- CAPO VI - Siegue la stessa materia.
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CAPO
VI - Siegue la stessa materia.
1.
Specialmente bisogna che tremi della sua perdizione quella religiosa, che
commette i difetti per l'attacco che tiene a qualche passione. Oh Dio, quante
monache per non distaccarsi da certi attacchi di terra, non si fanno mai sante,
e mettono in gran pericolo la loro eterna salute! Il fine che ha da avere una
religiosa in tutt'i suoi esercizi divoti di comunioni, di orazioni, lezioni
spirituali e simili, altro non ha da essere che di vincere le sue passioni, di
troncare gli attacchi terreni, in somma di togliere tutti gl'impedimenti che le
si oppongono nel cammino della perfezione. A questo intento dee indrizzare
tutte le sue divozioni e tutte le sue preghiere, chiedendo sempre a Dio il
distacco da tutto il creato ed una perfetta vittoria
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de' suoi malvagi
appetiti. Dee attendere per prima alla mortificazione de' sensi, e specialmente
degli occhi, della gola e della lingua. Indi dee attendere a distaccarsi dalle
passioni interne, cioè dall'affetto alla stima propria, alle robe o altri
oggetti dilettevoli. Indi dee attendere a contraddire alla propria volontà.
Finalmente dee procurare di far tutto ciò con facilità ed allegrezza: nel che
sempre ci sarà che moderare e migliorare. Alcune anime attendono bensì a
continuare le loro comunioni ed orazioni, ma in esse altro non cercano che un
certo pascolo di divozione ed una certa sensibilità spirituale, a conseguir la
quale sta tutto il loro intento; quindi nasce che sempre restano ligate dai
loro attacchi alla terra, che l'impediscono di avanzarsi nello spirito, anzi le
fanno andare sempre da male in peggio.
2.
Non è caso raro che molte di queste anime si trovino finalmente perdute in
disgrazia di Dio. Si avverta bene che l'arte usata dal demonio coll'anime
spirituali, non è di tentarle a principio a mali gravi; si contenta egli per le
prime volte, come dice S. Francesco, che l'anima si lasci attaccare con un
capello;1 poiché se da principio volesse legarla con una catena da
schiava, quella ne avrebbe orrore e fuggirebbe; ma contentandosi la sciaurata
di farsi ligare da quel picciolo capello, più facilmente riuscirà al nemico di
legarla poi con un filo, poi con una fune, e finalmente l'attaccherà con una
catena d'inferno, e la farà sua schiava. Mettiamo l'esempio: Quella religiosa,
dopo il disturbo avuto con quella sorella, conserverà nell'animo un certo
rancore, ecco il capello; indi non più le parlerà, non la saluterà, ecco il
filo; indi comincerà a dirne male e ad ingiuriarla, ecco la fune; indi,
sovraggiungendo qualche altro urto di sdegno, concepirà un odio mortale contro
colei, ed ecco la catena, per cui finalmente resterà fatta schiava del demonio.
Così similmente un'altra religiosa concepirà qualche affetto umano verso alcuna
persona, e comincerà sul principio a fomentar questo affetto col pretesto di
gratitudine; indi seguiranno i donativi a vicenda, indi le parole affettive;
indi ad un altro urto di passione resterà
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la misera ligata con una
catena di morte. In somma, siccome avviene al giuocatore che, dopo aver perdute
molte picciole somme, dice: Vada tutto, e finisce di perdere quanto ha, così
avviene all'anima tepida: dopo ch'ella avrà fatte molte picciole perdite nello
spirito, ritrovandosi finalmente inferma e debole per resistere alla
tentazione, dirà: Vada tutto, e perderà Iddio e se stessa. Oh che forza prende
il demonio contro di noi, quando ci vede ligati da qualche passione! Dice S.
Ambrogio: Tunc maxime insidiatur
adversarius, quando videt nobis passiones aliquas generari; tunc fomites movet,
laqueos parat.2 Il nemico va spiando qual'è il piacere che più ci
alletta, e quello presentandoci innanzi, muove la concupiscenza, e così ci
apparecchia la rete per guadagnarci.
3.
Quando sentiamo, dice Cassiano, qualche precipizio d'un'anima dedicata allo
spirito, non pensiamo ch'ella sia caduta alla prima tentazione, ma supponiamo
che a principio è inciampata in colpe leggiere e poi è precipitata nelle
gravi.3 Asserisce S. Giovan Grisostomo d'aver egli stesso conosciute
più persone che gli pareano ornate di tutte le virtù, e poi per non aver fatto
conto de' peccati veniali, son cadute in un abisso di vizi.4 La Ven.
Suor Anna dell'Incarnazione vide
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un'anima dannata, tenuta da lei e da
tutti in concetto di santa, con molti animaletti sul volto ch'erano stati i
suoi primi difetti, da lei disprezzati, ed intese che di questi animaletti
altri diceano: Per noi cominciasti;
altri: Per noi continuasti; altri: Per
noi ti perdesti.5 Quindi dicea la Madre Maria Vittoria Strada: Il demonio quando non può avere il molto,
si contenta del poco, e con quel poco acquista poi il molto.6 Il
serpente sul principio non tentò Eva a mangiare
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il pomo, ma solamente
a guardarlo; indi seguì a discorrere ed a mettere in dubbio la minaccia della
morte, fatta dal Signore; e poi la fe' cadere. Dice S. Teresa che 'l demonio si
contenta che un'anima gli cominci ad aprire la porta del cuore, perché poi sarà
pensiero suo di farsela aprire esso in tutto.7 E ciò prima lo disse S.
Geronimo: Diabolus non pugnat cito contra
aliquem per grandia vitia, sed per parva, ut possit quomodocumque intrare et
dominari homini, ut postea in maiora vitia eum impellat (Epist.
40).8 Il nemico non assalta subito alcuno a commetter peccati gravi, ma
leggieri, acciocché possa in qualunque modo entrar nell'anima e cominciare a
dominarla, per indurla poi a peccati maggiori. Niuno da principio, dice
similmente S. Bernardo, in un subito da buono diventa scellerato; cominciano
dai minimi difetti quei che poi precipitano ne' massimi: Nemo repente fit turpissimus; a minimis incipiunt qui in maxima
proruunt (S. Bern., Tract.
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de ord. vitae).9 Una piccola
scintilla non subito spenta manderà a fuoco tutta la selva: Ecce quantus ignis [quam] magnam silvam
incendit! (Iac. III, 5). Viene a dire: una passione non mortificata manderà
l'anima in ruina.
4.
