XLVI Non si devono imporre tasse al clero
Contro i consoli e i governatori delle città, ed altri, che cercano di
gravare le chiese e le persone ecclesiastiche con imposte o collette ed altre
tasse, il concilio Lateranense 47, volendo salvaguardare l'immunità
ecclesiastica, ha proibito questo gravame sotto pena di anatema e ha comandato
che i trasgressori e i loro fautori fossero sottoposti ad esso, fino a che
avessero compiuto la dovuta riparazione. Se qualche volta il vescovo ed il
clero ammettono, in caso di grande necessità o utilità e senza alcuna
costrizione, di contribuire alle comuni necessità quando le possibilità dei
laici non fossero sufficienti, questi accettino il loro contributo con umiltà,
devozione, e riconoscenza. Ma poiché alcuni sono imprudenti si dovrà prima
consultare il Romano pontefice, il cui compito è di provvedere alle comuni
necessità.
Ma poiché neppure così la malvagità di alcuni contro la chiesa di Dio si è
calmata, aggiungiamo che le disposizioni e le sentenze promulgate da questi
scomunicati o per loro mandato si devono ritenere vane e inutili, e senza alcun
valore per sempre.
Del resto, poiché la frode e l'inganno non devono tornare a vantaggio di
alcuno, nessuno sia tratto in inganno da questo inutile errore, che, cioè, egli
debba sottostare alla scomunica (solo) durante il tempo del suo governo, quasi
che dopo di esso non possa essere obbligato alla dovuta soddisfazione.
Decretiamo, infatti, che sia chi ha ricusato la soddisfazione, il suo
successore, se non avrà riparato entro un mese, siano irretiti nella censura
ecclesiastica, finché questi abbia convenientemente riparato; chi, infatti,
succede nell'onore, succede anche negli oneri.
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