XXXII I patroni lascino al clero una quota conveniente
Bisogna estirpare un costume abusivo che ha preso piede in alcune regioni:
chi ha diritto di patronato sulle chiese parrocchiali ed altre persone,
rivendicando a sé, completamente, i proventi delle stesse chiese, lasciano ai
sacerdoti addetti ad esse una quota cosi misera, che essi non possono
mantenersi con sufficiente dignità. Infatti, come abbiamo potuto sapere con
certezza i sacerdoti addetti alle parrocchie non hanno assegnata, per il loro
sostentamento, se non la quarta parte del quarto, cioè, un sedicesimo delle
decime. Avviene, di conseguenza, che in queste regioni non si trovi quasi un
parroco che abbia una pur minima conoscenza delle lettere.
E poiché non si deve legar la bocca al bue che tritura (il fieno)
40, e chi serve all'altare deve vivere dell'altare 41,
stabiliamo che, nonostante qualsiasi consuetudine in contrario del vescovo, del
patrono o di qualsiasi altro, venga assegnata ai sacerdoti una quota ad essi
sufficiente.
Chi ha una chiesa parrocchiale non deve soddisfare al suo servizio per mezzo
di un vicario, ma personalmente, secondo che la cura della stessa chiesa
richiede, a meno che la chiesa parrocchiale sia annessa ad una prebenda o ad
una dignità. In questo caso permettiamo che colui che ha tale prebenda o
dignità, essendo necessario che egli presti il suo servizio presso la chiesa
maggiore, abbia nella stessa chiesa parrocchiale un vicario adatto e
permanente, canonicamente eletto, il quale, come si è detto, abbia una quota
conveniente dei proventi stessi della chiesa. Diversamente, il parroco deve
considerarsi privato di essa, che può quindi essere liberamente assegnata ad
altri, che voglia e possa adempiere quanto stabilito.
Proibiamo, poi, assolutamente che qualcuno, con frode delle rendite
ecclesiastiche, possa dare ad altri una pensione sui redditi di una chiesa che
debba provvedere ad un proprio sacerdote.
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