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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE         Capitolo I. CONDIZIONI GENERALI
      • II. LE PROVINCE INFESTATE DAI MALFATTORI
        • § 23. — La generale impotenza della classe abbiente contro i malfattori, non si può spiegare con la mancanza dei mezzi per resistere. Nè con la generale complicità. La semplice osservazione delle relazioni fra cittadini e malfattori non fornisce gli elementi per sciogliere questo problema.
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§ 23. — La generale impotenza della classe abbiente contro i malfattori, non si può spiegare con la mancanza dei mezzi per resistere. con la generale complicità. La semplice osservazione delle relazioni fra cittadini e malfattori non fornisce gli elementi per sciogliere questo problema.

Come hanno potuto i malfattori acquistare un sì strano predominio sugli animi? La mente si affatica lungamente invano intorno a questo problema. Se i proprietari ricevono cortesemente i briganti, li albergano, li rivestono, li armano, non è certo per carità cristiana. Non è per uno spirito di rassegnazione e di umiltà poco verosimile; lo dimostrano gli odii e i rancori implacabili coi quali i signori ingannano i lunghi ozi della loro vita neghittosa nei paesi dell’interno. Non è perchè i Siciliani non sappiano al bisogno unirsi per un dato fine; lo prova la stretta unione fra i membri di ciascuno dei partiti, che in tanti Comuni si contendono il primato di generazione in generazione, lo prova la stessa solidarietà dei malfattori fra di loro. D’altra parte, i mezzi materiali di difesa non mancano. I proprietarii hanno modo di assoldare gente risoluta in loro difesa. Qual’è dunque la ragione della loro mancanza d’unione, della loro impotenza, della loro docilità di fronte alla potente organizzazione del malandrinaggio?

Veramente, a vedere sottomettersi con tanta facilità tutta una classe di persone, cui basterebbe agire d’accordo per tre giorni per fare sparire il brigantaggio, la prima impressione è che questa rassegnazione non sia altro che complicità. Ma anche appoggiandosi sopra questa ipotesi, la mente cerca invano un criterio che la guidi nel giudizio dei fatti. La complicità apparente è universale. Ma in Sicilia l’apparenza di complicità non ha significato. Chi troverà il mezzo di distinguere quella che viene imposta dal terrore, da quella spontanea e lucrosa? Taluni proprietarii per aver rifiutato ospitalità o informazioni ai briganti, hanno avuto il bestiame distrutto, le piantagioni e le case bruciate, sono stati ricattati, assassinati19. Ma nel tempo stesso altri si sono arricchiti col manutengolismo, col tener mano ai ricatti, dando informazioni ai briganti, magari prestando il luogo dove rinchiudere il sequestrato. Taluni devono una fortuna considerevole all’industria del ricoverare nel loro fondo il bestiame rubato per curarne poi la vendita o l’esportazione. È incalcolabile il numero di persone d’ogni condizione che impiega in Sicilia l’industria degli abigeati. Una vasta rete di ladri, compari e ricettatori, cuopre tutta l’Isola. Dei capi di bestiame rubati, poniamo, sulla costa settentrionale, trovano chi li nasconde nel suo fondo, posto nel centro dell’Isola, e, al bisogno, chi provvede ad imbarcarli in qualche punto della costa meridionale per l’Africa. Ma d’altra parte è pubblicamente noto che taluni grandi proprietarii sono costretti, loro malgrado, a lasciare ricoverare nel loro fondo, il bestiame rubato dai briganti. Dovrà considerarsi come indizio di manutengolismo, se un proprietario sta tranquillamente in campagna colla famiglia, gira senza scorta dappertutto, e non è mai molestato? Nemmen questo: conviene talvolta ai briganti di non farsi nemico un signore ricco e potente, e rispettarlo senza esiger da lui altro che il silenzio sui loro movimenti, e lo stretto necessario per i loro bisogni. Questo non si può considerare, e non si considera, come manutengolismo, e non v’è proprietario che non sia in questo modo in contatto continuo coi briganti, e che non lo dica apertamente anche alle autorità. E in taluni casi di manutengolismo vero e proprio a fine di lucro, chi è il colpevole, il proprietario, o i suoi fattori ed impiegati? Il proprietario è spesso il primo ad esser vittima del manutengolismo del suo fattore. Questo ha interesse a tenere il padrone lontano dai suoi fondi colla paura. Molto più, ciò che ha apparenza di manutengolismo del proprietario, può essere atto di brigantaggio vero e proprio commesso dai fattori. Le firme dei briganti nelle lettere di scrocco non sono autenticate da notaro. Chi garantisce se sono vere od imitate? Quando i proprietarii, invitati a rendersi presso l’autorità pubblica per affari correnti non rispondono all’invito per timore d’esser sospettati di aver denunziato un malfattore, è probabilmente il solo terrore che li trattiene. Ma chi può dire se il loro silenzio riceve o no il suo compenso all’occasione? Si potrà dire almeno che non è manutengolo il proprietario il quale da parecchi anni non osa uscir dal paese per paura dei briganti o che vien da essi ricattato od anche ucciso? Nemmeno. Ognuno in Sicilia conosce la storia di quei due proprietarii alleati di bande brigantesche ostili fra di loro. Uno di essi fece ricattare l’altro che dovette pagare una grossa taglia. L’altra banda per vendicare lo sfregio fattole nella persona del suo protetto, sequestrò a sua volta il proprietario amico della banda avversa, gl’impose una grossa taglia, lo uccise, e nonostante si prese i denari. Dovrà dirsi manutengolo chi impiega a suo servizio gente facinorosa? Ma il proprietario che non voglia avere i fondi e il bestiame in balìa del primo ladruncolo venuto, deve aver alcuni fra i suoi campieri20 che si facciano rispettare, e il modo più efficace per farsi rispettare in buona parte di Sicilia, è l’esser in fama di aver commesso qualche omicidio. Ma il modo di non aver nemica una banda di briganti o qualche altra potente associazione di malfattori dei dintorni è l’avere al proprio servizio una persona, che sia in relazione con loro, che possa trattare con loro per riavere contro competente compenso il bestiame che hanno rubato al padrone. Il loro salario, a quanto dicesi, è talvolta fuor di proporzione col loro ufficio, è la tassa che il proprietario paga alla banda o all’associazione, ed una specie di premio d’assicurazione o di riscatto contro l’abigeato. E chi può dire se quel campiere non è stato da esse imposto al proprietario? I proprietarii dichiarano essi stessi apertamente di essere obbligati a tenere fra i loro impiegati dei facinorosi. Qual’è l’autorità che potrà farne loro un delitto quando il Governo è il primo ad impiegarli al suo servizio? Che cosa sono per la maggior parte i militi a cavallo se non degli antichi malandrini che portano una divisa e, sul berretto, la cifra del re? La mente si affatica invano a cercare i criterii che in una tale condizione di società distinguono il bene dal male, l’innocenza dal delitto. Chi è del tutto innocente, chi è del tutto colpevole? Un atto per il quale in paesi che sono in condizioni diverse non si esiterebbe a mandare un uomo in galera, qui è ammesso, e non si può punire. Ed intanto i briganti diventano capitalisti e hanno relazioni di affari cogli abitanti, dànno bestiame a soccida, diecine di mila lire a mutuo. Intanto stanno formandosi quasi pubblicamente dei patrimoni col manutengolismo e colla complicità negli abigeati. Intanto ciascuno dei partiti avversi nei Comuni, corteggia l’alleanza dei briganti e dei facinorosi; i privati acquistano rispetto, considerazione e influenza quando sia pubblico che sono amici di briganti. Chi potrà dire la parte che hanno i malfattori nella scelta dei fittaiuoli dei feudi, in quella dei compratori dei fondi in vendita, e nella determinazione dei loro prezzi? Chi potrà misurare la loro influenza diretta o indiretta, nelle elezioni municipali, nelle elezioni politiche? Venti o trenta mascalzoni sanguinari con una retroguardia di latitanti erranti per le campagne, e di facinorosi occulti o palesi, sono il fondamento di buona parte delle relazioni sociali più importanti in due terzi di Sicilia.

