§ 28. — Amministrazioni
locali.
Con questo concetto
dell’interesse generale in tutte le classi della popolazione, ognuno può
immaginare che cosa sieno le amministrazioni locali d’ogni genere. Spesso il
patrimonio comune diventa preda del partito al potere; gl’impieghi diventano
patrimonio degli aderenti di questo; le leggi la cui esecuzione è affidata alle
autorità locali, diventano un’arme, un mezzo per operare esazioni a vantaggio
del partito vincitore e a danno del vinto. Per citare qualche esempio: le
guardie daziarie, scelte dal partito al potere, lasciano passare la roba degli
aderenti di questo, e compensano il bilancio comunale gravando la mano su
quella dei membri del partito vinto. Ogni anno, alla revisione delle liste
elettorali queste sono riempite di nomi di aderenti del partito al potere, non
elettori. Le sentenze della Corte d’appello che ne ordinano la cancellazione
giungono dopo le elezioni. L’anno seguente principia lo stesso giuoco e così da
un anno all’altro il partito al potere vi si mantiene coi voti di persone, cui
la legge rifiuta il diritto di votare. Parimente, i pochi Monti frumentari
sopravvissuti alla generale rapina, le società cooperative, quelle di mutuo
soccorso hanno, salvo poche onorevoli eccezioni, per unico scopo di procurare a
chi se n’è impadronito, influenza per sè, guadagni per sè e per i propri
aderenti.
Chiunque abbia energia, astuzia,
denari, relazioni negli uffici pubblici, insomma qualcosa da dare in cambio
della protezione di un più potente di lui, è certo di trovar posto nella
clientela dell’uno o dell’altro. Rimangono fuori da tutte, isolati, esposti
alle prepotenze di ognuno, coloro che non possono rendersi utili in nessun
modo. Tali sono i più fra i contadini, che in generale non possiedono nulla;
sono ignoranti e abbrutiti, e non sanno al bisogno prendere uno schioppo e
andare ad aspettare al passo una diligenza o un viandante. Tali sono tutti
coloro che non hanno nè ricchezza, nè astuzia, nè energia, tutti coloro insomma
la cui sola difesa in altro paese sarebbero le leggi. Questi non hanno parte alla
protezione di quella specie di diritto consuetudinario in vigore in Sicilia, la
cui porzione più conosciuta fuori dell’Isola è quella che obbliga ognuno a
proteggere il prossimo contro la legge e la giustizia. Difatti, il facinoroso
conosciuto che, per schivare l’ammonizione giudiziaria, abbia bisogno di un
certificato di buona fama, trova firme quante ne vuole, dalle persone più
considerate. Il miserabile vagabondo inoffensivo, se la vede malamente
rifiutare. Citeremo un esempio ancora più caratteristico. Un impiegato
inferiore del macinato venuto da pochi giorni dal Piemonte, girando per la
campagna per il suo ufficio, vede in un campo cadere un uomo colpito da una
fucilata. Spaventato, corre in paese a denunziare il fatto. S’inizia la
procedura, si ricerca il colpevole. Dopo pochi giorni viene arrestato
quell’impiegato stesso sotto l’imputazione di aver commesso l’omicidio. Si
istruisce contro di lui, si trovano testimonianze a suo carico, si è sul punto
d’inviarlo alla Corte d’Assise, e ciò mentre tutta la contrada conosceva il
nome di chi aveva veramente commesso il delitto, le cagioni che lo avevano
spinto a commetterlo, il vantaggio che ne aveva ritratto. Ciò in un paese, dove
denunciare un assassino veramente colpevole è infamia. Fortunatamente l’Autorità
superiore, avvertita a tempo, intervenne energicamente, e il processo fu
rimesso sulla vera strada. Ma convenne trovar modo di traslocare l’infelice
impiegato del macinato per sottrarlo al pericolo di essere assassinato.
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