E qui inoltre bisogna avvertire sopra tutto che quando una religiosa cade in
qualche peccato mortale, la sua caduta la metterà in gran pericolo
dell'abbandono di Dio, poiché il suo peccato non sarà come il peccato de'
secolari che peccano fra le tenebre del mondo, ma sarà peccato di malizia,
mentre vien commesso in mezzo alla luce ricevuta per mezzo di tante prediche,
comunioni, meditazioni, esempi delle buone sorelle, avvertimenti di padri
spirituali e delle superiore; onde non potrà allegare ignoranza o debolezza,
dopo che ha ricevuti tanti lumi ed ha avuti tanti mezzi per rendersi forte, se
voleva. Secondo insegna S. Tommaso, questo propriamente è il peccato di
malizia, il peccato che si elegge con piena cognizione della sua
deformità.10 E perciò una tal colpa porta seco una gran ruina, perché
quanto maggiore sarà stata la luce donata all'anima che la commette, tanto
maggiore sarà l'accecazione. Inoltre dice l'Angelico che 'l peccato tanto
cresce di peso, quanto è più grande l'ingratitudine di chi lo fa.11
Quali grazie
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e favori Dio non ha fatti ad una religiosa? Egli l'ha
tolta da mezzo ai pericoli del mondo e le ha dato luogo nella sua casa, mentre
tutt'i monasteri sono case di Dio; egli l'ha separata dalla turba delle serve e
l'ha fatta sua sposa; ed a tal fine poi l'ha arricchita di tanti lumi, di tanti
aiuti esterni ed interni per farla santa; egli se l'è donato tante volte nella
santa comunione; spesso le ha parlato familiarmente nelle meditazioni, nelle
visite, nelle lezioni spirituali: l'ha sollevata in somma dalla valle e l'ha
posta sul monte. Ed ella con tutto ciò ha voluto voltargli le spalle e
diventargli nemica. Misera! la sua caduta non sarà per lei caduta, ma ruina;
chi cade al piano, difficilmente si fa gran male; ma chi cade da un monte, non
si dice che cade, ma che precipita: Ruina
quae de alto est, graviori casu colliditur, dice S. Ambrogio.12 E
questo stesso esprime Dio per Ezechiele, dicendo: Posui te in monte sancto Dei... et peccasti; et eieci te de monte Dei
et perdidi te (Ezech. XXVIII, 14 et sequ.). Ingrata, dirà Dio alla
religiosa, io ti ho collocata nel monte mio santo, e tu di là hai voluto
precipitarti nel peccato; restane dunque perduta, mentr'io per la tua
ingratitudine ti ho discacciata dalla mia faccia. Dicea la gran Serva di Dio
Suor Maria Strozzi: Dio vuole che le
persone religiose sieno lo specchio di tutto il mondo. Ond'elle, essendo
chiamate ad una perfezione non ordinaria, fan troppo disonore a Dio, facendo
una vita imperfetta. Il peccato di una religiosa, soggiungea, mette orrore al
paradiso ed obbliga Dio a voltarle le spalle, mentr'egli ripudia tali spose
infedeli, che mancano al patto fatto nella loro professione, e quindi
miseramente le abbandona in mano delle loro sregolate passioni.13
Oh quanto è difficile la conversione di
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un'anima che prima ha gustato
Dio e poi gli ha voltate le spalle!
5.
Torniamo al punto. Bisogna dunque che la religiosa tremi di farsi ligare dal
demonio con qualunque passione e qualunque minimo peccato, che può apportare
conseguenze di ruina: tremi, dico, che ogni picciolo attacco possa esser causa della
sua dannazione. Chi va appresso a cose
perdute, sarà anch'ella perduta, dicea S. Teresa;14 e con molta
ragione lo dicea, mentr'ella, benché non avesse commessa mai colpa grave, con
tutto ciò Iddio le fe' vedere il luogo apparecchiatole nell'inferno, se non si
fosse distaccata da un certo affetto, quantunque non impuro, ch'ella avea preso
ad un suo parente.15 L'uccello quando è sciolto, subito vola; ma quando
è ligato, ancorché da un picciolo filo, giace e giacerà sempre qual rospo vile
dentro del fango. E così una religiosa, quando è libera da ogni attacco
terreno, vola e volerà sempre a Dio; ma sempre che sta attaccata a qualche
affetto di mondo, non si alzerà mai da terra, e anderà sempre da male in
peggio, sino a perdersi in tutto. Bisogna in somma persuadersi che la salvezza
d'una religiosa dipende dal fuggire anche le colpe leggiere, specialmente
quando son molte ed abituate; poiché tanti piccioli ruscelli componeranno un
fiume, dov'ella miseramente si perderà. I suoi difetti continuati, de' quali
non fa conto, la faranno a poco a poco cadere nello stato di tepidezza; del
quale parlando il Signore, scrisse al vescovo di Sardi per mezzo di S. Giovanni
così: Scio opera tua; quia neque frigidus
es, neque calidus (Apoc. III, 15). Ecco lo stato d'una religiosa tepida:
non ardisce ella di voltare affatto le spalle a Dio, ma frattanto non fa conto
delle colpe leggiere, ne commette molte alla giornata, impazienze, bugie,
mormorazioni,
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golosità, imprecazioni, avversioni covate nel cuore,
attacchi alle robe, alle grate, alle curiosità, alla stima propria, alla
propria volontà: e di queste sue imperfezioni non se ne prende pena né pensiero
di emendarsene. Utinam frigidus esses!
soggiunse il Signore, sed quia tepidus
es, neque frigidus es neque calidus, incipiam te evomere ex ore meo (Apoc.
loc. cit.).16 Disse: Utinam
frigidus esses! viene a dire: Meglio fossi affatto privo della mia grazia,
perché vi sarebbe più speranza di rimedio; ma restando tu nella tua tepidezza,
starai in maggior pericolo di dannarti, poiché facilmente dopo quella caderai
in qualche vizio mortale, con poca speranza di rialzartene.
6.
S. Gregorio, parlando d'un peccatore non ancor convertito, ne dà speranza; ma
parlando di un'anima tepida, che non teme della sua tepidezza, ne dispera: Tepor qui a fervore defecit, in desperatione
est.17 E la ragione sta in quel che seguì a dire il Signore nel
citato luogo: Sed quia tepidus es,
incipiam te evomere. Una bevanda quando è fredda o quando è calda,
facilmente si trangugia; ma non quando è tepida, perché la tepida muove a
vomito. In questo rischio sta l'anima tepida, d'esser vomitata dà Dio, cioè
abbandonata dalla sua grazia. Ciò appunto significa il vomito, Incipiam te evomere, poiché quello che
si vomita, si ha orrore a ripigliarlo. - E come, dimando, comincia Iddio a
vomitare l'anima? Lascerà egli di darle, come solea, quei lumi vivi di fede,
quelle consolazioni spirituali, quei desideri santi e quelle chiamate amorose;
ed indi l'anima comincerà a lasciar l'orazione, le comunioni, le
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visite, le preghiere: o pure le farà con gran tedio, svogliatezza e
distrazione: farà tutto a forza, dissipata, inquieta e senza divozione. Ecco
come il Signore comincerà a vomitarla: sicché la misera, non trovando mai alcun
sollievo in tutt'i suoi esercizi divoti, ma solo pena e rincrescimento,
finalmente abbandonerà tutto, e si rilascerà in colpe gravi. La tepidezza in
somma è una febbre etica, la quale appena si conosce, ma conduce senza rimedio
alla morte. L'anima ch'è caduta nella tepidezza, non pensa a corregger le sue
colpe; ma queste la fanno poi così insensibile ai rimorsi di coscienza che un
giorno si troverà perduta, senza che neppure se ne sia avveduta.
7.
