§ 43. — Condizioni
economiche e sociali della Sicilia dopo la Costituzione del 1812.
Imperocchè alla riforma
economica erano quasi del tutto mancati gli effetti. Ed invero, la libera
commerciabilità resa ai beni feudali, e lo scioglimento di diritti promiscui
fra Comuni e proprietari erano poco atti a produrre la divisione della
proprietà in un paese dove la ricchezza di ogni specie era concentrata nelle
mani di coloro che già possedevano la terra e di pochissimi altri, e dove
l’assoluta mancanza di commercio non dava luogo a nuove ricchezze di venire in
mano ad uomini nuovi. Di modo che, se alcuna parte delle terre liberate dagli
antichi vincoli venne venduta da qualche barone dissestato di fortuna, la
comprarono o altri baroni o quei pochissimi già locupletati coll’industria dei
grandi affitti, e così la ricchezza cambiava mani, senza dividersi gran fatto.
Perlochè, dopo il 1815 come
prima del 1812, la popolazione siciliana quasi tutta si divideva in due classi.
L’una, poco numerosa, di proprietarii straricchi, almeno riguardo alle
condizioni del paese, l’altra, che comprendeva quasi tutta la popolazione, di
contadini che non possedevano niente, ed erano miseri al punto di dover giorno
per giorno dipendere dai proprietari per il loro pane. All’infuori di queste,
erano solamente i pochissimi commercianti delle città, e i pochi proprietari
medi e piccoli. Di questi, parte erano già proprietari di beni allodiali, parte
possessori di terre date a censo da quei baroni che avevano con tal mezzo
cercato di far nascere dei paesi nelle loro signorìe, o di farne coltivar meglio
alcune parti. I componenti questa ristrettissima classe media erano i soli cui
fosse permesso sperare di giovarsi coll’andar del tempo della libertà di
vendere e comprare le terre, perchè a loro soli era possibile di metter da
parte tanto capitale da potere imprendere una industria ed arricchirsi.
Per le medesime ragioni durava quasi ovunque la scarsa e
pessima coltura del suolo. E valse poco a migliorarla l’abolizione degli usi
civici assolutamente angarici, e la redimibilità di quelli provenienti da condominio
od altro titolo, abolizione sancita dalla costituzione80. Quando pure
questo provvedimento avesse potuto essere eseguito, non v’era ragione di
coltivare i fondi nuovamente liberati dalla servitù, piuttostochè tanti altri
già liberi e pure incolti.
E se furono più efficaci le
riforme giuridiche, pure non lo furono molto. Difatti, il potere illimitato dei
baroni d’imporre a discrezione a’ loro vassalli tasse, servigi, diritti di
monopolio non era sancito solamente dalla pratica feudale, e da quella forza
materiale organizzata, di cui disponevano i baroni e lo Stato per farla
rispettare, ma era ancora sancito almeno nella massima parte dei casi in
quanto, cioè, riguardava i proletari, dalla necessità delle circostanze e
dall’indole delle relazioni economiche. Difatti tale potere non riconosciuto
dal diritto feudale teorico, era nonostante prevalso come diritto
consuetudinario, e come tale si mantenne anche dopo che fu per legge abolito.
Questa era conseguenza necessaria della persistenza delle condizioni
economiche dell’epoca feudale. Invero, mancavano nella nazione gli elementi
atti a costituire uno stato di diritto diverso e rispondente al concetto che
aveva ispirato la nuova legislazione; perchè i contadini continuarono a formare
coi baroni la quasi totalità della nazione, ed erano dopo, come prima della
abolizione dei diritti feudali, assolutamente, proletari di fronte a una classe
di proprietari che, tenendo impiegato nell’agricoltura un capitale minimo o
nullo, avevano piena balìa d’imporre al contadino quelle condizioni che a loro
piacessero in cambio della terra che gli davano da coltivare.81 Di modo
che, per ciò che riguardava le prestazioni e servigi, dopo come prima
dell’abolizione della feudalità il potere nel padrone d’imporli ai contadini
non trovava limite che nella bontà del suo cuore, oppure in quel punto nel
quale riducessero il contadino a preferire di morire di fame senza far nulla,
piuttosto che lavorando. La sola differenza portata dall’abolizione della
feudalità fu che il padrone, in luogo di esigere come prima le prestazioni in
forza del suo diritto di dominio eminente e per mezzo del suo tribunale, ora
esigeva in forza di contratto, e che il contadino poteva mutar padrone.
