Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
S. Alfonso Maria de Liguori Selva di materie predicabili IntraText CT - Lettura del testo |
Esempi funesti di coloro che han fatte confessioni sacrileghe.
Esempio 1. Si narra nelle croniche di s. Benedetto di un certo chiamato Pelagio: questi, posto da' suoi poveri genitori a guidar le pecore, faceva una vita esemplare, tantoché era chiamato da tutti col nome di santo. Così visse molti anni. Morti i suoi genitori, vendé tutte quelle poche robe che gli furono lasciate e si ritirò in un romitaggio. Una volta per disgrazia acconsentì ad un pensiero disonesto. Caduto in peccato, cadde in una gran malinconia, perché il misero non volea confessarsi, per non perdere il concetto. Stando così, passò un pellegrino, che gli disse: «Pelagio, confessati, che Dio ti perdonerà e ricupererai la pace»; e sparve. Dopo ciò Pelagio risolvé di far penitenza del suo peccato, ma senza confessarlo, lusingandosi che Dio forse glielo perdonasse senza la confessione. Entrò in un monastero, dove subito fu ricevuto per la sua buona fama, ed ivi fece una vita aspra, mortificandosi con digiuni e penitenze. Venne finalmente a morte: si confessò l'ultima volta; ma siccome per rossore avea lasciato sempre di confessar quel peccato in vita, così lo lasciò ancora in morte. Prese poi il viatico e morì e fu seppellito collo stesso concetto di santo. Nella notte seguente il sagrestano trovò il corpo di Pelagio sopra la sepoltura, lo seppellì di nuovo: ma così nella seconda, come nella terza notte lo trovò sempre fuori: onde chiamò l'abate, il quale unito cogli altri monaci disse: «Pelagio, tu sei stato ubbidiente in vita, ubbidisci ancora in
morte: dimmi da parte di Dio, fors'è voler divino che il tuo corpo sia posto in luogo riserbato?» Il defunto dando un urlo, «Oimè! disse, io son dannato per un peccato non confessato; mira, abate, il mio corpo». Ed ecco che il suo corpo apparve come un ferro infuocato che mandava scintille. Tutti si posero a fuggire; ma Pelagio chiamò l'abate, acciocché gli togliesse dalla bocca la particola consacrata, che ancora vi stava. Così fu fatto; e poi Pelagio disse che l'avessero tolto dalla chiesa e gittato in un letamaio come un cane fracido; e così si eseguì.
Esempio 2. Si legge negli annali de' padri cappuccini d'un certo religioso (narrandosi questo fatto al popolo, si dirà di un certo uomo) il quale era stimato virtuoso, ma si confessava malamente. Infermatosi gravemente, fu avvisato a confessarsi; si fece chiamare un certo padre, al quale poi, venuto che fu, disse: «Padre mio, dite voi che mi son confessato, ma io non voglio confessarmi. E perché?» disse quel padre. Rispose l'infermo: «Perché io son dannato, mentre non mi son confessato mai intieramente de' miei peccati, e Dio in pena ora mi toglie il potermi confessare bene». Ciò detto, cominciò ad urlare e a lacerarsi la lingua, dicendo: «Lingua maledetta, che non volesti confessare i peccati quando potevi». E così strappandosi la lingua a pezzi, urlando spirò l'anima in mano del demonio. E morto che fu, diventò negro come un tizzone, e s'intese un romore terribile con una insoffribile puzza.
Esempio 3. Narra il p. Serafino Razzi come in una città d'Italia vi fu una donna nobile maritata che secondo l'esterno era tenuta per santa. Giunta in morte prese tutti i sacramenti, lasciando molto buon nome di sé. Morta che fu, la sua figliuola che sempre raccomandava a Dio l'anima di sua madre, un giorno mentre faceva orazione intese un gran fracasso alla porta; voltò gli occhi e vide la figura orribile di un porco tutto di fuoco che mandava una gran puzza; ebbe tanto timore la povera figlia che fu per buttarsi dalla finestra: ma sentì dirsi: «Fermati, figlia, fermati; io sono la tua sventurata madre, che era tenuta per santa, ma per li peccati commessi con tuo padre, ch'io per rossore non mai ho confessati, Iddio m'ha condannata all'inferno; onde non pregare più Dio per me, perché mi dai più pena». Detto ciò, diede certi urli e sparve.
Esempio 4. Riferisce il celebre dottore fra Giovanni Ragusino ch'eravi una donna molto spirituale; frequentava ella l'orazione e i sacramenti, tanto che il vescovo suo la teneva per santa. Un giorno la misera, guardando un suo servitore, acconsentì ad un mal pensiero; ma perché il peccato fu solo colla mente, si lusingava di non esser tenuta a confessarlo: nulladimeno il rimorso della coscienza sempre la tormentava, e specialmente quando stava vicina a morire. Ma neppure in morte, per la vergogna, giunse a confessarsi di quel peccato e così se ne morì. Il vescovo ch'era suo confessore e la tenea per santa, fe' portare il suo cadavere in processione per tutta la città e poi per sua divozione lo fe' seppellire nella sua cappella. Ma nella mattina seguente entrando ivi il vescovo, vide sulla sepoltura un corpo disteso sopra un gran fuoco: scongiurò
da parte di Dio, acciocché dicesse chi fosse. Quella rispose ch'era la sua penitente e che per quel mal pensiero s'era dannata; ed urlando maledicea la sua vergogna che era stata causa della sua ruina eterna.
