Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • Capitolo III. LA PUBBLICA SICUREZZA
      • III. I MALFATTORI IN PROVINCIA
        • § 64. — La mafia nelle province.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

§ 64. — La mafia nelle province.

Ma se le speculazioni fin qui enumerate sono le principali dei malfattori in provincia, non sono le sole. Non mancano anche in provincia occasioni di guadagno analoghe a quelle che sono gli oggetti principali dell’industria del malfattore in Palermo e dintorni, e per cagione di questa analogia sono generalmente qualificate per atti di mafia. Nel medesimo modo anche ai malfattori in Palermo e nei dintorni non mancano occasioni di commettere atti di malandrinaggio vero e proprio, come grassazioni, lettere di scrocco, talvolta anche ricatti. Solamente a Palermo come in provincia, i generi di speculazione secondari non essendo sufficenti ad assicurare guadagni continuati, non impiegano generalmente un personale a parte, ma sono occupazioni accessorie di quei malfattori, dei quali abbiamo descritto le caratteristiche principali. Essi in conseguenza traggono la loro forza e la loro autorità dall’esercizio delle speculazioni principali, adoperano poi questa loro forza nell’esercizio delle secondarie. Perciò, il malfattore di provincia, che eseguisce operazioni simili a quelle che fanno l’oggetto principale dell’industria dei facinorosi palermitani, avrà nonostante tutti i caratteri del malandrino; mentre viceversa il mafioso di Palermo e dintorni, anche quando compie atti di malandrinaggio, conserva le sue caratteristiche. Le varietà nell’industria dei malfattori in Sicilia, non si devono dunque, a nostro avviso, distinguere a seconda delle varie speculazioni, colle quali siffatta industria si pratica, bensì, a seconda della qualità delle persone che l’esercitano. E questa qualità stessa è determinata dalle varie circostanze locali, in mezzo alle quali queste persone la esercitano: da un lato, quelle di Palermo e dintorni, o di taluni altri centri di popolazione, in quanto le loro condizioni si ravvicinano a quelle di Palermo, e dall’altro, quelle delle province.

Molto più, l’industria del brigantaggio ha a Palermo uno dei suoi principali centri d’informazione e di azione. A Palermo stessa si combinano molte delle operazioni di brigantaggio da commettersi nell’interno. A Palermo viene a finire buona parte del provento di queste. Insomma uno dei centri del manutengolismo vero e proprio, spontaneo e socio nei guadagni dell’industria, è Palermo. La cosa si spiega facilmente dall’esser questa città soggiorno per buona parte dell’anno di molti importanti proprietari delle terre percorse e dominate dai briganti, centro considerevole di affari e di ricchezze, finalmente sede d’importanti amministrazioni civili, giudiziarie e militari, sui procedimenti e intenzioni delle quali i malfattori hanno necessità di essere minutamente informati, e colle quali hanno continuamente bisogno di avere mezzi di contatto e d’influenza. Queste intime relazioni con Palermo non tolgono però all’industria dei malfattori di provincia i suoi caratteri speciali, nel medesimo modo che una società per la costruzione di ferrovie, o l’escavazione di miniere nell’America Centrale può avere la sede principale della sua amministrazione e dei suoi interessi pecuniari a Londra, senza diventare perciò una società bancaria o commerciale.

L’essere generalmente invalso l’erroneo criterio delle varie specie di speculazioni, per distinguere le varie specie dell’industria facinorosa, si spiega facilmente. Fra i diversi modi nei quali si esercita l’industria dei facinorosi in Sicilia, quelli che hanno prima e più d’ogni altro colpito le menti di chi riflette, parla e scrive dentro e fuori dell’Isola, sono da un lato il brigantaggio e il malandrinaggio, dall’altro i fatti che avvengono a Palermo. Di modo che, da una parte fu dato, e a buon diritto, il nome di brigantaggio e malandrinaggio agli atti simili a quelli che sul Continente erano designati con questi nomi. E dall’altra parte, invalsa nell’uso comune (sempre indeterminato e inesatto) la parola mafia (nel suo significato volgare ed improprio) per designare genericamente gli atti di qualunque specie coi quali si esercita l’industria dei facinorosi in Palermo e dintorni, venne naturalmente fatto di applicare il medesimo nome a quelle speculazioni dei facinorosi in provincia, che avevano una somiglianza formale con quelle di Palermo. La similitudine del nome genera naturalmente nelle menti l’idea della similitudine della cosa, e così accade che a prima vista nasca nella mente, se non il pensiero, almeno l’impressione che in provincia le speculazioni analoghe a quelle che costituiscono l’oggetto e il guadagno principale dei malfattori di Palermo, e per la loro natura e per le persone che praticano, siano una cosa distinta dal brigantaggio e dal malandrinaggio, e si confondano con l’industria della mafia palermitana, mentre è vero precisamente il contrario.

