§ 66. — Come il Governo non
possa usare l’opera dei Siciliani per distruggere i malfattori in Sicilia.
Da tutto ciò risulta che, se lo
Stato italiano giudica opportuno di distruggere la forza dei malfattori e della
violenza dove predominano in Sicilia, e sostituirvi quella delle sue leggi, la
prima condizione per riescire è di non usare l’opera degli abitanti nel
ricercare e combattere gli attuali malfattori, se non in quanto possono essere
istrumenti ciecamente ubbidienti; e di non seguire i loro consigli intorno alla
scelta dei provvedimenti atti ad impedire i malfattori di ripullulare una volta
distrutti.
Difatti, lasciando da parte le
classi inferiori e limitandoci a ragionare di quella abbiente, non si può
chiedere l’opera di coloro che per ottener guadagno o per evitar danni sono in
relazione coi malfattori, poichè queste relazioni stesse, ne abbiano essi o no
coscenza, sono il primo ostacolo alla distruzione di quelli, ed impediscono
soprattutto qualunque unione che si volesse far nascere fra i cittadini contro
i facinorosi. Nè manco si possono sperare da questa categoria di persone buoni consigli
intorno ai provvedimenti generali e stabili atti a mantener l’ordine; perchè,
quantunque molte di esse siano tali da dare il loro avviso col fine sincero di
raggiungere l’oggetto proposto, pure non possono conoscere i rimedi opportuni,
essendo incapaci di sottrarre le loro menti all’influenza dello stato sociale
che le assorbe per tutti i lati.
Riguardo a coloro che,
ripugnanti dalle condizioni Siciliane si tengono fuori dal giro degli affari e
delle ambizioni, l’opera loro poco può giovare, perchè, rinunziando ad usare le
vie comuni, hanno rinunziato alla influenza ed in genere ai mezzi di azione. E
son pochi tra essi coloro dei cui consigli si può far profitto, perchè,
quantunque provino un sentimento negativo di ripulsione per l’attuale stato del
loro paese, pur ben pochi hanno dottrina ed ingegno sufficente per rendersi
conto di ciò che dovrebbesi sostituire a questo per rimediarvi.
Rimangono coloro che sono per
caso in lotta coi malfattori. Sul loro aiuto per perseguitare questi non si può
far conto per cagione dell’impotenza già tante volte accennata, dei privati
contro i malfattori. In quanto ai loro consigli, già dicemmo che per il massimo
numero di essi l’essere in lotta coi malfattori è quistione, per così dire, di
caso fortuito, e non è segno che vi sia differenza alcuna fra il loro stato di
mente e d’animo, e quello degli alleati più fedeli dei facinorosi. Saranno
pronti ad unirsi coll’autorità pubblica, a suggerirle rimedi, anzi a
chiederglieli. Ma saranno quei rimedi soli che le loro menti siano atte a
concepire. Insomma, chiedono forza brutale in loro servizio, e nulla più. Ora
l’esperienza dimostra che se il Governo non vuol subire esso stesso il contagio
delle condizioni dell’Isola invece di guarirlo, se non vuol diventare in
Sicilia una mafia di più, esso non può ricorrere per governarla ad altra
forza che a quella propria degli Stati d’indole moderna: Una legge comune a
tutti e uguale per tutti. Per ciò, esso non può valersi in Sicilia dei
suggerimenti nè dell’appoggio morale dei più acerbi nemici della classe
facinorosa. Questi non provano quel sentimento sociale, il quale è
cagione che si chieda alla autorità pubblica non solo di salvarci da’ danni
immediati, ma d’impiegare salvandoci modi tali, che ci assicurino che essa non
potrà mai in nessun caso anche lontano, usare a nostro danno quella forza che
adesso adopera a nostro vantaggio. Insomma, non provano il bisogno delle
garanzie che sono fondamento di quelle forme legali, cui nelle società moderne
si sottopone la forza sociale, anche nelle sue manifestazioni violente.
