- CAPO X - Del distacco da' parenti e da altre persone.
- § 1 - Del distacco da' parenti.
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CAPO X - Del distacco da'
parenti e da altre persone.
§ 1
- Del distacco da' parenti.
1.
Se l'attacco a' parenti non apportasse gran danno, non ci avrebbe ammoniti Gesù
Cristo con tanta premura a distaccarci da essi. In un luogo egli ci dice che
chi non odia i suoi parenti, non può esser suo discepolo: Si quis venit ad me, et non odit patrem suum et matrem etc., non potest
meus esse discipulus (Luc. XIV, 26). Ed in altro luogo dice ch'egli è
venuto a dividere il figlio dal padre, e la figlia dalla madre: Veni enim separare hominem adversus patrem
suum, et filiam adversus matrem suam (Matth. X, 35). Ma perché tanto odio
verso i parenti e tanto impegno di separarci da loro? Ne dà la ragione lo
stesso nostro Salvatore: Et inimici
hominis, domestici eius (Matth. X, 36). Perché nel negozio della salute gli
uomini, e specialmente i religiosi, non hanno peggiori nemici che i loro
parenti, mentr'essi son quelli che maggiormente loro impediscono il profitto
spirituale, come scrisse S. Tommaso (2. 2. q. CLXXXIX, a. 10): Frequenter amici carnales aversantur
profectui spirituali;1 propinqui enim carnis in hoc negotio amici non
sunt, sed inimici.2 E ciò ben si vede colla sperienza. Anche S.
Carlo Borromeo, con tutto che fosse così
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riserbato nelle sue cose e
così distaccato dai parenti, confessava di sé che quando andava in casa de'
parenti, non se ne ritornava se non raffreddato e distratto dalle cose di
Dio.3 Quindi tutt'i maestri di spirito non fanno che esortare, a chi
vuol camminare nella via della perfezione, che di fuggire i parenti, non
intricarsi nei loro affari, anzi neppure volerne saper nuova allorché son
lontani.
2.
Che spirito mai può avere quella religiosa, che vorrebbe aver sempre i parenti
accanto, e se non li vede, manda e rimanda più lettere ed imbasciate a
chiamarli, e se non vengono, s'inquieta e replica più lettere di lamenti? Quale
stretta unione mai con Dio può avere una monaca di questa fatta? Dice S.
Gregorio: Extra cognatos quisque debet
fieri, si vult parenti omnium verius iungi (Mor. lib. 7, cap. 6):4
Bisogna che affatto fugga i parenti, chi vuol da vero unirsi al Padre comune,
ch'è Dio. E S. Bernardo, parlando della santa Vergine, che avendo perduto Gesù
fanciullo l'andò cercando per tre giorni tra' parenti e non lo ritrovò, ne
ricava che tra essi non si ritrova mai Gesù Cristo: Non invenitur Iesus inter cognatos.5 Aggiunge Pietro
Blessense che l'amore del sangue presto ti priverà dell'amore di Dio: Carnalis amor extra Dei amorem cito te
capiet.6 Mosè, stando per morire, ci lasciò
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questo bel
ricordo, che specialmente s'appartiene alle persone religiose: Qui dixit patri suo et matri suae: Nescio
vos; et fratribus suis: Ignoro vos...; hi custodierunt eloquium tuum, et pactum
tuum servaverunt (Deut. XXXIII, 9).7 E vuol dire che quella monaca
la quale dice a' suoi genitori: Io non vi conosco; e a' suoi fratelli: Io non
so chi siete; costei è quella che custodisce la divina chiamata ed osserva il
patto fatto con Dio nella sua professione, in cui egli le fe' sentire quelle
parole che dice ad ogni anima che si consagra al suo amore: Audi, filia, et vide et inclina aurem tuam,
et obliviscere populum tuum et domum patris tui, et concupiscet rex decorem
tuum (Psal. XLIV, 11, 12). Senti, le dice, la mia voce, o figlia, ed
intendi il gran bene che ti avverrà, se mi ubbidisci; e perciò apri l'orecchio
a quel che ti dico: Scordati della tua gente e della casa di tuo padre, ed
allora io, che son tuo re e sposo, amerò la tua bellezza. Grande praemium est, esclama qui S. Girolamo, parentis oblivisci, quia concupiscet rex decorem tuum (In Reg.
monach.):8 Troppo grande sarà il premio che ti sarà dato, mentre
diventerai cara al tuo Signore, che ti renderà beata in questa e nell'altra vita.
E ciò appunto significò il nostro Salvatore quando disse: Omnis qui reliquerit domum vel fratres..., aut patrem aut matrem etc.,
propter nomen meum, centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit
(Matth. XIX, 29). Chi lascia i suoi parenti, non solo col fatto, ma anche
coll'affetto, possederà la beatitudine eterna nell'altra vita, e riceverà il
centuplo in questa: lascerà poche sorelle, e ne troverà molte nel monastero:
lascerà un padre ed una madre, ed avrà per padre Dio e per madre Maria, da'
quali sarà amata e trattata da figlia.
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3.