Posta la distinzione fra i facinorosi della città e dell’agro palermitano da un lato, e quelli di provincia dall’altro, senza pretendere di trarre fra le due categorie una linea di demarcazione che non esiste, se ricerchiamo una caratteristica costante che le distingua, troviamo la seguente cui già accennammo. In provincia l’unione fra i malfattori di un territorio per i loro fini immediati esiste quasi sempre, a Palermo no. Le rivalità e le lotte che talvolta avvengono fra bande brigantesche, sono fatti accidentali, che non mutano nulla ai caratteri generali, giacchè nella popolazione dei malfattori, il brigante è l’eccezione, e il malandrino la compone quasi esclusivamente. La necessità già dimostrata di questa unione nei fini immediati per i malandrini fa sì che, anche quando si adoperano nelle relazioni fra le persone estranee alla loro classe, i malandrini di un dato territorio, si mantengono quasi sempre uniti. Il che è, del resto, reso loro molto facile come lo esporremo or ora per l’indole delle relazioni sociali nella maggior parte dei paesi di provincia, dove non esiste gran varietà d’interessi di forza uguale, ma predomina l’interesse di uno, di due, o tutt’al più di tre gruppi di persone.

Questa differenza tra Palermo e le province, insignificante a prima vista, genera una diversità importantissima nei costumi dell’una e delle altre. Difatti, a Palermo, come già lo osservammo, il solo interesse comune che leghi insieme i facinorosi in modo costante, è la conservazione della loro classe come tale, in altri termini la sicurezza nell’esercizio della violenza, qualunque sia il fine al quale è diretta, contro le forze intese a sopprimerla in genere. Le regole di condotta prevalse nella classe dei facinorosi e da loro imposte materialmente o moralmente al rimanente della popolazione, sono quelle che per la natura delle cose hanno efficacia per tutelare l’esercizio della violenza, e, come tutte le altre che hanno carattere sociale, fanno astrazione dagli interessi momentanei ed immediati degli individui, anzi, sono spesso in contraddizione con quelli. Laonde il codice dell’omertà, in Palermo, non ammette eccezioni, e ne soffre nel fatto poche. In provincia invece, l’interesse della classe violenta s’identifica e si confonde con quello di determinate persone. In conseguenza l’interesse, la cui forza predomina, ed il quale per ciò si impone materialmente e moralmente a tutta la popolazione, è quello di determinati individui, che hanno fra di loro interessi comuni, oppure sono divisi in due, o tutt’al più, in tre campi avversarii. Chi adopera la violenza per reagire contro coloro che predominano, se riesce ad avanzarli di forza, piglia il loro posto, se rimane più debole, è vinto e distrutto. Chi adopera le sole leggi, rimane inevitabilmente più debole e ugualmente distrutto, e, se vien dai vincitori dichiarato infame, è per un di più. In conseguenza, ognuno, nella lotta, può usare a suo piacere, in aiuto alla violenza anche le leggi, senza rischio di dar di cozzo contro l’ostacolo fisso ed immutabile della consuetudine e dell’opinione pubblica. Perchè non vi sono altri violenti per reclamare e sancire a nome di un interesse di classe l’applicazione del codice dell’omertà, all’infuori dei componenti e aderenti del partito contrario. Il quale, se sarà più forte, potrà anche darsi il lusso di dichiarare i vinti infami, ma, in fin dei conti non farà che una sola vendetta e per le loro violenze, e per le loro insidie legali; e se sarà vinto, non avrà alcuna influenza sull’opinione pubblica. Sicchè il codice dell’omertà non è sicuro di essere rispettato che nei casi, non molto frequenti, di lotte fra malfattori di mestiere. Non abbiamo ormai bisogno di spiegare il perchè.

