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S. Alfonso Maria de Liguori Selva di materie predicabili IntraText CT - Lettura del testo |
CAP. VI. Del catechismo grande o sia istruzione al popolo.
Il catechismo grande o sia l'istruzione al popolo è uno degli esercizj più importanti della missione: per tanti il sacerdote che la fa dee esser molto dotto e molto anche sperimentato nel sentire le confessioni, per saper palesar gl'inganni e i nascondigli delle coscienze, affin di applicarvi poi i rimedj opportuni. Le parti di questo catechismo sono primieramente l'introduzione, l'esposizione della materia e la divisione; e queste tre prime parti formano quasi l'esordio dell'istruzione. Indi siegue la spiegazione del mistero, sacramento o precetto. Siegue poi la moralità colla pratica. In fine prima si risponderà alle difficoltà o scuse che fanno le persone poco timorate, e poi si farà un brevissimo epilogo di ciò che si è detto in quella istruzione, e si concluderà cogli atti cristiani.
L'introduzione si caverà dall'istruzione passata, per concatenar le materie e rinnovar la memoria, succingendo le cose dette del giorno antecedente. Ciò non però s'intende quando le materie hanno qualche concatenazione tra di loro: del resto l'introduzione si formerà dall'importanza della materia, di cui vuol trattarsi. L'esposizione del mistero o precetto già s'intende qual sia; ma ne' precetti si avverta a distinguere tutte le cose che quel precetto comprende. La divisione poi de' punti giova per maggior chiarezza della materia e per più imprimere nella mente degli uditori le verità che si espongono. Queste prime tre parti, come già si è detto, formano quasi un proemio; onde debbono essere brevissime. Si entra poi alla spiegazione del mistero o precetto: e bisogna provar le dottrine con autorità (ma che non sieno né lunghe né molte) e con ragioni e con fatti che fanno al caso; e specialmente giovano le similitudini spiegate con chiarezza. Indi se ne caverà la moralità, avvertendosi che l'istruttore non solo dee illuminare la mente, ma ancora muovere la volontà di chi sente a fuggire i vizj ed a praticare i rimedj ed i mezzi per non incorrervi: sono assai più i peccati che si commettono per malizia della volontà che per ignoranza. La moralità anche dee esser breve: e dovrà ella essere proferita con fervore, ma senza tuono di predica e senza schiamazzare. Gioverà talvolta nell'istruzione fare un'esclamazione contro alcun vizio o massima di mondo o scusa de' malviventi; ma queste esclamazioni
debbono essere brevi e poche, per evitare ciò che sconciamente fanno taluni, che tutte le loro istruzioni le riducono a prediche, confondendo un esercizio coll'altro.
Sopra tutto si attenda nel catechismo ad insinuare cose di pratica, insegnando al popolo le stesse parole che dovrà dire ciascuno quando gli occorrerà di mettere in uso la pratica insinuata: v. g. quando alcuno riceve qualche ingiuria o altro disgusto da un'altra persona, gli dica: Dio ti faccia santo, il Signore ti dia luce. Come anche se avviene qualche perdita o altra cosa avversa: Sia per l'amore di Dio, sia fatta la divina volontà. E queste e simili pratiche si replichino più volte, acciocché restino impresse nella memoria di quei poveri rozzi, da' quali i passi latini e le altre cose o non bene si capiranno o tra poco se ne perderà la memoria; solo resteranno loro a mente quelle brevi e facili pratiche che saranno loro insegnate e replicate più volte. Procuri poi il catechista di esporre quelle scuse o frivole difficoltà che sogliono alcuni opporre per farsi compatire nelle loro mancanze, con certe ragioni, ma false, come sarebbe: che non possono vivere senza pigliare la roba d'altri; che gli altri ancora così fanno; che non son santi; che son di carne; che quel vicino o parente è causa de' loro peccati. Di più dichiari che se alcuno stesse coll'animo preparato a vendicarsi ricevendo qualche ingiuria, colui starebbe in continuo peccato, né gli gioverebbe quella scusa di mondo: ma bisogna conservarsi l'onore. A queste scuse impertinenti bisogna rispondere con fortezza e calore; acciocché taluni tolgansi dalla mente certi pregiudizj che essi tengono quasi per massime, e così stanno sempre in peccato e si dannano. Per ultimo si farà l'epilogo, breve e sostanzioso per quanto si può, delle dottrine proposte; ed in fine di quell'istruzione si lascerà per ricordo una massima viva di religione adattata al proposito. Queste regole son comuni a tutti i catechismi, ma ne' catechismi delle missioni vi sono altri avvertimenti importanti da notare.
