, labetur;
imo iam lapsus est... Ubi te cogitationum turbae impulerint uti in praesidem
tuum aut inquiras, aut eum damnes, ab illis tamquam ab stupro resili; neque
deceptus huic viperae ullam fidem praebe, neque locum da, nec aditum, nec ullum
principii vestigium.» S. IO. CLIMACUS, Scala paradisi, gradus
4. MG 88-682.
34
«Cum quidam, saeculi actibus abdicatis, monasterium magnae dispositionis
ingressus suscipi se rogaret; abbas ei coepit multa proponere, graves esse
istius disciplinae labores, sua vero dura imperia, quae nullius facile valeret
implere patientia; aliud potius monasteriu, ubi facilioribus legibus viveretur,
expeteret: non tentaret aggredi quod implere non posset, ille vero nihil his
terroribus permoveri, sed magis ita omnem obedientiam polliceri, ut, si eum
abbas in ignem ire praeciperet, non recusaret intrare. Quam
illius professionem ubi magister accepit, non cunctatus probare profitentem.
Casu clibanus propter ardebat, qui multo igne succensus coquendis panibus
parabatur. Exundabat abrupris fiamma fornacibus, et intra camini illius concava
totis habenis regnabat incendium. Hunc igitur advenam illum iubet magister
intrare: nec distulit parere praecepto: medias fiammas nihil cunctatus
ingreditur: quae mox tam audaci fide
victae, velut illis quodam Hebraeis pueris, cessere venienti. Superata natura
est, fugit incendium: et qui putabatur arsurus, velut frigido rore perfusum se
ipse miratus est.» SULFICIUS SEVERUS, Dialogi,
Dialogus 1, n. 18. ML 20- 195.
35 «Quodam vero die, dum idem venerabilis
Benedictus in cella consisteret, praedictus Placidus puer sancti viri monachus
ad hauriendam de lacu aquam egressus est: qui vas quod tenuerat in aquam
incaute submittens, ipse quoque cadendo secutus est. Quem mox unda rapuit, et
pene ad unius sagittae cursum eum a terra introrsus traxit. Vir autem Dei intra
cellam positus, hoc protinus agnovit, et Maurum festine vocavit, dicens:
«Frater Maure, curre, quia puer ille qui ad hauriendam aquam perrexerat, in
lacum cecidit, iamque eum longius unda trahit.» Res mira, et post Petrum
apostolum inusitata. Benedictione etenim postulata atque percepta, ad patris
sui imperium concitus perrexit Maurus; atque usque ad eum locum quo ab unda
deducebatur puer, per terram se ire existimans, super aquam cucurrit, eumque
per capillos tenuit, rapido quoque cursu rediit. Qui mox ut terram tetigit, ad
se reversus post terga respexit, et quia super aquas cucurrisset agnovit, et
quod praesumere non potuisset ut fieret, miratus extremuit factum. Reversus itaque ad Patrem, rem gestam retulit. Vir autem venerabilis
Benedictus hoc non suis meritis, sed illius obedientiae deputare coepit. At e
contra Maurus pro solo eius imperio factum dicebat: seque conscium in illa
virtute non esse, quam nesciens fecisset. Sed in hac mutuae humilitatis amica
contentione accessit arbiter puer qui ereptus est; nam dicebat: «Ego cum ex
aqua traherer, super caput meum melotem (intellige:
cucullam) abbatis videbam, atque ipsum me ex aquis educere considerabam.»
S. GREGORIUS MAGNUS, Dialogi, lib. 2,
cap. 7. ML 66-146. Questo secondo libro dei Dialoghi
contiene la vita di S. Benedetto.
36
«Duo iuvenes venerunt aliquando ad beatum Franciscum, rogantes ut ad Ordinem
reciperentur. Beatus vero Franciscus, volens probare si vere
essent obedientes et parati propriam abnegare voluntatem, duxit eos ad hortum,
dicens: «Venite, plantemus caules: et sicut me videritis plantare, sic et vos
plantate.» Cumque beatus Franciscus, plandando, radices poneret desuper versus
caelum, folia vero subtus terram, unus illorum fecit per omnia sicut beatus, et
alius non, sed dixit beato Francisco: «Non sic, pater, caules plantari
consueverunt, sed potius versa vice.» Cui beatus Franciscus: «Fili, ego volo
quod tu facias sicut facio ego.» Cumque ille facere nollet, quia fatuum
videbatur, dixit beatus Franciscus: «Frater, video quod magnus magister es:
vade vias tuas, quia non es bonus pro Ordine meo.» Et sic, altero secum
retento, illi dedit repulsam.» BARTHOLOMAEUS DE PISIS, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam D. N. Iesu Christi, lib.