Dunque, mi dirà quella povera religiosa che ritrovasi in tal miserabile stato
di tepidezza, dunque per me non v'è più
speranza di salute? giacché, come dite, mi è quasi impossibile di uscire da
queste mie miserie. Ma udite quel che vi risponde per me Gesù Cristo: Quae impossibilia sunt apud homines,
possibilia sunt apud Deum (Luc. XVIII, 27): Quel ch'è impossibile agli
uomini, non è impossibile a Dio. Chi prega e prende i mezzi, ottiene tutto.
Veniamo
ai mezzi. - Se le colpe sono indeliberate e di fragilità, queste, come abbiam
detto da principio, non sono di gran danno, sempre che le detestiamo con
umiltà. E qui bisogna avvertire che circa i difetti che commettiamo, vi sono
due sorte d'umiltà: una santa che la dona Iddio, l'altra maligna che la dà il
demonio. L'umiltà santa è quella per cui l'anima conosce le sue imperfezioni e
si confonde ed annichila innanzi a Dio, se ne duole e le detesta, ma con pace;
e dal vedere le sue miserie non si perde d'animo né s'inquieta, ma, confidando
in Dio, s'infervora a compensare le sue mancanze con maggiori ossequi ed opere
di pietà. L'umiltà maligna all'incontro è quella che mette l'anima in rivolta,
e la riempie d'inquietudini e diffidenze, e con ciò la rende debole e quasi
inabile ad ogni bene. Ecco quel che ne dice S. Teresa (in Vita cap. 30) su
questo punto: La vera umiltà, benché
l'anima si conosca per cattiva, nulladimanco non viene con sollevazione ne
inquieta il cuore, anzi consola. L'affligge bensì allora per l'offese fatte a
Dio, ma dall'altro canto le dilata il seno a sperare la sua misericordia.
L'anima ha luce per confonder se stessa e per lodare Iddio che tanto l'ha
sopportata. Ma in quest'altra umiltà che mette il demonio, non v'è luce per
alcun bene:
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par che Dio metta tutto a fuoco e sangue. È un'invenzione
del demonio delle più sottili che ho conosciute di lui.18
8.
In questa sorta dunque di colpe, che sono inevitabili secondo la debolezza
umana, ben dice S. Bernardo che siccome è colpevole la trascuraggine, così
ancora è riprensibile il timore smoderato: In
huiusmodi quasi inevitabilibus (culpis) et negligentia culpabilis est et timor
immoderatus (S. Bern., Serm. 1 in Coena Dom.).19 Dobbiamo pertanto
detestare simili colpe, ma non dobbiamo per quelle perderci d'animo; poiché il
Signore facilmente le perdona, quando l'anima le abborrisce. Septies cadit iustus et
resurget (Prov. XXIV, 16). Chi cade
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per fragilità,
facilmente risorge, cadit et resurget.
Dice S. Francesco di Sales che i difetti quotidiani, siccome indeliberatamente
si commettono, così pure indeliberatamente si tolgono.20 Lo stesso
prima scrisse S. Tommaso, dicendo che tali colpe implicitamente si cancellano, cum aliquis ferventer movetur in Deum
(III p. q. 87, a. 3),21 cioè per gli atti buoni che suole far l'anima
spirituale d'amore verso Dio, di rassegnazione, di offerta e simili. Soggiunge
l'Angelico nel luogo citato che operano ancora la remissione di tali peccati
leggieri i sagramentali, come il recitare il Pater noster, il Confiteor, il
percuotersi il petto, la benedizione del Vescovo, il prender l'acqua benedetta,
l'orazione fatta nella chiesa consagrata; e sopra tutto l'operano i santi
sagramenti e specialmente la santa comunione,22 della quale scrive S.
Bernardino da Siena: Contingere potest
quod tanta devotione mens per sumptionem Sacramenti absorbeatur, quod ab
omnibus venialibus expurgetur (Serm. IV,
art. 3, cap. 2).23
- 133 -
9.
Ciò corre a rispetto de' peccati indeliberati. Se poi per disgrazia accade che
la persona commetta qualche colpa veniale deliberata, ma di rado, neppure dee
perdersi d'animo e disturbarsi. Procuri ella di darvi subito riparo col
pentimento e colla risoluzione di non cadervi più. E ritornando a cadere,
rinnovi sempre il pentimento e 'l proposito, confidando in Dio, il quale, se
l'anima seguirà a far così, finalmente la libererà da tali cadute volontarie.
Dicea S. Filippo Neri che 'l negozio di farsi santo non è negozio d'un
giorno.24 Chi non lascia il cammino incominciato per giungere alla
perfezione, non diffidi, perché col tempo vi giungerà. Iddio permette alle
volte che commettiamo tali mancanze, per farci conoscere la nostra debolezza ed
anche le scelleraggini nelle quali inciamperessimo, se egli ci togliesse le
mani da sopra. Tali colpe dunque, anche deliberate, ma commesse di rado,
neppure apportano gran danno, almeno non cagionano ruina. Quelle colpe nonperò,
come di sovra abbiamo considerato, facilmente possono esser di ruina, che si
commettono deliberatamente ed abitualmente, benché siano veniali; e
specialmente se si commettono per qualche attacco di passione, senza detestarle
e senza prendersi pensiero d'emendarsene; perché queste suppongono l'anima
caduta nello stato di tepidezza, dal quale, come abbiam veduto, sarà molto
difficile il sollevarsi. Ma se mai qualche religiosa si ritrovasse in tal
miserabile stato, vediamo i mezzi che ha da prendere per uscirne.
10.
Per 1. Bisogna che abbia un vero desiderio di liberarsene. E se mai neppure
avesse questo desiderio, almeno preghi Dio che ce lo conceda, fidata sulla di
lui promessa: Petite et accipietis.25
- 134 -
Per
2. Procuri di conoscere i suoi difetti e particolarmente il suo vizio
predominante. Per esempio, se taluna ha stima di se stessa, se ha desiderio di
comparire, se spesso dice parole autorevoli o di propria lode, se si disturba
in qualunque umiliazione o disattenzione che riceve, già conoscerà che in lei
domina la superbia. In un'altra dominerà l'amor proprio, se s'accora d'ogni picciola
infermità, se s'infastidisce di ogn'incomodo che le accade, se cerca di ben
trattarsi nel vitto, non potendo soffrire altri cibi che quelli che sono
conformi al suo genio. In un'altra dominerà la collera, se in ogni cosa
contraria s'inquieta e ne sparla e se ne lamenta. In un'altra dominerà la
pigrizia, se per ogni leggiera causa lascia l'orazione, la comunione o il coro
e cose simili.
11.
Per 3. Conosciuto che avrà il suo vizio predominante, dee fare una forte
risoluzione di liberarsene e superarlo a tutto petto sino a distruggerlo: Percuties eas usque ad internecionem
(Deut. VII, 2). Dicea S. Teresa: Il
Signore non vuol da noi più che una forte risoluzione, per fare poi egli tutto
dal canto suo.26 In altro luogo dice la santa che delle anime
risolute ha paura il demonio:27 sicché di quell'anime che hanno certi
buoni desideri, ma non si risolvono, il demonio non ha paura. All'incontro
dicea la santa che il Signore ben dà il suo aiuto ad ogni anima, perduta che
sia, la quale con vera risoluzione si dedica tutta al suo amore.28
Queste son quelle
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risoluzioni che debbono fare le religiose
nell'orazione. Dicea la medesima S. Teresa:
Io vorrei orazione di poco tempo che cagiona effetti grandi, più che quella di
molti anni, in cui l'anima non finisce di risolversi.29 Ed in
verità, a che serve quell'orazione nella quale ci contentiamo di far solamente
certi affetti divoti e certe preghiere generali fatte a stampa, ma non mai ci
risolviamo a toglierci i difetti, che già conosciamo esserci d'impedimento alla
perfezione?
