§ 99. — Effetti della
contradizione fra la teoria e il fatto, sui procedimenti del Governo italiano
in Sicilia.
Così difatti dal 1860 in poi è
accaduto e accade tuttora a tutti i Ministeri d’ogni partito che si sono
succeduti al potere in Italia. I quali vedendo nascere risultati tanto
inaspettati dal criterio, secondo il quale intendevano giudicare la bontà dei
propri atti, mancata loro la regola di condotta, andarono a tastoni, pur sempre
sforzandosi di conciliare due cose inconciliabili e brancolando d’insuccesso in
insuccesso. E siccome quando cerca l’interesse generale non riesce ad ottenere
ciò che crede essere l’approvazione pubblica, e quando ricerca questa si
allontana fatalmente da quello, così il Governo, nel continuo correr dietro
dell’uno e dell’altra insieme, vien trascinato in una disperata altalena, e,
secondo la impressione del momento corre da un eccesso nell’altro. Spesseggiano
i delitti, accade un fatto più rumoroso che all’ordinario; il Ministero manda
istruzioni energiche ai suoi rappresentanti, prende provvedimenti vigorosi, si
moltiplicano gli arresti, le ammonizioni, gli invii a domicilio coatto, si
giunge talvolta fino alla illegalità. Allora principiano le preghiere, le
intercessioni di persone influenti, i reclami, cresce il clamore. Il Governo
s’intimorisce, tituba, cede, abbandona i suoi funzionari, li trasloca. Nel
medesimo modo, da un lato chiede alla Camera provvedimenti eccezionali,
dall’altro butta via cinque milioni per una società ormai irrevocabilmente
condannata al fallimento. In mezzo a questo confuso avvicendarsi di rigori e di
compiacenze, in mezzo alle incertezze nella direzione suprema, ogni funzionario
va lavorando per conto proprio sul problema che tormenta l’autorità centrale, e
lo scioglie a modo suo. Da un lato si fa dar la croce di cavaliere a gente che
dall’altro si manda a domicilio coatto. In un luogo, l’autorità s’impone con
ogni mezzo; in un altro si prefigge per scopo di far tollerare il Governo. Il
quale scoraggiato, conscio della propria impotenza è troppo felice di sgravarsi
della sua responsabilità sopra i suoi rappresentanti nell’Isola, e giunge ad
ignorare gli atti loro al punto di lasciarli tentar di ristabilire la sicurezza
pubblica accettando l’alleanza degli stessi malfattori. Del quale fatto un
Governo ci sembra doversi considerare colpevole per averlo potuto ignorare,
come e quanto se l’avesse ordinato egli stesso.
In mezzo a questa inaudita
confusione, rimane sola ad esser sempre ferma, costante, avveduta e coerente a
sè stessa, la politica di coloro che intendono mantener sottoposta la società
siciliana alla loro privata autorità, e che riescono non solo a conservar
questa, ma ad accrescerla.
Imperocchè la loro influenza in
Sicilia estende i suoi effetti al di là dei limiti dell’Isola fino alla
capitale. I deputati, fondamento del Governo costituzionale, sono in Sicilia,
come altrove, eletti nel seno della classe dominante, secondo la sua volontà, e
ne rappresentano gl’interessi. Certo non è solamente in Sicilia che i deputati
si adoperano per procurare ai loro elettori favori più o meno conciliabili
colla legge. Ma non dappertutto il caso è così frequente, ma non dappertutto
questi favori hanno l’importanza e gli effetti medesimi che in Sicilia. In un
paese dove niuno crede che le leggi siano superiori a tutti e per tutti uguali,
e dove è convinzione generale che la loro applicazione dipenda dalla autorità
dei potentati locali, ogni concessione che venga a questi fatta ribadisce
l’universale credenza: e queste concessioni sono sempre state numerose, salvo
in alcuni periodi pur troppo corti. Le intercessioni hanno gli argomenti i più
vari. S’intercede per risparmiare l’ammonizione a qualche mafioso di
bassa sfera, come per ottenere la traslocazione di qualche alto impiegato che
sia incorso nella disgrazia dei maggiorenti locali. Si potrebbe dire che i
deputati siciliani hanno dai loro elettori il mandato, più che di far nuove
leggi di procurare che sieno fatte eccezioni a quelle in vigore. Certamente non
tutte le intercessioni hanno buon successo. Ma troppe sono quelle che
l’ottengono.