In conseguenza, nelle province, le regole dell’omertà, non si sono imposte all’opinione pubblica che in quanto giovano ai più forti; valgono a favore di questi, non contro di loro. Lo prova il fatto molto caratteristico già da noi citato, non di una denuncia, ma di una calunnia giudiziaria commessa dal vero colpevole, uomo temuto, a danno di un meschino impiegato del macinato, colla complicità del silenzio di un’intera popolazione. Lo prova anche meglio l’andamento dell’istruzione del processo cui diede luogo quell’omicidio. Finchè l’istruzione rimase in mano del pretore locale, per la fiaccona o per la poca autorità di questo, o per altre cagioni, gli indizi e le prove si accumulavano addosso all’innocente. Appena l’autorità superiore, avvisata, si mise in moto, mandò sul luogo il sotto-prefetto, il procuratore del re fece sentire che anch’essa era forte, sorsero per incanto le testimonianze a carico del vero colpevole. Del resto senza citar casi tanto estremi, accadono ogni giorno fatti, i quali provano che in provincia, il codice dell’omertà non ha fatto presa sull’animo delle popolazioni nel grado medesimo che a Palermo, e che soffre numerose eccezioni. I ladruncoli che non sono stati ancora buoni ad uccidere uno, sono dai proprietarii denunciati all’autorità, mentre o un brigante, o un malandrino temuto, può, meno rare eccezioni, uccidere chi gli pare senza pericolo di denunzia, neppure per parte dei prossimi parenti della vittima. L’unica volta, crediamo in cui contro il famoso brigante Angiolo Pugliese sia stato, innanzi al suo arresto, presentato lamento all’autorità, fu prima che egli si fosse dato all’esercizio del brigantaggio in Sicilia. E fu portato lamento per la detenzione di un cavallo prestatogli dal proprietario stesso, e che egli, nella sua confessione dichiara non avere avuto intenzione di rubare107. Va pure citato il fatto seguente: due partiti si combattevano in un Comune. Un membro dell’uno fu ucciso, per opera dei capi del partito opposto, credettero i congiunti della vittima; i quali da una parte tentarono di fare uccidere alcuni di quel partito, dall’altra porsero querela contro i suoi caporioni accusandoli di mandato per omicidio. E ciò senza scandalizzare punto l’opinion pubblica.

Fra le infinite forme colle quali si esercita in provincia la mafia, parleremo di una sola, di quella cioè che è caratteristica delle condizioni delle campagne siciliane, dove fiorisce l’industria dei malfattori. Vogliamo parlare della protezione delle proprietà e fino a un certo punto anche delle persone, che del resto si esercita da essi anche in Palermo, ma più nelle campagne dell’interno dell’Isola.

In un paese dove la classe dei malfattori ha l’importanza che ha in Sicilia, e dove l’autorità pubblica non ha o non usa forza sufficiente per distruggerla, bisogna pure che si trovi un modus vivendi fra essi ed i privati. Il quale, del resto, giova agli uni come agli altri; perchè se i malfattori usassero fino all’estremo la loro facoltà distruttiva, mancherebbe loro ben presto la materia rubabile. Essi sono in grado d’intenderlo, perchè la loro industria, stabile e regolare da tanti anni, ha tesori di esperienza e di tradizioni, e permette a coloro che la praticano di capire in quali condizioni possa sussistere e prosperare. È dunque invalso un sistema di transazioni e quasi diremmo di tassazioni regolari per parte dei malfattori, il quale pur lasciando luogo a molti disordini, nonostante è più tollerabile che uno stato di guerra aperta e continua. Una delle forme principali di queste transazioni è l’accollo preso dai malfattori stessi della protezione delle cose e delle persone. Già accennammo il modo con cui i capi briganti potenti fanno a proprio profitto le parti di un governo regolare. Ma tal sistema è eccezionale, come è eccezionale nell’industria dei malfattori la forma del brigantaggio. Più generalmente, alcuni fra i malfattori assumon ufficialmente le funzioni di guardiani della sicurezza delle cose e delle persone non solo dai privati, ma anche dai Comuni e perfino dal Governo. Limitandoci per adesso a parlare dei primi; senza ritornare qui sul già detto intorno all’importanza del campiere facinoroso nell’economia agraria siciliana108, osserveremo solamente che ciò che fa di questi campieri una istituzione caratteristica ed attissima a dare un’idea netta delle condizioni siciliane, è il fatto che sono in provincia uno dei principali fra gl’infiniti modi delle relazioni continue fra i malfattori di mestiere e le classi agiate e ricche. Cercheremo adesso di analizzare codeste relazioni.

 

 




107 Vedi: Resoconto del processo di Angiolo Pugliese, per l’avvocato Antonino Ajello, pag. 68, col. 1.



108 Vedi sopra, pag. 40 [§ 23 Nota per l'edizione elettronica Manuzio]..






Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License