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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

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  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • Capitolo II. CENNI STORICI
        • § 43. — Condizioni economiche e sociali della Sicilia dopo la Costituzione del 1812.
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§ 43. — Condizioni economiche e sociali della Sicilia dopo la Costituzione del 1812.

Imperocchè alla riforma economica erano quasi del tutto mancati gli effetti. Ed invero, la libera commerciabilità resa ai beni feudali, e lo scioglimento di diritti promiscui fra Comuni e proprietari erano poco atti a produrre la divisione della proprietà in un paese dove la ricchezza di ogni specie era concentrata nelle mani di coloro che già possedevano la terra e di pochissimi altri, e dove l’assoluta mancanza di commercio non dava luogo a nuove ricchezze di venire in mano ad uomini nuovi. Di modo che, se alcuna parte delle terre liberate dagli antichi vincoli venne venduta da qualche barone dissestato di fortuna, la comprarono o altri baroni o quei pochissimi già locupletati coll’industria dei grandi affitti, e così la ricchezza cambiava mani, senza dividersi gran fatto.

Perlochè, dopo il 1815 come prima del 1812, la popolazione siciliana quasi tutta si divideva in due classi. L’una, poco numerosa, di proprietarii straricchi, almeno riguardo alle condizioni del paese, l’altra, che comprendeva quasi tutta la popolazione, di contadini che non possedevano niente, ed erano miseri al punto di dover giorno per giorno dipendere dai proprietari per il loro pane. All’infuori di queste, erano solamente i pochissimi commercianti delle città, e i pochi proprietari medi e piccoli. Di questi, parte erano già proprietari di beni allodiali, parte possessori di terre date a censo da quei baroni che avevano con tal mezzo cercato di far nascere dei paesi nelle loro signorìe, o di farne coltivar meglio alcune parti. I componenti questa ristrettissima classe media erano i soli cui fosse permesso sperare di giovarsi coll’andar del tempo della libertà di vendere e comprare le terre, perchè a loro soli era possibile di metter da parte tanto capitale da potere imprendere una industria ed arricchirsi.

Per le medesime ragioni durava quasi ovunque la scarsa e pessima coltura del suolo. E valse poco a migliorarla l’abolizione degli usi civici assolutamente angarici, e la redimibilità di quelli provenienti da condominio od altro titolo, abolizione sancita dalla costituzione80. Quando pure questo provvedimento avesse potuto essere eseguito, non v’era ragione di coltivare i fondi nuovamente liberati dalla servitù, piuttostochè tanti altri già liberi e pure incolti.

E se furono più efficaci le riforme giuridiche, pure non lo furono molto. Difatti, il potere illimitato dei baroni d’imporre a discrezione a’ loro vassalli tasse, servigi, diritti di monopolio non era sancito solamente dalla pratica feudale, e da quella forza materiale organizzata, di cui disponevano i baroni e lo Stato per farla rispettare, ma era ancora sancito almeno nella massima parte dei casi in quanto, cioè, riguardava i proletari, dalla necessità delle circostanze e dall’indole delle relazioni economiche. Difatti tale potere non riconosciuto dal diritto feudale teorico, era nonostante prevalso come diritto consuetudinario, e come tale si mantenne anche dopo che fu per legge abolito.

Questa era conseguenza necessaria della persistenza delle condizioni economiche dell’epoca feudale. Invero, mancavano nella nazione gli elementi atti a costituire uno stato di diritto diverso e rispondente al concetto che aveva ispirato la nuova legislazione; perchè i contadini continuarono a formare coi baroni la quasi totalità della nazione, ed erano dopo, come prima della abolizione dei diritti feudali, assolutamente, proletari di fronte a una classe di proprietari che, tenendo impiegato nell’agricoltura un capitale minimo o nullo, avevano piena balìa d’imporre al contadino quelle condizioni che a loro piacessero in cambio della terra che gli davano da coltivare.81 Di modo che, per ciò che riguardava le prestazioni e servigi, dopo come prima dell’abolizione della feudalità il potere nel padrone d’imporli ai contadini non trovava limite che nella bontà del suo cuore, oppure in quel punto nel quale riducessero il contadino a preferire di morire di fame senza far nulla, piuttosto che lavorando. La sola differenza portata dall’abolizione della feudalità fu che il padrone, in luogo di esigere come prima le prestazioni in forza del suo diritto di dominio eminente e per mezzo del suo tribunale, ora esigeva in forza di contratto, e che il contadino poteva mutar padrone.