I favori non si concedono solamente
dal potere centrale o per suo ordine. Molti funzionari d’ogni grado e d’ogni
ordine, i quali hanno uffici nell’Isola, ne concedono per conto proprio, oppure
tollerano abusi, il che equivale a conceder favori. E la cosa è naturale. Da un
lato, vedendosi abbandonati dall’autorità centrale, è facile che si lascino
andare a contentar la gente per aver pace. Dall’altro, il personale
amministrativo, per ciò che riguarda gli elementi continentali, subiva e
subisce tuttora, in quella parte che non è stata depurata o che fu dopo la
depurazione peggiorata, gli effetti dell’ambiente. In quanto agl’impiegati
siciliani, già dicemmo come il desiderio di acquistare influenza o protezione
nel loro paese, sia, per la massima parte di loro, ragione più che sufficente
per conceder favori. Se si aggiunge ai casi di favori realmente concessi,
quelli in cui le persone influenti attribuiscono alla loro intercessione il
merito della giustizia che sarebbe stata ad ogni modo resa, non sarà difficile
capire come non solo si mantenga, ma cresca ognora nella gran massa dei
Siciliani la convinzione che all’autorità dei loro piccoli potentati locali
cedono Legge e Governo. E così avviene che quest’ultimo diventi sempre
maggiormente in Sicilia un oggetto di disprezzo e di ludibrio; che, allorquando
in qualche accesso spasmodico di energia fa sentir la sua forza, faccia quasi
l’effetto di rivoltarsi contro le autorità legittime che dominano nell’Isola ed
ecciti odio senza rispetto. Così il Governo, nel cercare di affezionarsi gli elementi
locali, vede le sue concessioni voltate a suo danno, e dove cerca di farsi
della classe dominante uno istrumento, diventa invece istrumento di lei; al
punto che se talvolta sembra aver forza alcuna, vuol dire che è venuto in mano
ad un partito locale.
Bene è vero che allora diventa
potente e i suoi mezzi di azione non hanno più limiti. Perchè se le illegalità
commesse dal Governo per proprio conto, possono trovare un ostacolo nelle
manifestazioni dell’opinion pubblica e negli altri mezzi che il sistema
costituzionale concede ai cittadini per reagire, questi mezzi non servono
contro le prepotenze di un partito locale che si valga dell’autorità pubblica
per predominare. Le garanzie costituzionali non hanno effetto contro quegli
abusi cui i cittadini sono più esposti in Sicilia. Se ne fece la prova sotto la
prefettura militare, allorquando gli eccessi di quella frazione della mafia
che aveva in mano la polizia, si commisero per parecchio tempo in mezzo al
silenzio generale, e quando s’alzò qualche voce coraggiosa, rimase senza eco,
finchè lo scandalo fu portato in Parlamento. Tutt’al più in questi casi si
addosseranno gli eccessi commessi al Governo, il quale ne assume l’odiosità
senza averne il profitto, e trae le castagne dal fuoco a vantaggio dei despoti
locali, continuando sempre a fare di fronte ai Siciliani la parte del tiranno
babbeo ed impotente; un chè di simile al vecchio marito ingannato delle vecchie
commedie.
E durerà a fare questa parte in
Sicilia, finchè non si sarà deciso a rinunziare o all’appoggio della classe
dominante, o all’adempimento dei suoi fini più essenziali. Fino a quel momento
il suo continuo tentennare finirà sempre inevitabilmente nella ricerca del
primo a danno dei secondi. Ve lo trascinano fatalmente tutte le forze di cui si
compone il nostro sistema politico. E quanto maggiormente un ministero si
vanterà di esser liberale e di governare secondo la volontà del paese, tanto
più governerà la Sicilia secondo gl’interessi della ristrettissima classe che
vi domina, e transigerà con lei in ogni particolare.
Ma la prima condizione perchè il
Governo si rassegni a rinunziare all’una o all’altra di queste due cose, è che
si convinca della loro incompatibilità. E questa convinzione è più difficile ad
ottenersi che non sembri a prima vista, giacchè richiede che il Governo conosca
realmente le condizioni della Sicilia, cosa difficile.
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