12.
Per 4. Una delle risoluzioni più necessarie dee esser quella di toglier le
occasioni delle nostre mancanze. Il demonio si ride di tutti i nostri propositi
e promesse, sempreché non fuggiamo l'occasione. Dimandato una volta un demonio,
qual predica fra tutte più gli dispiacesse, rispose: Quella
dell'occasione.30 Consideri dunque la religiosa quale occasione sia
l'incentivo de' suoi difetti: se la familiarità con quella persona che sta
fuori o dentro il monastero, se il trattenersi in quel luogo, se il mantener
quella corrispondenza di lettere o di regali e simili. Dice S. Teresa che se
l'anima non si allontana da' divertimenti del mondo, presto tornerà ad
allentarsi nella via del Signore.31 All'incontro dice che, tolte le
occasioni cattive,
- 136 -
subito l'anima si rivolterà ad amare
Dio.32 E dà la santa un'altra bella regola, dicendo che le religiose
non debbono comunicare le loro tentazioni che coll'anime le quali amano la
perfezione; perché se le comunicano colle imperfette, faranno danno a se stesse
ed alle altre.33
13.
Per 5. La religiosa dee specialmente attendere a fare atti di virtù opposti
alle sue male inclinazioni, che più la molestano e la fan cadere in difetti.
Per esempio, chi si sente inclinata alla superbia dee con modo particolare
proponere e procurare di umiliarsi con tutti, e di soffrire le umiliazioni che
riceve: chi si sente inclinata alla gola, procuri di astenersi quanto può dal
soddisfarla; e così parimente parlando degli altri vizi. E giova molto perciò
quel che avverte Cassiano, cioè il rappresentarci nell'orazione le occasioni
che possono accaderci, come di ricevere qualche oltraggio o che ci si faccia
qualche torto; ed allora bisogna proponere di umiliarci e
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rassegnarci
al voler divino.34 Queste preparazioni, fuorché in materia
d'incontinenza, oh quanto giovano per tener pronta l'anima a soffrire
gl'incontri che le avvengono improvvisamente! Così poi i santi nelle occasioni
si son trovati pronti a soffrire con pace ed allegrezza tutte le derisioni,
ingiurie, percosse ed ingiustizie che loro sono state fatte.
14.
Per 6. Molto giova il far l'esame particolare sopra quel vizio che più ci
predomina, con imporci qualche penitenza ogni volta che vi cadiamo. E bisogna
non lasciar di combatterlo, finché non vediamo il vizio abbattuto, animandoci
col divino aiuto a dire con Davide: Persequar
inimicos meos, et comprehendam illos; et non convertar, donec deficiant
(Psal. XVII, 38): Io perseguiterò i miei nemici e li abbatterò e non cesserò di
combatterli, finché non sieno disfatti. Del resto con tutto ciò, dice S.
Bernardo, voi v'ingannate, per qualunque avanzo che facciate nella virtù, se
pensate che, vivendo in questo corpo
- 138 -
mortale, i vostri vizi sieno
morti; perché saranno depressi per qualche tempo, ma sempre poi ripullulano: Quantumlibet in hoc corpore manens
profeceris, erras, si vitia putas mortua et non suppressa (S. Bern., Serm.
LVIII in Cant.).35 Quindi avverte Cassiano che bisogna sempre vegliare,
acciocché il vizio non ritorni a pigliar piede; poiché se tu allenti il rigore,
egli senza meno ritornerà, e ritornerà con più forza a dominarti.36
15.
Sovra tutto, per vincere qualunque nostro difetto, bisogna diffidare affatto
delle nostre forze e diligenze, e mettere tutta la confidenza in Dio, dicendo
con Davide: Non enim in arcu meo sperabo,
et gladius meus non salvabit me (Psal. XLIII, 7): Non metterò speranza
nell'arco mio, né la mia spada basterà a salvarmi. Se mettiamo confidenza ne'
nostri propositi ed industrie, sarà fatica perduta; perché è necessario che ci
aiutiamo sempre a pregare per ottenere il divino aiuto, replicando
continuamente: Signore, misericordia; Dio mio, assistetemi. È promessa di Dio
di dare a chi domanda e di farsi trovare da chi lo cerca: Petite et accipietis; quaerite et invenietis (Luc. XI,
9).37 Ma, replico, bisogna pregar sempre e non lasciar di pregare: Oportet semper orare et non deficere
(Luc.
- 139 -
XVIII, 1). In quel tempo che lasceremo di pregare,
saremo vinti. All'incontro se persevereremo a pregare con vero desiderio di
aver la grazia, benché non ci vedessimo fatti già vincitori, non però senza
meno la vittoria sarà nostra.
1
«Diabolus, (inquit), si de suo capillum potest habere in homine, cito
excrescere facit in trabem.» S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 5, n. 5. Opera, VIII, ad Claras Aquas, 1898, pag. 517.
2
S. AMBROSIUS, De officiis ministrorum,lib.
1, cap. 4, n. 15. ML 16-28.
3
«QUOD NEMO RUINA SUBITANEA COLLABATUR. Lapsus vero quispiam nequaquam subitanea
ruina corruisse credendus est, sed aut pravae institutionis deceptus exordio,
aut per longam mentis incuriam paulatim virtute animi decidente, et per hoc
sensim vitiis increscentibus easu miserabili concidisse. Ante contritionem enim praecedit ruina, et ante ruinam mala cogitatio (Prov.
XVI); quemadmodum domus numquam subitameo ad ruinam procumbit impulsu, nisi,
aut antiquo vitio fundamenti, aut longa inhabitantium desidia, stillicidiis
primum parvissimis penetrantibus corrupta sensim fuerint munimenta tectorum,
quibus per vetustam negligentiam in maiorem modum patefactis atque collapsis,
ubertim post haec influit pluviarum imbriumque tempestas. In pigritiis enim humiliabitur contignatio, et in segnitie manuum
stillabit domus (Eccl. X). Quod animae spiritaliter evenire idem Salomon
aliis verbis ita designat: Stillicidia, inquiens,
eiiciunt hominem in die hiemali de domo
sua (Prov. XXVII), Eleganter ergo mentis incuriam domati comparavit
tectoque neglecto, per quam primo quidem velut minutissima quaedam penetrant ad
animam stillicidia passionum, quae si velut parva ac levia negligantur,
corrumpunt tigna virtutum, et post haec, influunt imbre largissimo vitiorum:
per quem in die hiemali, id est, in tempore tentationis, ingruente impugnatione
diaboli, expelletur mens de habitatione virtutum, in qua scilicet aliquando
circumspecta diligentia se retinens, velut in domo propriae possessionis
requieverat.» CASSIANUS, Collatio 6,
cap. 17. ML 49-667, 668.
