- CAPO IV - Del desiderio della perfezione.
Precedente - Successivo
Clicca qui per attivare i link alle concordanze
- 83 -
CAPO
IV - Del desiderio della perfezione.
1.
Il primo mezzo che dee prendere una religiosa, per giungere alla perfezione ed
esser tutta di Dio, è il desiderio della perfezione. E siccome il cacciatore
che tira a volo, per colpire l'uccello, bisogna che prenda sempre la mira
avanti della preda, così per giungere a qualche grado di perfezione, bisogna
col desiderio prender la mira alla maggior santità a cui possa arrivarsi. Esclamava Davide: Quis dabit mihi
pennas sicut columbae? [et] volabo et
requiescam (Psal. LIV, 7): Chi mi darà le ale di colomba per volare al mio Dio ed in Dio
riposarmi, sciolto dagli affetti alla terra? I santi desideri son già l'ale
beate, con cui l'anime sante si distaccano dal mondo e volano al monte della
perfezione, ove ritrovano quella pace che nel mondo non può trovarsi. - Ma
come, dimando, il santo desiderio fa volare l'anime a Dio? Lo dichiara S. Lorenzo
Giustiniani: Vires subministrat, poenam
exhibet leviorem.1 Il buon desiderio da una parte dà forza e
dall'altra rende la fatica più leggiera a salire il monte. All'incontro chi non
desidera la perfezione, diffidando di non potervi arrivare, non mai si adoprerà
per ottenerla. Chi vedendo un alto monte, non desidera di giungere alla cima
dove sa trovarsi il tesoro, non darà neppure un passo per salirvi, e se ne
resterà alla falda trascurato ed ozioso. Così chi non desidera di giungere ad
acquistare il tesoro della perfezione, sembrandogli troppo dura la fatica per
arrivarvi, se ne resterà sempre negligente nella sua tepidezza, senza mai dare
un passo nella via di Dio.
- 84 -
2.
Anzi chi non desidera e non si sforza di camminar sempre avanti nella via del
Signore, come dicono tutti i maestri di spirito e come insegna l'esperienza,
anderà sempre indietro e si porrà in gran pericolo di perdersi. Ciò appunto ne
avvisa Salomone dicendo: Iustorum autem
semita quasi lux crescit usque ad perfectum diem; via impiorum tenebrosa:
nesciunt ubi corruant (Prov. IV, 18):2 Il cammino de' santi si
avanza sempre, come avanzasi la luce dell'aurora sino al giorno perfetto;
all'incontro la via de' peccatori sempre più diventa ingombrata da tenebre,
sino che i miseri riduconsi a camminare senza saper dove vanno a precipitarsi.
- Non progredi, reverti est, dice S.
Agostino:3 Nella via dello spirito, lo stesso è il non andare innanzi
che l'andare indietro. Molto bene ciò spiega S. Gregorio col paragone di chi
sta in mezzo al fiume. Chi mai, dice il santo, stesse nel fiume dentro d'una
barchetta, e non si curasse di spingerla avanti contro la corrente, ma volesse
ivi fermarsi senza andare né indietro né innanzi, egli necessariamente anderebbe
indietro, poiché la stessa corrente lo condurrebbe seco.4 L'uomo, dopo
il peccato
- 85 -
di Adamo, è restato naturalmente sin dal suo nascere
inclinato al male: Sensus enim et
cogitatio humani cordis in malum prona sunt ab adolescentia sua (Gen. VIII,
21). Se egli non si spinge avanti e non si fa forza per farsi migliore di
quello che è, la stessa corrente dell'umana concupiscenza lo porterà sempre
indietro. Dimanda S. Bernardo: Non vis
proficere? vis ergo deficere? Nequaquam (Ep. 253 ad Ab. Garinum).5 Anima, dice, tu non vuoi
avanzarti nel profitto spirituale? dunque vuoi mancare? Tu rispondi che
neppure. Dunque, siegue a parlare il santo, che cosa vuoi fare? Quid ergo vis? Inquis: Vivere volo et manere quo perveni; nec peior
fieri patior, nec melior cupio. Tu dici: Voglio restarmi nello stato in cui
mi trovo; non voglio esser peggiore né migliore. Hoc ergo vis, risponde S. Bernardo, quod esse non potest. Dunque tu vuoi una cosa ch'è impossibile;
perché nella via di Dio o bisogna andare avanti e profittare nelle virtù, o
andare indietro e precipitare ne' vizi.
3.
È necessario pertanto, insegna l'Apostolo, nell'affare dell'eterna salute non
fermarsi mai, ma correre, per mezzo delle virtù, finché si giunga ad afferrare
il pallio della vita eterna: Sic currite
ut comprehendatis (I Cor. IX, 24). E intendiamo che se manca, per noi
manca; poiché Dio vuol tutti santi e perfetti: Haec est enim voluntas Dei, sanctificatio vestra (I Thess. IV, 3).
Anzi ci comanda l'esser perfetti e santi:
Estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester caelestis perfectus est
(Matth. V, 48).
Sancti eritis, quoniam ego sanctus
- 86 -
sum (Lev. XI, 44).6 E ben egli ci promette e porge a tutti l'aiuto in
tutte le cose che ci comanda, allorché noi ce lo chiediamo, come insegna il
concilio di Trento: Deus impossibilia non
iubet; sed iubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis, et
adiuvat ut possis (Sess. VI, c. 11). Iddio non impone cose impossibili,
poiché, imponendo i precetti, ci ammonisce a fare quel che possiamo adempire
colla grazia ordinaria; e dove bisogna maggior grazia, ci esorta a chiedere
quel che non possiamo fare, e cercandola noi, allora egli ben ci dona il suo
aiuto, acciocché possiamo eseguire tutto ciò che ci comanda. Fatevi dunque
animo. Scrisse il Ven. P. Torres, pio operario, ad una religiosa sua penitente
queste belle parole: Figliuola,
s'impennino da noi l'ale de' desideri, per non fermarci nella terra, e volare
allo sposo, al diletto, al caro, che ci aspetta alla beata patria dell'eternità.7
4.
Dice S. Agostino che la vita d'un buon cristiano è un continuo desiderio della
perfezione: Tota vita christiani boni
sanctum desiderium est (Tract. IV, in I Ep. Ioan.).8 Sicché colui
che non conserva nel cuore il desiderio di farsi santo, sarà cristiano, ma non
buon cristiano. E se ciò vale generalmente per tutti, specialmente vale per li
religiosi, i quali, benché non sieno obbligati ad esser perfetti, debbono
nondimeno con modo speciale tendere alla perfezione; così appunto insegna S.
Tommaso: Qui statum religionis assumit,
non tenetur habere perfectam caritatem, sed tenetur ad hoc tendere (2. 2.
q. 186, a. 2).9 In qual modo poi la religiosa debba tendere alla perfezione,
lo dichiara lo stesso Angelico: Non
tenetur
- 87 -
(religiosus) ad omnia exercitia quibus ad perfectionem
pervenitur, sed ad illa quae determinate sunt ei taxata secundum regulam quam
professus est (Ibid.):10 Non è già tenuta a praticare tutti gli
esercizi che giovano ad acquistare la perfezione, ma ben è tenuta a quelli che
particolarmente son prescritti dalla regola che ha professata. Onde, oltre gli
obblighi de' voti, è tenuta all'orazione comune, alle comunioni e
mortificazioni ordinate dalla regola, al silenzio ed a tutti gli altri esercizi
che si praticano dalla comunità.
5.
Dirà nonperò taluna: Ma la nostra regola
non obbliga a peccato. Ma ciò non ostante rispondo: Dicono comunemente i
Dottori che quantunque la regola non obblighi per se stessa a colpa, nondimeno
chi la trasgredisce senza causa bastante a scusarlo, in pratica difficilmente
anderà esente dal commetter peccato almeno veniale. La ragione è perché quando
si trasgredisce una regola volontariamente e senza causa, non per altro viene a
trasgredirsi se non per passione o per pigrizia, e perciò la trasgressione non
può scusarsi da colpa almeno leggiera. Quindi S. Francesco di Sales ne' suoi
Trattenimenti scrisse che quantunque la Regola della Visitazione non obbligasse
a colpa veruna, nulladimanco egli non sapea come scusar le trasgressioni da
colpa veniale, mentre dicea che, trasgredendo la regola, la religiosa disonora le cose di Dio, tradisce la sua professione,
disturba la Congregazione, e dissipa i frutti del buon esempio che ciascuna dee
dare.11 Sicché, secondo parla il santo, quando si trasgredisce la
regola a vista delle altre religiose, vi sarà di più il peccato dello scandalo.
