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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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CAPO VIII - Della mortificazione esterna de' sensi.

1. Non v'è rimedio: noi poveri figli di Adamo abbiamo da stare in una continua guerra sino alla morte. Caro enim concupiscit adversus spiritum, spiritus autem adversus carnem (Gal. V, 17): La carne ambisce quel che non vuole lo spirito, e lo spirito ambisce quel che dispiace alla carne. Ma se è proprio de' bruti l'attendere a soddisfare i sensi, e degli angeli l'attendere a far la divina volontà, con ragione dice un dotto autore che se noi attendiamo a fare la volontà di Dio, diventeremo angeli; ma se attendiamo a contentare i sensi, diventeremo bruti. O l'anima si ha da mettere sotto i piedi il corpo, o il corpo si metterà sotto i piedi l'anima. Dobbiamo pertanto noi trattare il nostro corpo come un cavaliere tratta un cavallo furioso, tenendolo sempre colla briglia tirata, acciocché non lo precipiti; o pure come il medico tratta l'infermo, a cui impone ciò che rifiuta, cioè i rimedi, e nega i cibi e le bevande nocive che domanda. Certamente che quel medico il quale non curasse di far prendere all'infermo le medicine, perché sono amare, e gli concedesse ciò che gli nuoce, perché gli piace, sarebbe egli un crudele; e questa è la gran crudeltà che usano i sensuali coll'anime loro, mentre per non far patire qualche poco il corpo nella presente vita, mettono a gran pericolo le loro anime e i loro corpi ancora, di farli patire tormenti assai maggiori per una eternità. Ista caritas, dice S. Bernardo, destruit caritatem; talis misericordia crudelitate plena est; quia ita corpori servitur ut anima iuguletur (In Apol. ad Guiliel.):1 Questa falsa


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carità distrugge la vera carità, che noi dobbiamo usare verso noi stessi: una tal compassione verso il corpo è piena di crudeltà, poiché si serve al corpo in modo che si dà morte all'anima. Quindi parlando il medesimo santo a quegli uomini carnali che deridono i servi di Dio, i quali mortificano la loro carne, dice: Simus nos crudeles, interim non parcendo, et vos parcendo crudeliores (S. Bern., Serm. 10, in Psal. Qui hab.):2 Ci contentiamo noi d'esser crudeli col nostro corpo, affliggendolo colle penitenze, ma molto più crudeli siete voi, contentandolo in questa vita, poiché nell'altra lo condannerete insieme coll'anima a molto più patire in eterno. Saggiamente perciò quel buon solitario, come riferisce il P. Rodriguez, il quale molto maceravasi colle penitenze, interrogato perché tanto affliggesse il suo corpo, rispose: Vexo eum qui oexat me:3 Tormento quel nemico che tormenta me e mi vuol dar morte. Così parimente rispose l'abbate Mosè a chi lo riprendea


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delle tante sue asprezze: Quiescant passiones, quiescam et ego:4 Quando finirà la mia carne di molestarmi, allora finirò io di mortificarla.

2. Dunque, se vogliamo salvarci e dar gusto a Dio, bisogna mutar palato: bisogna che ci piacciano quelle cose che ricusa la carne, e ci dispiacciano quelle che la carne domanda. Così appunto disse un giorno il Signore a S. Francesco d'Assisi: Se desideri me, piglia le cose amare per dolci e le dolci per amare.5 Né serve a dire, come dicono taluni, che la perfezione non consiste in affliggere il corpo, ma in mortificare la volontà. Risponde a costoro il P. Pinamonti così: Neppure il frutto d'una vigna consiste già nell'avere una siepe di spine, ma con tutto ciò la siepe e quella che custodisce il frutto, e senza quelle spine il frutto mancherebbe, secondo dice l'Ecclesiastico (XXXVI, 27): Ubi non est sepes, diripietur possessio: dove non v'è siepe, il territorio andrà in rovina.6


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S. Luigi Gonzaga, quantunque fosse di poca sanità, era così avido di macerare il suo corpo, che altro non cercava che mortificazioni e penitenze: e a chi gli disse una volta che non consisteva in quelle la santità, ma nell'annegazione de' propri voleri, saggiamente rispose colle parole del Vangelo: Haec oportet facere et illa non omittere (Matth. XXIII, 23).7 Volendo dire che quantunque è necessario mortificare la propria volontà, nondimeno ancora è necessario mortificare il corpo, per tenerlo a freno e ubbidiente alla ragione. Perciò dicea l'Apostolo: Castigo corpus meum et in servitutem redigo (I Cor. IX, 27). Quando il corpo non è mortificato, difficilmente sarà ubbidiente alla legge. Quindi dicea S. Giovanni della Croce, parlando di taluni che poco amano le penitenze e si fan poi maestri di spirito agli altri, e disprezzano e sconsigliano le mortificazioni esterne: Chiunque si vedesse insegnar dottrina di remissione circa la mortificazione della carne, non gli si dia fede, benché la confermasse co' miracoli.8


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3. Sono gran nemici della nostra eterna salute il mondo e 'l demonio, ma il peggior nemico ch'abbiamo, è il nostro corpo, perch'è nemico che sta dentro la casa. Dice S. Bernardo: Magis nocet domesticus hostis (De Anima, cap. XV).9 Una piazza assediata non ha peggiori nemici di coloro che tiene di dentro, poiché da essi è più difficile di guardarsi che dagli altri che stanno di fuori. Dicea pertanto il B. Giuseppe Calasanzio: Non bisogna far più conto del corpo, che d'uno straccio di cucina.10 Ed in fatti così han praticato i santi con se stessi. Siccome gli uomini del mondo non studiano altro che di soddisfare i loro corpi co' piaceri sensuali, così all'incontro le anime amanti di Dio non istudiano altro che di mortificare, sempre che possono, la loro carne. S. Pietro d'Alcantara diceva al corpo suo: Corpo mio, quietati, io in questa vita non voglio darti alcun riposo, altro da me non avrai che tormenti: quando poi saremo in paradiso, ivi riposerai con quel riposo che non ha più fine.11 Lo stesso praticò S. Maria Maddalena de' Pazzi, dicendo nell'ultimo della sua vita, di non ricordarsi di aversi preso mai alcun piacere, se non solamente in Dio.12 Leggiamo pure le Vite de' santi, e vediamo ivi le penitenze ch'essi han fatte, e vergogniamoci poi d'esser noi


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così delicati e riserbati nell'affliggere la nostra carne. Leggesi nelle Vite de' Padri antichi (Lib. I, in Vita S. Euphras.) che vi era un monastero numeroso di monache, le quali non gustavano né frutti né vino: alcune non prendeano cibo che da una sera all'altra: alcun'altre non si cibavano se non dopo due o tre giorni di rigorosa astinenza: tutte poi vestivano di cilizio, e sopra il cilizio dormivano.13 Io non pretendo ciò dalle religiose d'oggidì; ma che gran cosa è, che una monaca almeno facciasi la disciplina più volte la settimana? che porti qualche catenella sulle carni fino ad ora di pranzo? che nel verno in qualche giorno della settimana, e nelle novene di sua divozione, non si accosti al fuoco? e si astenga da' frutti e da' dolci? e che nel sabbato faccia il digiuno in pane ed acqua, o almeno si contenti d'una sola vivanda in ossequio della Madre di Dio?