4
«Novimus enim multos ad ipsius caeli verticem conscendisse, omnes virtutes
numero habuisse, deserta deviaque loca a vita hominum aliena coluisse, ac
denique feminam neque in somnis quidem vidisse, et tamen negligentia lapsos ad
vitiorum barathrum devenisse.... Quorum omnium.... plenae
sunt Scripturae,.... plena est hominum vita.» S. Io. CHRYSOSTOMUS, In Matthaeum hom. 27. Interprete Aniano. Opera, II, fol. 91, col. 2, 3. Venetiis, 1583.- In Matthaeum hom.
26 (al. 27), n. 5: MG 57-340.- Si noti che nella traduzione
(più conforme al testo greco) della MG, non vi è, a principio, quel «Novimus»;
comincia così: «Multi qui ad ipsum caeli verticem ascenderant....». Ma quel che
segue, cioè: «His exemplis plenae sunt Scripturae, plena hominum vita,» è un sufficiente richiamo all' esperienza
personale del Grisostomo, e può dirsi, con S. Alfonso, che parla, tra altre, di
persone da lui conosciute.
5
«La consolazione che le recavano queste visioni, e quelle d' altre molte anime,
quali vidde uscire dal purgatorio, cambiavasi in pena molto amara: perocchè volle
(il Signore) che parimente vedesse l' infelicità di altre nell' inferno; e tre
fra queste, che, essendo state delle maggiori del mondo, per la dignità
malamente amministrata, erano state precipitate in quell' abisso. Ma più di
tutte le recò sentimento quella d' una persona, quale ella aveva conosciuta in
stato molto perfetto, e dipoi vidde nell' inferno investita da terribili
fiamme, e che da diverse bestie, altre maggiori, ed altre minori, era come
baciata nel volto. Dicevano le minori: «Per noi cominciasti;» replicavano le
maggiori: «Per noi divenisti peggiore e ti dannasti.» Da ciò ella trasse una
più viva ed esatta ponderazione, sì per sé come per le sue suddite, dei
piccioli mancamenti, mentre sono disposizione a grandi; e parimente un gran
motivo per umiliarsi, riconoscendo quanto poco possiamo fidarci della virtù,
ancorchè ben fondata.» GIUSEPPE DI S. TERESA, Riforma dei Scalzi di N. S. del Carmine, IV, Parma, 1701: lib. 15,
cap. 8, n. 2.- La Ven. M. Anna dell' Incarnazione fu dalla S. M. Teresa vestita
dell' abito del Carmelo ai 30 di luglio 1573, in Pastrana; morì nel monastero
di Granata ai 9 di febbraio 1618.
6
«La Madre Maria Vittoria Strada,» cioè la Beata (beatificata nel 1828) Maria
Vittoria Fornari Strata, fondatrice dell' Ordine della SS. Annunziata, detto
«delle Turchine» (+ 1617). Questa frase non si ritrova in alcuna delle Vite della Beata, neppure in quelle
manoscritte che si conservano nei due monasteri delle «Turchine» in Genova,
fondati dalla Beata, neppure in quelle manoscritte che si conservano nei due
monasteri delle «Turchine» in Genova, fondati dalla Beata; fuorchè in quella
recente, in francese, scritta dal P. Francesco
Dumortier, redentorista, il quale, per altro, non cita altra fonte che
questo passo di S. Alfonso.- Crediamo doversi attribuire questo detto piuttosto
alla Ven. Donna Camilla Borghese Orsini, nata nel 1603, la quale sposò D.
Marcantonio Borghese, e poi, fatta vedova, prese l' abito delle Turchine col
nome di Maria Vittoria per divozione alla fondatrice, e fondò anch' essa un
monastero dell' Ordine in Roma. E' vero che il suddetto testo non si rintraccia
in nessuna delle due Vite, gentilmente
comunicateci da Mgr Ugo Buoncompagni
Ludovisi, l' una recentissima scritta da lui, l' altra antica; ma nel Compendio della Vita della Venerabile
(Giacobetti delle Scuole Pie, Roma, 1842), pag. 118, si accenna a questo
pensiero, come al tema preferito dalla santa Priora nelle sue esortazioni alle
sue figlie: «Colmava di celestiale conforto gli animi delle sue soggette con
ragionamenti piissimi e pieni di spirituale unzione; nei quali specialmente
raccomandava si guardassero dalle picciole mancanze, dalle quali è troppo
facile passare alle gravi.»
7
«Ya os dije otra vez (cioè Camino de
perfecciòn, cap. 38, 39) que (il modo di agire del demonio) es como una
lima sorda, que hemos menester entenderle a los principios;» e ciò la Santa
Madre lo dimostra con esempi. S. TERESA, Moradas
primieras, cap. 2. Obras, IV,
Burgos 1917, pag. 20, 21.- «Digo que si esta alma se estuviese siempre asida a
la voluntad de Dios, que està claro que no se perderia; mas viene el demonio
con unas sotilezas grandes, y debajo de color de bien, vala desquiciando en
poquitas cosas de ella, y metiendo en algunas que èl le hace entender que no son
malas, y poco a poco esureciendo el entendimiento, y entibiando la voluntad, y
haciendo crecer en ella el amor propio, hasta que de uno en otro la va
apartando de la voluntad de Dios y llegando a la suya.» Moradas quintas, cap. 4, pag. 96.- «No ha menester el demonio màs de ver una porta pequeña abierta. para
hacernos mil trampantojos.» Moradas sextas, cap. 9. Obras, IV, 167.
8 «Nolite, ait (Apostolus), dare locum diabolo, qui, tamquam leo
rugiens, quaerit aditum per quem possit irrumpere. Quomodo enim Pater et Filius
stant ante ostium, et pulsant, ut introëant, et coenent cum eo qui se receperit
(Apoc. III); ita et adversarius semper in nos est paratus irrumpere, et cum
locum dederimus, ingreditur. Solet autem, antequam veniat, quaedam facula praemittere,
et praecursorem adventus sui facere cogitationem: hanc si nos in corde nostro
susceptam nutrierimus intrinsecus, et crescere fecerimus, cum in nobis prolem
suam auctam viderit, et ipse audebit intrare. Denique in Iudae Iscariot cor
primam iecit sagittam, ut traderet Salvatorem, quam si exceptam ille
miserabilis non fovisset, numquam post intinctum Satanas.» S. HIERONYMUS, Commentarii in Epist. ad Ephesios, lib.
2, in cap. IV, v. 27. ML 26-511.
9
«Mens Deo dicata sic caveat minora vitia ut maiora; quia a minimis incipiunt
qui in maxima proruunt.» De ordine vitae,
cap. 11, n. 37. ML 184-582. - Questo trattato non è di san Bernardo, ma d'
ignoto autore, dell' Ordine di S. Benedetto.- «Sane
nemo repente fit turpissimus: et vix aliquis in hunc affectum nequitiae nisi
prava consuetudine pertransivit.» GAUFRIDUS Abbas, Declamationes de colloquio Simonis cum Iesu, ex S. BERNARDI sermonibus collectae, § 15, n. 18. ML
184-447.
10 «Peccatum.... in humanis actibus
contingit quandoque, sicut ex defectu intellectus- puta cum aliquis per
ignorantiam peccat- ex defectu appetitus sensitivi- sicut cum aliquis ex
passione peccat, - ita etiam ex defectu voluntatis, qui est inordinatio ipsius.