E si avverta inoltre che quando la trasgressione frequente di qualche regola
cagionasse danno grave all'osservanza
- 88 -
comune, può giungere anche a
peccato mortale. E lo stesso sarebbe se alcuna trasgredisse la regola per
disprezzo. Nel che nota S. Tommaso (Cit. qu. 186, art. 9) che 'l frequentemente
trasgredir la regola, praticamente dispone al disprezzo di quella.12 E
così si risponde a quelle monache tepide che si scusano delle loro
inosservanze, con dire che la regola non obbliga a colpa. Del resto le monache
osservanti non van trovando se la regola obblighi o no a peccato; basta loro,
per osservarla diligentemente, il sapere che quella regola è ordinata da Dio, e
che Dio si compiace di vederla osservata.
6.
In somma, siccome non v'è uomo che giunga alla perfezione di qualche scienza o
arte, se prima non desidera ardentemente di acquistarla: così non v'è stato mai
santo che sia giunto alla santità, senza un gran desiderio di conseguirla.
Ordinariamente, diceva S. Teresa, Iddio
non fa molti segnalati favori, se non a chi molto ha desiderato il suo amore.13
E 'l Profeta regale disse: Beatus vir
cuius est auxilium abs te; ascensiones in corde suo disposuit in valle
lacrimarum... ibunt de virtute in virtutem (Psal. LXXXIII, 6):14
Beato l'uomo che ha risoluto nel suo animo di salire, vivendo in questa terra,
da grado in grado alla perfezione; poich'egli sarà soccorso abbondantemente da
Dio, e anderà sempre avanti da virtù in virtù. Così han fatto i santi, e
specialmente un S. Andrea d'Avellino, il quale giunse anche a far voto di camminar
sempre innanzi nella via della perfezione: In
via christianae perfectionis semper ulterius progrediendi (Lect. Offic. in die fest.).15
- 89 -
Dicea
S. Teresa: Iddio non lascia senza paga
anche in questa vita qualunque buon desiderio.16 E così i santi per
mezzo de' buoni desideri fra poco tempo sono arrivati ad un grado molto sublime
di perfezione: Consummatus in brevi
explevit tempora multa (Sap. IV, 13). Così un S. Luigi Gonzaga giunse tra
pochi anni - giacché la sua vita non fu più che di 23 anni - a tal grado di
perfezione che S. Maria Maddalena de' Pazzi, vedendolo in ispirito nel cielo,
disse che le sembrava in certo modo non esservi santo in paradiso che godesse
maggior gloria di Luigi: e nello stesso tempo intese la santa ch'egli era
giunto a tal grado per lo gran desiderio che aveva avuto in vita di giungere ad
amare Dio, quanto Dio meritava d'esser amato; e che vedendo di non potervi
arrivare - mentre Dio merita un amore infinito - il santo giovine aveva
sofferto in questa terra un martirio d'amore, che poi l'avea elevato ad una
gloria sì grande.17
- 90 -
7.
Molti belli documenti, oltre di quelli già detti di sopra, dà S. Teresa nelle
sue Opere su questo punto. In un luogo dice: I nostri pensieri sieno grandi, che di qua verrà il nostro bene.18
In altro dice: Non bisogna avvilire i
desideri, ma confidare in Dio, che, sforzandoci noi a poco a poco, potremo
arrivare dove colla sua grazia arrivarono i santi.19 In altro luogo
dice: Sua divina maestà è amica d'anime
generose, purché vadano diffidate di loro stesse.20 Ed attestava
poi la santa per esperienza di non aver veduta alcun'anima codarda che in molti
anni avesse fatto tanto cammino, quanto certe altre animose in pochi giorni.21
Ad acquistare poi coraggio, molto giova il leggere le vite de' santi, e
specialmente di coloro che dallo stato di peccatori son passati ad esser gran
santi, come una S. Maria Maddalena, un S. Agostino, S. Pelagia, S. Maria
Egiziaca, e specialmente S. Margherita da Cortona che stiede per molti anni in
istato di dannazione, ma anche in quel miserabile stato nutriva il desiderio di
farsi santa,22 come in fatti,
- 91 -
quando poi si convertì a Dio,
si diede talmente a volare per la perfezione, che meritò in vita d'intendere,
come il Signore le rivelò, che non solo era predestinata, ma che l'era
apparecchiato in cielo il luogo tra' serafini.23 Dice in altro luogo la
medesima S. Teresa che il demonio procura che ci paia superbia l'aver desideri
grandi e 'l voler imitare i santi; ma questo soggiunge essere un grande
inganno.24 Sì, perché ciò non è superbia, quando l'anima diffida di se
stessa, e, fidata solo in Dio, s'avvia a camminar per la perfezione con
coraggio, dicendo coll'Apostolo: Omnia
possum in eo qui me confortat (Philip. IV, 13): Io non posso niente colle
mie forze, ma col suo aiuto posso tutto; perciò risolvo colla sua grazia di
volerlo amare, come l'hanno amato i santi.
- 92 -
8.
Pertanto importa molto il sollevare i nostri desideri a cose grandi, come di
volere amar Dio più di tutti i santi, di patire più che tutti i martiri per suo
amore, di soffrire e perdonare tutte le ingiurie, di abbracciare ogni fatica e
pena per salvare un'anima, e cose simili. Perché primieramente questi desideri,
benché sieno di cose che non succederanno, nondimeno son di gran merito
appresso Dio, il quale siccome odia le volontà perverse, così si compiace delle
buone. In secondo luogo, perché l'anima per questi desideri di cose grandi e
difficili si rende più coraggiosa ad eseguire le cose più facili. Perciò molto
giova sin dalla mattina proponer sempre di far quanto si può per Dio, di
soffrire tutti gl'incontri e le cose contrarie, di star sempre raccolta ed occupata
in far atti di amore verso Dio. Così faceva S. Francesco, come riferisce S.
Bonaventura: Proponeva, colla grazia di
Gesù Cristo, di far cose grandi.25 Dice S. Teresa: Il Signore si compiace talmente de' buoni
desideri, come se fossero eseguiti.26 Oh quanto è meglio
- 93 -
aver che fare con Dio che col mondo! Per conseguire i beni del mondo,
le ricchezze, gli onori, gli applausi degli uomini, non basta il desiderarli,
anzi il desiderio accresce la pena, quando non si ottengono; ma con Dio basta
desiderar la sua grazia e 'l suo amore, per già ottenerli. Ciò appunto dicea
quel cortigiano dell'imperadore, riferito da S. Agostino. Narra il santo che
ritrovandosi due cortigiani dell'imperadore in un monastero di solitari, un di
loro prese ivi a legger la vita di S. Antonio abbate: Legebat, scrive S. Agostino, et
exuebatur mundo cor eius: Leggeva, e mentre leggeva, si andava il suo cuore
staccando dagli affetti del mondo. Indi rivolto al compagno gli parlò così: Quid quaerimus? maiorne esse potest spes
nostra, quam quod amici imperatoris simus? Et per quot pericula ad maius
periculum pervenitur? et quamdiu hoc erit? Amico, gli disse, pazzi che
siamo! E che andiamo noi cercando con servir l'imperadore a forza di tanti
stenti, timori ed angustie? Possiamo noi sperare più che di diventare suoi
amici? E se mai giungessimo a conseguir questa fortuna, altro non faremmo che
mettere a maggior pericolo la nostra salute eterna. Ma no, che difficilmente
arriveremo mai ad aver per amico Cesare. E poi concluse: Amicus autem Dei, si voluero, ecce nunc fio.27 Ma s'io
voglio, disse, esser amico di Dio, ecco già
- 94 -
lo sono; mentre, volea
dire, l'amicizia di Dio subito l'ottiene chi la vuole con vero e risoluto
desiderio di ottenerla.
9.