E si sentono dei Siciliani, specialmente delle classi medie e inferiori, che parlando del brigantaggio dicono apertamente di non veder nulla di anormale nella sua esistenza, di non veder nessuna buona cagione perchè debba cessare. Secondo loro, si tratta di gente che non fa male a nessuno se non è provocata, si contenta d’imporre una tassa ai ricchi, che del resto possono pagarla benissimo, e benefica la povera gente. «Quelli erano briganti chic», ci diceva e ci ripeteva, parlando della banda Capraro, un piccolo impiegato che incontrammo in viaggio. Si racconta perfino in Sicilia che giovani di buona famiglia si sono talvolta uniti a qualche impresa di bande brigantesche famose, senza nessuna mira d’interesse, ma per arditezza giovanile, per acquistare onore facendo prova di coraggio, nel medesimo modo che se si fossero arruolati nell’esercito o fra i volontari per le guerre d’indipendenza. Ad ogni modo, nelle persone di tutte le classi, specialmente se non hanno sofferto dai malfattori danni maggiori degli ordinari, si sente spesso trapelare nella conversazione una certa compiacenza per il tipo brigantesco, una tendenza a farne un tipo da leggenda, un sentimento insomma, che sarebbe abbastanza naturale in un professore di letteratura, ma si spiega difficilmente in proprietari fondiari che hanno masserie e granai combustibili.

Però, questa ammirazione teorica pei briganti non impedisce che la poca sicurezza non provochi, specialmente nella classe ricca, generali lamenti, i quali, nella bocca di chi ebbe a soffrire dal brigantaggio personalmente in modo crudele, diventano aspri ed irosi e si manifestano per lo più sotto forma di duri rimproveri al Governo. Da esso si aspetta, o piuttosto si richiede tutto. Esso in mezzo alla universale cospirazione del silenzio deve pur trovar modo di scuoprire i malfattori e di impadronirsene. Questo disperato cercare di un appoggio fuori di stessi non ha nulla che debba sorprendere quando si consideri la inaudita disorganizzazione di tutta la classe che ha qualcosa da conservare di fronte alla disciplina dei malfattori.

 

 




19 «.... I fratelli Di Lorenzo di Gibellina e i signori Militello da Montemaggiore furono assassinati per aver chiuso la porta in faccia ai briganti. Il signor Mancuso di Palazzo Adriano fu ricattato per aver negato ai briganti alcuni mantelli» (Il Brigantaggio in Sicilia. — CauseRimedi. Di autore anonimo. Palermo, tip. Dolcemascolo, 1876).



20 Vedi la descrizione vivace e pittoresca che fa del campiere facinoroso il Cattani nella sua pregevolissima opera sull’Economia agraria in Sicilia, vol. I, pag. 103 e seg.






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