2, fructus et conformitas V (in ordine totius operis XVII), secunda pars: Franciscus minoratur. Nonum docens. Mediolani,
1513, fol 157, litt. J, col. 3.
37
«Camminando il P. Francesco per la Toscana, F. Maseo ch' era suo compagno gli
andava innanzi un poco per scoprir il cammino; per il che arrivando a uno
spartimento di vie, dove si poteva pigliar la strada per Fiorenza, per Siena e
per Arezzo, dimandò al Padre che via avesse a pigliare; a cui rispose il Santo:
«Quello che il Signore vorrà.» Ed egli replicò: «Come ci mostrerà il Signore
questa sua volontà?» «Per te,» rispose il Santo; e così subito gli comandò per
obbedienza che cominciasse a girarsi intorno, nè si fermasse mai, fin tanto ch'
egli non glielo comandasse. Nè fu men pronto fra Maseo ad obbedire, che egli
fosse stato in comandare; anzi ei girò tanto, che parecchie volte cadde in
terra... nè cessò mai girarsi, quantunque molte genti... si ridessero di lui
come d' un pazzo, infin che 'l Santo ad alta voce gli disse che si fermasse,
poi... gli domandò verso dove egli si trovasse volto, ed egli rispose: «Verso
Siena.» «Or andiamone a Siena,» disse il Santo... Dove il P. S. Francesco, con
l' occasione di due che per le sedizioni civili erano allora appunto stati uccisi,
predicò ed operò di maniera, che innanzi che ci si partisse riconciliò tutti:
per la qual opera più divina che umana, nella qual si conobbe come fu veramente
volontà del Signore ch' egli andasse colà, essendo il Padre caricato di quel
peso ch' egli stimava intolerabile, cioè delle lodi degli uomini, un giorno
senza far motto a nessuno, si partì dalla città.» MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1,
lib. 1, cap. 100.
38
Vedi Appendice, 9.
39 «Non est obediens, qui obediendo
proprium sequitur iudicium.» V. TALENTI, delle Scuole Pie, Vita,
lib. 7, cap. 9, III, n. 32.
40
«Diceva non esser cosa più pericolosa per la vita spirituale che volersi
reggere di proprio parere.» BACCI, Vita, lib.
1, cap. 20, n. 21.
41 «Habeas tecum quorum vitam verearis
et verba; qui te, etiamsi velis, deviare non sinant, refrenent praecipitem,
confirment dubium, et excitent torpescentem. Insolentia magna est, non pro ratione, sed
pro libidine agere; et bestiale est, appetitum consilio anteferre.... Est qui sibi soli credit, quod
pessimum est, et hoc dumtaxat reputat, quod obdurata
adinventione concepit.» PETRUS BLESENSIS, Bathoniensis in Anglia Archidiaconus,
Canon Episcopalis, id est Tractatus de
institutione episcopi. ML 207-1100, 1101.
42 «Quod impossibile sit quemquam qui
proprio fidit iudicio, diaboli illusione non decipi.» IO. CASSIANUS Colaltio 16, cap. 11. ML 49-1025. E
soggiunge: «Signe dubio venerantes in cogitationibus nostris pro angelo lucis
angelum tenebrarum, gravissimo feriemur interitu. Quam perniciem impossibile
est evadere qumpiam iudicio proprio confidentem....
43
«Nihil profecto est quod Ecclesiam Dei ita destituere et dissolvere, nihil quod
ita facile pessumdare possit, ut quando discipuli magistris, et patribus filii,
et principibus subditi, non magno studio cohaerent.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In locum Pauli Salutate Priscillam et
Aquilam (Rom. XVI, 3), sermo 2, n. 5. MG 51-203.
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