Dico con vero e risoluto desiderio; poiché poco servono quei desideri
inefficaci co' quali si pascono alcune anime pigre, le quali sempre desiderano,
e frattanto non mai danno un passo avanti nella via di Dio. Di queste parla
Salomone allorché dice: Vult et non vult
piger (Prov. XIII, 4). Ed altrove dice:
Desideria occidunt pigrum (Prov. XXI, 25). La religiosa tepida desidera la
perfezione, ma non si risolve mai a prendere i mezzi per acquistarla. Da una
parte la vuole, considerando quanto ella è desiderabile; ma dall'altra parte
non la vuole, considerando la fatica che si richiede per conseguirla; onde la
vuole e non la vuole; la desidera, ma non la desidera efficacemente; e se pur
desidera di farsi santa, lo desidera per certi mezzi che sono fuori del suo
stato, e dice: Oh s'io stessi in un deserto, vorrei far sempre orazione e
penitenza: se fossi in altro monastero, vorrei chiudermi in una cella e pensare
solo a Dio: se avessi buona salute, vorrei fare molte mortificazioni. Vorrei,
vorrei, e frattanto la misera non adempisce gli obblighi che tiene secondo lo
stato presente: fa poca orazione, anzi spesso lascia anche l'orazione comune:
lascia le comunioni: poco assiste al coro, e molto frequenta le grate e 'l
belvedere: soffrisce con poca pazienza e rassegnazione gl'incomodi delle sue
infermità: in somma fa molti difetti deliberati e ad occhi aperti alla
giornata, e non cerca neppure d'emendarsene. Che mai dunque
- 95 -
servirà a
questa religiosa il desiderar tante cose impossibili al suo stato presente,
mentre così trascura le obbligazioni che tiene? Desideria occidunt pigrum. Tali desideri inutili più presto la
faranno perdere, mentr'ella si pascerà di loro inutilmente; e contentandosi di
quelli, lascerà d'intraprendere i mezzi che di presente le son necessari per la
sua perfezione e per lo conseguimento della sua salute eterna. Ben disse a
questo proposito S. Francesco di Sales: Io
non approvo che una persona attaccata a qualche obbligo o vocazione, si fermi a
desiderare un'altra sorta di vita, fuori di quella ch'è convenevole all'officio
suo, né altri esercizi incompatibili al suo stato presente; perché ciò dissipa
il cuore e lo fa languire negli esercizi necessari.28
Bisogna
dunque che la religiosa metta l'occhio solamente a quella perfezione ch'è
propria dello stato e dell'officio presente, di superiora o di suddita, di sana
o d'inferma, di giovane o di vecchia, con volontà risoluta di prenderne i
mezzi. Inoltre avverte S. Teresa (Camm. perf. cap. 38): Ci fa credere il demonio che abbiamo una virtù, v. gr. di pazienza,
perché ci determiniamo di patire assai per Dio; e veramente ci pare che in
effetto soffriressimo qualunque incontro; onde stiamo molto contente, perché il
demonio aiuta a farcelo credere. Io vi avverto che non facciate caso di queste
virtù, ne pensiate a conoscerle se non di nome, finché non ne vediamo la
pruova; imperocché accaderà che ad una parola che vi sia detta di disgusto,
vada la pazienza per terra.29
10.
Veniamo alla pratica de' mezzi, ch'è quel che serve.
- 96 -
I
mezzi per la perfezione sono per 1.
l'orazione mentale, meditando specialmente quanto Iddio merita d'esser
amato, e l'amore che questo Dio ci ha portato, particolarmente nella grand'opera
della Redenzione, nella quale un Dio è giunto per noi a sagrificar la vita in
un mare di dolori e di disprezzi, e, di ciò non contento, si è ridotto a farsi
nostro cibo per acquistarsi il nostro amore. Queste verità non giungono ad
accender l'anime, se non sono spesso considerate: In meditatione mea exardescet ignis (Psal. XXXVIII, 4). Dicea
Davide: Quando io mi fermo a meditare la bontà del mio Dio, mi sento tutto
infiammare ad amarlo. Ma diceva all'incontro quel santo giovine S. Luigi
Gonzaga che non mai un'anima giungerà ad un alto grado di perfezione, se prima
non giunge ad un alto grado d'orazione.30
Per 2. bisogna sempre
rinnovare il proposito di avanzarsi nel divino amore. E perciò giova il
figurarsi come ogni giorno fosse il primo in cui la persona comincia la vita
della perfezione. Così facea Davide, replicando sempre: Et dixi: Nunc coepi (Psal. LXXVI, 11). E questo fu l'ultimo ricordo
che S. Antonio abbate lasciò a' suoi monaci: Figli, loro disse, figuratevi che
ogni giorno sia il primo in cui cominciate a servire Dio.31
Per 3. bisogna che la
persona faccia una continua ricerca de' difetti che sono nell'anima; ma una ricerca rigida,
come dicea S. Agostino, senza palpar la coscienza: Fratres mei, discutite vos sine palpatione. Semper displiceat tibi quod
es, si
- 97 -
vis pervenire ad id
quod non es (De verb. Apost., serm. 15):32 È necessario che ti
tieni sempre mal soddisfatta di quel che sei, affinché arrivi ad esser quella
perfetta che ora non sei. Altrimenti, siegue a dire il santo, ubi tibi placuisti, ibi remansisti: dove
ti compiacerai del grado a cui sei giunta, ivi rimarrai; poiché chiamandoti
contenta di te stessa, perderai anche il desiderio di passare avanti. Indi
soggiunse quel suo celebre detto, che dee essere di molto spavento per
quell'anime che, compiacendosi di loro stesse, poco desiderano di avanzarsi;
dice S. Agostino: Si autem dixeris:
Sufficit, periisti: Se hai detto: Mi basta la perfezione che tengo, sei
perduta; perché il non avanzarsi nella via di Dio è lo stesso che andare
indietro, come di sovra si è considerato e come in brevi parole ben esprime S.
Bernardo: Profecto nolle proficere,
deficere est (Epist. 253 ad Garinum).33 Quindi esorta S. Gio.
Grisostomo che bisogna pensar sempre alle virtù che mancano, e non mai a
qualche picciolo bene che abbiam fatto; poiché, dice il santo, il pensare al
ben fatto segniores facit et in
arrogantiam extollit (Hom. 12 in Ep. ad Phil.):34 ad altro non
serve che a renderci più pigri nella via dello spirito ed a gonfiarci di
vanagloria, la quale ci metterà a rischio di perdere tutto l'avanzo fatto. Qui currit, siegue a parlare il
Grisostomo, non reputat quantum
confecerit, sed quantum desit:35 Chi corre per giungere
- 98 -
alla perfezione, non fa conto del cammino fatto, ma di quello che gli
resta da fare per giungere ad ottenerla. L'anime fervorose quanto più si
accostano al fine della vita, tanto più crescono nel fervore: Quasi effodientes thesaurum, dice Giobbe
(III, 21).36 Quei che scavano qualche tesoro, come spiega S. Gregorio,
quanto più si trovano avere scavato, tanto più s'affrettano a scavare, per
desiderio di far presto acquisto del tesoro bramato. Così quelli che cercano la
perfezione, quanto più camminano avanti, tanto più s'affaticano a camminare per
acquistarla.37
11.
Per 4. giova molto ad acquistare la
perfezione, il mezzo che usava S. Bernardo per infervorarsi. Scrive il
Surio che 'l santo hoc semper in corde,
frequenter etiam in ore habebat: Bernarde, ad quid venisti?38 Avea
sempre nel cuore e spesso nella bocca il richiedere a se stesso: Bernardo, che
sei venuto a fare nella religione? Lo stesso dovrebbe ogni religiosa
continuamente dire a se medesima: Io ho lasciato il mondo e tutte le cose che
'l mondo mi offeriva, per venire nel monastero a farmi santa; ed ora che fo?
Non mi fo santa, e mi pongo anzi a pericolo di perdermi, con questa vita così
tepida che
- 99 -
meno. Giova qui riferire l'esempio della Venerabile Suor
Giacinta Marescotti, la quale menava una vita molto tepida nel monastero di S.
Bernardino in Viterbo; ma essendovi andato per confessore straordinario il P.
Bianchetti francescano, e volendo ella confessarsi, quel buon padre con
severità le disse: È monaca ella? Or sappia che il paradiso non è per le
monache vane e superbe. Rispose Giacinta: Dunque io ho lasciato il mondo per
girmene all'inferno? - Sì, ripigliò il padre, questa è la stanza che tocca alle
sue pari; colà vanno a cadere quelle religiose che vivono nel monastero da
secolari. Riflettendo a ciò Suor Giacinta, si compunse e si confessò
dirottamente piangendo la sua passata vita, ed indi diedesi a camminare per la
via della perfezione.39 - Oh quanto è profittevole questo pensiero,
d'aver lasciato il mondo affin di farsi santa, per isvegliare una religiosa e
per animarla a camminare avanti ed a superar le difficoltà che le occorrono
nella religione! Allorché dunque, sorella mia, sentirete difficoltà in qualche
ubbidienza, replicate: Ma io non son venuta al monastero per far la volontà
mia; se voleva far la mia volontà, mi sarei restata nel mondo; son venuta a far
la volontà di Dio con ubbidire a' miei superiori, e ciò voglio fare in ogni
conto. Allorché sentirete qualche incomodo della povertà, dite: Ma io non son
venuta qui a star comoda e ricca, ma per esser povera per amore di Gesù mio,
che volle esser più povero di me per mio
- 100 -
amore. Allorché riceverete
qualche disprezzo o riprensione, dite: Io non son venuta alla religione che per
essere umiliata come merito per gli peccati miei, e così rendermi cara allo
sposo mio, che tanto fu disprezzato in questa terra. Questo è il vivere a Dio e
morire al mondo. Pertanto concludete: Che dunque mi servirà l'aver lasciato il
mondo, l'essermi chiusa tra quattro mura e l'essermi privata della mia libertà,
se non mi fo santa, e facendo una vita trascurata e larga, mi metto anche a
pericolo di dannarmi?
12.
Per 5. giova che la religiosa consideri
e rinnovi i desideri e fervori antichi ch'ebbe quando entrò nel monastero.