4. Ma dirà taluna: Io sono inferma, e perciò il direttore mi proibisce tutte le penitenze. - Bene, ubbidite: ma almeno abbracciate con pace tutte le molestie delle vostre infermità, e gl'incomodi che apportano le stagioni di caldo e di freddo. E se non potete mortificare il vostro corpo con penitenze positive, almeno astenetevi da qualche piacere lecito. S. Francesco Borgia, andando a caccia co' falconi, in atto che l'uccello stava per investire la preda, bassava gli occhi, e si privava di quella veduta.14 S. Luigi Gonzaga privavasi ancora di mirare gli spettacoli


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più curiosi delle feste in cui si trovava.15 Queste e simili mortificazioni, perché non potete farle ancor voi? Il corpo, quando gli son negati i gusti leciti, non avrà ardire di cercare gl'illeciti; all'incontro coloro che voglion pigliarsi tutte le soddisfazioni lecite, presto caderanno in prendersi alcun piacere che non è lecito. Oltreché diceva il gran Servo di Dio il P. Vincenzo Carafa della Compagnia di Gesù, che 'l Signore ci ha donate le delizie di questa terra non solo acciocché ne godiamo, ma a fine ancora che noi avessimo onde essergli grati, donandogli i suoi medesimi doni, col privarcene, per dimostrargli il nostro amore.16 È vero che certi piaceri innocenti par che aiutino la nostra debolezza umana e ci rendano più atti agli esercizi spirituali; ma bisogna star persuaso che i piaceri sensuali, per sé parlando, sono veleni dell'anima, poiché l'attaccano alle creature; ond'è che questi piaceri si han da prendere, come si prendono i veleni. Anche i veleni talvolta giovano alla sanità del corpo, quando son ben preparati


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e molto moderati; ma sempre son rimedi composti da' veleni, e perciò si han da prendere con molta cautela e moderazione, e senza attacco, ma solo per necessità, affine di poter servire meglio Dio.

5. Inoltre bisogna che stiamo attenti a non fare che, per liberarci dalle infermità del corpo, abbiamo a tenere inferma l'anima, la quale sarà sempre inferma, quando ella non tiene mortificata la carne. Dicea S. Bernardo: Compatior infirmitatibus corporum, sed amplius metuenda infirmitas animarum (Epist. 321):17 Compatisco le infermità de' corpi, ma più compatisco le infermità delle anime, che sono assai più pericolose e da temersi. Oh quante volte alcuna infermità del corpo ci serve per pretesto a prenderci qualche libertà che non sarebbe necessaria! Scrive S. Teresa, avvertendo in ciò le sue monache: Lasciamo il coro un giorno perché ci duole la testa; l'altro perché ci è doluta; altri tre poi perché non ci dolga (Camm. di perfect. cap. 10).18 Onde la santa poi nel capo seguente così avvertiva le sue figlie: Siete venute non ad accarezzarvi, ma


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a morire per Gesù Cristo.19 Se non ci risolviamo d'inghiottire il mancamento di sanità, non faremo mai niente. Che importa che muoiamo? Quante volte ci ha burlato questo corpo? e noi non ci burleremo alcuna volta di lui?20 Diceva ancora il B. Giuseppe Calasanzio: Guai a quel religioso che ama più la sanità che la santità!21 S. Bernardo stimava esser cosa indecente a' religiosi infermi il prender medicine di valore; dicea bastare ad essi i decotti dell'erbe.22 Io non pretendo ciò dalle monache, ma dico che difficilmente può esser molto spirituale una monaca che continuamente cerca medici e rimedi, e non si contenta talvolta neppure di quel che dice il medico ordinario, e perciò tiene inquieto tutto il monastero. Dice Salviano: Homines Christo dediti infrmi sunt et volunt esse; si fortes fuerint, sancti esse vix possunt:23 Le persone dedicate all'amore di Gesù Cristo, specialmente le religiose sante, per lo più stanno inferme di corpo - leggete le Vite di S. Teresa, di S. Rosa, di S. Maria Maddalena de' Pazzi e simili - e tali vogliono essere, altrimenti dice Salviano, difficilmente possono farsi sante. La Ven. Beatrice dell'Incarnazione, prima figlia spirituale di S. Teresa, stando piena d'infermità e di dolori, dicea che non avrebbe cambiato il suo stato colla principessa più felice di questa terra; e con tutto che tanto patisse, non si lagnava mai; onde le disse per ischerzo un'altra religiosa: «Sorella mia, voi mi sembrate uno di quei poveri che si muoiono di fame, ma più tosto vogliono patir la loro fame che


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avere il rossore di manifestare la loro povertà».24 Quindi ricaviamone che se noi non possiamo fare molte mortificazioni corporali, per cagione della debole nostra sanità, almeno abbracciamoci quelle infermità che c'invia il Signore. Queste abbracciate con pazienza, forse meglio che le penitenze volontarie, ci condurranno alla perfezione dello spirito. Dicea santa Sincletica: Siccome per le medicine si cura l'infermità del corpo, così per l'infermità del corpo si curano i vizi dell'anima (In Vit. Patr. lib. 3, c. 36).25

6. Oh quanti beni apportano allo spirito le mortificazioni del corpo! - Elle ci distaccano da' gusti del senso che feriscono e spesso danno anche morte all'anima. Vulnera caritatis, diceva Origene, non faciunt sentire vulnera carnis (In Cant. c. 3).26 Di più le mortificazioni ci fanno soddisfare in questa


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vita le pene de' nostri peccati. A chi ha offeso Dio, sebbene è perdonata la colpa, resta nondimeno il dover soddisfare la pena temporale; e chi non la soddisfa in questa vita, l'ha da pagare nell'altra al purgatorio. Ma ivi le pene saranno immensamente più grandi. In tribulatione maxima erunt, nisi poenitentiam... egerint (Apoc. II, 22): Quei che non avranno fatta penitenza de' loro peccati, patiranno tormenti massimi nell'altro mondo. Narra S. Antonino che ad un infermo fu proposto dall'angelo se volea star nel purgatorio per tre giorni o pure in letto per due anni con quell'infermità che pativa. L'infermo elesse i tre giorni di purgatorio; ma essendovi stato appena un'ora, si lagnava coll'angelo che in vece di tre giorni avesse fatto passare più anni. L'angelo gli rispose: «Che dici? Il tuo corpo ancora è caldo sul letto dove sei morto, e tu parli di anni?»27 Per tanto se voi volete patire con pace, figuratevi


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di dover vivere quindici o venti altri anni, e dite: Questo è il mio purgatorio; non l'ha da vincere il corpo, ma lo spirito.

