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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE         Capitolo I. CONDIZIONI GENERALI
      • II. LE PROVINCE INFESTATE DAI MALFATTORI
        • § 35.— Prefetti e sottoprefetti. Loro impotenza contro gli abusi.
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§ 35.— Prefetti e sottoprefetti. Loro impotenza contro gli abusi.

A capo delle provincie e dei circondari muniti di siffatto personale, sopra il personale di pubblica sicurezza, accanto alla magistratura, di fronte alla popolazione, stanno i prefetti e sottoprefetti venuti a rappresentare il Governo ed il suo spirito, ad assicurare l’onestà nelle amministrazioni, a conservare l’ordine e la sicurezza pubblica. Il funzionario giunto da un’altra parte d’Italia, ignorante delle condizioni sociali dell’Isola, per farsi un’idea del nuovo ambiente in cui è entrato, si dirige naturalmente ai cittadini. S’egli ha, come è probabile, la mente piena di racconti sul disprezzo del Siciliani per l’autorità e per le leggi, sull’asprezza delle rivalità fra i partiti locali, sul disordine delle amministrazioni locali, egli si aspetta a vedersi, fin dai suoi primi contatti colle persone del paese, aprir davanti, sotto una forma od un’altra, una specie d’inferno. Ed invece, si vede nel più dei casi trattato con ogni maniera di cortesie. Se interroga sulle condizioni del paese, sente bensì lamenti sulla pubblica sicurezza, sulla gravezza delle tasse, spesso sulla ingiustizia o sul poco tatto del suo predecessore; ma per il rimanente, tutto va bene nelle amministrazioni comunali; nelle Opere pie regna l’ordine il più perfetto e l’onestà la più illibata; le varie classi sono nell’unione la più cordiale e formano una vasta famiglia. Del resto, tutti faranno a gara per consigliarlo, per avvertirlo delle difficoltà, dei rischi cui va incontro. Il suo predecessore non ha fatto ottima riuscita perchè ha creduto di doversi appoggiare sopra certe persone, sopra certi interessi, oppure perchè ha urtato certe suscettibilità rispettabili: i Siciliani sono un popolo che ha bisogno di esser preso per il suo verso, di esser ben conosciuto, ed allora il governarlo è facilissimo. Peraltro, egli può far conto sui consigli, sull’aiuto di chi gli parla. Da tutte le parti, il funzionario nuovo venuto si sente fare i medesimi discorsi e le medesime offerte, dare i medesimi avvertimenti. La sola cosa che muti a seconda degli interlocutori, è il nome delle persone di cui deve diffidare e star lontano, Però, quando egli, più o meno edificato da queste manifestazioni secondo che è meno o più furbo, principia a metter mano agli affari correnti, ed a guardare ciò che si fa nei Comuni e nelle altre amministrazioni locali, la scena muta a poco a poco. Sia pure egli tanto fortunato da non trovare una enorme quantità di affari arretrati e i bilanci comunali da parecchi anni lasciati senza revisione dal suo predecessore, troppo assorbito dalle cure della sicurezza pubblica o delle elezioni politiche, le difficoltà non saranno per questo minori. L’apparenza dell’amministrazione sarà diversa secondo i luoghi. Troverà i bilanci di alcuni Comuni sapientemente redatti colle forme e le apparenze della legge rigidamente osservate; ad un esame superficiale nulla tradirà la minima illegalità, il minimo abuso. Altri bilanci invece manifesteranno la più grossolana incapacità ed ignoranza nei loro autori, tutte le prescrizioni della legge saranno state fraintese, e occorrerà un lavoro improbo per ritrovarsi in mezzo a una confusione di cifre senza ordine ragione. Ma per quanto possano essere diversi nella forma, sono simili nel maggior numero di essi i disordini e gli abusi. In un grandissimo numero di Comuni è mostruosa l’ingiustizia nella distribuzione delle imposte a vantaggio di chi comanda; le rendite e gli uffici del Municipio servono ad arricchire o sostentare le persone che hanno in mano il Consiglio comunale, i loro parenti, amici, aderenti; le rendite delle Opere pie, i capitali dei Monti frumentari, servono loro ad acquistare nuovi partigiani, e ad assicurarsi gli antichi; le liste elettorali sono l’oggetto di un perenne giuoco di bussolotti. Cogli abili, il funzionario deve lottare di astuzia e di acume per rendere manifeste le irregolarità e le magagne che si nascondono sotto le forme regolari, per eludere gl’infiniti cavilli coi quali cercano di mantenersi entro i limiti della lettera della legge; coglignoranti, deve esercitare facoltà di tutt’altra specie, per fare entrare in menti incolte ed ottuse concetti che queste sono incapaci di comprendere. È accaduto a un sottoprefetto di dover chiamare nel suo ufficio dei sindaci, degli assessori municipali, e far loro durante delle ore la lezione come un maestro di scuola, per far intendere ad essi alcune modificazioni portate da un regolamento alla redazione dei bilanci comunali. Ma si tratti di esperti o di ignoranti, il funzionario cui preme il suo dovere, deve ugualmente accingersi, nel maggior numero dei casi, a combattere disordini, abusi, ingiustizie.

