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S. Alfonso Maria de Liguori
Selva di materie predicabili

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Delle figure di sentenze.

 

Le figure di sentenze altre servono per insegnare, altre per dilettare ed altre per muovere gli affetti. E per 1. quelle che servono per insegnare sono: 1. la definizione. 2. la distribuzione delle parti. Di queste due figure già si parlò di sopra, trattando de' luoghi comuni interiori. 3. L'occupazione, detta da' greci prolepsin, e si fa quando l'oratore previene l'obiezione e la scioglie. 4. La concessione, detta paromologia, e si fa quando si accorda qualche cosa agli avversarj per ottenere ciò che si desidera e qualche cosa di più. Così s. Agostino: Si peccare vis, quaere ubi Deus te non videat, et fac quod vis. 5. La sospensione, detta hypomene, e si fa quando mettesi in curiosità l'uditore di udire qualche cosa di grande, tenendolo così sospeso per qualche tempo. 6. La preterizione, detta paralepsyn, e si fa quando il predicatore dice in breve ciò che protesta di voler tacere; così s. Agostino: Omitto dicere, qui forte, dum vivis, thesaurizas furi. 7. Il paradosso o vero inopinato, e si fa quando, per ingrandir l'oggetto, si mette una proposizione che pare eccedente, ma è vera; così Origene: Audi ineffabile paradoxum: per non factum, sed genitum, omnia facta, sed non genita.

 

II. Le figure per dilettare sono: 1. L'apostrofe o sia conversione, che si fa quando l'oratore, significando d'esser commosso, si volge a parlare a' monti, a' bruti o a persone assenti. L'ipotiposi o sia descrizione, che si fa dipingendosi al vivo qualche cosa. 3. La prosopopeia o sia conformazione, che si fa quando s'induce a parlare una persona o altra cosa inanimata. Ma qui s'avverta di usar le parole proporzionate alle cose che fingonsi parlare; onde facendosi parlare un re, non gli si debbono mettere in bocca parole d'un plebeo. 4. La perifrasi o sia circolocuzione, che si fa quando, per isfuggire i termini proprj di qualche oggetto che non conviene spiegare, si prendono parole in maggior numero che spieghino la parola più castigatamente. 5. Il dialogismo, che si fa quando s'introduce a parlare una o più persone con loro stesse o con altri; siccome s. Luca introduce il figlio prodigo a parlar con se stesso, dicendo: Quanti mercenarii in domo patris mei abundant panibus! ego autem hic fame pereo3.

 

III. Le figure per muovere gli affetti sono: 1. L'interrogazione, o sia erotesi, che si fa quando indrizzassi il parlare verso altri per via di domande; o compatendo, come quando Iddio chiamò Adamo, dopo il di lui peccato e disse: Adam, ... ubi es4? o pure lagnandosi, v. gr. Si Dominus ego sum, ubi est timor meus5? o pure riprendendo, come il Signore, per Geremia6: Quid invenerunt patres vestri in me iniquitatis, quia elongaverunt a me etc.? 2. La subiezione o sia antifora, che si fa quando, dopo una interrogazione fatta a se stesso od altri, si apporta anche la risposta; così s. Agostino: Dic cui


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hesaurizas? mihi, inquis. La esclamazione o sia efonesi, che si fa levando in alto la voce per incutere spavento o altro affetto, v. gr.: oh pazzia de' peccatori, fare una vita infelice di qua, per andare a fare una vita più infelice poi di ! 4. L'epifonema o sia epifonesi, la quale è una specie di esclamazione che si fa quando il predicatore, dopo aver riferito qualche fatto o sentenza, conchiude sclamando con un breve detto: così Tertulliano dopo aver narrato il fatto di quel giovine idolatra che, assistendo al sacrificio d'Alessandro, benché gli fosse bruciato il braccio, non si scosse per non disturbare la funzione, esclama: Tanta in puero barbaro fuit disciplina reverentiae ut naturam vinceret! 5. La dubitazione, detta aporia, che si fa quando l'oratore si dimostra sospeso a qual parte debba appigliarsi. 6. La licenza o sia la libertà, detta parresia, che si fa quando il predicatore manifesta con libertà qualche verità, senza timori di rimproveri. 7. La deprecazione, che si fa quando, dopo avere scossi gli animi degli uditori colle ragioni, si pregano ad eseguire ciò che si è detto. 8. La commiserazione, che si fa quando si dimostra compassione dell'altrui ruina. 9. La riprensione, che si fa quando si sgridano gli uditori; il che non mai dee farsi con parole provocanti a sdegno.

 




3 Luc. c. 15. 17.



4 Gen. 3. 9.



5 Mal. 1. 6.



6 2. 5.






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