7. Inoltre le mortificazioni sollevano l'anima a Dio. Dicea S. Francesco di Sales che non potrà mai l'anima sollevarsi a Dio, se la carne non è mortificata e depressa.28 E S. Teresa diceva su questo punto diverse belle sentenze: Il pensare che Dio ammetta alla sua familiarità gente comoda, è sproposito.29 Regalo ed orazione non si compatiscono insieme.30 Anime che da vero amano Dio non possono dimandar riposo.31

8. Inoltre le mortificazioni ci acquistano una gran gloria in cielo. Dicea l'Apostolo: Se i lottatori si astengono da tutte le cose che possono diminuire le loro forze, e così impedire la vittoria d'una corona misera temporale, quanto più noi dobbiam mortificarci per acquistare una corona immensa ed eterna? Illi quidem ut corruptibilem coronam accipiant, nos autem incorruptam (I Cor. IX, 25). Vide S. Giovanni tutt'i beati colle palme nelle mani: Et palmae in manibus eorum (Apoc. VII, 9). Con ciò dobbiamo intendere che, per salvarci, tutti abbiamo da esser martiri, o di ferro per mezzo de' tiranni o di mortificazione per mezzo di noi stessi. Ma bisogna intendere insieme che quanto soffriamo quaggiù, tutto è niente a confronto della gloria eterna che ci aspetta in paradiso: Non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam, quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Queste brevi e poche mortificazioni in somma ci frutteranno un'eterna e piena felicità:


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Momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17).

9. Ravviviamo dunque la fede. Poco ci abbiamo da stare su questa terra. La casa nostra è l'eternità, dove più goderà chi più si sarà mortificato in vita. Dice S. Pietro che i beati sono le pietre vive, delle quali è composta la celeste Gerusalemme;32 ma queste pietre prima debbon lavorarsi sulla terra collo scarpello della mortificazione, come canta la santa Chiesa:

Scalpri salubris ictibus

Et tunsione plurima,

Fabri polita malleo

Hanc saxa molem construunt.33

Figuriamoci pertanto che ogni atto di mortificazione è una scarpellata o sia un lavoro di paradiso. Questo pensiero ci renderà dolce ogni pena ed ogni fatica. Chi sapesse che acquista tanto territorio quanto in un giorno giunge a camminarne, quanto gli riuscirebbe dolce e desiderabile la fatica di quel cammino? Narrasi nel Prato Spirituale che un certo monaco voleva mutar la sua cella per averne un'altra più vicina all'acqua. Ma andando una volta a prender l'acqua dalla cella antica, intese che uno da dietro gli contava i passi; si voltò, e vide un giovanetto che gli disse: «Io sono l'angelo che numero i tuoi passi, acciocché niuno di loro resti senza premio». Sentendo ciò il monaco non pensò più a mutar la cella, ma forse desiderò che fosse più lontana, per poter più meritare.34


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10. Ma non solo nell'altra vita, anche in questa godono pace e contenti le religiose mortificate. E che maggior contento può avere un'anima amante di Dio, che, mortificandosi, saper che dà gusto a Dio? La stessa privazione de' gusti del senso, la stessa pena ad un'anima amante è delizia: delizia non già del senso, ma dello spirito. L'amore non sa stare ozioso. Chi ama Dio non sa vivere senza dargli continuamente contrassegni del suo affetto. E non può l'anima dare a Dio maggior contrassegno d'amarlo, che con privarsi de' piaceri temporali ed offerirgli le sue pene. Eh che un'anima innamorata di Gesù Cristo non patisce no nel mortificarsi! Chi ama non fatica, dice S. Agostino: Qui amat, non laborat (In manual).35 «E chi poi sarà, dice S. Teresa, che, vedendo Gesù Cristo coverto di piaghe ed afflitto da persecuzioni, non le abbracci e desideri?»36 Perciò dice S. Paolo ch'egli non volea altra gloria e delizia che di abbracciarsi colla croce di Gesù Cristo: Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi (Gal. VI, 14). Questo è il contrassegno, dicea, per distinguere coloro che amano o non amano Gesù Cristo: Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis (Gal. V, 24): Quei che sono del mondo, attendono


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a soddisfar la loro carne; ma quei che sono di Gesù Cristo, attendono a macerarla e crocifiggerla.

Concludiamo per voi, sorella benedetta. Pensate che la vostra morte si accosta, e poco sinora avete acquistato per lo paradiso. Procurate dunque almeno da oggi avanti di mortificarvi quanto potete, almeno privandovi di quelle soddisfazioni che vi cerca l'amor proprio. E non lasciate passarne alcuna occasione che ne abbiate, come vi avvisa lo Spirito Santo: Particula boni doni non te praetereat (Eccli. XIV, 14). Pensate che quella occasione di mortificarvi è un dono che vi fa Dio per potervi acquistare più merito nell'altra vita; e pensate che quello che potete far oggi, non lo potete far domani, perché il tempo che scorre non più ritorna.

11. Voglio qui in fine mettervi avanti gli occhi, per animarvi alla penitenza, quello che vide S. Giovanni Climaco in quel monastero di monaci, chiamato carcere de' penitenti, appunto secondo egli poi lo descrisse (In Scala Parad. Gradus)37: «Vidi, dice il santo, alcuni di essi starsene tutta la notte fermi in piedi all'aria scoperta, combattendo col sonno. Vidi altri tener gli occhi fissi in cielo, e chiedere piangendo a Dio pietà; altri ligati colle mani dietro le spalle, starsene col capo chino, come indegni di alzare gli occhi in cielo. Altri starsene sulla cenere, col capo tra le ginocchia, e percuotendo la terra colla fronte. Altri inondare il pavimento colle lagrime. Altri starsene ai raggi cocenti del sole. Altri bruciare di sete, contentandosi d'un solo sorso d'acqua per non morire. Altri prendere un boccone di pane, e poi gettarlo via, dicendo che non merita cibi d'uomini chi ha fatte opere di bestia. Altri colle guance solcate dalle continue lagrime. Altri cogli occhi scarnati e riconcentrati dentro. Altri battersi talmente il petto, che sputavano sangue. Tutti poi vidi colle facce sì pallide e maciate che parevano cadaveri».38 Finalmente


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conchiude il santo dicendo ch'egli stimava più felici quei penitenti che dopo esser caduti si maceravano con tante penitenze, che gli altri che si ritrovavano senza cadute, ma senza


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penitenza.39 Ma che dovrà dirsi poi di quei peccatori che si trovano caduti e senza penitenza?




