XLV Quel Patrono che uccide o mutila il chierico di una chiesa perde il
diritto di Patronato
In alcune province i patroni delle chiese, i loro vicari e gli avvocati sono
diventati così insolenti che, non solo, quando si tratta di provvedere alle
chiese vacanti idonei pastori, frappongono difficoltà ed inganni, ma presumono
anche di disporre a loro arbitrio dei possessi e degli altri beni ecclesiastici,
e (cosa orribile a dirsi) non temono di giungere a uccidere dei prelati.
Ma poiché ciò che è destinato alla difesa non deve essere ritorto a danno ed
oppressione, proibiamo espressamente che i patroni, vicari o avvocati, possano
trasformarsi in usurpatori, più di quanto non permetta il diritto. Se poi
credessero di poter fare il contrario, siano severissimamente puniti col rigore
delle pene canoniche.
Stabiliamo, tuttavia, con l'approvazione del santo concilio, che, se i
patroni, gli avvocati, i feudatari, i vicari o altri beneficiati osassero, con
empia audacia, uccidere o mutilare, sia essi direttamente, sia per mezzo di
altri, il rettore di una chiesa o altro chierico di essa, perdano senz'altro: i
patroni, il loro diritto di patronato; gli avvocati, la loro avvocatura; i
feudatari, il loro feudo; i vicari, il loro vicariato; i beneficiati, il loro
beneficio. E perché il ricordo della pena non sia tramandato meno a lungo del
delitto commesso, niente dei succitati passi agli eredi, ma i loro discendenti
non potranno essere ammessi fra i chierici fino alla quarta generazione, né
potranno conseguire qualsiasi onore di prelazione nelle case religiose, a meno
che non abbiano ottenuto benevolmente la dispensa.
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