Allora principia per lui la dura prova. Tutti coloro cui l’applicazione della legge toglie un guadagno illecito, un mezzo d’influenza, o scema per poco la reputazione d’onnipotenza e d’infallibilità, e con loro tutti i loro parenti, amici o aderenti, principiano un coro di lamenti e di recriminazioni; s’ordisce una congiura di accuse, al bisogno di calunnie, senza posa. Si cerca l’aiuto di persone influenti a Roma, si reclama l’alleanza del deputato del collegio, quando si sia contribuito alla sua elezione; s’invoca la protezione del senatore più vicino. Il funzionario vede nascere, crescere ed ingigantire intorno a la bufera. A meno che sia dotato di una energia sovrumana, cerca istintivamente un sostegno. Se vi ha in paese un partito opposto alle persone che hanno avuti lesi i loro interessi, l’appoggio è bell’e trovato: non occorre cercarlo, si presenta da . E sarebbe chieder troppo ad un impiegato il volere che, assalito con tanto accanimento, mal sicuro dell’appoggio dei suoi superiori, egli non si abbandoni nelle braccia che gli si porgono con tanta cordialità, e non accetti l’alleanza offertagli. Da quel momento in poi, per un processo naturale dell’animo umano, qualunque pensiero, per quanto fosse prima dominante nella mente di quel funzionario, ne sparisce a poco a poco per dar luogo alla cura immediata della sua difesa: ed il successo di questa dipende dall’aiuto dei nuovi alleati. Poco a poco è trascinato a fare tutte quelle concessioni, che devono assicurargli questo aiuto, e di concessione in concessione, arriva a tollerare, a favorire, a vantaggio di quelle, le stesse illegalità, per impedire le quali egli ha sollevato contro di la tempesta. Da allora in poi egli diventa l’istrumento del partito o della camarilla, che l’ha preso a proteggere. Questa lo porta attorno come un trofeo della sua potenza, ne fa un’arme per i suoi soprusi, e se prima aveva da combattere aspramente ogni giorno per guadagnare e conservare una preponderanza mal sicura, adesso trionfa addirittura e s’impone senza contrasto per mezzo di lui.

Se poi per caso strano il funzionario ha il coraggio piuttosto unico che raro di resistere alle lusinghe come agli assalti, e di tenere alta la bandiera della legge di fronte a tutti; oppure se le persone che ha avuta la sventura di offendere non hanno rivali nel comando, allora la sua posizione è quasi disperata. Se non è siciliano, alle accuse contro la sua persona si aggiunge il lamento che gl’impiegati continentali sono incapaci di capire gl’isolani, non sanno rispettare le loro giuste suscettibilità, sono inatti a governarli. Intanto crescono senza contrasto le pressioni e gl’intrighi presso il Ministero, si sorveglia ogni atto, ogni parola, ogni movimento del perseguitato per coglierlo in fallo. E quando egli ha commesso qualche errore, inevitabile in una situazione così difficile ed esasperante, urli, scandali, contumelie; si grida all’immoralità, alla ingiustizia, si invocano perfino le leggi. Alla fine, il Ministero o per ignoranza del vero stato delle cose o per stanchezza, o per non perdere il voto in Parlamento, o per paura di ciò che crede esser l’opinione pubblica, cede, e trasloca il funzionario. È accaduto però lo strano caso che il Governo resistesse fino all’ultimo, cioè fino alla prima crisi ministeriale. Allora è il ministro nuovo che trasloca l’impiegato. Ma sia stato il trasloco ordinato dal ministro vecchio o nuovo, l’effetto è sempre lo stesso, cresce il disprezzo per il Governo e per i suoi agenti: nel volgo, perchè si conferma sempre più in lui l’idea che il rappresentante dell’autorità non è altro che persona posta dal Governo al servizio della influenza dei potenti del luogo, i quali hanno buoni mezzi di far punire ogni suo atto di insubordinazione; nelle persone influenti e prepotenti, perchè vedono quanto sia loro facile di trionfare della legge e di chi la rappresenta. Se poi un funzionario superiore riesce a rimanere lungo tempo nel suo posto facendosi tollerare, allora il disprezzo cresce più che mai, perchè ciò nel maggior numero dei casi può accadere solamente quando esso o sia tanto privo d’intelligenza da non capir nulla di quanto accade intorno a lui, o si sia lasciato corromper fin da principio, o sia di una debolezza eccessiva.