1 «Ecce enim parcitas putatur avaritia, sobrietates austeritas creditur, silentium tristitia reputatur. E contra remissio discretio dicitur; effusio, liberalitas; loquacitas, affabilitas; cachinnatio, iucunditas; nollities vestimentorum et equorum fastus, honestas; lectorum superfluus cultus, munditia. Cumque haec alterutrum impendimus, caritas appellatur. Ista caritas destruit caritatem, haec discretio discretionem confundit. Talis misericordia crudelitate plena est, qua videlicet ita corpori servitur, ut anima iuguletur. Quae enim caritas est, carnem diligere, et spiritum negligere? quaeve discretio totum dare corpori, et animae nihil? qualis vero misericordia, ancillam reficere, et dominam interficere?... Bona misericordia, misereri animae tuae; nec potest non mereri misericordiam, qua fit ut placeas Deo. Alias autem non est misericordia, sicut iam dixi, sed crudelitas; non est caritas, sed iniquitas; non discretio, sed confusio, sterilem quae non parit pascere, id est inutilis carnis concupiscentiis inservire; et viduae nil boni facere, animae videlicet excolendis virtutibus nullam operam dare. Quae utique, licet Sponso interim sit viduata caelesti, sensus tamen de Spiritu Sancto concipere et parere non desinit immortales.» S. BERNARDUS, Apologia ad Guillelmum, cap. 8, nn. 16 et 17. ML 182-908,909.



2 «Quomodo dicunt nobis carnales homines: Crudelis est vita vestra, non parcitis carni vestrae? Simus nos crudeles interim non parcendo: at vos plane parcendo crudeliores. Siquidem etiam nunc caro nostra requiescit in spe; videritis vos ipsi quid ignominiae interim vestra sustineat, quid miseriae eam maneat in aeternum.» S. BERNARDUS, In Psalmum «Qui habitat», sermo 10, n. 3. ML 183-223.



3 RODERICIUS, Exercitium perfectionis, pars 2, tract. 1, cap. 4, n. 6.- «Eum (Macarium Alexandrinum) aliquando subierunt cogitatione vanae gloriae, quae eum e cella eiiciebant, et suggerebant ut honesto consilio et iusta de causa Romam pergeret, pro beneficio eorum qui aegrotabant; valde enim in eum operabatur gratia adversus spiritus. Postquam autem longo tempore non obediit, valde agitabatur. Cadens vero in limine cellae, foras pedes emisit, et dicit: «Trahite et vellite, o daemones, si potestis. Ego enim non abeo meis pedibus,» iurans fore ut iaceat usque ad vesperam, et nisi eum excutiant, non esse auditurum. Cum autem diu procubuisset, surrexit; cum nox autem adventasset, ei rursus exhibuere negotium. Et cum duorum modiorum sportam inplesset arena, et imposuisset humeris, pervadebat totam solitudinem. Huic occurrit Theosebius Cosmetor, genere Antiochenus, et ei dicit: «Quid portas, abba? Cede mihi onus, et ne vexeris.» Ille autem dixit: «Vexo eum qui me vexat; nam cum sim remmissus et ignavus, suggerit mihi peregrinationes.»Cum autem diu promovisset, ingressus est cellam contrito corpore.» PALLADIUS, Historia Lausiaca, cap. 19-20. MG 34-1062; ML 73-1118.



4 Mosè, da famigerato principe di ladroni diventato insigne monaco, fu fatto segno dai demonii ad ogni sorta di molestie, specialmente a continue tentazioni contro la castità. Di queste non riuscì a liberarsi con nessuna industria, neppure coll' astenersi per anni dal sonno. Una notte, il demonio lo percosse in modo, che fu trovato mezzo morto. Quindi: «Ammo toto aegrotavit, ut vix corpus eius et anima convaluerit. Tunc dicit illi magnus Christi sacerdos isidorus: «Cessa deinceps, frater Moyses, contendere cum daemonibus, et ne sic eis insultaveris: est enim modus quoque fortitudinis in exercitatione.» Is autem illi dicit: «Non cessabo cum eis pugnare, donec mihi cessaverit phantasia somniorum.» Tunc ei dicit Christi servus Isidorus presbyter: «In nomine Domini nostri Iesu Christi, ab hoc temporis articulo, cessabunt turpia tua somnia: bono deinceps et fidenti animo communica sacramentis. Ne enim gloriareris, ut qui tua exercitatione vicisses affectione, ideo vehementer in te suam exercuit potestatem, ad tuam utilitatem, ne incideres in animi elationem.» His auditis reversus est in cellam, quiete deinceps attendens moderato instituto exercitationis. Post duos autem vel tres menses rogatus a beato Isidoro.... numquid amplius ei molestiam exhibuisset spiritus, respondit: «Ab illa hora qua mihi precatus est Christi servus, nihil mihi accidit eiusmodi.» Dignatus est autem hic sanctus gratia adversus daemones, adeo ut sicut nos muscas hieme contemniumus, ita, atque adeo amplius, hic magnus Moyses contemneret daemones.» PALLADIUS, Historia Lausiaca, cap. 22. MG 34-1069, 1070; ML  73-1121, 1122.



5 «Or standosi egli così ritirato nei luoghi solitari, e con continue orazioni e sospiri dimandando grazia a Gesù Cristo che lo indirizzasse per il vero cammino, sentì una voce da un Crocifisso, che gli disse: «Francesco, tutto ciò che tu hai fin qui vanamente amato e desiderato, ora è necessario che aborrisci e disprezzi, se vuoi sapere la mia volontà. Il che se tu farai, sentirai di nuovo gusto e dolcezza in quel che prima ti pareva amaro e insopportabile, e quello in che tu prima ti dilettavi, or ti sarà di noia.» MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte I, lib. 1, cap. 2.