Quindi intendendo i santi il gusto che davano a Dio col distaccarsi da'
parenti, han procurato di starne quanto più lontano han potuto. S. Francesco
Saverio, andando alla missione dell'Indie e passando per vicino alla sua
patria, non volle accostarvi a veder la madre e gli altri suoi congiunti,
benché quelli con più preghiere importune ne l'avessero richiesto, e benché
sapesse di non averli più a vedere.9 S. Pacomio, essendo venuta la sorella
a vederlo, le mandò a dire queste parole: Hai
saputo ch'io son vivo; vattene in pace.10 Alcuni santi non han
voluto neppur leggere le lettere de' loro parenti: narra S. Giovanni Climaco
che S. Antonio abbate, essendo stato più anni nel deserto, ricevé certe lettere
de' suoi parenti; ma poi disse fra di sé: Io dal legger queste carte, che posso
sperarne altro che inquietarmi e perder la pace che godo? Onde le buttò nel
fuoco, dicendo: Andate via da me, pensieri della patria, acciocch'io non ritorni
a quelle cose che già ho lasciate. Lettere, restiate bruciate, acciocch'io non
sia bruciato da voi.11
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4.
Dicea S. Teresa: Io per me non capisco
qual consolazione possa trovare una monaca ne' parenti. Prescindendo dall'attacco
che dispiace a Dio, ella non può godere delle loro ricreazioni, e viene senza
meno ad entrare a parte de' loro travagli.12 Quanto è bella per
voi, sorella benedetta, questa riflessione della santa! I vostri parenti,
allorché vengono alla grata, non posson certamente farvi entrare a parte de'
loro spassi mondani, perché voi state chiusa e non potete andarvi. Dunque con
venire al parlatorio che vengono a fare? Non vengono a far altro che a
raccontarvi i loro disturbi, le loro infermità ed i loro bisogni. E ciò a voi
che serve? non serve che ad empirvi la testa e l'anima d'inquietudini, di
distrazioni e di difetti; talmente che per ogni visita de' vostri parenti
starete tutta distratta ed inquieta per molti giorni nell'orazione e nelle comunioni
pensando a tutte quelle cose che i parenti vi han dette. E come poi potete voi,
che avete lasciato il mondo per farvi santa, tanto desiderare che spesso
vengano i parenti a ritrovarvi? perché? acciocché spesso vi facciano perdere la
vostra pace e 'l vostro profitto? E che pazzia mai è questa, credere di non
poter vivere contenta
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senza vedere spesso i vostri parenti! Oh se voi
ve ne allontanaste, quanto meglio vi consolerebbe e vi terrebbe contenta Gesù
Cristo! Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi che 'l frutto principale che debbon
le monache ricavar dalle comunioni è l'abborrimento delle grate.13 E in
verità non vi è luogo dove tanto guadagna il demonio colle religiose, che nel
parlatorio, come disse un giorno uno di questi spiriti maligni alla Ven. Suor
Maria Villani.14 E perciò S. Maria Maddalena de' Pazzi sfuggiva anche
di passare per lo luogo del parlatorio; e l'odiava talmente che non potea
neppur sentirlo nominare; e quando talvolta era obbligata a calarvi, si metteva
a piangere, e diceva alle sue novizie:
Figliuole mie, pregate Dio per me che son chiamata alla grata. E lasciava
lor raccomandato che andassero presto a chiamarla con qualche scusa.15
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5.
Ma voi direte: Dunque che ho da fare? non
ho da vedere più i parenti miei? quando essi vengono a trovarmi, forse io l'ho
da discacciare e non ho da calare più alla grata? Sentite, io non pretendo
questo; ma se lo faceste, fareste male? e fareste cosa forse inconveniente e
non mai praticata da alcuna religiosa? Più d'una monaca han fatta questa
risoluzione, e l'han posta in pratica. Si narra in fine della Vita del P.
Torres (Lib. 6, c. I, § 4) di D. Girolama Sanfelice, monaca nel monastero di D.
Alvina, ch'ella prima stava così attaccata a' parenti che sempre pensava ad
essi, voleva che spesso venissero a trovarla, e mandava ogni giorno a vedere
suo padre. Ora la sua sorella D. Maria Antonia, che stava nello stesso
monastero - e questa era sì fervorosa che domandò a Dio che l'avesse fatta patire
assai, e 'l Signore l'esaudì, poiché le mandò un ulcere che le rodeva le carni
con ispasimi di morte; ma ella spasimando dicea: Carica, sposo mio, carica - or
questa sorella poi, stando in morte, disse a D. Girolama che, andando al
paradiso, come sperava, le avrebbe ottenuta la grazia di vederla mutata in
santa. Morì, ed in fatti D. Girolama mutò vita, e tra le altre cose fe'
risoluzione di non vedere più i parenti; e perciò per quarant'anni non volle
calare più alle grate. Avvenne che un giorno, essendo venuti da fuori due suoi
nipoti che voleano vederla, ella gli licenziò, e se ne andò alla grata della
chiesa avanti il Santissimo Sagramento. Andarono i nipoti alla chiesa, almeno
per vederla da quella grata, ella nonperò si pose a fuggire e si tirò dietro la
portiera; ma in quest'atto fu tanta la violenza che si fece, che venne meno -
chi non si fa forza non si farà mai santa. - Ma indi D. Girolama fe' tali voli
nel divino amore, che visse e morì da santa. E morta, se ne fecero le figure,
ed aperto il cadavere, se le trovò sovra del cuore una croce di carne, in segno
del grande amore ch'ella avea portato
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a Gesù crocifisso.16 Or
perché voi non potreste fare lo stesso, di licenziarvi per sempre dalle grate?
6.