Esempio 5. Racconta il p. Martino del Rio che nella provincia del Perù vi fu una giovine indiana chiamata Caterina, la quale stava per serva con una buona signora: onde questa la ridusse a battezzarsi ed a frequentare i sacramenti. Ella si confessava spesso, ma taceva i peccati. Giunse in morte, nella quale si confessò nove volte, ma sempre sacrilegamente; e finite le confessioni, diceva alle sue compagne ch'ella taceva i peccati. Ciò dissero le compagne alla padrona, la quale seppe dalla serva moribonda quali erano questi suoi peccati, cioè certe disonestà: onde ne avvisò il confessore, il quale, ritornato, esortava la penitente a confessarsi di tutto; ma Caterina si ostinò a non voler dire quelle sue colpe al confessore, e giunse a tanta disperazione che disse finalmente: «Padre, lasciatemi e non vi affaticate più, perché ci perdete il tempo». E voltando la faccia al confessore si pose a cantare canzoni profane. E stando poi vicina a spirare, ed esortandola le compagne a prender il crocifisso, rispose: «Che crocifisso? io non lo conosco né lo voglio conoscere». E morì. Da quella stessa notte cominciarono a sentirsi tali romori e puzza che la padrona fu obbligata a mutar casa; e dopo comparve dannata ad una sua compagna, dicendole che stava all'inferno per le sue male confessioni.
Esempio 6. Il p. Giovanni Ramirez della compagnia di Gesù, predicando in una città, fu chiamato a confessare una donzella. Questa era nobile ed aveva fatto una vita santa agli occhi degli uomini: si comunicava spesso, digiunava e faceva altre mortificazioni. in morte poi si confessò al p. Ramirez con molte lagrime, sì che quel padre ne restò consolato. Ma giunto il detto padre al collegio, gli disse il compagno che mentre si confessava quella giovine aveva veduto che una mano nera le stringea la gola. Saputo ciò il padre Ramirez, di nuovo tornò alla casa dell'inferma, ma prima di entrare intese che la giovine era morta. Ritornò al collegio, e stando in orazione gli apparve quella povera giovine circondata di fiamme e di catene egli disse ch'era dannata per un peccato commesso con un giovine, e che non avea mai voluto confessarlo per non perdere il concetto col suo confessore; che in morte volea confessarlo, ma poi si era lasciata vincere dalla stessa vergogna. E ciò detto disparve, dando urli terribili in mezzo ad un gran fracasso di catene.
Esempio 7. Narra il p. Francesco Rodriguez che in Inghilterra, allorché ivi regnava la religione cattolica, Auguberto re ebbe una figliuola di una rara bellezza, che perciò era dimandata da molti principi. Interrogata dal padre se volea maritarsi, rispose che avea fatto voto di perpetua castità. Il padre le impetrò la dispensa da Roma, ma ella stette forte in non accettarla, dicendo che non volea altro sposo che Gesù Cristo; solamente cercò al padre di viver ritirata in una casa solitaria; e il padre perché l'amava ne la compiacque, assegnandole ancora una conveniente corte. Ritirata che fu, si pose a
fare una vita santa d'orazioni, digiuni e penitenze; frequentava i sacramenti e andava anche spesso a servire gl'infermi d'uno spedale. In tale stato di vita, essendo ancora giovine, s'infermò e morì. Una certa signora ch'era stata sua aia facendo orazione una notte, intese un gran fracasso e poi vide un'anima in figura di donna in mezzo ad un gran fuoco e incatenata tra molti demoni che le disse: «Sappi ch'io sono l'infelice figlia di Auguberto. E come, rispose l'aia, tu dannata, con una vita così santa?» Ripigliò l'anima: «Io giustamente son dannata per mia colpa. E perché? Hai da sapere ch'io, essendo fanciulla, gustava che un certo mio paggio, al quale io portava affetto, mi leggesse qualche libro. Una volta questo paggio dopo aver letto mi chiese la mano, me la baciò, e il demonio cominciò a tentarmi, sino che finalmente col medesimo offesi Dio. Andai a confessarmi, cominciai a dire il mio peccato; il mio confessore indiscreto subito ripigliò: «Come? una regina fare tal cosa?» Allora io per rossore dissi ch'era stato sogno. Dopo cominciai a far penitenze, limosine, acciocché Dio mi perdonasse, ma senza confessarmi. Stando in morte dissi al confessore ch'io ero stata una gran peccatrice: il confessore mi rispose che questo pensiero l'avessi discacciato come una tentazione; e dopo ciò spirai ed ora son dannata per tutta l'eternità». E dicendo ciò disparve, ma con tanto strepito che parea che rovinasse tutto il mondo, lasciando in quella camera una gran puzza che durò per molti giorni.