6 «Potrete comprendere agevolmente quanto mai a proposito sia disprezzata anche la penitenza esteriore da certe persone troppo delicate, che si fingono la divozione a loro capriccio, con dire che la perfezione non consiste nella penitenza, ma nella carità. Questo è verissimo; ma anche il frutto di una vigna non consiste nella sua siepe, giacchè le viti, e non le spine, producono l' uva; ma intanto la siepe custodisce questo medesimo frutto, e senza le sue spine, saranno vane tutte l' altre fatiche: Ubi non est sepes, diripietur possessio. (Eccli. XXXVI).» Gio. P. PINAMONTI, S. I., La Religiosa in solitudine, Lezione per il terzo giorno, Mezzi per acquistar lo spirito di penitenza. Opere, Parma, 1710, pag. 155, col. 2.



7 «Erat tam cupidus male habendi corporis, tantoque longius quam vires ferrent ab eo se studio provehi patiebatur, ut, nisi moderatores frenum ei iniecissent, aliquot sibi de vita nnos dempturus brevi fuisse videatur.... Dictitantibus vero perfectionem sanctitatis in interiore animi virtute consistere, et voluntati potius vim adhibendam esse quam corpori, respondebat: «Haec oportet facere, et illa non omittere.» CEPARIUS, Vita, lib. 2, cap. 8, nn. 194, 196: inter Acta Sanctorum Bollandiana, Addenda ad diem 21 iunii, post diem 24.



8 «Avendo egli udito da un religioso, per nome il P. F. Giovanni di Sant' Anna, arrivato da un altro convento, che un certo superiore, per attendere alla salute de' secolari, era molto indulgente co' predicatori e confessori, e facilitava nelle uscite di casa e nel maneggio degli stranieri negozi: investito un giorno da uno spirito veemente, e con estro in lui pochissime volte osservato, gli disse: «Miri il mio P. F. Giovanni, se in qualche tempo alcuno, ancorchè fosse superiore, gli persuadesse qualche dottrina di larghezza, quand' anche con miracoli gliela confermasse, non gli creda, e molto meno la metta in pratica; ma piuttosto abbracci la penitenza e lo staccamento da tutte le cose, e non cerchi Cristo fuori della croce: poichè ci ha egli chiamati agli Scalzi della Vergine per seguirlo sopra di essa nell' annegazione di tutte le cose e di noi medesimi, e non a procurare i nostri agi e piaceri. Badi adunque a non dimenticarsi di questo punto, e a predicarlo quando gli scaderà, siccome cosa che tanto importa.» MARCO DI SAM FRANCESCO, Vita, lib. 2, cap. 4: Opere, del Santo, III, Venezia, 1747, pag. 157.



9 Meditationes piissimae de cognitione humanae condicionis, cap. 13, n. 35. ML 184-504.- Vedi sopra, cap. 7, num. 2, nota 5, pag. 140.



10 Questa sentenza, quantunque, per altro conforme al modo di parlare e di agire di S. Giuseppe Calasanzio, è di S. MARIA MADDALENA DE' PAZZI. «Non bisogna far più conto del suo corpo, che d' uno straccio di cucina.» Detti e sentenze, § 5, n. 28. PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, pag. 302. E così faceva la santa nell' esercizio non solo della mortificazione, ma anche della carità verso il prossimo nelle fatiche corporali, secondo la regola 8, tra le venti che le diede Nostro Signore: «Sii sitibonda come il cervo dell' acque, giorno e notte, cioè d' esercitare per ogni tempo la carità dei membri miei, facendo stima della debolezza e stanchezza del corpo tuo, quanto della terra che è calpestata.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 85; Firenze, 1611, parte 1, cap. 10.



11 «Neque his cruciatibus corpus suum affligere remisit, aut aliquando foveri sodalium etiam precibus concessit, quibus subinde respondebat: «Fratres, iam cum corpore meo conveni, quod dum in hoc mundo vixero, pati non cessabit: at cum in caelum pervenero, aeternam ei requiem permittam.» LAURENTIUS A S. PAULO, Vita, lib. 4: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 19 octobris, n. 236.



12 «Essendo poi agli ultimi giorni di sua vita, disse con serena faccia che ringraziava Dio di non aver mai saputo che cosa fosse azione contro la castità, nè si ricordava d' aver preso giammai gusto se non in Dio benedetto.» PUCCINI, Vita, parte 1, cap. 63; Firenze, 1611, pag. 87.



13 «Erat autem monasterium mulierum... habens architria (cellulas?) centum triginta, de quibus magnas et mirabiles virtutes homines praedicabant. In illo namque monasterio nemo gustabat vinum, nulla illarum pomum edere, aut uvas, aut ficus, aut aliquid huiusmodi bonorum, quae terrena nascuntur ubertate, gustabat. Quaedam autem earum a vespera usque ad aliam vesperam ieiunium protrahebat; aliae vero post biduum edebant, aliae vero post triduum. Nulla earum pedes suos abluebat; aliquantae vero audientes de balneo loqui.... magnam abominationem se audire iudicabant... Unaquaeque vero earum stratum in terra habebat, cilicium parvulum unius cubiti latitudinis, et longitudinis trium, et paululum in ipsis requiescebat. Erant autem ianitrix, per quam responsa omnia flebant, matura; multaeque sanitates ibi fiebant.» De vitis Patrum, lib. 1, Vita Sanctae Euphrasiae, auctore incerto, cap. 6. ML 73-626, 627.



14 «.... Mi dava Iddio spirito e virtù per mortificarmi, e negare a' miei occhi il maggior diletto che aver potessero in quella ricreazione. Perochè molte volte, nell' atto del far la presa il falcone, e ammazzare la garza, io abbassava gli occhi, e negava loro la presa di quel diletto, che si gran fatica m' era costato il procacciariomi, fin talora cercandone tutto un giorno.» Tutto il fin qui recitato ebbe il confessore e compagno del santo P. Francesco da lui medesimo.» BARTOLI, Vita, lib. 1, cap. 3. Ribadeneira, o il suo interprete, non sembra aver solto nel segno, mentre dice- Vita, cap. 2, n. 16, inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 10 octobris-: «Praedam... unguibus saepius eripere et manu mittere solitus quam longo diei spatio quaesiisset, ut vincere sese ipse animique sensum iam tum assuesceret.» Il Santo mortificava se stesso, non il falcone.