Ma direte che se voi fate questa risoluzione, la badessa o il confessore non ve
l'accorderanno. E perché non ve l'hanno d'accordare, vedendo che voi la fate
per ispirazione divina, e la cosa in sé è di molta edificazione ancora per
l'altre sorelle, almeno acciocché non sieno così attaccate a' parenti ed alle
grate? Ma se poi la superiora non ve la permettesse e vi obbligasse a calare a'
parenti, io vi consiglio ad ubbidire; ma vi prego a dirle ciò che disse il B.
Teodoro al suo abbate, il quale volea che andasse a veder sua madre ch'era
venuta a trovarlo; gli disse: «Padre, voi m'imponete d'andar a parlare con mia
madre, ma mi assicurate voi che da questa mia andata non ne avverrà alcun danno
al mio spirito?» Allora l'abbate si pose in timore, e lo sciolse da quella ubbidienza.17
E qui
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avvertano le badesse e i confessori che quando essi, senza
giusta causa, ma solo per capriccio o per rispetti umani irragionevoli o per
propri interessi o pure per rincrescimento di dover mettersi in pensiero,
impediscono il maggior profitto d'una religiosa che cerca di correre a Dio, ne
hanno certamente da render conto al Signore. Del resto, in quanto a voi,
sorella benedetta, quando vi obbligano a calare a' parenti, ubbidite; e torno a
dire, io non v'obbligo a non vederli più, ma sempre che dovete andare a
parlarci, vi esorto a praticare le seguenti cautele. Per 1. Innanzi di portarvi
alla grata, raccomandatevi al Ss. Sagramento o al Crocifisso, acciocché vi
assista in quel tempo e vi liberi da ogni difetto. Per 2. Guardatevi d'imitar
quelle religiose, che vanno al parlatorio per trastullarsi e per sapere quanto
si fa nel mondo, e poi lo dicono a tutto il monastero. Per 3. Guardatevi di
cacciar fuori i fatti intrinseci della vostra comunità, e talvolta, come fanno
alcune, anche con discredito della superiora e delle sorelle. Per 4. Allorché
quelli di fuori mettonsi a discorrere di cose inutili, e tanto più se di cose
del secolo, come di matrimoni, di balli, di attacchi amorosi, spezzate,
spezzate subito il discorso - la Ven. Suor Maria Crocifissa sentendo parlar di
matrimoni sveniva18 - e con destrezza mettete in campo qualche
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massima cristiana o qualche fatto avvenuto, da cui possiate dedurne
alcun sentimento spirituale. Non avete voi da stare ad imparare il linguaggio
de' mondani, ma avete da procurar ch'essi imparino il linguaggio vostro, il
quale ha da esser solamente di Dio. Tutto il tempo che si sta alla grata e non
si spende per bene dell'anima, tutto è tempo perduto: anzi è tempo di conti da
renderli poi al Signore. Per 5. Non cercate mai a' parenti che vengano a
trovarvi; e quando vengono, procurate di abbreviare il discorso o di
licenziarvi con buoni pretesti, ora di dover attendere al vostro officio, ora
di dover andare a far qualche ubbidienza o ad assistere a qualche inferma, e
cose simili: basta, chi vuole, ben sa trovare pretesti giusti di licenziarsi.
Con questo modo, accorgendosi essi che voi non molto gradite la loro
conversazione, verranno meno spesso ad inquietarvi. E state certa che quanto meno
durerà la visita, tanto vi risparmierete19 di far difetti: e quanto
meno saranno queste visite, tanto più starete voi raccolta e consolata da Gesù
Cristo. La Ven. Suor Caterina cisterciense, la quale, perché si fece monaca con
disgusto de' suoi genitori, era stata da loro abbandonata, diceva: Io non invidio alle mie sorelle, che son
visitate più volte l'anno da' loro parenti, perché io, sempre che voglio, vado
a trovare il mio vero padre Gesù e la cara madre mia Maria, ed essi mi
riempiono di consolazioni.20
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7.
Inoltre e per ultimo guardatevi sopra tutto di non intricarvi in negozi
temporali de' vostri parenti, come di matrimoni, di contratti, di spese o di
simili faccende, che vi farebbero perdere in tutto la pace e 'l raccoglimento e
forse anche l'anima. Piange S. Girolamo: Quanti
monachorum, dum patris matrisque miserentur, suas animas perdiderunt! (In
Monach.):21 Quanti religiosi, dice, per aver avuta compassione de'
congiunti, han fatta perdita delle anime. Quindi dice in altro luogo il santo,
che quanto più una religiosa sarà pietosa verso de' suoi, tanto diventerà più
empia verso di Dio: Grandis in suos
pietas, impietas in Deum est (S. Hier., Ep. 39, ad Paulam).22 E
qual maggior empietà d'una monaca che, per servire i parenti, lasci di servire
Dio, lasci l'orazione, i sagramenti, e si metta in mille distrazioni, come
certamente avviene a chi s'intriga in simili affari? S. Bernardo chiama tali
cure, cure diaboliche; onde esorta i religiosi: Fugiant illorum curam tamquam diabolicam (In Cons. mon. c.
23).23 S. Ignazio di Loiola non volle prendersi il pensiero del
matrimonio
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d'una sua nipote, con tutto che quella fosse l'erede di
sua casa.24 S. Francesco Borgia parimente non volle scrivere al Papa
per la dispensa - che facilmente avrebbe ottenuta - d'un matrimonio del suo
figlio con una sua parente, ancorché importasse l'eredità d'un grande stato
(Vita lib. IV, c. 6).25 Nemo
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mittens manum [suam] ad aratrum
et respiciens retro, aptus est regno Dei (Luc. IX, 62).
