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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • Capitolo IV. RELAZIONI ECONOMICHE E AMMINISTRAZIONI LOCALI
        • § 93. — Dei mezzi che si potrebbero usare colla speranza di diminuire il numero dei disordini nelle amministrazioni locali, e dei soprusi non violenti a danno dei deboli.
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§ 93. — Dei mezzi che si potrebbero usare colla speranza di diminuire il numero dei disordini nelle amministrazioni locali, e dei soprusi non violenti a danno dei deboli.

All’infuori di questo, non v’è altro modo per impedire l’ingiusta distribuzione delle imposte, che la influenza personale che possa acquistarsi dai rappresentanti del Governo, quando sia tale da porli in grado di ottenere colla persuasione ciò che non possono imporre in forza della legge, oppure i mezzi indiretti che possa fornire la legge stessa. Ma prima che vi sia luogo di pensare a tentare siffatti mezzi, è necessario che i rappresentanti del Governo siano persone capaci di distinguere che cosa sia equa distribuzione d’imposte nel territorio di loro giurisdizione.

Per ciò che riguarda i disordini o gli abusi nelle amministrazioni locali di ogni genere, qualche miglioramento si potrebbe probabilmente procurare, con grandi sforzi. Ma la prima condizione per provvedervi, è che i prefetti e sotto-prefetti conoscano almeno un poco il territorio di loro giurisdizione: per ciò dovrebbero visitarlo. Non mancano a queste visite le difficoltà pratiche, la principale delle quali, in quanto riguarda i sotto-prefetti non è, in molti casi, la spesa, o la difficoltà materiale del viaggio, bensì una cosa molto meno prevedibile: la rivalità d’uffizio che può nascere fra il prefetto e il sotto-prefetto, quando il primo veda il secondo affiatarsi più di lui cogli amministrati. Ma oltrechè il rendere siffatta visita obbligatoria per legge toglierebbe occasione in molti casi al nascere di questo sentimento, esso s’incontrerebbe probabilmente ben di rado quando i prefetti fossero persone tali da non lasciarsi vincere in attività e in amore all’ufficio dai loro inferiori gerarchici.

Del resto queste visite che per le grandi difficoltà del viaggio nell’interno della Sicilia e per il tempo che richiedono, non potrebbero generalmente esser fatte dal capo della provincia o del circondario più di una volta nel corso della sua residenza, lo porrebbero bensì in grado di prendere un’idea generale dei luoghi e delle persone, e di procurarsi talvolta delle intelligenze nei Comuni, non di scuoprire le magagne delle amministrazioni locali di ogni genere. Per provvedere a queste, sarebbe necessario in Sicilia, come nelle province meridionali del Continente, come forse in tutta Italia, l’istituzione di commissari itineranti che andassero Comune per Comune rivedendo i conti e le casse delle amministrazioni dei municipi delle Opere pie, dei Monti frumentari, raccogliessero informazioni ed avessero facoltà di promuovere l’azione dell’autorità giudiziaria. Rimarrebbe da studiare il modo di coordinare l’azione di questi commissari con quella delle altre autorità amministrative e giudiziarie.

Questa medesima istituzione potrebbe fino ad un certo punto giovare a reprimere i soprusi fra i privati. Noi non pensiamo certamente a rendere di azione pubblica le querele civili, ma molti soprusi presenterebbero elementi per un’azione penale, e di questi dovrebbesi approfittare.

Ma questo provvedimento e qualunque altro migliore si potesse imaginare, non avrebbe efficacia alcuna se non si ponesse in tutti i gradi dell’amministrazione civile e giudiziaria un personale scelto. Non parliamo poi delle qualità speciali e del coraggio eccezionale che dovrebbero avere i commissari incaricati di visitare i Comuni come pure tutto il personale delle prefetture e sotto-prefetture. Già avemmo luogo di dire come il miglioramento del personale inaugurato nel 1874 sia stato solamente parziale. Anche adesso, in molte amministrazioni governative205, o prevale l’elemento siciliano che per le ragioni già esposte, potrà esser buono sul Continente, ma non può, salvo distinte eccezioni individuali, che esser pessimo in Sicilia, oppure sono mandati impiegati continentali per tirocinio o per punizione, di modo che dove non v’è corruzione vera e propria, pure prevale una cedevolezza, una compiacenza a violare il proprio dovere, la quale trova poi il suo compenso in un ricambio di favori, di protezioni, d’intercessioni presso l’autorità superiore. La prima condizione per ottenere un buon personale così amministrativo come giudiziario, è di escluderne del tutto l’elemento siciliano, facendo eccezione solamente per quei pochissimi cui già avemmo occasione di alludere, ed ai quali l’altezza dell’ingegno e l’energia del carattere ha concesso da un lato di conoscere e capire l’indole delle società moderne, dall’altro di liberarsi da tutti quei sentimenti che sottopongono i Siciliani alla fitta rete degli interessi locali. Per gli impiegati poi delle altre parti d’Italia, converrebbe lasciarli in Sicilia tempo sufficente perchè potessero conoscere il paese ed approfittare delle cognizioni acquistate; converrebbe che fossero tanto intelligenti da capire ciò che vedono, e qual sia l’indole vera del paese, da sventare le astuzie da cui sono circondati; tanto onesti e tanto energici da resistere alle tentazioni d’ogni genere. Però, non basta l’energia, l’intelligenza e l’onestà; è necessaria anche una grande abilità e molto tatto. I rappresentanti del Governo potrebbero ottener molto in Sicilia per mezzo della influenza personale. La cosa sembra a prima vista inverosimile a chi ripensi a tutti i discorsi che si sono sentiti sulla diffidenza e sull’antipatia che dimostrano i Siciliani per le autorità, specialmente se continentali, sentimenti di cui già esaminammo gli effetti riguardo alla sicurezza pubblica. Eppure nulla è più vero.

 

 




205 Sui funzionari governativi, vedi: Relazione della Commissione d’inchiesta per la Sicilia, pag. 95 e seg.






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