15 «Una volta fu dal marchese suo padre condotto a Milano a veder la mostra che si faceva della cavalleria di quello stato, alla quale il marchese per lo grado che aveva, insieme con tant' altri signori doveva trovarsi presente. Or essendovi concorso un infinito popolo per vederla, perchè è cosa di bellissima vista, Luigi non avendo potuto sfuggire di andarvi... trovò un altro rimedio; e fu che non volle in conto veruno stare ne' primi luoghi... e... per quanto potè, s' ingegnò di tenere sempre gli occhi chiusi, o volti in altra parte.» CEPARI, Vita, parte 1, cap. 6.



16 «Diceva che Iddio, dandoci tutto il mondo, e quanto in esso è, per uso necessario del vivere, e di vantaggio ancora per delizie da dilettarci, non solamente l' ha fatto per usar co' suoi un atto di sua liberalità e magnificenza, offerendoci in dono un modo intero di beni, ma perchè noi avessimo onde esser grati e liberali con lui, donandogli il suo medesimo dono: e anco perchè l' amor nostro verso lui avesse con che mostrarsi puro e senza niuno interesse, mentre potendo noi possedere Dio e le cose create, non solo non vogliamo lasciar lui per queste, ma in segno di non pregiare altro che lui, d' ogni altra cosa, che non è lui, volontariamente ci spogliamo, ricchi solo della sua grazia, contenti del suo amore, e di non altro beati che della speranza di viver seco in eterno.» BARTOLI, Vita, lib. 2, cap. 13.



17 «Ceterum unum quidem a me petit venerabilis abbas vester, quod mihi minime bonum videtur. Credo autem quod et ego spiritum Dei habeam, et consilium Dei in hoc. Scio quidem quod in regione habitatis infirma, et multis aliqui ex vobis laborant infirmitatibus. Sed mementote eius qui dixerit: Libenter gloriabor in infirmitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi; et: Cum infirmor, tum fortior sum (II Cor. XII, 9, 10). Compatior utique, et multum ego compatior infirmitati corporum: sed timenda multo magis, ampliusque cavenda infirmitas animarum. Propterea minime competit religioni vestrae medicinas quaerere corporales, sed nec expedit saluti. Nam de vilibus quidem herbis, et quae pauperes deceant, interdum aliquid sumere, tolerabile est, et hoc aliquando solet fieri. At vero species emere, quaerere medicos, accipere potiones, religioni indecens est, et contrarium puritati, maximeque Ordinis nostri nec honestati congruit nec puritati. Haec enim omnia gentes inquirunt. Scimus autem quia qui in carne vivunt, Deo placere non possunt (Rom. VIII, 8). Spiritualia proinde spiritualibus comparanda (I Cor. II,!£), et quaerenda potio humilitatis, et clamandum in toto corde: Sana animam meam, Domine, quia peccavi tibi (Ps. XL, 5). Huic sanitati, fratres dilectissimi, operam date; hanc sectamini, hanc servate, quia vana salus hominum.» S. BERNARDUS, Epistola 345, ad Fratres de Sancto Anastasio (cioè alle Tre Fontane, nelle vicinanze di Roma, luogo, come si sa, dalla diligenza dei Trappisti reso meno insalubre sol mezzo secolo fa), n. 2. ML 182-550, 551.



18 «No guardan unas cosas muy bajas de la Regia, como el silencio, que no nos ha de hacer mal, y  no nos ha venido la imaginacion, de que nos duele la cabeza, cuando dejamos de ir al coro, que tampoco nos mata: un dia porque nos doliò, y otro porque nos ha dolido, y otros tres porque no nos duela.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 10: nell' autografo dell' Escuriale. Obras III, 54, not. 1.



19 «Deterninaos, hermanas, que venis a morir por Cristo y no a regalaros por Cristo.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 10. Obras, III, 53.



20 «Si no nos determinamos a tragar de una vez la muerte y la falta de salud, munca haremos nada. Procurad de no temerla y dejaros toda en Dios, venga lo que viniere. ¿ Què va en que muramos? De cuantas veces nos ha burlado el cuerpo, ¿ no burlariamos alguna dèi?» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 11. Obras, III, 56, 57.



21 «Vae religioso cui cordi magis est sanitas quam sanctitas.» V. TALENTI, delle Scuole Pie, Vita, lib. 7, cap. 9, III, n. 17.



22 Vedi sopra, nota 17.



23  «Quaeris igitur.... qua ratione infirmi sint sancti viri. Respondeo breviter quia ideo sancti viri infirmiores se esse faciunt, quia si fortes fuerint, sancti esse vix possunt. Opinor enim omnes omnino homines cibis ac poculis fortes esse; infirmos autem abstinentia, ariditate, ieiuniis. Non ergo mirum est quod infirmi sunt qui usum earum rerum respuent per quas alii fortes fiunt. Et est ratio cur respuant, dicente Paulo apostolo de se ipso: Castigo (corpus meum, et servitute subiicio, ne forte cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar. (I. Cor. IX, 27)... Haec ergo ratio est qua homines Christo dediti et infirmi sunt et volunt esse.» S. SALVIANUS, De Gubermatione Dei, lib. 1, n. 3. ML 53-34.



24 «Desear trabajos almas que tienen oraciòn, es muy ordinario, estando sin ellos; mas, estando en los mesmos trabajos, alegrarse de padecerlos, no es de muchas. Y ansi, ya que estaba tan apretada, que durò poco, y con dolores muy excesivos, y una postema que le diò dentro de la garganta, que no la dejaba tragar, estabam alli algunas de las hermanas, y dijo a la priora- como la debia consolar, y animar a llevar tanto mal- que nenguna pena tenia, ni se trocaria por nenguna de las hermanas que estaban muy buenas... No parecia que vivia ni tractaba con las criaturas, segun se le daba poco de todo; que de cualquiera manera que fuersen laas cosas, las llevaba con una paz, que siempre la vian estar en un ser. Tanto, que le dijo una vez una hermana, que parecia de unas personas que hay muy honradas, que aunque mueran de hambre, lo quierem màs que no que lo sientan los de fuera; porque no podian creer que ella dejaba de sentir algunas cosas, aunque tampoco se le parecia.» S. TERESA, Las Fundaciones, cap. 12, Obras, V, 96, 97.



25 «Dixit iterum (sancta Syncletica): «Si infirmitas molesta nobis fuerit, non contristemur, tamquam qui pro infirmitate et vulnere corporis non possimus stare ad orandum aut psallendum ad vocem. Haec autem omnia nobis pro destruendo corporis desiderio necessaria sunt, quoniam ieiunia et labores propter turpes delectationes nobis constituta sunt. Si igitur aegritudo ista retundit, superfua de his observandis ratio est. Sicut enim magno et forti medicamine aegritudo, ita aegritudine corporis vitia reciduntur. Et haec est magna virtus, quando in infirmitatibus tolerantia fuerit, et gratiarum actio mittitur ad Deum.» De vitis Patrum, lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 7, n. 17. ML 73-896.