8.
Tremiamo, mentre dice Dio che niuno che si è posto a servirlo e poi si mette a
guardar le cose del mondo, è buono più per lo paradiso. Quando dunque i parenti
vogliono intricarvi in affari del secolo, fate loro una bella licenziata.
Osservate l'avvertimento che diede Gesù Cristo a quel giovine che, essendo
chiamato a seguirlo, rispose che voleva andar prima a seppellire suo padre:
Sine, gli disse il Signore, ut mortui
sepeliant mortuos suos (Luc. IX, 60). Lo stesso dico a voi, sorella
benedetta: Lasciate che i mondani, chiamati morti, si facciano essi i loro
negozi del mondo; l'unico vostro negozio sia di amare Dio e farvi santa. Per
tanto scusatevi co' parenti, dicendo che tali impieghi non sono per voi, e non
convengono al vostro stato. Quando la santa Vergine disse a Gesù Cristo rimasto
nel tempio: Fili, quid fecisti nobis sic?
Ego et
pater tuus dolentes quaerebamus te; Gesù le rispose: Nesciebatis quia in his quae Patris mei sunt
oportet me esse? (Luc. II, 48 et 49):26 Non lo sapevate ch'io non debbo
attendere ad altro che agl'interessi della gloria di mio Padre? Così ancora
voi, quando mai i parenti si lagnassero della ripugnanza che fate in servirli,
ancorché vi chiamassero disamorata, ingrata, nemica della casa propria,
rispondete loro con fortezza che voi siete morta al mondo, e che non dovete
attendere ad altro che a servire Dio e 'l monastero. Termino con quel che dicea
il B. Giuseppe Calasanzio: Non è fuori
del mondo una religiosa che sta attaccata a' parenti.27
1 «Sicut caro concupiscit adversus spiritum, ut dicitur Gal. V, 17, ita etiam frequenter
amici carnales adversantur profectui spirituali.» S.
THOMAS, Sum. Theol. II-II, qu. 189,
art. 10, ad 2.
2 «Restant autem duo de quibus
consiliari relinquitur his qui religionis addumendae propositum gerunt, quorum
unum est de modo religionem intrandi; aliud autem est, si aliquod speciale
impedimentum habeant... Sed ab hoc consilio primo quidem amovendi sunt carnis propinqui. Dicitur enim: Prov. XXV: Causam
tuam tracta cum amico tuo, et secretum extraneo non reveles. Propinqui
autem carnis in hoc proposito amici non sunt, sed potius inimici.» S. THOMAS, Contra pestiferam doctrinam retrahentium
homines a Religionis ingressu, cap. 9. Opusculum 17: Opera, XVII, Romae, 1570, fol. 110, col. 2.
3
«Soleva dire ben spesso (agli Ecclesiastici) che fossero molto avvertiti a non
inchinarasi all' amore de' parenti... Soleva portare un esempio di se stesso,
dicendo che mai andava a casa de' suoi parenti, benchè di rado vi gisse, che
non sentisse in un certo modo raffreddarsi lo spirito, e indebolirsi le forze
nelle cose spettanti al servizio di Dio.» Gio.
P. GIUSSANO, Vita, lib. 8, cap.
11.
4
«Extra cognatos ergo quisque ac proximos debet fieri, si vult parenti omnium
verius iungi, quatenus eosdem quos propter Deum utiliter negligit tanto
solidius diligat, quanto in eis affectum solubilem copulae carnalis ignorat.»
S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib.
7, cap. 30 (al. 14, al. 18). ML
75-790.
5 «Puer Iesus inter cognatos et notos a
parentibus quaeritur, nec tamen invenitur (Luc. II, 44, 45) Fuge fratres tuos
et tu, si tuam vis invenire salutem.» S. BERNARDUS, Epistola
107, ad Thomam praepositum de Beverla, n. 13. ML 182-249.- Di questo stesso
Tommaso di Beverla, nella seguente lettera - Epistola 108, n. 3: ibid. col.
250- S. Bernardo parla così: «Cum se... nostro Ordini et nostrae domui toto
desiderio devovisset, coepit induciari, et ita paulatim refrigescere, donec
subita et horrenda morte praereptus, factus de medio est saecularis et
praevaricator... Beatus foret, si me audisset. Dissimulavit:
mundus ego sum a sanguine eius. Verum id non sufficit mihi; quia etsi sim in
facto isto securus de me... caritas urget me lugere illum qui securus non
exiit, quoniam male securus vixit.»
6 «Introistis claustrum: bonum est vos
hic esse... Si aegrotaverit aut obierit aliquis de parentibus tuis, non sit
tibi eorum aegritudo, vel mors, egressionis occasio. Sine mortuos sepelire
mortuos suos; fallax et proditoria est affectio parentelae. Carnalis amor extra
Dei amorem cito te capiet, et affectio mundi, quae iam in te aruerat, in
perniciem animi revirescet.» PETRUS BLESENSIS, Epistola 134. ML 207-402.
7 Levi
quoque ait (Moyses ante mortem suam): Perfectio
tua et doctrina tua viro sancto tuo, quem probasti in tentatione, et iudicasti
ad Aquas contradictionis. Qui dixit patri suo et matri suae: Nescio vos, et
fratribus suis: Ignoro vos: et nescierunt filios suos. Hi custodierunt eloquium
tuum et pactum tuum servaverunt. Deuter. XXXIII, 8, 9.