- L'abbate Agatone interrogato da un monaco come avesse a portarsi nella
religione, rispose: Vide qualis fueris
primo die quando existi de saeculo, et talis permane:40 Mira qual
fosti nel primo giorno che lasciasti il mondo, e tale conservati. Ricordati
dunque, o sposa benedetta del Signore, de' tuoi propositi fatti, di non cercare
altro che Dio, di non voler altro se non ciò che vuole l'ubbidienza, di
soffrire ogni disprezzo ed ogn'incomodo per amore di Gesù Cristo. - Questo
ricordo fe' ritornare un giovine religioso all'antico fervore. Narrasi nelle
Vite de' Padri (Part. II, § 201) che costui quando volle entrare nella
religione, se gli oppose la madre, apportandogli molte ragioni, per cui dicea
non dover esso abbandonarla; ma il giovine a tutte quelle rispondea sempre: Io
voglio salvare l'anima mia. Ed usando fortezza, entrò finalmente nella
religione. Ma dopo qualche tempo il misero si rallentò e cominciò a vivere con
gran tepidezza. Morì la madre, ed indi essendo egli caduto in una grave
infermità, si vide un giorno presentato al giudizio divino, ed ivi vide la
madre che lo rimproverò dicendo: Figlio, dove son quelle tue parole: Voglio
salvare l'anima mia? Tu
- 101 -
perciò entrasti nella religione, ed ora che vita
è questa che fai? Ritornato in sé il religioso, scampò da quell'infermità, e
col ricordo ricevuto dalla madre del suo antico proposito, diedesi ad una vita
tutta santa, e cominciò a fare tali penitenze che gli altri l'ammonivano poi a
moderarsi; ma egli rispondea: Io non ho potuto soffrire il rimprovero di mia
madre, come potrò soffrire quello che mi farà Gesù Cristo nel giudizio, s'io
non corrispondo alla sua chiamata?41 Perciò molto anche giova il
leggere spesso le vite de' santi, gli esempi de' quali molto ci fanno umiliare
e conoscere le nostre miserie. I poveri non ben conoscono la loro povertà, se
non quando vedono i tesori de' ricchi.
13.
Per 6. bisogna che la persona non si
disanimi, se vede non essere ancora giunta alla perfezione che desidera. -
Questa è una gran tentazione del demonio. Dicea S. Filippo Neri che 'l negozio
di farci santi non è negozio d'un giorno.42 Si narra nelle Istorie de'
Padri che un certo monaco, dopo esser entrato nel monastero con gran fervore,
per un certo tempo
- 102 -
s'intepidì; ma desiderando di riprendere il primo
cammino, e stando all'incontro molto afflitto perché non sapea pigliarne la
via, andò a consigliarsi con un certo padre antico. Quegli lo consolò, e per
animarlo gli addusse l'esempio, o sia parabola, d'un padre che mandò il figlio
a purgare un territorio pieno di spine e cespugli; ma il figlio vedendo la gran
fatica che richiedea una tal opera, perdendosi d'animo, si pose a dormire senza
far niente, e poi si scusò col padre dicendo di non fidarsi43 di far
tanta fatica. Il padre gli rispose: Figliuolo mio, io non voglio altro da te,
se non che ogni giorno purghi quella terra, solamente per quanto capisce un
corpo umano. Così cominciò a fare il figlio, e in questo modo a poco a poco la
terra restò fra qualche tempo purgata di tutte l'erbe e piante inutili che
v'erano.44 - Quanto è bello questo paragone per darci animo ad
avanzarci nella via della perfezione! Basta che la persona conservi sempre vivo
il desiderio e si faccia forza di camminare avanti, perché a poco a poco, col
divino aiuto, ben giungerà un giorno ad acquistar la perfezione che desidera.
Anzi dice S. Bernardo che lo sforzo continuo che fa l'anima per giungere alla
perfezione, questo medesimo è la perfezione
- 103 -
che può aversi nella
presente vita: Iugis conatus ad
perfectionem, perfectio reputatur (Ep. 253 ad Ab. Garinum.).45
Pertanto bisogna star attento a non lasciar mai gli esercizi soliti, le
orazioni solite, le solite comunioni, le solite mortificazioni. E ciò
specialmente in tempo di aridità: in questo tempo il Signore fa pruova
dell'anime fedeli, in veder se, con tutta la pena e tedio che sentono nelle
loro oscurità, sieguono con fedeltà a praticare tutto ciò che facevano prima nell'abbondanza
delle celesti consolazioni.
14.
Per ultimo è gran mezzo per la
perfezione ad una religiosa che vive in comunità il tener rivolti gli occhi
alle sorelle più osservanti, affin d'imitarle nelle virtù più particolari
di cui elleno dan buon esempio. - Siccome l'ape, dicea S. Antonio abbate, da
diversi fiori va raccogliendo il mele, così la religiosa santa deve raccoglier
dalle sue compagne i buoni esempi delle virtù:46 da una la modestia, da
un'altra la carità,
- 104 -
da un'altra l'affetto all'orazione, da un'altra
la frequenza della comunione, e così le altre virtù. E questo è il santo
impegno che ogni buona religiosa dee aver nel monastero, d'imitare, anzi di
superare, tutte le sorelle nelle virtù ch'esse praticano. Nel mondo fanno a
gara i mondani a chi può essere più ricco, più onorato e più colmo de' piaceri
terreni. Nella religione all'incontro debbon le monache fare a gara, a chi è
più umile, più paziente, più mansueta, più caritativa e più amante de'
disprezzi, della povertà, della purità e dell'ubbidienza: in somma l'emulazione
ha da essere a chi meglio ama e dà più gusto a Dio. Ed a questo fine dee
indirizzare tutte le sue azioni ordinarie, principalmente per piacere a Dio, e
poi anche per dar buon esempio alle sorelle, acciocché quelle se ne
approfittino e diano maggior gloria al Signore: Sic luceat lux vestra coram hominibus ut... glorificent Patrem vestrum,
qui in caelis est (Matth. V, 16). Quindi debbonsi fare molto scrupolo
quelle religiose che danno il voto ad alcuna donzella, i di cui portamenti per
lo passato non han data buona edificazione nel monastero; poiché dove i buoni
esempi molto giovano ad infervorare l'altre, così i mali esempi riescono
all'altre di molto nocumento, inducendole facilmente a commettere quei difetti
che frequentemente nelle altre osservano.
1 «Quis enim huius sancti desiderii
valet profectus explicare? Animo quippe vires subministrat et poenam exhibet
leviorem, perseverantiam praebet, sanctitatem adducit, coaequat martyribus, et
caelesti patria dignum suum efficit superno iudici gratiora, quo ardentiori
fuerint facta caritate. Non qui plus operatur, sed qui plus diligit, magis
commendatur a Christo. Amor enin desideriis nutritur, desideria autem ab
amore tamquam calor ab igne prodeunt.» S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De disciplina et perfectione monasticae
conversationis, cap. 6. Opera, Venetiis,
1721, pag. 73, col. 1.
2 Iustorum
autem semita, quasi lux splendens, procedit et crescit usque ad perfectam diem.
Via impiorum tenebrosa: nesciunt ubi corruant. Prov. IV, 18, 19.
3
«Ubi coeperimus stare, descendimus; nostrumque non progredi iam reverti est.»
Inter Opera S. Augustini, Epistola (non
di Agostino, ma di Pelagio) ad
Demetriadem, cap. 27. ML 33-1118.- Meglio prendere queste parole da S. Bernardo (In Purificatione B. M. V., sermo
2, n. 3. ML 183- 369): «In via vitae non progredi, regredi est.» - Anzi il
pensiero è pur di S. AGOSTINO: «Quantumcumque hic vixerimus, quantumcumque hic
profecerimus, nemo dicat: Sufficit mihi; iustus sum. Qui dixerit, remansit in
via, non novit pervenire. Ubi dixerit: Sufficit, ibi haesit.» Enarratio in Ps. LXIX, n. 8.
ML 36-873. - «Proficite, fratres mei, discutite vos semper sine dolo, sine
adulatione, sine palpatione. Non enim aliquis est intus tecum, cui erubescas,
et iactes te. Est ibi, sed cui placet humilitas, ipse te probet. Proba et te
ipsum tu ipse. Semper tibi displiceat quod es, si vis pervenire ad id quod
nondum es. Nam ubi tibi placuisti, ibi remansisti. Si autem dixeris: Sufficit,
et peristi. Semper
adde, semper ambula, semper profice: noli in via remanere, noli retro redire,
noli deviare. Remanet, qui non proficit; retro redit, qui ad ea revolvitur unde
iam abscesserat; deviat, qui apostatat. Melius it claudus in viam quam cursor
praeter viam.» Sermo 169, cap. 15, n.
18, ML 38-926. - «Erit... respectus misericordiae ipsius (Dei), ut te conante
omnia (peccata) perimere, et quantum adiuverit perimente, de reliquis quae tibi
restant in itinere invento et in conatu
comprehenso, facile ignoscat: tantum proficere affecta, non deficere. Si nont e
invenit dies ultimus victorem, inveniat vel pugnantem, non captum et addictum.»
Sermo 22, cap. 8, n. 8. ML 38-153.