maggiormente fu mutata la condizione riguardo alle prelazioni e monopolii. I contadini non trovavano più davanti a il diritto del barone di comprare i loro prodotti al prezzo che voleva, di proibir loro di venderli finchè non avesse venduti i propri. Ma essendo rimasti i capitali concentrati in pochissime mani, essendo cresciuto il commercio per mezzo di persone venute di fuori via, i contadini, costretti subito dopo il raccolto a vendere il grano per far fronte ai loro impegni, non avevano la scelta dei compratori; e il prezzo che veniva stabilito prima dal barone in virtù del suo diritto feudale, era adesso imposto dalla camorra dei pochissimi sensali e commercianti di grano possessori esclusivi del mercato82. Anche in questo mutavano o potevano mutare le persone, che approfittavano dei frutti del lavoro del contadino, ma la sua condizione giuridica rimaneva la medesima: per esso il diritto era sempre costituito dalla volontà di quel possessore di capitali che acconsentiva a trattare con lui.

La sola classe di persone che prima dell’abolizione della feudalità fossero in condizioni di fatto tali da poter fondatamente richiedere che queste venissero dal diritto positivo sancite con un miglioramento della loro condizione giuridica, era la scarsissima classe composta dai possessori di beni allodiali e di terreni censiti non troppo angusti, e dai pochissimi altri che col commercio o altrimenti, si erano formati un peculio. Difatti questi furono i soli a profittare delle riforme. Sicuri ormai di non poter essere spogliati del loro guadagno da qualche tassa arbitraria, liberi di far quell’uso che ad essi piacesse delle loro terre, dei loro prodotti e dei loro capitali, trovarono aperto dinanzi a il campo dei commerci e delle industrie dell’Isola il quale, quantunque ristretto, era pure più che bastante per il loro piccolo numero. E specialmente l’industria dei grandi affitti (gabelle) diede modo di arricchirsi a parecchi fra loro. Se le condizioni economiche dell’Isola fossero state tali da permettere a molti delle classi miserabili di potere gradatamente migliorare il loro stato, acquistare qualche capitale, e venire ad ingrossare il numero dei possessori di fortune medie e piccole, questi ultimi sarebbero stati il nucleo di quella classe media che avrebbe potuto sollevare la Sicilia a condizioni migliori. Ma rimasti costoro pochi come prima, padroni esclusivi insieme coi baroni delle terre, dei capitali, dei commerci e delle industrie dell’Isola, il tornaconto li portò, piuttostochè a farsi concorrenza fra di loro, a coalizzarsi di fronte alle classi inferiori. Laonde i privilegi e i monopoli tolti dalla legge ai baroni furono dalle condizioni economiche mantenuti, con questa sola differenza, che venne ammessa a parteciparvi la classe media. L’effetto dell’abolizione della feudalità nel campo economico fu dunque questo: che la classe dei possessori esclusivi della terra e dei capitali crebbe un pochino di numero, e che diventò possibile che i fondi dei nobili andati in rovina, venissero in mano di non nobili: divenne più facile alla ricchezza di mutar mani, ma non di dividersi, almeno in modo sensibile; e dopo come prima l’abolizione della feudalità, la popolazione dell’Isola rimase divisa in due parti, disugualissime per numero: restò industria quasi esclusiva dell’Isola l’agricoltura, continuò a mancare quasi assolutamente il commercio. Rimase insomma una condizione economica simile a quella della massima parte dei paesi di Europa tre o quattro secoli or sono.

E naturalmente, alle condizioni economiche rispondevano le morali ed intellettuali. Non essendo venuta di fuori influenza alcuna a combattere negli animi gli effetti dell’antico ed immutato stato materiale dell’Isola, sussistevano le tradizioni dei secoli passati nelle idee, nei sentimenti, nei costumi, nel senso giuridico di tutte le classi della popolazione.

 

 




80 Vedi: Petitti, Repertorio amministrativo, vol. I, pag. 730.



81 Per i particolari intorno a questo argomento, vedi il libro II del presente lavoro: I contadini in Sicilia, per Sidney Sonnino.



82 Vedi il libro II, § 26.






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