8 «Grande praemium parentis obliti: Concupiscet rex decorem tuum.» S.
HIERONYMUS, Epistola 54, ad Furiam, de viduitate servanda, n. 3. ML 22-551.-
«Grande praemium est parentis obliti: quia concupiscet rex decorem tuum.» Regula monachorum, ex scriptis Hieronymi per Lupum de Olmeto collecta, cap. 18. ML
30-363.
9
«Pyrenaeo saltu superato, in Ponpelonis fines ventum erat. Haud procul patria
iter habebat, eius mater, propinqui ac necessarii minime devii. Si eam
occasionem dimisisset, non erat ignarus, propter Indiae longinquitatem, nullam
prorsus eos visendi facultatem posthac futuram. Simul intelligebat nihil sibi a
matre pia femina (nam pater mortem obierat) nihil a cognatis periculi fore.
Instabant comites, urgebat ipse Legatus (regis Lusitani, Mascarena), ut eos ex
itinere salutaret. Xaverius tamen, veritus ne quem forte sociorum minus cautum
olim suo exemplo impelleret in fraudem, nullo modo flecti potuit ut ad suos
salutandos paulisper diverteret.» TURSELLINUS, S. I., Vita, lib. 1, cap. 9.
10 «Comperit autem germana soror eius
(Pachomii) institutionem senis praeclaram atque sublimem; cupiensque videre
eum, ad monasterium eius advenit. Quod ubi agnovit Pachomius, huiuscemodi responsum ei
per ostiarium direxit: «Ecce, soror, audisti de me quod vivam et incolumis
exsistam; perge igitur in pace, nec contristeris quod te non videam
corporalibus oculis. Quod si volueris hanc
conversationem sequi, quam teneo, ut possis apud Dominum misericordiam
reperire, cogita tecum diligenter et tracta; et si cognovero hoc sanctum cordi
tuo sedisse propositum, praecipiam fratribus meis ut tibi procul aedificent
mansionem, in qua cum disciplina verecundiaque persistas. Nec dubito quod alias
exemplo tuo Dominus advocabit, quae tecum maneant, et per te mereantur salutis aeternae invenire
subsidium...» Haec audiens soror eius, flevit amare; et compuncta divinitus, ad
exhortationem saluberrimam mox appulit animum seque Christo servire professa
est. Hanc ergo mentem germanae suae Pachomius agnoscens... protinus
religiosioribus imperat fratribus ut ei procul a se monasterium construant...
Convenerunt ad eam aliae plurimae, et brevi tempore magnae multitudinis mater
effecta est.» Vita S. Pachomii, Abbatis
Tabennensis, auctore graeco incerto, interprete Dionysio Exiguo, cap. 28. ML 73-248.
11
Invece di «S. Giovanni Climaco» leggi «Giovanni Cassiano»; il quale riferisce
questo fatto, non di S. Antonio, ma dell' abbate Machete: «Quim cum ei, post
annos quindecim, patris ac matris amicorumque multorum de provincia Ponti
complures epistolae delatae fuissent, accipiens grandem fasciculum litterarum,
diuque apud semetipsum volvens: «Quantarum, inquit, cogitationum causa erit
mihi harum lectio, quae me vel ad inane gaudium. vel ad tristitias infructuosas
impellent! Quot diebus horum recordatione qui scripserunt, intentionem pectoris
mei a proposita contemplatione revocabunt! Post quantum temporis dirigenda est
haec mentis concepta confusio, quantoque labore rursus iste tranquillitatis
reparandus est status, si semel animus litterarum permotus affectu, eorumque
recensendo sermones ac vultus, quos tanto tempore dereliquit, iterum eos
revisere, ipsisque cohabitare, et animo ac mente coeperit interesse!....» Haec
volvens in corde suo, non solum nullam resolvere epistolam definivit, sed ne
ipsum quidem fasciculum resignare, ne scilicet eorum qui scripserant vel nomina
recensendo, vel vultus recordando, a spiritus sui intentione cessaret. Itaque
ut eum constrictum susceperat, igni tradididt concremandum: «Ite, inquiens,
cogitationes patriae, pariter concremamini, nec me ulterius ad illa quae fugi
revocare tentetis.»IoannesCASSIANUS, De coenobiorum insitutis, lib. 5, cap.
32. ML 49-248, 249.
12 «¡Oh, si entendiésemos las relisiosas
el daño que nos viene de tratar mucho con deudos, còmo huriamos de ellos! Yo no entiendo qué
consolaciòn es ésta que dan, aun dejado lo que toca a Dios, sino para sòlo
nuestro sosiego y descanso. Que de sus recreaciones no
podemos, ni es licito gozar, y sentir sus trabajos sì, ninguno dejan de llorar,
y algunas veces màs que los mismos.» S. TERESA, Camino
de perfecciòn, cap. 9. Obras, III, pag. 47.
13
«Quando in tutte le sorelle scorgeva tale aborrimento (per il parlatorio),
prendendone sommo contento, riconosceva questo come frutto particolare del
Santissimo Sacramento». PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 63.- «Tra gli
altri frutti ch' ella diceva cavarsi dalla frequenza del Santissimo Sacramento,
a pro dell' universale del suo monistero, era lo staccamento e ritiratezza del
commercio de' secolari, ch' ella vedeva in tutte le sorelle.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 94.