Esempio 8. Racconta il p. Giovan Battista Manni gesuita che vi fu una signora la quale per più anni, confessandosi, avea taciuto un suo peccato di disonestà. Passarono per quel luogo due religiosi domenicani: ella che sempre aspettava un confessore forestiere, pregò uno di coloro a sentirla e si confessò. Partiti che furono i padri, il compagno disse a quel confessore aver veduto che mentre quella signora si confessava uscivano molti serpi dalla sua bocca, ma che un serpaccio grande era uscito solamente col capo fuori; ma poi di nuovo tutto era entrato dentro; ed allora vide entrar tutti i serpi che erano usciti. Onde il confessore, sospettando quel che fosse, ritornò indietro, andò alla casa di quella signora e intese che in entrar nella sala era morta di subito. Dopo, facendo orazione gli apparve quella misera donna dannata che gli disse: «Io sono quella sventurata che a te mi confessai; io teneva un peccato che non volea confessare a' confessori paesani. Dio mi mandò te; ma io anche mi lasciai vincere dalla vergogna. Dio subito mi mandò la morte in entrare in casa, e giustamente m'ha condannata all'inferno». E detto ciò s'aprì la terra, dove si vide precipitare e sparve.
Esempio 9. Narra s. Antonino che vi fu una vedova la quale cominciò una vita divota, ma poi praticando con un certo giovine, cadde in peccato col medesimo. Fatto l'errore, faceva penitenze, limosine, entrò anche in un monastero, ma non mai si confessava il suo peccato. La fecero badessa. Finalmente morì, e morì in concetto di santa. Ma in una notte una monaca che stava nel coro intese un gran fracasso; e veduta un'ombra cinta di fiamme, dimandò chi era.
Rispose: «Sono l'anima della badessa e sto all'inferno. - E perché? - Perché nel secolo commisi un peccato e non ho voluto mai confessarmelo. Va e dillo alle altre monache; e non pregate più per me». E udendosi un gran fracasso disparve.
Esempio 10. Narrasi negli annali de' cappuccini che una certa madre, per aver fatte confessioni sacrileghe, in punto di morte cominciò a gridare ch'era dannata per tanti suoi peccati e per le male sue confessioni. Tra le altre cose dicea che dovea fare certe restituzioni e sempre le avea trascurate. Allora disse la figlia: «Madre mia, si restituisca quel che dovete; io mi contento che si venda tutto, purché voi salviate l'anima». Ma rispose la madre: «Ah figlia maledetta! che anche per causa tua mi son perduta, mentre co' miei mali esempj ho dato scandalo a te». E così seguiva ad urlare da disperata. Mandarono a chiamare un padre cappuccino, il quale venuto l'esortava a confidare nella misericordia di Dio; ma quell'infelice disse: «Che misericordia! io son dannata; già è fatta la sentenza per me e già ho cominciato a sentir le pene dell'inferno». In questo mentre fu veduta la misera essere sollevata col corpo in aria sino al soffitto della camera, e poi di botto fu sbattuta a terra e subito restò morta.
Dopo si fanno gli atti cristiani nel seguente modo: in quanto agli atti di fede e di speranza si facciano i medesimi che stanno già stesi tra gli atti preparatorj del sermone che si fa a' figliuoli prima della confessione (vedi alla pag. 207.); poiché specialmente l'atto di fede dee farsi tutto disteso come sta ivi, dovendosi far menzione non solo de' quattro misteri principali che debbon credersi di necessità di mezzo, ma anche degli altri contenuti nel simbolo, che debbon credersi di necessità di precetto, come anche de' sacramenti, specificandosi almeno i quattro sacramenti necessarj a ciascun fedele, cioè del battesimo, cresima, eucaristia e penitenza. Si è annoverato anche quello della cresima, poiché Benedetto XIV. nella sua bolla, Etsi pastoralis1 ultimamente dichiarò peccar mortalmente tutti quei fedeli che potendo ricusano di prender questo sacramento.
Bisogna poi aggiungervi gli atti d'amore, di dolore e di proposito, ma in altra forma di quella che sta ivi, v. gr. Atto d'amore: «Dio mio, perché siete bontà infinita, degno d'infinito amore, v'amo con tutto il cuore mio sopra ogni cosa. Atto di dolore: E di tutti i peccati miei, perché ho offeso voi, bontà infinita, me ne pento con tutto il cuore e me ne dispiace. E propongo prima morire che più disgustarvi, colla grazia vostra, che vi cerco per ora e per sempre. E propongo ancora di ricevere i santi sacramenti in vita ed in morte.