26 Di Origene, sulla Cantica, abbiamo tre libri con un Prologo (MG 13-62 et seq.), due omilie (MG 13-37 et seq.) e frammenti (MG 13-197 et seq.; MG 17-254 et seq.). Non vi si trova la sentenza qui riferita da S. Alfonso. Solo nel Prologo (MG 13-72) mostra come, a chi ama assai, il patire assai pare poco: «Propter istud caritatis vel amoris bonum, sancti nec in tribulatione angustiantur, nec aporiati exaporiantur, nec deiecti pereunt, sed quod in praesenti est momentaneum et leve tribulationis eorum supra modum aeternum gloriae pondus operatur illis. Non enim omnibus, sed Paulo, et his qui ei similes sunt, praesens haec et momentanea ac levis dicitur tribulatio: quia perfectam caritatem Dei in Christo Iesu per Spiritum Sanctum habent in corde suo diffusam... Nihil... est quod non toleret qui perfecte diligit. Plura autem quando non toleramus, certum quod ob hoc quia caritatem, quae omnia tolerat, non habemus.... In luctamine quoque eo quod est nobis adversus diabolum, quod frequenter cadimus, non dubium est quia ob hoc fiat quod non est in nobis caritas illa quae numquam cadit.» Ed aggiunge esser questa ardente carità l' argomento della Cantica. - Nel suo Commentario in Epist. ad Rom., lib. 6, n. 1, MG 14-1056, parla più espressamente Origene dell' efficacia della mortificazione, unita colla memoria della Passione di Nostro Signore: «Quomodo ergo possibile est ut peccatum in carne nostra non regnet? Si faciamus illud quod idem Apostolus dicit: Mortificate membra vestra, quae sunt supra terram (Coloss. III, 5), et si sermper mortem Christi in corpore nostro circumferamus (II Cor. IV, 10). Certum namque est, quia ubi mors Christi circumfertur, non potest regnare peccatum. Est enim tanta vis crucis Christi, ut si ante oculos ponatur et in mente fideliter retineatur, ita ut in ipsam mortem Christi intents oculus mentis aspiciat, nulla concupiscentia, nulla libido, nullus furor, nulla superare possit invidia; sed continuo ad eius praesentiam totus ille quem supra enumeravimus peccati et carnis fugatur exercitus.»



27 «Legitur in libro de Septem donis quod, cum quidam scelerate viveret, visitatus a Domino ut ad se rediret, incurrit gravem infirmitatem et diutinam.... Attaediatus... rogabat frequenter Dominum, ut de carcere corporis educeret eum... Angelus... ex parte Dei dedit sibi optionem eligendi... adhuc per duos annos illam infirmitatem tolerare... aut tunc moriendo per tres dies in purgatorio permanere... Elegit potius morari in purgatorio per triduum... Inde ad horam ab exitu suo de hoc mundo, apparuit ei in purgatorio angelus....: «Ego sum angelus Domini qui dedi tibi optionem....» Cui ille: «Nequaquam vales esse angelus Dei, quia ille mentiri non potest... Ego iam mansi in his maximis poenis per plurimos annos.» Angelus vero ad eum: «Tu hic non fuisti nisi per horam, ita quod adhuc habes hic manere quod restat.» At ille: «Roga Dominum meum... ut redicat ad vitam priorem, et ego nedum per duos annos, sed quantum placuerit ei, paratus sum tolerare infirmitatem illam.» Quod et obtinuit; unde... patientissime et laetanter omnem dolorem tolerabat, expertus poenas purgatorii.» S. ANTONIUS, Summa Theologica, pars 4, titulus 14, § 4 (in fine).



28 «Son sentiment ètait que la mortification sans l' oraison ètait un corps sans âme sans corps. Il ne voulait pas que ces deux choses fussent sèparèes.. Il les comparait aux deux bassinets de la balance, dont l' un s' abaisse quand l' autre s' èléve. Pour élever l' esprit par l' oraison, il faut abattre le corps par la mortification; autrement la chair dèprimera l' esprit et l' empêchera de s' élever à Dieu». CAMUS, Esprit de S. François de Sales, ed. Collet, partie 13, ch. 6.



29 «Puese creer que (Dios) admite a su amistad estrecha gente regalada y sin trabajos, es disparate.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 18. Obras, III, 83.



30 «Regalo y oraciòn no se compadece.» Camino de perfecciòn, cap. 4. Obras, III, 26.



31  «¡ Oh, caridad de los que verdaderamente aman este Señor y  conocen su condiciòn! ¡Què poco descanso podràn tener, si ven que son un poquito de parte para que un alma sola se aproveche y ame màs a Dios, u para darle algùn consuelo, y para quitarila de algùn peligro! ¡Què mal descansarà con este descanso particular suyo!» Las Fundaciones, cap. 5. Obras, V. 39.



32 Et ipsi tamquam lapides vivi superaedificamini, domus spiritualis. I Petr. II, 5.



33 Hymnus Caelestis urbs Ierusalem in Dedicatione Ecclesiae, ad utrasque Vesperas et ad Matutinum.



34 «Senex quidam sedebat in eremo qui longe habebat aquam a cella sua, per duodecim millia; ubi dum semel iret haurire aquam, defecit, et dixit: «Quid necesse est ut hunc laborem patiar? Venio, et habito circa aquam hanc.» Et cum hoc dixisset, conversus vidit quamdam sequentem se et numerantem vestigia sua. Interrogavit autem eum, dicens: «Quis es tu?» Et ille dixit: «Angelus Domini sum, et missus sum numerare vestigia tua, et dare tibi mercedem.» Quod cum audisset senex, forti animo factus promptior, et adhuc longius posuit cellam suam ab aqua illa.» De vitiis Patrum, lib. 5, auctore graeeco incerto, interprete Pelagio, libell. 7, n. 31. ML 73-900, 901.- Nel Prato spirituale, propriamente detto, cioè nelle edizioni che danno il solo testo di Giovanni Mosco (De vitis Patrum lib. 10, auctore Ioanne Moscho) questo fatto manca.



35 «Non ergo recusetur labor, si adest amor: nostis enim quoniam qui amat non laborat.» S. AUGUSTINUS, In Ioannis Evangelium, tract. 48, n. 1. ML 35-1741.- Queste parole non si ritrovano nel Manuale, il quale è stato attribuito a S. Agostino, solo perchè contiene non poche sentenze di lui. L' autore, nella Praefatio, ML 40-951, confessa di non essere nè aver voluto essere altro che un compilatore: «Huic opusculo ad laudem eius (Dei) operam dedi ut ex elegantioribus dictis sanctorum Patrum breve et manuale verbum de Deo meo mecum semper haberem, ex cuius lectionis igne, quoties tepesco, in eius accendar amorem.»