14
Suor Maria Villani, fondatrice del
monastero delle Domenicane di S. Maria del Divino Amore in Napoli, 1670.- «Ad
imitazione del Patriarca S. Domenico, (al demonio) comandò (Suor Maria), che
dicesse che cosa guadagnava in ciascheduna dell' officine e luogo del
monastero... Al che ei bestemmiando rispose: «Giacchè così vuole questo tuo
maledetto capriccio, nel coro guadagno per la poca divozione e molta tepidezza,
anzi forza, con la quale vi stanno alcune religiose... Nel refettorio guadagno,
facendo che non si contentino mai di quel che dà la Religione, e così le muovo
a mormorazione o a pensieri di gola. Nel dormitorio guadagno facendo venir loro
sogni cattivi, e con inquietarle in diverse maniere. Nel parlatorio, che è
tutto mio, guadagno molto co' cicalecci.» MARCHESE, O. P., Vita, lib. 2, cap. 12 (in fine).
15
«Sfuggiva, quanto più poteva, l' andare alle grate del monastero a favellar con
secolari, per buoni e santi che fossero.... In vedendo... alcuna sorella andare
con allegro volto al parlatorio, le diceva in bella maniera: «Non sete ancora
divenuta interamente nosra; perchè il proprio delle Monache di Santa Maria
degli Angeli è d' attristarsi più che di rallegrarsi, quando son chiamate ad
andare alle grate.»....Diceva bene spesso che piuttosto avrebbe voluto tante
ore di purgatorio, quante dovea consumare in favellare co' seecolari. Sicchè
era tale l' odio che portava al parlatorio, che alcuna volta, non potendo fare
di non passare per quello, diceva: «Da questo luogo non traggono le Spose di Cristo utile alcuno,
anzi, in vece di quiete, disturbo, in vece di liberarci dalle tentazioni, ce l'
augumenta.» PUCCINI, Vita, Firenze,
1611, parte 1, cap. 63. - «Andava tanto malvolentieri alle grate, che quando
era chiamata, bisognava spingerla... particolarmente quando... era fatta
chiamare da persone di titolo, o da altre che avessero del mondano. Per tal
cagione fu vista più volte piangere, e.... disse più volte che quel tempo che
stava in parlatorio, sarebbe stata più volentieri nel fuoco del purgatorio....
Aveva tale abborrimento del parlatorio, che non poteva sentirlo appena
nominare, e fuggiva insino al passarvi; e quando vi doveva andare, pareva
proprio che avesse d' andare alla morte; che però essendo maestra di novizie, quando
era chiamata a parlare ad alcuno diceva loro: «Novizie, pregate Dio per me, che
sono chiamata alla grata;» e lasciava loro l' ordine che andassero presto a
chiamarla, con qualche scusa.» PUCCINI, Vita,
Venezia, 1671, cap. 121.
16
Lodovico SABBATINI d' Anfora, Vita dei P. D. Antonio de Torres,
lib. 6, cap. 1, § 4.
17 «Tam praeclaram... conversationem
eius (Theodori) Pachomius cernens, satis eum dilexit.... Audiens autem mater
eius quod apud beatum Pachomium moraretur, ad eum protinus advolat, secum
deferens episcoporum scripta, quae praecipiebant ut ei suus filius redderetur.
Hanc ergo susceperunt virgines in monasterio, quod a virorum, ut supra dictum
est, haud procul aberat; quae mox mittit epistolas sancto Pachomio, similiter obsecrans
ut filium proprium videre permitteret. Tunc advocans Theodorum Pachomius, ait
ad eum: «Comperi, fili, quod huc mater tua venerit, et te videre desideret:
ecce nobis et episcoporum litteras attulit. Pergens itaque satisfacito matri,
maxime propter sanctos pontifices, qui nobis per eam dignati sunt scripta
dirigere.»Respondit Theodorus: «Prius me, venerabilis pater, certum facito,
quod post tantam spiritualium rerum cognitionem, si videro eam, non dabo inde
rationem Domino in die iudicii, et quod praecipis faciam. Hanc enim iuxta mandatum
Christi cum toto mundo deserui. Et quomodo eam in offensionem fratrum nunc
audebo conspicere?...»Dicit ei Pachomius: «Si probas id tibi non expedire, fili
mi, non te cogo.».... Cumque non acquievisset Theodorus matri se praesentare,
decrevit et illa in ipso monasterio cum Christi permanere virginibus, haec apud
se pertractans: «Si voluntatis Domini fuerit, inter alios saltem monachos
videbo eum: et propter hanc occasionem, meam quoque lucrabor animam, dum in hac
sancta conversatione persisto.»Constat igitur eos qui rigorem pro nomine
Christi, non pro vana laude custodiunt, plurimas utilitatis causa virtutes
ceteris adhibere, licet videantur ad breve tempus nonnullos offendere.» Vita S: Pachomii, auctore graeco incerto,
interprete Dionysio Exiguo, cap. 31.
ML 73-251, 252.- Cf. De Vitis Patrum, lib.
3, auctore probabili RUFFINO, n. 34: ibid.
col. 761.- Sopra nella nota 10, abbiamo veduto in che modo S. Pacomio
ricevette la sorella, desiderosa di vederlo, e come quelle accoglienze, in
apparenza ruvide, ma in sostanza salutari, furono l' occasione della fondazione
del monastero di monache. L' esempio del padre venne imitato dal discepolo
Teodoro riguardo alla propria sorella, la quale anch' essa entrò nello stesso monastero
(De Vitis Patrum, lib. 3, n. 34, col.