Chi potrà rimproverare a un funzionario posto in siffatte circostanze s’egli finisce coll’abbandonarsi all’influenza dell’ambiente, e coll’andare avanti a furia d’illegalità, di compromessi? Allora i lamenti, le recriminazioni crescono più che mai: abitanti e funzionari si rimproverano a vicenda le illegalità e le prepotenze, ognuno esagera dal canto suo. Una persona capitata da poco non trova filo per condursi in questo laberinto di vero e di falso, di torti che s’intrecciano, e si sente l’animo tormentato da quell’eterna quistione che pesa continuamente come un incubo sulla mente di chiunque studi le condizioni di Sicilia. Di chi è la colpa? Se da una parte le persone del paese non si curano delle leggi che per trovare i migliori modi di eluderle e di violarne almeno lo spirito, dall’altra non sono pochi nemmeno gli arbitrii e le illegalità dei rappresentanti del Governo. E queste non hanno sempre il fine di avvantaggiare l’interesse pubblico. Sono numerosi gli esempi di funzionari che hanno approfittato della forma che traevano dal loro ufficio per soddisfare rancori personali o avvantaggiare i loro interessi privati. Se gli abitanti, nel massimo numero dei casi, usano ogni mezzo per volgere a loro vantaggio privato i patrimoni dei Comuni e delle Opere pie, lo possono fare spesso per la negligenza e la fiaccona delle autorità incaricate di sorvegliare queste amministrazioni. Nella penuria in cui sono di vie rotabili, i Siciliani vedono talvolta lo Stato spendere inutilmente denari in costruzione di strade che franano appena aperte alla circolazione, e ciò per la scandalosa negligenza del proprio dovere per parte di taluni uffici del genio civile, dove la visita di collaudo si rimette dal capo al suo sottoposto, da questo al suo inferiore, e così di seguito finchè la visita e la verificazione vien fatta da un impiegato d’ordine infimo. Se gl’impiegati in taluni luoghi si lamentano dell’antipatia e dell’astio della popolazione, che li tratta e li considera come se fossero venuti alla coda di un esercito invasore, d’altra parte gli abitanti si lamentano a ragione della mancanza di riguardi di molti funzionari ed ufficiali dell’esercito per i loro costumi, per le loro tradizioni; dell’aperto disprezzo col quale questi trattano la popolazione in mezzo alla quale sono. Gl’impiegati continentali devono fare spesso ai Siciliani quell’impressione che fanno e soprattutto facevano per l’innanzi agli Italiani delle altre provincie i Francesi, quando venivano a denigrare e disprezzare tutto ad alta voce paragonando il nostro paese al loro. E dovrebbe pure esser gran cura di non urtare inutilmente una popolazione, dalla quale pur troppe idee o costumi inveterati si devono per necessità svellere ad ogni costo, perchè incompatibili col sistema di Governo italiano.

Ad ogni modo, di chiunque sia la colpa, il risultato chiaro e certo, è che la legge non si rispetta se non da chi non è abbastanza ardito per violarla; che, per chiunque altro, la legge e l’autorità non sono se non un mezzo per prevalere più sicuramente contro ogni diritto ed ogni giustizia; che quantunque vi siano e leggi e funzionari e tribunali e forza pubblica, il patrimonio pubblico è di chi se lo sa prendere, le vite e le sostanze dei cittadini sono in balìa dei più prepotenti; che per i monti, per le selve, per i campi, per le strade, si ammazza, si ruba, si ricatta, quasi sempre impunemente.

 

 

 




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