Nè maggiormente fu mutata la condizione riguardo alle
prelazioni e monopolii. I contadini non trovavano più davanti a sè il diritto
del barone di comprare i loro prodotti al prezzo che voleva, nè di proibir loro
di venderli finchè non avesse venduti i propri. Ma essendo rimasti i capitali
concentrati in pochissime mani, nè essendo cresciuto il commercio per mezzo di
persone venute di fuori via, i contadini, costretti subito dopo il raccolto a
vendere il grano per far fronte ai loro impegni, non avevano la scelta dei
compratori; e il prezzo che veniva stabilito prima dal barone in virtù del suo
diritto feudale, era adesso imposto dalla camorra dei pochissimi sensali e
commercianti di grano possessori esclusivi del mercato82. Anche in
questo mutavano o potevano mutare le persone, che approfittavano dei frutti del
lavoro del contadino, ma la sua condizione giuridica rimaneva la medesima: per
esso il diritto era sempre costituito dalla volontà di quel possessore di
capitali che acconsentiva a trattare con lui.
La sola classe di persone che
prima dell’abolizione della feudalità fossero in condizioni di fatto tali da
poter fondatamente richiedere che queste venissero dal diritto positivo sancite
con un miglioramento della loro condizione giuridica, era la scarsissima classe
composta dai possessori di beni allodiali e di terreni censiti non troppo
angusti, e dai pochissimi altri che col commercio o altrimenti, si erano
formati un peculio. Difatti questi furono i soli a profittare delle riforme.
Sicuri ormai di non poter essere spogliati del loro guadagno da qualche tassa
arbitraria, liberi di far quell’uso che ad essi piacesse delle loro terre, dei
loro prodotti e dei loro capitali, trovarono aperto dinanzi a sè il campo dei
commerci e delle industrie dell’Isola il quale, quantunque ristretto, era pure più
che bastante per il loro piccolo numero. E specialmente l’industria dei grandi
affitti (gabelle) diede modo di arricchirsi a parecchi fra loro. Se le
condizioni economiche dell’Isola fossero state tali da permettere a molti delle
classi miserabili di potere gradatamente migliorare il loro stato, acquistare
qualche capitale, e venire ad ingrossare il numero dei possessori di fortune
medie e piccole, questi ultimi sarebbero stati il nucleo di quella classe media
che avrebbe potuto sollevare la Sicilia a condizioni migliori. Ma rimasti
costoro pochi come prima, padroni esclusivi insieme coi baroni delle terre, dei
capitali, dei commerci e delle industrie dell’Isola, il tornaconto li portò,
piuttostochè a farsi concorrenza fra di loro, a coalizzarsi di fronte alle
classi inferiori. Laonde i privilegi e i monopoli tolti dalla legge ai baroni
furono dalle condizioni economiche mantenuti, con questa sola differenza, che
venne ammessa a parteciparvi la classe media. L’effetto dell’abolizione della
feudalità nel campo economico fu dunque questo: che la classe dei possessori
esclusivi della terra e dei capitali crebbe un pochino di numero, e che diventò
possibile che i fondi dei nobili andati in rovina, venissero in mano di non
nobili: divenne più facile alla ricchezza di mutar mani, ma non di dividersi,
almeno in modo sensibile; e dopo come prima l’abolizione della feudalità, la
popolazione dell’Isola rimase divisa in due parti, disugualissime per numero:
restò industria quasi esclusiva dell’Isola l’agricoltura, continuò a mancare
quasi assolutamente il commercio. Rimase insomma una condizione economica
simile a quella della massima parte dei paesi di Europa tre o quattro secoli or
sono.
E naturalmente, alle condizioni
economiche rispondevano le morali ed intellettuali. Non essendo venuta di fuori
influenza alcuna a combattere negli animi gli effetti dell’antico ed immutato
stato materiale dell’Isola, sussistevano le tradizioni dei secoli passati nelle
idee, nei sentimenti, nei costumi, nel senso giuridico di tutte le classi della
popolazione.
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