760), e poi colla madre, ottenendo, per i medesimi mezzi, il medesimo effetto (Vita S. Pachomii, l. c.: De Vitis Patrum, lib. 3, l. c., col.
761). Dice espressamente Ruffino (col. 761) che la visita della madre di S.
Teodoro al figlio fu di poco posteriore a quella della sorella.
18
Suor Maria Crocifissa della Concezione O.
S. B. del Monastero di Palma (Sicilia), + 1699. «Fu avvertita questa sua grande
avversione al matrimonio, e, in età così tenera, (cioè appena raggiunta l' età
della ragione) giudicata misteriosa. Perciò quei di casa pigliando motivo di
scherzare colla fanciulla, col solo dirle che voleano maritarla, tanto bastava
perchè mostrasse subito pronte in bocca le negative, e negli occhi le lacrime.
Ed era sì viva l' afflizione, che questi soli scherzi o la faceano peggiorare
nelle solite sue infermità, o nel cagionevole corpicciuolo altre più gravi ne
concitavano. Ciò avvenne singolarmente un giorno, che tornato il duca (di
Palma, suo padre) dalla città di Palermo, e accolto in casa con espressioni di
comune allegrezza, gli si fè avanti Isabella (Suor Maria Crocifissa), giuliva
del di lui felice ritorno. Il padre, abbracciata teneramente, per rinnovare il
piacere che concepiva nel manifestarsi dalla figliuola il descritto
abborrimento, così le disse: «Isabelluccia, vengo da metter fine al tuo
sponsalizio: ti ho procurato uno sposo a mio talento, il quale è venuto meco, e
farollo or ora entrare.» Così dicendo, le pose avanti agli occhi la pittura di
un uomo, che serviva di ornamento ad una scrivania nuovamente comprata. Ma
Isabella soprafatta dalla rea notizia, che le fu dispiacevole quanto la morte,
benchè non osasse contradire per la somma ubbidienza che professava al padre,
pur ne fu in sì gran modo commossa, che cadè in terra svenuta. La posero subito
in letto, nè per molto che faticassero, se non dopo lunga pezza, se le restituì
l' uso de' sensi». TURANO, Vita, lib.
1, cap. 5.
19
Nelle edizioni napoletane anteriori al 1781 trovasi: Sparambierete.
20
La Venerabile Caterina (Henriquez, nel suo Calendario Cisterciense, la dice
Beata), chiamata prima Rachele, era figlia di un ricco ebreo di Lovanio. Nell'
età di sette anni, ma con senno e coraggio superiori all' età, ricevette il
battesimo e si vestì dell' abito religioso, in un monastero Cisterciense, detto
«Parco delle Signore», non molto distante da Lovanio. Volle difendere essa
stessa la sua libertà di confessar Cristo e di professar la vita religiosa
contro gli Ebrei, e principalmente contro il padre, anzi contro il vescovo di
Liegi, il quale, quantunque fosse battezzata e renitente, pretendeva che
venisse restituita alla famiglia. Vinse la causa. La sua storia, viene
raccontata da un testimonio oculare, il celebre vescovo TOMMASO DI CANTIMPRE',
O. P., Miraculorum et exemplorum
mirabilium sui temporis libri suo, (titolo primitivo: Bonum universale, de Apibus), lib. 2, cap. 29, n. 20. Ivi dice:
«Hanc postea tanta gratia potiri vidimus, ut nihil ea serenius videri posset.
Cumque nobilium monialium parentes cum multa ambitione venirent videre filias
vel cognatas, haec coram imagine Beatae Virginis venibat, et gratioso vultu
dicebat: «Aliae sorores nostrae moniales a matribus et amicis solatium habent
et gaudium: ego autem paupercula, pupilla, et indigna, ad te Dominam, ut
cognatam meam, fidenter accedo: tu sola pro omnibus esto mihi refugium et
solamen.» Et haec dicentem, quis dubitet eam a misericordissima pietatis matre
solatio defraudari. Non te decet, o Domina, tuam carnem, tuum sanguinem
spernere, de cuius genere ut rosa de spinis orta es, lilium de tribulis
generatur.» - Aggiungono i Bollandisti (die 4 maii): «Cum itaque sub iugo
sanctae Regulae Domino fideliter et perseveranter deservisset, et vidisset
visiones admirabiles, ac etiam miraculis claruisset, plena virtutibus
decessit.»
21 «Quanti monachorum, dum patris
matrisque miserentur, suas animas perdiderunt.» Regula
Monachorum, ex
scriptis Hieronymi per Lupum de Olmeto collecta, cap. 18. ML 30-363.
22 «Grandis in suos pietas, impietas in
Deum est. Abraham unicum filium laetus inerficit, et tu unam de pluribus
quereris coronatam?» S. HIERONYMUS, Epistola 39,
ad Paulam super obitu Blaesillae filiae, n. 5. ML 22-472.