4
«Admonendi sunt qui inchoata bona minime consummant, ut cauta circumspectione
considerent quia dum proposita non perficiunt, etiam quae fuerant coepta
convellunt. Si enim quod videtur gerendum sollicita intentione non crescit,
etiam quod fuerat bene gestum decrescit. In hoc quippe mundo humana anima quasi
more navis est contra ictum fluminis conscendentis: uno in loco nequaquam stare
permittitur, quia ad ima relabitur, nisi ad summa conetur.» S. GREGORIUS MAGNUS, Regulae
pastoralis liber, pars 3, cap. 34 (al.
58), Admonitio 35. ML 77-118.
5
«Quod si studere perfectioni, esse perfectum est; profecto nolle proficere,
deficere est. Ubi ergo sunt qui dicere solent: Sufficit nobis, nolumus esse
meliores quam patres nostri? O monache, non vis proficere? Non. Vis ergo
deficere? Nequaquam. Quid ergo? Sic mihi, inquis, vivere volo, et manere in quo
perveni; nec peior fieri patior, nec melior cupio. Hoc
ergo vis quod esse non potest. Quid enim stat in hoc saeculo? Et certe de
homine specialiter dictum est: Fugit
velut umbra, et numquam in eodem statu permanet (Iob XIV, 2)... Ideo Paulus
aiebat: Sic currite ut comprehendatis (I
Cor. IX, 24).... Itaque si proficere currere est; ubi proficere, ibi et currere
desinis; ubi vero non currere, ibi et deficere incipis. Hinc plane colligitur quia
nolle proficere, nonnisi deficere est.» S. BERNARDUS, Epistola 254, ad Abbatem Guarinum Alpensem (postea episcopum
Sedunensem), n. 4. ML 182-460, 461.
6 Sancti
estote, quia ego sanctus sum. Lev. XI, 44.
7
«Prima di morire, scrisse ad una religiosa sua penitente una lettera del tenore
che segue: «Figliuola, festinemus ingredi
in illam requiem; s' impennino da noi le ali de' desideri per non fermarci
nella terra, e volare allo sposo, al diletto, al caro, che ci aspetta alla
beata patria dell' eternità.» Lodovico SABBATINI
d' Anfora, de' Pii Operari, Vita, Napoli, 1732, lib. 1, cap. 15.
8 S. AUGUSTINUS, In Epistolam Ioannis ad Parthos (In I Epist. Ioan.) tractatus 4, n.
6. ML 35-2008.
9 «Ipsa perfectio caritatis est finis
status religionis: status autem religionis est quaedam disciplina vel
exercitium ad perfectionem perveniendi.... Manifestum est autem quod illi qui
operatur ad finem, non ex necessitate convenit quod iam assecutus sit finem:
sed requiritur quod per aliquam viam tendat in finem. Et
ideo ille qui statum religionis assumit, non tenetur habere perfectam
caritatem, sed tenetur ad hoc tendere et operam dare ut habeat caritatem
perfectam.» S. THOMAS, Sum. Th., II-II,
qu. 186, art. 2, c.
10 «Similiter etiam non tenetur (qui
statum religionis assumit) ad omnia exercitia quibus ad perfectionem
pervenitur, sed ad illa determinate quae sunt ei taxata secundum regulam quam
professus est.» Ibid.
11 «Ces Constitutions n' obligent
aucunement d' elles-mêmes à aucun pèchè, ni nortel ni vèniel, ains seulement
sont donnèes pour la direction et conduite des personnes de la Congrègation.
Mais pourtant, si quelqu' une les violait volontairement, à dessein, avec
mèpris, ou bien avec scandale tant des Sœurs que des ètrangers, elle
commettrait sans doute une grande offense; car on ne sauroit exempter de coulpe
celle qui avilit et dèshonore les choses de Dieu, dèment sa profession,
renverse la Congrègation, et dissipe les fruits de bon exemple et de bonne
odeur qu' elle doit produire envers le prochain.» S. FRANÇOIS DE SALES, Les vrais Entretiens spirituels, 1er
Entretien. (Euvres, VI, Annecy, 1895,
pag. 5.
12 «Tunc committit aliquis vel
transgreditur ex contemptu, quando voluntas eius renuit subiici ordinationi
legis vel regulae, et ex hoc procedit ad faciendum contra legem vel regulam. Quando autem e converso,
propter aliquam particularem causam, puta concupiscentiam vel iram, inducitur
ad aliquid faciendum contra statuta legis vel regulae, non peccat ex contemptu,
sed ex aliqua alia causa: etiam si frequenter ex eadem causa, vel alia simili,
peccatum iteret.... Frequentia tamen peccati dispositive inducit ad
contemptum.» S. THOMAS, Sum.
Th., II-II, qu. 186, art. 9, ad 3.
13 «Mas que le vean descubiertamente, y
comunicar sus grandezas y dar de sus tesoros, no quiere sino a los que entiende
que mucho le desean, porque èstos son sus verdaderos amigos.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 34. Obras, III, 166.
14 Ps. LXXXIII, 6: Beatus vir, cuius est auxilium abs te: ascensiones in corde suo
disposuit, - 7: in valle lacrimarum,
in loco quem posuit.- 8: Etenim
benedictionem dabit legislator, ibunt de virtute in virtutem: videbitur Deus
deorum in Sion.
15 «In eas maxime virtutis exercitationes incubuit, ad quas sese arduis
etiam emissis votis obstrinxit, altero scilicet suae ipsius voluntati iugiter
obsistendi, altero vero in via christiamae perfectionis semper ulterius
progrediendi.» BREV. ROM., die 10 nov., lectio 5.- Cf. Gaetano MAGENIS, Chier. Reg., Vita,
2ª ediz., Brescia, 1739, lib. 1, cap. 8, Appendice storica.
16
«Sea bendito (Dios) por todo, que he visto claro no dejar sin pagarme, aùn en
esta vida, nigùn deseo bueno.» S. TERESA, Libro
de la Vida, cap. 4. Obras, I, 25.
17
«A' 4 d' aprile dell' anno medesimo (1600),..... le fu conceduto il vedere in
paradiso la gloria del Beato Luigi Gonzaga della Compagnia del (sic) Gesù; onde
soprappresa dalla vista di sì sovrano oggetto, cominciò a parlare pausatamente,
interponendo spazio fra l' uno e l' altre, come le linee dinotano, in tal
guisa: «O che gloria ha Luigi, figliuolo d' Ignazio! Non mai l' avrei credito,
se non me lo avesse mostro Gesù mio. - Mi pare in un certo modo che non abbia
da esser tanta gloria in cielo, quanta ne veggo aver Luigi. - Io dico che Luigi
è un gran santo.- Noi abbiamo de' santi in Chiesa, i quali non credo che abbim
tanta gloria.» - Voleva intendere dell' ossa e reliquie de' santi che tengono
ne' reliquiari in Chiesa.- «Io vorrei poter andare per tutto 'l mondo, e dire
che Luigi, figliuolo d' Ignazio, è un gran santo, e vorrei poter mostrare a
ciascuno la sua gloria, perché Dio fosse glorificato. - Ha tanta gloria, perché
operò coll' interno.- Chi potrebbe mai narrare il valore e la virtù dell' opere
interne? Non c' è comparazione alcuna dall' intrinseco all' estrinseco. - Luigi
stando qua giù in terra tenne la bocca aperta a risguardi del Verbo». - Volle
dire che questo Beato amava l' ispirazioni interiori, che il Verbo mandava al
suo cuore, e quanto più poteva cercava d' eseguirle. - «Luigi fu martire incognito,
perché chi ama te, Dio mio, ti conosce tanto grande, ed infinitamente amabile,
che gran martirio gli è il vedere di non t' amare quanto desidera d' amarti, e
che non sia amato dalle creature, anzi offeso.- Si fece ancora martire da se
stesso. - O quanto amò in terra, e però ora gode Dio in cielo in una gran
pienezza d' amore. - Saettava il cuore del Verbo quando era mortale. Ora che è
in cielo, quelle saette si riposano nel cuor cuo, perché quelle comunicazioni,
che meritava con gli atti d' amore e d' unione che faceva» - quali erano le
saette - «ora l' intende e gode.» - Vedeva poi che questo santo pregava
caldamente per quelli che in terra gli avean dato aiuto spirituale, onde disse:
«Ancora io mi voglio ingegnare d' aiutar l' anime, perché se alcuna n' anderà
in paradiso, preghi per me, come fa Luigi per chi in terra gli diede aiuto.» E
quivi fornì.» PUCCINI, Vita, 1611,
parte 1, cap. 69.
18 «Ayuda mucho tener altos pensamientos
para que nos esfercemos a que lo sean las obras.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 4. Obras, III, 25. - «En otras cosillas,
que os he escrito, os he dicho esto muchas veces, y ahora os lo torno a decir y
rogar, que siempre vuestros pensamientos vayan animosos, que de aquì vernàn a
que al Senor os de gracia, para que lo sean las obras.» Conceptos del amor de Dios, cap. 2. Obras, IV, 231.