Aspettano dal Governo quel medesimo aiuto che altri aspetta dalla banda
brigantesca o dalla mafia, colla quale è amico. Quel che sentono dire di
altri paesi, influisce certamente sulla loro mente e ha modificato le loro idee
in questo senso, che vedono esser vantaggioso che l’ordine pubblico sia
mantenuto, e i suoi interessi protetti dalla forza del Governo, piuttostochè
dalla tale o tal’altra forza privata; ma non ne capiscono il perchè, nè
concepiscono come la forza sociale debba procedere con criteri differenti da
quella privata, e tener conto non di un interesse solo ma di tutti, anche a
costo che quel singolo interesse non riceva tutta la soddisfazione alla quale
avrebbe diritto. Nulla può dare idea della sorpresa o del disinganno che
cagiona il sentire persone della classe relativamente colta, della classe che
ha in mano il governo del paese, la cui opinione esercita influenza sul Governo
centrale, le quali, dopo aver promesso la tanto cercata e tanto desiderata soluzione
del problema della pubblica sicurezza siciliana, vengono fuori con proposte
d’arbitrii, e nient’altro che arbitrii puri e semplici senza regola nè misura,
senza nemmeno la garanzia, nelle persone cui siano affidati, dell’intelligenza
e dell’onestà, del sentimento del diritto e dell’interesse generale. Avremo più
tardi luogo di studiare la quistione se sia mai ammissibile per parte
dell’autorità pubblica in Sicilia l’agire senza assoggettarsi alle forme
legali. Certo è che quando pure si possa ammettere l’arbitrio in via
transitoria, straordinaria ed eccezionale, questo dovrebbe esser circondato da
garanzie, soprattutto informato nel suo esercizio ai criterii di quegli
interessi sociali dei quali la generalità dei proprietari colti, specialmente
dell’interno della Sicilia non sospetta neppure l’esistenza. Intendasi bene che
qui parliamo della generalità, non della totalità dei proprietari siciliani. Le
eccezioni sono numerose, ma non abbastanza perchè il carattere generale nel
modo di sentire della classe alta e media in Sicilia non sia quale lo abbiamo
descritto. Insomma, la società in Sicilia è in quello stadio stesso nel quale
era in Firenze quando le sentenze del podestà o del gonfaloniere di giustizia
contro quei grandi che avessero commesso delitti erano eseguite popolarmente
colla distruzione delle loro case. Con questa differenza però, che in Sicilia
non esiste quel Popolo, il quale non era altro che la classe media,
industriale e commerciante, la classe che aveva interesse al mantenimento di
quell’ordine pubblico relativo che comportavano i tempi, per modo che dalle
sentenze del podestà o del gonfaloniere di giustizia, veniva tutelato il suo
interesse, come nel suo interesse e per la sua volontà era stato creato
l’ufficio del podestà stesso.
Da tutto ciò che precede risulta
quanto abbiano torto così quelli che dicono i Siciliani tutti complici e
manutengoli volonterosi dei malfattori, come pure quelli che li dichiarano
tutti vittime innocenti. Risulta soprattutto quanto sia senza fondamento il
giudicare il popolo siciliano più immorale di altri. Non esiste fatto alcuno
che dia diritto di affermare che nella popolazione dell’Isola siano in
proporzione diversa che altrove quegli elementi psicologici che in una società
di tipo moderno spingono gli uomini a quegli atti i quali, secondo i criterii
di siffatta società, si qualificano per buoni o per cattivi. Solamente, i
medesimi elementi psicologici, producono nelle diverse condizioni di società,
atti diversi. La radice dell’errore, sta nel non intender questo. Si mutino
prima in Sicilia le condizioni sociali, si assimilino a quelle delle società
che si prendono per tipo quando si giudica la Sicilia, si sostituisca insomma
la forza della Legge alla forza privata, ed allora solamente si avrà il diritto
di chiedere ai Siciliani di contribuire all’ordine pubblico, e di chiamarli
immorali se non lo fanno. Ma finchè una forza estranea all’Isola non le avrà
fatto subire siffatta trasformazione, il volere che in una Società medioevale
prevalgano gli stessi criteri dell’ordine e del disordine, del giusto e
dell’ingiusto che in una Società moderna, è inammissibile; la esigenza è
ingiustificabile e il giudizio assurdo.
D’altra parte non è meno
ingiusto il chiedere alle forze esistenti in una Società medioevale, che esse
in Sicilia operino su di sè stesse in un breve giro di tempo quelle
trasformazioni che nel rimanente d’Europa hanno richiesto parecchi secoli. La
forza che trasformi in poco tempo le condizioni della Sicilia per la pubblica
sicurezza come per il resto, deve dunque venire di fuori, cioè dal Governo.
Dunque, fintantochè il Governo si appoggerà sugli elementi locali e s’ispirerà
da loro per stabilire l’ordine pubblico in quelle parti dell’Isola dove manca,
l’opera sua sarà miseramente inefficace, se pure non sarà nociva.
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