23
In vece di «S. Bernardo» leggi «S. Basilio». «Diabolus,
cum animadverit nos omnem temporalem curam exuisse et succinctos ad caelum
currere, tum refens nobis propinquorum memoriam, nosque ad res illorum curandas
adigens, auctor est ut etiam mens sit de mundanis negotiis sollicita... Prava...
omnia temporalium rerum studia...ille denuo inducit in mentem, aque terrenis ac
mundanis cogitationibus illius opera animum rursum subeuntibus, destruit
internum ascetam, solamque statuam, monachi figuram circumferentem, efficit:
quae scilicet nusquam virtutibus animata sit. Saepe etiam ob ingentem in
propinquos benevolentiam, asceta ausus est et sacrilegium committere, ut
inopiae mederetur cognatorum... Cognito igitur intolerabili illo damno, quod ex
studio in propinquos nostros nascitur, susceptam eorum causa sollicitudinem
tamquam diabolicum telum fugiamus.» S. BASILIUS, Constitutiones monasticae, cap. 20, n.
2, 3. MG 31-1391.
24 «Cum eius fratris neptem, Loiolae familiae
heredem, multi nobiles atque locupletes viri cuperent uxorem ducere, magni
principes atque clarissimi, quorum multa in Ignatium Loioleamque familiam
beneficia exstabant, per litteras rogarunt Ignatium... ut... ad suos scriberet
cupere se ut fratris neptis... certo cuidam nobilissimo viro... nuberet, quem
illi ipsi nominabant... Praesta ipsiusmet Ignatii epistolam de hac ipsa re ad
ducem Maiarae scriptam (26 Augusti 1552) apponere....: «....Quod ad
matrimonium, de quo ad me scribis, attinet, illud certe eiusmodi est, et a mea
minima professione usque adeo alienum, ut ab eo, quasi meis institutis omnino
contrario, ac vehementer repugnanti, mihi temperandum statuam. Possum enim tibi omni
asseveratione affirmare, totos decem undecimve annos, ad nullum ex Loiolea
familia, ne litteram quidem me scripsisse. Persuasi enim mihi, cum saeculo
universo, nuntium remisi, illam quoque propter Christum me semel reliquisse,
neque debere me eam repetere, aut ullo modo propriam existimare, quam tam certo
tamque considerato iudicio reliqui. Sed si tu tamen ad maiorem Dei gloriam iore
iudicas ut duae istae familiae et dominatus in unum coeant et coniungantur, et
ad eum finem, quem omnes semper ante oculos debemus habere, in rem utriusque
futurum putas, Ozaetae Dominum et Martinum Garziam, consanguineos meos, ad te
evocandos censeo, et cum iis ipsis transigendum...» P. RIBADENEIRA, Vita, lib. 5, cap. 5. Inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 31
iulii: id. op., cap. 33, nn. 504,
505.
25
(Ad uno de' suoi figliuoli, D. Alvaro Borgia) «avrebbe portata in casa una gran
fortuna il potersi ammogliare con una sua nipote, figliuola di D. Giovanni d'
Aragon, fatta erede del Marchesato d' Alcagnizes: ma due grandi ostacoli si
attraversavano al suo desiderio.... L' uno era lo strettissimo grado della lor
parentela; l' altro, un maggior concorrente nella stessa domanda, zio ancor
egli della fanciulla... D. Alvaro... non mancò di chiedere e di far chiedere da
altri al santo suo padre Francesco, di supplicare per lui al Pontefice (Pio
V)... Ma il Santo non fu mai potuto essere smosso dal suo primo proponimento,
di non intramettersi di verun interesse temporale de' suoi. Intanto il Papa...
mandò per esso... Il Santo... confessò gagliardissime essere state le istanze
dhe (D. Alvaro) gli aveva fatte.... ma indarno al persuaderlo: «Perochè, disse,
Beatissimo Padre, la sua dimanda è di tal natura, che se la Santità vostra
giudicherà tornare in maggior servigio di Dio il compiacernelo... da se
medesimo il farà: dove altrimenti gliene paia, io, non che pregarla d'
indurvisi, ma umilmente le supplico di non farlo: perochè mi dè essere più in
cura la coscienza di vostra Santità e 'l buon nome di questa S. Sede, che
qualunque grandissimo interesse a ben temporale de' miei figliuoli.» Il Papa...
gli domandò: «che dunque gli pareva da farsi?» Al che il P. Francesco: «Poichè,
disse, due zii chieggon del pari la medesima grazia..., dove a V. Santità paia
da condiscendere verso l' un d' essi, potrebbe concedersi alla nipote la
libertà d' eleggersi ella stessa per marito quel de' due concorrenti che più le
piace.» Allora il Papa, recatosi più sul grave: «Il partito, disse, che ci
proponete, è degno della vostra modestia e prudenza: ma non perciò il
seguiremo. Noi, che abbiamo cosa migliore, vogliamo ch' ella sia di D. Alvaro
vostro: e a volerlo ci muove il maggior servigio di Dio, e la riputazione di
questa S. Sede. Perochè avendo voi per puro amor di Dio abbandonato e ogni
altra cosa del mondo e i vostri stessi figliuoli, e affaticandovi in pro della
Chiesa con tanta edificazione e frutto nell' anime, giusta cosa è che noi ci
prendiamo di voi e de' vostri figliuoli quel pensiero, che per più alte ragioni
voi non vi prendete.» BARTOLI, Vita, lib.
4, cap. 9.
26 Et
dixit mater eius ad illum: Fili, quid fecisti nobis sic? ecce pater tuus et ego
dolentes quaerebamus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quaerebatis?
nesciebatis quia in ihs, quae Patris mei sunt, oportet me esse? Luc. II,
48, 49.
27 «Extra saeculum non est religiosus,
quem affinium sollicitudo tenet.» V. TALENTI, de' Chierici Reg. delle Scuole Pie, Vita, lib. 7, cap. 9, III, 24.
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