Est autem voluntas inordinata, quando minus bonum magis amat. Consequens autem
est ut aliquis eligat pati detrimentum in bono minus amato, ad hoc quod
potiatur bono magis amato.... Et secundum hoc aliquis scienter vult aliquod
malum spirituale, quod est malum simpliciter, per quod bonum spirituale
privatur, ut bono temporali potiatur. Unde dicitur ex certa malitia, vel ex industria
peccare, quasi scienter malum eligens.» S.
THOMAS, Sum. Theol., I-II, qu. 78,
art. 1, c.
11 «Duplex est peccatum. Quoddam ex
subreptione proveniens.... et tale peccatum minus imputatur ei qui est maior in
virtute, eo quod minus negligit huiusmodi peccata reprimere... Alia vero peccata sunt ex
deliberatione procedentia. Et ista peccata tanto magis alicui imputantur,
quanto maior est. Et hoc potest esse propter quatuor... Secundo, propter
ingratitudinem: quia omne bonum quo quis magnificatur, est Dei beneficium, cui
homo fit ingratus peccando. Et quantum ad hoc, quaelibet maioritas, etiam in
temporalibus bonis, peccatum aggravat: secundum illud Sap. VI, 7: Potentes potenter tormenta patientur.» IDEM, Sum. Teol., I-II, qu.
73, art. 10, c.
12
«Ut levius est de plano corruere, sic gravius fit, qui de sublimi ceciderit
dignitate; quia ruina quae de alto est, graviori casu colliditur.» De dignitate sacerdotali (inter Opera S. Ambrosii, ma questo trattato
non è di S. Ambrogio), cap. 3. ML 17-571.
13
«Vedete a che gran dignità siete state chiamate: che gran vocazione è la
vostra. Dio si dichiara che vuole che i religiosi siano lo specchio di tutto il
mondo. Penetriamo bene che richiesta è questa che Dio ci fa, e al vedere quanto
ne siamo state sin ora lontane, mettiamoci con ogni sforzo possibile a
corrispondere da vero, acciò non siamo nella religione come figure vestite, e
dentro di noi non siamo se non fumo, piene di difetti e imperfezioni, perchè
disgustiamo troppo Dio e gli facciamo troppo disonore.» Vita di Suor Maria Minima Strozzi. Anonima, Firenze, 1701, pag.
190.- Suor Maria Minima Strozzi, al secolo Camilla, nacque a Firenze nel 1617,
professò nel monastero di S. Maria degli Angeli (2 febbr. 1635) ed ivi morì il
19 nov. 1672, vera imitatrice di S. M. Maddalena dei Pazzi.
14 «Bien viene aquì, que es perdido
quien tras perdido anda. ¿ Y què màs perdiciòn, y què màs ceguedad, què màs
desventura que tener en mucho lo que no es nada?» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 34. Obras, I, 291.
15
«Estando un dia en oraciòn, me hallè en un punto toda, sin saber còmo, que me
parecia estar metida en el infierno. Entendi que querìa el
Señor que viese el lugar que los demonios allà me tenian aparejado, y
yomerecido por mis pecados....» S. TERESA, Libro
de la Vida, cap. 32, I, 263.- Dell' affetto della santa verso questo
parente o altro, vedi sopra, capo III, nota 11, pag. 65.
16 Utinam
frigidus esses aut calidus! sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus,
incipiam te evomere ex ore meo. Apoc. III, 15, 16.
17 «Calidus quippe est qui bona studia
et arripit et consummat; frigidus vero est qui consummat; frigidus vero est qui
consummanda nec inchoat. Et sicut a frigore per teporem transitur ad calorem,
ita a calore per teporem reditur ad frigus. Quisquis ergo amisso infidelitatis
frigore vivit, sed nequaquam tepore superato excrescit ut ferveat, procul dubio
calore desperato, dum noxio in tempore demoratur, agit ut frigescat. Sed sicut
ante teporem frigus sub spe est, ita post frigus tepor in desperatione. Qui
enim adhuc in peccatis est, conversionis fiduciam non amittit. Qui vero post
conversionem tepuit, et spem quae esse potuit de peccatore subtraxit. Aut
calidus ergo quisque esse, aut frigidus quaeritur, ne tepidus evomatur; ut
videlicet aut necdum conversus, adhuc de se spem conversionis praebeat, aut iam
conversus in virtutibus inardescat; ne evomatur tepidus, qui a calore quem
proposuit torpore ad noxium frigus redit.» S. GREGORIUS MAGNUS, Regulae pastoralis liber, pars 3, cap.
34 (al. 58), in fine. ML 77-119.
18 «Todas las mercedes que me habia
hecho el Señor se me olvidaban; sòlo quedaba una memoria, como cosa que se ha
soñado, para dar pena; porque se entorpece el entendimiento de suerte, que me
hacia andar en mil dudas y sospecha, parecièndome que yo no lo habia sabido
entender, y que quizà se me antojaba, y que bastaba que anduviese yo engañada,
sin que engañase a los buenos. Pareciame yo tan mala, que cuantos males y
herejias se habian levantado, me parecia eran por mis pecados.- Esta es una
humilidad falsa que el demonio inventaba para desasosegarme y probar si puede
traer el alma a desesperaciòn. Tengo ya tanta expiriencia que es cosa de demonio, que, como ya ve que
le entiendo, no me atormenta en esto tantas veces como solia. Vese claro en la
inquietud y desasosiego con que comienza, y el alboroto que da en el alma todo
lo que dura, y la escuridad y affliciòn que en ella pone, la sequedad y mala
dispusiciòn para oraciòn ni para ningùn bien. Parece que ahoga el alma y ata el
cuerpo, para que de nada aproveche, porque la humildad verdadera, aunque se
conoce el alma por ruin, y da pena ver lo que somos, y pensamos grandes
encarecimientos de nuestra maldad, tan grandes como los dichos, y se sienten
con verdad, no viene con alboroto, ni desasosiega el alma, ni la escurece, ni
da sequedad, antes la regala, y es todo a el revès, con quietud, con suavidad,
con luz. Pena que por otra parte conforta de ver cuàn gran merced la hace Dios
en que tenga aquella pena, y cuàn bien empleada es. Duèlele lo que ofendiò a
Dios; por otra parte la ensancha su misericordia. Tiene luz para confundirse a
sì, y alaba a Su Majestad porque tanto la sufriò. En esotra humildad que pone
el demonio, no hay luz para ningùn bien, todo parece lo pone Dios a fuego y a
sangre. Represèntale la justicia, y aunque tiene fe que hay misericordia,
porque no puede tanto el demonio que la haga perder, es de manera que no me
consuela, antes cuando mira tanta misericordia le ayuda a mayor tormento,
porque me parece estaba obligada a màs.- Es una una invenciòn de
el demonio, de las màs penosas, y sutiles y disimuladas que yo de entendido de
èl.» S. TERESA,
Libro de la Vida, cap. 30. Obras, I, 240, 241.