E per 1. in quanto alle materie, l'istruzione della missione principalmente si riduce alla spiegazione degli stessi tre capi di cui già si è parlato nel catechismo picciolo; cioè de' misterj, de' sacramenti (specialmente della penitenza) e de' precetti del decalogo della chiesa. Taluni istruttori pensano esser meglio parlar prima della confessione e poi de' precetti; io nonperò stimo migliore che si parli prima de' precetti; perché parlandosi di essi nella fine della missione, facilmente accadrà che nella loro spiegazione si muoveranno molti scrupoli nelle coscienze degli uditori, i quali perciò avranno da confessarsi di nuovo, e così si perderà gran tempo. Se poi si volesse far la spiegazione de' precetti nello spiegare la prima parte della confessione, ch'è l'esame di coscienza, anche andrebbe bene. In quanto poi alle cose che debbono spiegarsi circa i misteri, sacramenti e precetti, queste già brevemente si sono accennate nel catechismo de' figliuoli (al §. II. pag. 213.). Ma queste cose medesime si han da spiegare nel catechismo grande più a lungo e più distintamente ed in altro modo, cioè fondandole con autorità e ragioni.
E poiché forse, e senza forse, il
maggior profitto delle missioni è il riparare alle confessioni sacrileghe, bisogna in ogni istruzione battere su questo punto, facendo vedere quanto sia grande la malizia del sacrilegio e quante anime si perdono per tacere i peccati in confessione. Molte anime miserabili per lo rossore, anche confessandosi a' missionarj, come sappiamo per esperienza, seguitano a tacere i peccati. E se mai ne resta taluna che nella missione non ripara alle confessioni mal fatte, ella non sarà perduta? poiché se non ha vinto il rossore confessandosi a' missionarj, come lo vincerà ritornando a' suoi confessori paesani? Perciò, come s'è detto, bisogna sempre inculcare questo punto. E a tal fine nelle nostre missioni si pratica che l'istruttore in fine dell'istruzione e prima degli atti cristiani narri sempre un esempio terribile (di tanti che ve ne sono) di qualche anima dannata per aver taciuti i peccati. Ciò non è secondo le regole dell'arte, poiché non sempre l'esempio avrà connessione coll'istruzione fatta; ma è secondo il fine delle missioni, che principalmente si fanno per dar rimedio alle confessioni sacrileghe. Basterà l'attaccare l'esempio dopo aver detto: Orsù procurate di confessare tutto dove avete mancato, secondo oggi v'ho detto, e di non lasciar niente per rossore. In fine poi di questo capo si porranno diversi esempi su tal proposito per comodità degl'istruttori.
Per 2. si avverta che molto errano quegli istruttori i quali riempiono i loro catechismi di belle parole, di questioni scolastiche e di lepidezze, quando la povera gente cerca pane di sostanza e pane sminuzzato. In quanto alle parole è regola comune che lo stile del catechismo dee esser tutto semplice e popolare (senza dar nel goffo, poiché ciò non è mai necessario né conviene al pulpito): i periodi debbon esser corti e concisi: e spesso giova il farsi dimande e risposte dallo stesso istruttore, perché così maggiormente il popolo sta attento, e le cose più s'imprimono nella loro memoria. In quanto alle questioni scolastiche, queste convengono agli esercizj letterarj dei teologi, ma non già al pulpito ed all'istruzione del popolo, che per lo più è composto di rozzi, i quali o non l'intendono o almeno non ne ricavano niente. Se mai nell'uditorio poi vi è qualche letterato, s'egli è prudente e discreto, ben loderà l'istruttore che in tal modo istruisce la gente, e lo biasimerà se fa altrimenti. In quanto all'altro punto delle lepidezze, prego il mio lettore a ben riflettere quel che qui scrivo. Non nego che alcuni istruttori lo praticano, e difendono esser ciò utile per tirare il popolo a sentir l'istruzione e per mantenerlo attento e senza tedio. Ma io per me non so altro se non che i santi nelle loro istruzioni non faceano ridere, ma piangere. Si legge nella vita di s. Giovan Francesco Regis che, facendo il santo le missioni, e sentendo il popolo i suoi sermoni (che tutti erano catechismi), non faceano altro che piangere dal principio sino alla fine.