36 «Si estàis con trabajos, u triste, miralde camino del Huerto... U miralde atado a la Coluna... U miralde cargado con la Cruz.... Si es ansì, Señor, que todo lo quereis pasar por mi, ¿ què es esto que yo paso por Vos? ¿De què me quejo? que ya he verglienza de que os he visto tal, que quiero pasar, Señor, todos los trabajos que me vinieren, y tenerlos por gran biem por imitaros en algo. Juntos andemos, Señor; por donde puerdes tengo de ir; por donde pasardes, tengo de pasar. Tomà, hijas, de aquella cruz: no se os dè nada de que os tropellen los judios, porque El no vaya con tanto trabajo; no hagàis caso de lo que os dijeren: haceos sorta a las mormuraciones; tropezando cayendo con vuestro Esposo, no os apartèis de la cruz ni la dejèis. Mirà mucho el cansancio con que va, y las ventajas que hace su trabajo a los que vos padecèis. Por grandes que los queràis pintar, y por mucho que los queràis sentir, saldrèis consolada de ellos, porque verèis son cosa de buria comparados a los del Señor.» S. TERESA Camino de perfecciòn, cap. 26. Obras, III, 121, 122.



37 «Cum intellexissem ego imbecillis homo esse quamdam raram et inusitatam abiectissimamque vivendi rationem quorumdam, qui in privato et separato quodam loco, quem carcerem dicunt, degunt; subiecto tamen illi alteri quod supra laudavi siderum sideri coenobio, et adhuc ibi morarer, rogavi sanctum illum praeside, uti mihi liceret sedem illam coram inspicere.» S. IO. CLIMACUS, Scala paradisi, gradus 5. MG 88-763, 766.



38 «Cum ergo ad locum illum poenitentium, imo vero ad regionem lugentium- carcerem, inquam - venissem, vidi revera... facta... et verba quae Deo quodammodo possint vim inferre... Vidi quosdam ex innocentibus illis reis totas noctes ad usque mane sub dio immotis pedibus stantes, et miserabiliter cum somno et natura luctantes, vique huius pene fractos, dum nullam sibi penitus quietem indulgerent, imo seipsos graviter adhuc obiurgarent... Alios caelum intuentes, et illinc opem cum lamentabili voce gemituque implorantes. Alios item qui in precibus perseverabant, manus post terga, sceleratorum ritu, revincti, vultus alto maerore confusos humi defigebant, ut qui se indignos iudicarent qui caelum respicerent, nihil ausos loqui caelum respicerent, nihil ausos loqui, nec ullam vocem mittere, nec precari, Deumve prae cogitationum turba et conscientiae trepidatione et ignominia appellare.... sed solam animam ratione confusam mentemque Deo, pleni tenebris et subtili quasi desperatione affecti, repraesentantes. Sedebant alii humi in pavimento super cinerem et saccum, genibusque vultum tegebant, frontibus humum ferientes: alii assidue pectus tundebant, animae suae statum primum vitamque praeteritam- quam cum virtute traduxerant- revocantes. Ex his ergo alii pavimentum lacrimis inundabant, alii lacrimarum fonte destituti se ipsos diverberabant. Alii tamquam in funere animas suas lamentabantur... Alii intus.. rugiebant et spiritu fremebant, sed interim strepitum lamentorum reprimebant, quamvis... repente in apertos clamores eruperint. Spectavi ego ibi quosdam eo corporis habitu ac si... alto maerore defixi ad... aeternum silentium redacti essent.... ad omnia vitae officia velut stupentes et exsensos: ceterum animo ad extremum humilitatis gradum demissos, et igne maestitiae lacrimas eliquantes. Spectavi alios qui capitibus in terram promissis meditabundi sedebant, cervicesque assidue motabant, et ex imo pectore.... ritu leonum rugiebant et ingemiscebant.... Videre erat in illis linguas ardentes et pro ritu canum ex ore promissas. Alii in gravi solis aestu se cruciabant; alii frigore se torquebant; alii cum modicum quid aquae libassent, desierunt, tantum ut ne siti enecarentur; alii cum panem gustassent dumtaxat, illum rursus procul ab se reliciebant, se indignos dictitantes qui cibum humanum sumerent, qui bestiarum opera exercuissent... erat videre in illis genua, quae ex assidua geniculationum consuetudine callum obduxerant: oculos exesos et depiles, altosque in sinus capitis recedentes: genas habebant saucias, et ardore ferventium lacrimarum adustas: vultusque pallentes et enaciatas facies, nihil a mortuis, si conferres, differentes; pectora plagarum ictibus liventia, et e crebris pugnorum verberibus cruenta, sanguinis ex pectore reiecta sputa... Nihil ad horum patientiam  obsessorum a daemonibus vexatio; nihil mortuorum luctus; nihil in exsilio degentium calamitas; nihil supplicium perricidarum; nihil revera illorum poenae et inflicta tormenta, ad voluntariam horum castigationem et carnificinam. Rogo, fratres, nolite putare me vobis fabulas narrare.» Id. op., gradus 5. MG 88-766, 767, 771.- «Haec ego cum apud illos spectassem et audissem, parum abfuit quin meam negligentiam cum illorum patientia et afflictione comparando, desperarem. Nam qualis non erat ipsius loci aspectus et habitatio! Tota domus obscura et tenebricosa, tota olens et fetens, tota sordida et squalida. Carcer enim et damnatorum ergastulum non immerito appellata est. Adeo ut solius loci contemplatio spectatorem ad poenitentiam et luctum incitaret.» Ibid., col. 774.



39 «Cum ergo in illo carcere ad tricesimum usque diem moratus essem.... ad inclytum illud coenobium et magnum praesulem reversus sum. Qui me intuitus, cum alium prorsus a priore et velut attonitum avocatumque a sensibus videret, facile rationem causamque stuporis... assecutus: «Quid est, inquit, pater Ioannes? Vidistine eximie laboramtium certamina?» «Et vidi, inquam, pater, et demiratus, beatiores praedicavi eos qui lapsi sunt, et suas culpas ita defleverunt, iis qui non peccarunt et seipsos non deplorant. Per lapsum enim ad vitam nulli amplius periculo subiectam resurrexerunt.» «Ita est,» inquit praesul.» Ibid. col. 775, 778.






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