19
«Tener gran confianza, porque conviene mucho no apocar los deseos, sino creer
de Dios que, si nos esforzamos poco a poco, aunque no sea luego, podremos
llegar a lo que mucho santos con su favor.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 13. Obras,
I, 91.
20
«Quiere Su Majestad y es amigo de ànimas animosas, como vayan con humildad y
ninguna confianza de si.» Op. cit., l. c.
21 «No he visto a ninguna de èstas que
quede baja en este camino, ni ninguna alma cobarde, con amparo de humildad, que
en muchos anos ande lo que estotros en muy pocos.» Op. cit.,l. c., 91, 92.- «Veo yo
venir ahora a esta casa unas doncellas que son de poca edad....Todas juntas se
ofrecen en sacrigificio por Dios. Cuàn de buena gana les do yo aqui la ventaja,
y habìa de andar avergonzada delante de Dios; porque lo que Su Majestad no
acabò conmigo en tanta multitud de anos como ha que comencè a tener oraciòn, y
me comenzò a hacer mercedes, acaba con ellas en tres meses, y aun con alguna en
tres dias, con hacerlas muchas menos que a mì, aunque bien las paga Su
Majestad.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap.
39. Obras, I, 350, 351.
22
«Hanc autem mutationem nesciens praedicebat, dum solatiose a consociis
dominabus de ornatu sui corporis argueretur, dicentibus: «Quid erit de te,
Margarita vanissima?» Et ipsa dicebat: «Adhuc tempus veniet, in quo me
nominabitis sanctam cum sancta fuero, et visitabitis me cum baculo peregrino,
cum scarsellis pendentibus ab humeris vestris.» Quod
quidem factum cernimus.» Iunctae BEVEGNATIS,
O. M., De vita et miraculis B. Margaritae
de Cortona, cap. 1, § 3.
23 «Tunc exaltator humilium Christus
Iesus, in extatica, visione, Margaritae ostendit in ordine Seraphim tam
indicibilis speciositatis sedem quam ei dare promisit, quod eius pulchritudinem
narrare non sciens, dixit: «Magne Domine, si uni de vestris apostolis hanc
dedissetis, totum caelum mirari deberet, nedum et ieiuniis maceratum, tanta
delectatione, mentis fortitudine ac laetitia fruebatur, quod erigebatur sursum,
ac si vellet animam suam sequi. Et non sentiens aliquem de adstantibus,
clamabat dicens: «Domine mi, nunc anima mea tui degustat et sentit gloriam
paradisi.»..... Tunc audivit Christum dicentem sibi: «Tu, filia mea, dicis quod
scrutatus sum in huius saeculi abysso, et inde viliorem te extraxi, et te
vilissimam creaturam elegi; sed haec ideo feci ut parvos faciam magnos,
peccatores iustos, et vilissimos ac detestabiles pretiosos.»..... Et Dominus ad
eam: «Quia feci te rete pisces in mundi fluctibus matantes capiens: ideo non
flent solum quae tibi promittuntur pro te, sed propter populum meum dirigendum
ad me.» Id.
op., cap. 4, § 13.
24 «Siempre la humildad delante para
entender que no han de venir estas fuerzas de las nuestras. Mas es menester
entendamos còmo ha de ser esta humildad; porque creo el demonio hace muncho
dano para no ir muy adelante gente que tiene oraciòn, con hacerlos entender mal de la humildad, haciendo que nos
parezca soberbia tener grandes deseos y querer imitar a los santos y desear ser
màrtires. Luego nos dice u hace antender que las cosas de los santos son para
admirar, mas no para hacerlas los que somos pecadores. Esto tambièn lo digo yo;
mas hemos de mirar cuàl es de espantar y cuàl de imitar. Porque no seria bien
si una persona flaca y enferma se pusiese en muchos ayunos y penitencias
àsperas, yèndose a un desierto, adonde ni pudiese dormir, ni tuviese què comer u
cosas semejantes; mas pensar que nos podemos esforzar, con el favor de Dios, a
tener un gran desprecio de mundo, un no estimar honra, un no estar atado a la
haciendo.» S.
TERESA, Libro de la Vida, cap, 13. Obras, I, 92.
25
«Christo igitur iam cruci confixus Franciscus tam carne quam
spiritu, non solum seraphico amore ardebat in Deum, verum etiam sitiebat cum
Christo crucifixo multitudinem salvandorum.... Fratribus quoque dicebat:
«Incipiamus, Fratres, servire Domino Deo nostro, quia usque nunc parum
profecimus.».... Proponebat, Christo duce, se facturum ingentia.... Neque enim
languor vel desidia locum habet, ubi amoris stimulus semper ad maiora
pergurget.» S. BONAVENTURA, Legenda S.
Francisci, cap. 14: De patientia
ipsius et transitu mortis, n. 1; Opera,
VIII, ad Claras Aquas, 1898, pag. 545.
26
Questo è un punto principalissimo nella dottrina della Santa Madre, non già di
pascerci di vani desideri, ma di aver desideri sinceri e grandi, di animarci ad
eseguirli per quanto possiamo colla grazia di Dio giorno per giorno, di fidarci
poi di Nostro Signore, il quale accetterà e rimunererà il nostro amore e la
nostra volontà, ancorchè non rispondano le opere a quanto avremo desiderato. La
Santa Madre mette in guardia le sue figlie, e tutte le anime, contro quella
frode del demonio, il quale, col pretesto di desideri di grandi cose, c' induce
a tralasciare quell' operare che risponde allo stato e alle condizioni in cui
ci troviamo di presente; questa pigrizia è il segno della suggestione diabolica
e dell' illusione della fantasia. (Setimas Moradas, cap. 4: Obras,
IV, 207.) Però
non vuole S. Teresa che a quell' operare, qualunque esso sia, limitiamo il
nostro amore e la santa ambizione di servire a Gesù Cristo, onde così conchiude questa sua sublime opera Las Moradas (l. c. 208): «En fin, hermanas mias, con lo que concluyo es, que no hagamos
torres sin fundamento, que el Señor no mira tanto la grandexa de las obras,
como el amor con que se hacen; y como hagamos lo que pudièremos, harà Su
Majestad, que vamos (vayamos) pudiendo cada dia màs y màs, como no nos cansemos
luego, sino que lo poco que dura esta vida - y quizà serà màs poco de lo que
cada una piensa - interior y exteriormente ofrezcamos a el Señor el sacrificio
que pudièremos, que Su Majestad le juntarà con el que hizo en la cruz por
nosotras al Padre, para que tenga el valor que nuestra voluntad hubiere
merecido, aunque sean pequeñas las obras.» S. TERESA, Setimas Moradas, cap. 4. Obras,
IV, 208.- Sia pure l' espressione piuttosto del Ven. Palafox (Lettere di S. Teresa, Venezia, 1690, parte 1, Avviso VI, Annotazione 10, pag. 299);
sia anche parola di Nostro Signore a S. Geltrude (Lanspergio. Vita, lib. 3, cap, 89; lib. 4, cap. 21): questa è
dottrina costantemente insegnata da S. Alfonso e dalla «sua Maestra» S.
Teresa.- Vedi il nostro vol. I, Appendice,
46, pag. 445, 446, 447.
27
«Incidit ut diceret (Pontinianus, civis noster in quantum Afer, praeclare in
palatio militans) nescio quando se et tres alios contubernales suos, nimirum
apud Treveros, cum imperator pomeridiano circensium spectaculo teneretur,
exisse deambulatum in hortos muris contiguos; atque illic ut forte combinati
spatiabantur, unum secum seorsum, et alios duos itidem seorsum pariterque
digressos: sed illos vagabundos irruisse in quamdam casam, ubi habitabant
quidam servi tui (Domine), spiritu pauperes, qualium est regnum caelorum
(Matth. V, 3), et invenisse ibi codicem in quo scripta erat vita Antonii. Quam
legere coepit unus eorum, et mirari, et accendi, et inter legendum meditari
arripere talem vitam, et relicta militia saeculari servire tibi: erant autem ex
eis quos dicunt agentes in rebus. Tunc subito repletus amore sancto et sobrio
pudore, iratus sibi coniecit oculos in amicum, et ait illi: «Dic, quaeso te,
omnibus istis laboribus nostris quo ambimus pervenire? Quid quaerimus? Cuius
rei causa militamus? Maiorne esse poterit spes nostra in palatio, quam ut amici
imperatoris simus? Et ibi quid non fragile, plenumque periculis? Et per quot pericula
pervenitur ad grandius periculum? Et quando (al. Quamdiu) istuc erit? Amicus autem Dei, si voluero, ecce nunc
fio.» Dixit hoc, et turbidus parturitione novae vitae, reddidit
oculos paginis; et legebat et mutabatur intus ubi tu videbas, et exuebatur
mundo mens eius, ut mox apparuit. Namque dum legit et volvit fluctus cordis
sui, infremuit aliquando et discrevit, decrevitque meliora; iamque tuus, ait
amico suo: «Ego iam abrupi me ab illa spe nostra, et Deo servire statui; et hoc
ex hora hac, in hoc loco aggredior. Te si piget imitari, noli adversari.» Respondit
ille, adhaerere se socium tantae mercedis tantaeque militiae.... Tum Pontinianus et qui cum eo per alias horti partes deambulabant,
quaerentes eos devenerunt in eumdem locum, et invenientes admonuerunt ut
redirent, quod declinasset dies. At illi narrato placito et proposito suo, quoque
modo in eis talis voluntas orta esset atque firmata, petiverunt ne sibi molesti
essent si adiungi recusarent. Isti autem nihilo mutati a pristinis, fleverunt
se tamen, ut dicebat, atque illis pie congratulati sunt, et commendaverunt se
orationibus eorum, et trahentes cor in terra abierunt in palatium; illi autem
affligentes cor caelo manserunt in casa. Et
ambo habebant sponsas: quae posteaquam hoc audierunt, dicaverunt etiam ipsae
virginitatem tibi.» S. AUGUSTINUS, Congessiones,
lib, 8, cap. 6, n. 15. ML 32- 755, 756.- Questo racconto, come si sa, fu l' occasione di
quella parola di S. Agostino: «Surgunt indocti et caelum rapiunt,» e della sua
immediata conversione.