Almeno dico così: che voglia proferirsi qualche lepidezza la quale naturalmente nasca dalla stessa cosa di cui si tratta, bene; per esempio, parlandosi degli uomini di mala coscienza, conviene riferire le scuse ridicole che apportano costoro; e così in casi simili. Ma il voler indurre l'istruzione ad una scena di commedia,
con portare fattarelli ridicoli o favolette curiose, con motti e gesti, detti e fatti a posta per far ridere la gente, io non so come ciò possa convenire alla riverenza dovuta alla chiesa dove si sta, ed al pulpito dal quale s'insegna la parola di Dio ed in cui l'istruttore sta in luogo di ministro di Gesù Cristo. È vero che la gente ha piacere si sentir quelle facezie e di ridere; ma dimando: che profitto poi ne cava? Certamente dopo le risa si troverà così distratta ed indivota che il raccogliersi di nuovo le sarà molto difficile, e spesso, in vece di seguitare a sentir la moralità (che stentatamente procurerà di ricavarne il nostro lepido istruttore, per non farsi stimare un saltimbanco), andrà rivolgendo nel pensiero quella facezia o fatto ridicolo che ha inteso. Se altro non fosse, quel catechista che si diletta di dire lepidezze e sali non acquisterà certamente presso l'uditorio concetto di santo e d'anima infervorata d'amor di Dio: il più che ne acquisterà sarà il concetto e nome di lepido e grazioso. È un inganno poi il pensare che altrimenti la gente non concorrerà o non istarà attenta al catechismo senza queste lepidezze: anzi dico che allora più concorrerà e starà con maggior attenzione quando vedrà che, andando a sentire il catechismo, non ci va a perdere il tempo e dissiparsi, ma a cavarne frutto e divozione.
Per 3. si avverta a non proporre certe dottrine che possono portar rilassamento di coscienza. Qualche dottrina potrà ben applicarsi ad alcuno in particolare allorché viene a confessarsi, ma detta in pulpito può nuocere alle persone che sono inclinate alla larghezza; poiché queste da quella dottrina, che per altro sarà giusta ed utile, allorché viene applicata colle dovute circostanze, ne ricaveranno forse conseguenze improbabili e lasse. Giova però ed è necessario toglier le coscienze erronee di coloro che apprendono per peccato quello che non è. Per esempio alcuni rozzi stimano di far giudizi temerarj e peccare anche in quei giudizi o sospetti dove vi è bastante fondamento di così giudicare o sospettare: altri stimano peccato per sé grave il maledire gli anni, i giorni o il vento o la pioggia: altri stimano mormorazione il palesare a' genitori i furti, male pratiche o altre colpe de' figli, benché ciò sia necessario per darvi rimedio: altri stimano peccare non osservando qualche precetto della chiesa, v. gr. di sentir la messa, di digiunare, anche nei casi in cui per sé sono scusati e simili. Bisogna in ciò spiegare che questi non son peccati o che non son mortali rispettivamente parlando.
All'incontro bisogna che il catechista scopra quei che son certi peccati, e specialmente quelli che son causa di altre colpe gravi; per esempio, bisogna istruire il popolo che chi non fugge l'occasione prossima volontaria del peccato mortale pecca gravemente, ancorché non avesse per allora animo di commetter quel peccato ed ancorché non intendesse che il porsi a quell'occasione sia colpa grave; perché mettendosi all'occasione già moralmente per certo ne succederà il peccato. Di più bisogna istruir le donne quanto alle superstizioni o siano vane osservanze, benché le facciano con buona fede. Di più che sono in malo stato quelle donne che si compiacciono e ambiscono d'esser
desiderate dagli uomini senza fine di matrimonio. Di più, quantunque alcuni non tengano per peccato grave il bestemmiare i giorni o le cose sante, bisogna istruirli di tal colpa; perché altrimenti vi faranno l'abito, e fatto l'abito, ancorché poi tali bestemmie le conosceranno per gravi, come sono, non potranno astenersene. Parlando del sesto precetto, si avverta a non ingerire qualche scandalo agl'innocenti, con metterli in curiosità di quelle malizie che non sanno. Basterà su questo precetto il rimproverare in generale quei che offendono la castità, senza spiegare la specie e le circostanze; in modo che gl'intinti di tal peccato intendano come abbiano da confessarsene, e gl'innocenti all'incontro restino nella loro ignoranza. Bisogna non però istruire il popolo in questa materia quando i mali pensieri o parole son peccati o no. Ma specialmente poi bisogna parlare de' rimedj contro il vizio disonesto, insinuando spesso tra gli altri i tre gran mezzi, cioè la fuga dell'occasione, la frequenza de' sacramenti e sopra tutto la preghiera, senza la quale niuno sarà casto. Si prega il lettore a leggere quel che si è detto nel catechismo piccolo, perché molte cose ivi dette possono servire anche per lo catechismo grande, e perciò si è qui tralasciato di notarle. Si soggiungono poi qui quegli esempi o sieno casi funesti di molti che, per aver lasciato di confessar i peccati per rossore, han fatta mala fine. Questi casi possono riferirsi uno per giorno prima di fare gli atti cristiani, come di sopra si è accennato. Porremo qui i seguenti esempi succintamente: toccherà poi a chi vuol servirsene lo stenderli con maggiori espressioni, come gli piacerà.