19
«Verumtamen haec nemo contemnat aut parvipendat.... Nemo, inquam, perniciosa
securitate dormitet, declinans in verba malitiae ad excusandas excusationes in
peccatis, quoniam, ut audivit Petrus ab ipso, nisi laverit ea Christus, non
habebimus partem cum eo. Nec ideo tamen pro eis necesse est nimis esse
sollicitos; ignoscet facile, imo et libenter, si modo nos agnoscamus. In
huiusmodi namque, quasi inevitabilibus, et negligentia culpabilis est, et timor
immoderatus.» S. BERNARDUS, Sermo in
Coena Domini, n. 5. ML 183-274.
20 «Ne vous troublez point de quoi vous
ne remarquez pas toutes vos menues chutes pour vous en confesser; non, ma
Fille, car, comme vous tombez souvent sans vous en apercevoir, aussi vous vous
relevez sans vous en apercevoir... Ne vous mettez donc pas en peine pour
cela... Pour ce que vous n' aurez pas remarquè, remettez-le à la douce
misèricorde de Celui-là qui met la main
audessous de ceux qui tombent sans malice afin qu' ils ne se froissent
point (Ps. XXXVI, 24), et les relève si vitement et doucement qu' ils ne s'
aperçoivent pas, ni d' être relevès, parce qu' elle les a retirès si soudain
qu' ils n' y ont point pensè.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 1382, à Madame de la
Valbonne. Œuvres,XVIII, Annecy, 1912.- Cf. CAMUS, Esprit de S. François de Sales, partie 15, ch. 18.
21«Ad remissionem venialis peccati non
requiritur nova gratiae infusio, sed sufficit aliquis actus procedens ex
gratia, quo aliquis detestetur peccatum veniale, vel explicite, vel saltem
implicite, sicut cum aliquis ferventer movetur in Deum.» S. THOMAS, Sum. Theol., III, qu. 87, art. 3,
c.
22
«Et ideo triplici ratione aliqua causant remissionem venialium peccatorum: uno
modo in quantum in esi infunditur gratia; quia per infusionem gratiae tolluntur
venialia peccata, ut supra dictum est (art. praecedenti). Et hoc modo per
Eucharistiam et extremam Unctionem, et universaliter per omnia sacramenta novae
Legis, in quibus confertur gratia, peccata venialia remittuntur. Secundo in
quantum sunt cum aliquo motu detestationis peccatorum; et hoc modo confessio
generalis (i. e. Confiteor), tunsio
pectoris et oratio dominica operantur ad remissionem venialium peccatorum; nam
in oratione dominica petimus: Dimitte
nobis debita nostra. Tertio modo in quantum sunt cum aliquo motu
reverentiae in Deum et ad res divinas; et hoc modo benedictio episcopalis,
aspersio aquae benedictae, quaelibet sacramentalis unctio, oratio in ecclesia
dedicata, et si aliqua alia sunt huiusmodi, operantur ad remissionen venialium
peccatorum.» IDEM, ibid.
23
«Hoc Sacramentum vim habet venialia
remittendi.... Non tamen oportet quod semper omnin venialia deleantur, sed
tantum secundum variam mensuram devotionis. Contingere tamen potest quod tanta
devotione mens per sumptionem Sacramenti in Domino absorbeatur, quod ab omnibus
venialibus expurgetur, ac perfecte configuretur solari claritati dulcissimi
Iesu Christi. Hunc tamen perfectionis effectum plurimum impedit vaga distractio
mentis, et accessus ad Sacramentum cum proposito venialia committendi.» S.
BERNARDINUS SENENSIS, Sermones de Christo
Domino, sermo 12, de SS. Eucharistiae
Sacramento, art. 2, cap. 1, Opera, IV,
Venetiis, 1745.
24
«Dicea....che.... non bisogna voler far ogni cosa in un giorno; nè voler
diventar santo in quattro dì; ma che la perfezione non si acquista se non con
grandissima fatica; e soleva ridersi di quelli, che avendo un poco di spirito,
pareva loro d' esser qualche gran cosa.» BACCI, Vita, lib. 2, cap, 21, n. 5.
25
Io. XVI, 24.
26
«Bien claro entiendo que era poco lo que hacia de mi parte, mas no quiere màs
Dios de esta determinaciòn para hacerlo todo de la suya.» S. TERESA, Las Fundaciones, cap.
28. Obras, V, 252.- «Pues ¿ que es esto que hacemos por Vos, Señor, Hacedor nuestro? Que es tanto como nada, una
determinacioncilla. Pues si lo que no es nada quiere Su Majestad que merezcamos
por ello el Todo, no seamos desatinadas.» Camino
de perfecciòn, cap. 16. Obras, III,
77, 78.
27
«(El demonio) ha gran miedo a ànimas deteminadas.... y si conoce a uno por
mudable, y que no està firme en el bien y con gran determinaciòn de perseverar,
no le dejarà a sol ni a sombra; miedos le pornà, y inconvenientes, que nunca
acabe.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap.
23, Obras, III, 110.
28 «Me parece que ayuda Dios a los que
por El se ponen a mucho, y que nunc falta a quien en El solo confia.» S. TERESA, Relaciones espirituales, Relaciòn primera.
Obras, II, 7.- «Cada una (delle monache del monastero di S. Giuseppe
«paradiso di delizie» per Nostro Signore) se halla indina de haber merecido
venir a tal lugar; en especial algunas que las llamò el Señor de mucha vanidad
y gala de el mundo.... A otras ha mudado de biem en mijor. A las de poca edad,
da fortaleza.... A las que son de màs edad y con poca salud, da fuerzas.... ¡
Oh Señor mio, còmo se os parece que sois poderoso!... Dais a
entender bien que no es menester màs de amaros de veras y dejarlo de veras todo
por Vos, para que Vos, Señor mio, lo hagàis todo fàcil. Bien viene aquì decir
que fingis trabajo en vuestra ley.» Libro de la Vida, cap. 35. Obras, I, 301.
29
«No entiendo otra cosa ni la querria entender, sino que oraciòn de poco tiempo,
que hace efetos muy grandes- que luego se entienden, que es imposible que los
haya pa dejarlo todo, sòlo por contentar a Dios, sin gran fuerza de amor- yo la
querria màs que la de muchos años, que nunca acabò de determinarse màs a el
postrero que al primero, a hacer cosa que sea mada por Dios.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 39. Obras, I, 351.
30
«Una volta, interrogato (il demonio) da un esorcista, qual predica più gli
desse noia, dopo molta ripugnanza rispose: «Quella dell' occasione,» perchè
questa dà alle radici del male.» S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, Manuale sacro, parte 1, n. 4, pag. 19,
Roma, 1734.
31
«Hay otra manera de amistad y paz, que comienza a dar Nuestro Señor a unas
personas, que totalmente no le querrian ofender en nada, aunque no se apartan
tanto de las ocasiones, tienen sus ratos de oraciòn: dales Nuestro Neñor
ternuras y làgrimas, mas no querrian ellas dejar los contentos desta vida, sino
tenerla buena y concertada, que parece para vivir acà con descanso, les està
bien aquello. Esta vida tray consigo hartas mudanzas; harto serà si duran en la
virtud; porque no apartandose de los contentos y gustos del mundo, presto
tornaràn a aflojar en el camino del Señor, que hay grandes enemigos para
defendèrnosle. No es èsta, hijas, la amistad que quiere la Esposa: tampoco ni
vosotras la queràis. Apartaos siempre de cualquier ocasioncita, por pequeña que
sea, si querèis que vaya creciendo el alma, y vivir con seguridad. No sè para
què os voy diciendo estas cosas si no es para que entendàis los peligros que
hay en no desviarnos con determinaciòn de las cosas del mundo todas, porque
ahorrariamos de hartas culpas y de hartos trabajos.» S.