28 Je n' approuve nullement qu' une
personne attachèe à quelque devoir ou vacation, s' amuse à dèsirer une autre
sorte de vie que celle qui est convenable à son devoir, ni des exercices
incompatibles à sa condition prèsente; car cela dissipe le cœur et l' alanguit
ès exercices nècessaires. Si je dèsire la solitude des Chartreux, je perds mon
temps, et ce dèsir tient la place de celui que je dois avoir de me bien
employer à mon office prèsent... Or, cela s' entend des dèsirs qui amusent le
cœur; car quant aux simples souhaits, ils ne font nulle nuisance, pourvu qu'
ils ne soient pas frèquents.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dèvote, partie 3, ch. 37. Œuvres, III, Annecy, 1893, p. 261.
29 «Hàcenos entender el demonio que
tenemos una virtud, digamos de paciencia, porque nos determinamos y hacemos muy
continos atos de pasar mucho por Dios; y parècenos en hecho de verdad que lo
sufririamos, y ansi estamos muy contentas, porque ayuda el demonio a que lo
creamos. Yo os aviso no hagàis caso de estad virtudes, ni pensemos las
conocemos sino de nombre, ni que nos las ha dado el Señor, hasta que veamos la
prueba; porque acaecerà que a una palabra que os digan a vuestro desgusto, vaya
la paciencia por el suelo.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap.
38. Obras, III, 184.
30
«Soleva dire che chi non è uomo di orazione e di raccoglimento, è quasi
impossibile che arrivi a perfetta vittoria di sé medesimo, ed a grado eminente
di santità e di perfezione, come l' esperienza stessa dimostra.» CEPARI, Vita, parte 2, cap. 7.
31
«Salutatis monachis qui in exteriore erant monte, ingressusque in interiorem
montem, ubi manere solitus erat, post menses paucos in morbus incidit:
vocatisque iis qui secum erant (duobus scilicet, qui intus remanserant, per
quidecim annos asceticam agentes, atque ob senectutem illi ministrantes), ait
illis: «Equidem. Ut scriptum est, viam ingredior Patrum; video enim a Domino me
vocari. Vos autem vigilate, ac diutissimae exercitationis vestrae fructum ne perditote:
sed quasi iam eius initium poneretis, curate
vestram retinere alacritatem. Nostis insidiatores daemones,
quam sint truces quidem, sed viribus imbecilli. Ne itaque timete illos; sed Christum semper
respirate, ipsique credite; ac velut quotidie morituri vivite....» S.
ATHANASIUS, Vita S. Antonii, n. 91.
MG 26- 970.- Cf. ML 73-166: Vita B.
Antonii, auctore S. Athanasio, interprete Evagrio, cap. 58. Traduzione un
po' libera, come ce ne avvisa lo stesso Evagrio, nel suo Prologo, l. c., 125-126: «Ut nihil desit ex sensu, cum aliquid
desit ex verbis.»
32 «Proficite, fratres mei, discutite
vos semper sine dolo, sine adulatione, sine palpatione. Non enim aliquis est
intus tecum, cui erubescas, et iactes te. Est ibi, sed cui placet humilitas,
ipse te probet. Proba et te ipsum tu ipse. Semper tibi displiceat quod es, si
vis pervenire ad id quod nondum es. Nam ubi tibi placuisti, ibi remansisti. Si
autem dixeris: «Sufficit, 175 et peristi.» S. AUGUSTINUS, Sermo
169 (al. De
verbis Apostoli, 15), cap. 15, n. 18. ML 38-926.
33 «Quod si studere perfectioni, esse
perfectum est; profecto nolle proficere, deficere est.» S. BERNARDUS, Epistola 254, ad Abbatem Guarinum
Alphensem (postea episcopum Sedunensem), n. 4 ML 182-460.
34 «Nihil aeque inania reddit bona
opera, nihil ita inflat, ut eorum quae nos recte fecimus memoria. Duo enim parit mala:
negligentiores facit, et in arrogantiam tollit.» S.
IO. CHRYSOSTOMUS, In Epist. Ad Philip. (in
cap. 3, v. 13), hom. 12, n. 1. MG 62-269.
35
«Certe qui iam se perfectum putat, nihilque sibi deesse ad virtutis
perfectionem, is a cursu cessabit, quasi qui totum iam teneat: at qui se adhuc
a meta abesse cogitat, is nunquam a cursu cessat. Hoc igitur nos existimare
semper debemus, etiam si sexcenta obiverimus virtutis officia. Etenim si Paulus post sexcentas mortes, post tanta pericula, hoc secum
putabat, multo magis nos. Non animo concidi, inquit, quamvis post tantum cursum nondum
pervenerim, non ideo tamen desperavi, sed adhuc curro, adhuc certo: hoc unum
specto, ut assidue proficiam. Nam et cursor, non quot spatia confecerit
cogitat, sed quot adhuc restent. Ita et nos, non quantum in virtute progressi
simus, cogitemus, sed quantum adhuc progrediendum restet. Quid enim nobis proderit quod progressi sumus, nisi etiam quod restat
confecerimus?» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In
Epist. ad Philip. (in cap. 3, v. 14), hom. 12, n. 1. MG
62-271.
36 Qui
exspectant mortem, et non venit, quasi effodientes thesaurus. Iob III, 21.
37 «Omnes namque qui fotiendo thesaurum
quaerunt, cum fodere altius coeperint, ad laborem instantius inardescunt; quia
quo se thesauro abscondito iam iamque appropinquare aestimant, eo in effossione
enixius laborant. Qui igitur plene mortificationem suam appetunt, quasi
effodient thesaurum quaerunt, quasi effondientes thesaurum quaerunt; quia
quanto fiunt viciniores ad finem, tanto se exhibent ardentiores in opere. Laborando ergo non
deficiunt, sed magis ad usum laboris crescunt; quia quo iam praemia propinquiora
considerant, eo in opere delectabilius exsudant.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, lib. 5, cap. 5, n. 7 (in
Iob. III, 21). ML 75-683.
38
«Ingressus est autem domum illam (Cistercium) pauperem spiritu, et eo adhuc
tempore absconditam et pene nullam, inentione ibi moriendi a cordibus et
memoria hominum, et spe delitescendi et latendi tamquam vas perditum: Deo
aliter disponente et eum sibi in vas electionis praeparante, et non solum ad
Ordinem monasticum confortandum et dilatandum, sed ad portandum nomen suum
coram gentibus et regibus, et usque ad extremum terrae. Ipse vero de se nil
tale aestimans aut cogitans, potius ad custodiam cordis sui et propositi
costantiam, hoc semper in corde, frequenter etiam in ore habebat: Bernarde,
Bernarde, ad quid venisti?» GUILLELMUS, ex Abbate S. Theodorici monachus
Signiacensis, Vita S. Bernardi, lib.
1, cap. 4: Surius, De probatis Sanctorum
historiis, die 20 aug.; ML 185-238, n. 19.
39
«Da leggiera indisposizione tenuta in letto Giacinta, venne al monistero per
confessore straordinario il P. Antonio Bianchetti, francescano dell'
Osservanza, uomo venerabile e per la profondità della dottrina, e vie più per
l' esemplarità della vita e per la severità del costume. Fu a vedere l'
inferma, e chiesto da lei di confessarla, con zelo a prima sembianza
indiscreto, perché troppo rigido e severo, altamente rispose che il paradiso
non era per le persone animate dalla superbia e possedute dalla vanità.