TERESA, Conceptos del amor de Dios, cap.
2, Obras, IV, 233, 234.
32 «Que, por amor de Dios, nos quitemos
de las ocasiones, que el Señor nos ayudarà, como ha hecho a mi.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 32. Obras, I, 266. - Nel capo 2 del Libro de la Vida, narra la Santa Madre
come, nella stessa casa paterna, trovò occasioni che l' allontanarono dal primo
fervore, e come ne fu liberata coll' entrare come convittrice nel convento
delle Agostiniane. E soggiunse: «En ocho dias, y aun creo menos, estaba muy màs
contenta que en casa de mi padre.... Aun con todo esto no me dejaba el demonio
de tentar, y buscar los de fuera còmo me desasosegar con recaudos. Como no
habia lugar, presto se acabò, y comenzò mi alma a tornarse a acostumbrar en el
bien de mi primera edad.» Obras, I,
14.- Specialmente poi, nel capo 9, parlando della sua totale conversione,
scrive: «Comenzome a crecer la afliciòn de estar màs tiempo con El (Dios), y a
quitarme de los ojos laas ocasiones, porque
quitadas, luego me volvia a amar a Su Majestad.» Obras, I, 66.- «Las que de esta manera se pudieren encerrar en este
cielo pequeño de nuestra alma, adonde està el que le hizo, y la tierra, y
acostumbrar a no mirar ni estar adonde se destrayan (distraigan) estos sentidos
exteriores, crea que lleva ecelente camino, y que no dejarà de llegar a heber
el agua de la fuente, porque camino mucho en poco tiempo.... Estàn màs siguros de muchas ocasiones;
pègase màs presto al fuego del omor divino, porque con poquito que soplen
con el entendimiento, como estàn cerca del mesmo fuego con una centellica que
le toque, se abrasarà todo. Come no hay embarazo de lo exterior, estàse sola el
alma con su Dios; hay gran aparejo para encenderse.» Camino de perfecciòn, cap. 28. Obras,
III, 130, 132.
33
«Tus tentaciones e imperfeciones no comunisque con las màs desaprovechadas de
casa, que te haràs dañ a ti y a las otras, sino con las màs perfetas.» Avisos, 67. Obras, VI, 53.
34 «Cum se igitur impatientiae sive irae
perturbationibus incursari illis quae supra ostendimus indiciis unusquisque
deprehenderit, contrariis semetipsum semper obiectionibus exerceat, et
propositis sibi multimodis iniuriarum dispendiorumque generibus velut ab alio
sibimet irrogatis, assuefaciat mentem suam, in omnibus quae inferre improbitas
potest, perfecta humilitate succumbere; atque aspera sibi quaeque et
intolerabilia frequenter opponens, quanta eis occurrere debeat lenitate omni
iugiter cordis contritione meditetur. Et ita respiciens ad illas sanctorum
omnium sive ipsius Domini passiones, universa non solum conviciorum, sed etiam
poenarum genera, inferiora meritis suis esse pronuntias, ad omnem se dolorum
tolerantium praeparabit. Cumque aliquando ad coetus fratrum aliqua fuerit
invitatione revocatus... si mentem suam etiam pro levibus quibusque rebus
deprehenderit tacita conscientia fuisse commotam, ut quidam occultorum motuum
severissimus censor, mox sibi illa durissima iniuriarum genera, quibus ad
perfectam tolerantiam semetipsum quotidianis meditationibus exercebat,
exprobret, atque ita se... increpans alloquatur: «Tunc ille es, bone vir, qui, dum
te in illa solitudinis tuae exerceres palaestra, omnia superaturum mala
praesumebas....?... Quomodo ingentem certaminis apparatum exigua hostis umbra conterruit?»
Tali ergo semetipsum compunctionis animadversione condemnans, inultam animi sui
commotiunculam esse non sinat, sed arctione carnem suam ieiunii ac vigiliarum
correptione castigans... id quod ad plenum excoquere in coenobii conversatione
debuerat, in solitudine constitutus hoc exercitationis igne consumat.» Io.
CASSIANUS, Collatio 19, cap, 14. ML
49- 1143-1144.- «Contra fornicationis vero spiritum diversa ratio, et dispar
est causa. Nam quemadmodum corpori usus libidinis carnisque vicinitas, ita
etiam menti memoria eius est penitus subtrahenda. Satis
enim perniciosum est adhuc infirmis aegrisque pectoribus vel tenuissimam
recordationem huius passionis admittere.... Quod enim experimentum huiuscemodi
hominibus potest in hac ratione suppetere, ubi et in experimento ipsum est quod
vitatur, et in ipsa exploratione discrimen?» IDEM, Collatio
19, cap. 16. ML 49-1146. 1148.
35
«Quis ita ad unguem omnia a se superflua resecavit, ut nil se habere putet
putatione dignum? Credite mihi, et putata repullulant, et effugata redeunt, et
reaccenduntur extincta, et sopita denuo excitantur. Parum est ergo semel
putasse; saepe putandum est, imo, si fieri possit, semper; quia semper quod
putari oporteat, si non dissimulas, invenis. Quantumlibet in hoc corpore manens
profeceris, erras si vitia putas emortua, et non magis suppressa. Velis, nolis,
intra fines tuos habitat Iebusaeus (Iudic. I, 21); subiugari potest, sed non
exterminari.» S. BERNARDUS, In Cantica sermo
58, n. 10. ML 183-1060.
36
Dopo aver riferito il luogo del Vangelo sullo spirito immondo, il quale, uscito
dall' uomo, torna poi con sette spiriti peggiori di sè, continua il Cassiano:
«De hoc septenario fomite vitiorum Salomon quoque in Proverbiis ita describit: Si te rogaverit inimicus tuus voce magna, ne
consenseris ei, septem enim nequitiae sunt in anima eius (Prov. XXVI); id
est, si superatus gastrimargiae spiritus coeperit tibi sua humiliatione
blandiri, rogans quodammodo ut aliquid relaxans a coepto fervore impertias ei,
quod continentiae modum et mensuram iustae districtionis excedat, ne resolvaris
eius subiectione, nec arridente impugnationis securitate, qua videris paulisper
a carnalibus incentivis factus quietior, ad pristinam remissionem vel
praeteritas gulae concupiscentias revertaris. Per hoc enim dicit spiritus ille
quem viceras: Revertar in domum meam unde
exivi (Luc. XI). Et procedentes ex eo confestim septem spiritus vitiorum,
erunt tibi acriores quam illa passio quae in primordiis fuerat superata, qui te
mox ad deteriora pertrahent genera peccatorum.» IO.
CASSIANUS, Collatio 5, De octo
principalibus vitiis, cap. 25. ML 49-641.
37 Petite
et accipietis. Io. XVI, 24. Quaerite et
invenietis. Luc. XI, 9.
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