Percossa e confusa da sì pungente rimprovero Giacinta: «Dunque, soggiunse, sarò
io condannata all' inferno?» «Sì che, seguì ella più tremante e sbigottita,
avrò lasciato il mondo per andare all' inferno? mi sarò fatta monaca per
condannare l' anima? né vi sarà maniera da trarmene, né speranza di rimedio?» «Nò,
rispose il zelantissimo Antonio, quando ne' sacri chiostri s' abusa della
divina grazia con forme secolaresche nel vivere: né vi è altra strada, che
quella di mutar vita, per meglio sperare.» Qui si spezzò affatto il cuor di
Giacinta, e dileguato il ghiaccio si diffuse per gli occhi in pianto così
abbondante ed impetuoso, che non potea vedere per troppo lagrimare, come ella
stessa poi disse..... Si alzò da letto, si confessò col venerabile Antonio, e
con amarissime lagrime detestando la vanità della sua passata vita, propose
compensarla con rigorosissima emenda.» VENTIMIGLIA, vescovo di Lipari, Vita, cap. 4. - S. Giacinta Mariscotti,
clarissa, fu canonizzata nel 1807.
40
«Cum quidam adolescens frater abbatem Agathonem requireret, dicens: «Volo permanere
cum fratribus: dic mihi quomodo habitem cum ipsis?» respondit ei senex:
«Observa prae omnibus hoc, ut qualis primo die ingredieris apud ipsos, talis
reliquum peragas tempus, et cum quiete adimplebis peregrinationem tuam. Custodi
enim ne quando fiduciam loquendi assumas, dicente Apostolo: Nemo militans Christo implicat se negotiis
saecularibus (II Tim. II).» VITA E PATRUM, lib. 7, auctore graeco incerto,
interprete Paschasio, cap. 42, n. 1.
ML 73-1057.- Cf. lib. 3, auctore probabili Ruffino,
n. 198, ib., col. 803:.... «Observa hoc prae omnibus, ut qualis primo die
ingredieris apud ipsos (fratres), talis etiam reliquos peragas dies cum
humilitate.»- Cf. etiam lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 10, n. 8, ib., col.
913.
41
«Quidam frater volens discedere in solitudinem, a matre propria prohibebatur.
Ille vero dicebat matri suae: «Permitte me, mater; salvare enim volo animam
meam.» Cum autem non posset retinere eum mater, dimisit eum. Ille vero veniens
in solitudinem, per negligentiam omnem vitam suam consumebat. Contigit autem ut moreretur mater eius. Et post tempus aliquod factus est
et ipse aegrotus, et raptus in extasi ad iudicium, invenit matrem cum his qui
iudicabantur. Illa autem cum vidisset eu, obstupuit, dicens: «Quid est hoc,
fili? Et tu in hoc loco deductus es condemnandus? Et ubi sunt illa verba quae
solebas dicere: Quoniam salvare volo animam meam?» Erubescens ergo ille in
verbis quae audiebat, stabat nihil habens quod responderet. Et ecce voce facta
ut hic revocaretur, tamquam altero iusso ex coenobio fratrum transire, reversus
ad se, omnia quae cognoverat quaeque audierat astantibus referebat. Ad
confirmationem sane verborum suorum, rogavit ut aliquis ex astantibus iret ad
monasterium, ut videret si transisset frater eiusdem nominis, de quo audierat;
qui profectus, invenit ita. Ipse vero postquam sanus effectus est, reclusit se,
et sedit cogitans de salute sua, poenitens et lacrimans super his quae fecerat
prius in negligentia. Tanta autem erat ei compunctio, ut cum multi eum rogarent
paululum requiescere, ne forsitan noxium aliquid pateretur per incessantem
fletum, ille nollet, dicens: «Si matris meae improperium non portavi,
quemadmodum praesente Christo et angelis eius in die iudicii aut improperia aut
tormenta portabo?» VITAE PATRUM, lib. 3, auctore probabili Ruffino, n. 216. ML 73-808. - Cf. lib. 5, auctore graeco incerto,
interprete Pelagio, libell. 3, n. 20. ML 73-863.
42 «Dicea.... che per l' acquisto di essa
(cioè della fermezza nelle opere buone) ottimo mezzo è la discrezione, e che
però non bisogna voler far ogni cosa in un giorno; né voler far ogni cosa in un
giorno; né voler diventar santo in quattro dì; ma che la perfezione non si
acquista se non con grandissima fatica; e soleva ridersi di quelli, che avendo
un poco di spirito, pareva lor d' esser qualche gran cosa.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 21, n. 5.
43
Aver forza, regionalismo ancora
usato.
44
«Frater quidam incidens in tentationem, tribulando perdidit regulam monachilem;
et cum iterum vellet observantiae regularis sibi principia dare, a tribulatione
impediebatur, et dicebat in seipso: «Quando habeo me ita invenire, sicut
aliquando eram?» Et deficiens animo non praevalebat vel inchoare monachi opus.
Veniens autem ad quemdam senem, narravit ei quae agebantur circa ipsum. Senex autem, audiens ea de quibus affigebatur, adhibuit ei tale exemplum,
dicens: «Homo quidam habuit possessionem, et de negligentia eius in sentibus
redacta est, et repleta est tribulis et spinis. Visum est autem ei postea ut
excoleret eam; et dixit filio suo: «Vade, et purga agrum possessionis illius.»
Et venit filius eius ut purgaret. Qui cum respexisset, vidit multitudinem
tribulorum et spinarum increvisse ei; et deficiens animo, dixit ad seipsum: «Quando
ego habeo haec omnia eradicare et purgare?» Et proiiciens se in terram coepit
dormire; hoc autem fecit multis diebus. Post haec venit pater eius videre quod
fecerat, et invenit eum nihil operatum. Et dixit ei: «Quare usque modo nihil
fecisti?» Et dixit iuvenis ille patri suo: «Mox ut veniebam operari, pater, cum
vidissem multitudinem hanc tribulorum et spinarum, revocabar ab assumptione
laboris, et prae tribulatione proiiciebam me in terra, et dormiebam.» Tunc
dixit ei pater suus: «Filii, ad mensuram latitudinis, quam iacens in terra,
occupas, per singulos dies operare, et ita paulatim proficiet opus tuum, et tu
pusillanimis non efficieris.» Quod cum audisset iuvenis, fecit sic; et in parvo
tempore purgata est et exculta possessio. Et tu ita, frater, paulatim operare,
et non deficies, et Deus per gratiam suam restituet te iterum priori ordini
tuo.» Hoc audito, frater ille abiit, et cum omni patientia sedens faciebat
sicut edoctus fuerat a sene: et sic inveniens requiem, promovebatur per Dominum
Christum.» VITAE
PATRUM, lib. 5, interprete Pelagio, libell.
7, n. 40. ML 73-902, 903.
45 «Indefessum proficiendi studium,
et iugis conatus ad perfectionem, perfectio reputatur.» S. BERNARDUS, Epistola 254, ad Abbatem Guarinum
Alpensem, n. 3. ML 182-460.
46
«Sorore... virginibus notis sibi atque fidelibus commendata atque ad
Parthenonem tradita ut illic educaretur, ipse (Antonius) ante domum suam
ascenticae vitae deinceps operam dedit, atque attentus sibi, asperum vitae
genus toleranter agebat. Nondum enim tam frequentia erant in Aegypto
monasteria, neque ullus norat monachus vastam eremum: sed quisquis sibi ipsi
vacare cuperet, is haud procul suo pago sese exercebat solus. Erat itaque tunc
temporis in vicino pago senex homo, qui a iuventute monasticam egerat vitam:
hunc cum videret Antonius, probo eius imitandi studio incensus, primum coepit
ipse in locis pago vicinis commorari. Atque hinc si quem audiret alicubi degere
ad virtutem strenuum, hunc, prudentis apis more, perquirebat, neque ante ad sedes
suas remigrabat quam hominem vidisset, atque hinc accepto ceu viatico ad
virtutis iter instituendum revertebatur.» S. ATHANASIUS, Vita S. Antonii, n. 3. MG 26-843.- Vita B. Antonii, auctore S. ATHANASIO, interprete Evagrio, n. 3. ML 73-128.- «Vetus namque
est beati Antonii admirabilisque sententia, monachum qui post coenobiale
propositum fastigia nititur perfectionis attingere, et apprehemso discretionis
examine, proprio iam potens est stare iudicio atque ad arcem anachoreseos
(vitae anachoreticae) pervenire, minime debere ab uno, quamvis summo, universa
genera virtutum expetere. Alius enim scientiae
floribus exornatur, alter discretionis ratione robustius communitur, alter
patientiae gravitate fundatur; alius humilitatis, alius continentiae virtute praefertur,
alius simplicitatis gratiae decoratur. Hic magnanimitatis, ille misericordiae, iste
vigilarum, hic taciturnitatis, ille laboris studio supereminet ceteros. Et
idcirco monachum spiritalia mella condere cupientem, velut apem prudentissimam
debere umamquamque virtutem ab his qui eam familiarius possident deflorare et
in sui pectoris vase diligenter recondere: nec quid minus aliquis habeat
discutere, sed hoc tantum quid virtutis habeat contemplari studioseque
decerpere.» Ioan. CASSIANUS, De coenobiorum
institutis, lib. 5, cap. 4. ML 49-206, 207, 208.
Precedente - Successivo
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech