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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

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  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • APPENDICE     LE OPERE PUBBLICHE IN SICILIA ESTRATTO DELLA RELAZIONE DELLA GIUNTA PER L’INCHIESTA SULLE CONDIZIONI DELLA SICILIA NOMINATA SECONDO IL DISPOSTO DELL’ARTICOLO 2 DELLA LEGGE 3 LUGLIO 1875.
      • I porti
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APPENDICE

 

 

LE OPERE PUBBLICHE IN SICILIA

ESTRATTO DELLA RELAZIONE DELLA GIUNTA PER L’INCHIESTA SULLE CONDIZIONI DELLA SICILIA

NOMINATA SECONDO IL DISPOSTO DELL’ARTICOLO 2 DELLA LEGGE 3 LUGLIO 1875.

 

 

 

 

I porti

Fino dal 1865 scriveva il Possenti essere doloroso confessare come la somma destinata nei bilanci dello Stato allo spurgo dei porti siciliani fosse affatto inadeguata al bisogno largo ed urgente che vi era di siffatti lavori. E fin d’allora suggeriva che ognuno dei porti principali fosse fornito di un buon cavafondo, perchè l’operazione potesse lestamente condursi a termine. La somma destinata a questi espurghi crebbe certamente d’allora in poi; ma la condizione di fatto odierna se n’è poco avvantaggiata; può dirsi peggiorata, se si pon mente allo sviluppo di navigazione che ha reso necessario in molti porti un eguale sviluppo di profondità e di spazio. Catania, Porto Empedocle, Trapani, dove il movimento mercantile si fa ogni giorno maggiore, vedono gl’interrimenti minacciare sempre più i loro porti. A Trapani, per esempio, la Camera di commercio dichiara che i bastimenti superiori a 600 tonnellate non possono più entrare nel porto, e bisogna che le operazioni si facciano alla rada, con perdita di tempo e spese, e rischi maggiori. Il capitano del porto conferma questo fatto, e aggiunge che nei mesi d’inverno i naviganti evitano il porto di Trapani per le disgrazie che vi succedono. E i cavafondi sono tuttora così scarsi che, votata una somma insufficiente di lire 36 mila per espurghi nel porto di Trapani, se ne dovettero spendere 6 mila pel solo trasporto di una di queste macchine dal porto di Girgenti. Non parliamo dei porti minori, di Marsala, di Mazzara, di Cefalù. L’interrimento completo va diventando per quei porti una questione di tempo; eppure a Cefalù si lamenta che molte barche vadano a rompersi sulle coste della Calabria, e che i giovani marinari emigrino in America abbandonando il mare nativo; eppure a Marsala cresce continuamente l’accorrenza del naviglio mercantile, soprattutto per l’esportazione dei vini; eppure a Mazzara la natura ha fatto l’opera per tre quarti, introducendo nell’interno della città un canale marino, atto ad essere espurgato e mantenuto con modica spesa.

Vero è che la legge ha determinato i contributi e le spese secondo la classificazione dei porti; vero è che molti lavori pei porti principali si sono compiuti, che molti sono in corso di esecuzione, che altri, come appunto per Trapani, per Girgenti, per Palermo, furono recentemente prescritti da legge o prossimi ad essere proposti al Parlamento. Vero è infine che non è fievole neanche in Sicilia quell’affannarsi di città e di villaggi attorno alla provvidenza dello Stato, quel lamento dei singoli interessi e dei singoli bisogni, che sognano un’ingiustizia del Governo tutta speciale ad essi, e che affettano di non vedere nell’orizzonte a loro schiuso altri bisogni ed altri interessi, nonchè prevalenti, di eguale diritto ed egualmente obliati.

vogliamo obliare noi, ingiusti prima di tutti, per quante e quali difficoltà politiche, parlamentari e finanziarie abbia dovuto passare in questi anni quell’ente Stato, obbligato a soddisfare alle spese di coloro stessi che le invocavano, tante e così grosse esigenze di una vita per tutti nuova.

Resta ad ogni modo, sull’argomento dei porti, un criterio comparativo a cui nessuno può negare una certa evidenza; ed è che l’ufficio dei porti in un’isola ha un carattere di maggiore importanza che sulle spiaggie del Continente. Il mare è la via fatale nel primo caso, può essere la via sussidiaria nel secondo. Ciò che per Ancona o per Savona può essere un lusso, aggiunto alle comodità di una triplice comunicazione ferroviaria, diventa una necessità di esistenza per Trapani o per Milazzo, rimaste finora sorde al rumore degli stantuffi di Watt. E ciò spiega come per le città siciliane, il porto sia più che un bisogno, sia una smania; ciò spiega come in ognuno dei piccoli villaggi che sorgono sulle spiaggie marine, la vita dell’oggi e la speranza dell’avvenire si abbranchino ad un molo, ad una banchina, ad un approdo periodico, ad un gavitello d’ormeggio. Il mare è , colle sue onde invadenti, colle sue misteriose attrazioni, coi suoi sconfinati orizzonti, colle sue vaghe promesse di economia e di ricchezza. Non parlate a quei trafficanti, a quei pescatori, che lottano dall’infanzia coi suoi mutevoli capricci, dei vostri bilanci, della vostra contabilità, delle competenze passive, della legge sulle opere pubbliche. È un linguaggio che non comprenderebbero, sono argomenti di cui non saprebbero indovinare il nesso coi casi loro. La voce del mare è più grossa di ogni altra, il pericolo da evitare più vicino, l’opera che li può aiutare o che s’immaginano li possa arricchire, non par loro discutibile per ragioni lontane o per interessi lontani. D’altronde, che è lo Stato per quei trafficanti, per quei pescatori che avranno veduto cento volte Tunisi o Malta, ma che non hanno mai visto Genova, forse neanche Messina? Lo Stato è una gran macchina, lontana da loro, lontana dalla Sicilia, che può tutto, che ha sempre denari, che ne distribuisce a chi e come crede; è una macchina di cui erano avvezzi a dir male, quando si chiamava il regno di Napoli, di cui hanno cominciato a dir bene quando si chiamò il regno d’Italia, e di cui tornano a sospettare che possa volgersi a male quando vedono ritardarsi troppo il molo, la banchina, l’approdo, il gavitello.

Certo, a siffatti criteri, non esclusivi delle popolazioni siciliane, uno Stato non può cedere, ma deve lottare cogli stromenti della coltura e dell’amministrazione perchè si modifichino. Nemmeno però può ribellarsene affatto, quando questi criteri, divenuti generali e vivaci, traggono una certa giustificazione da condizioni speciali, quali dicemmo essere per le popolazioni isolane le questioni dei porti. Allora, anche l’applicazione della legge può divenire più larga, soprattutto i procedimenti amministrativi debbono spogliarsi perfino dell’apparenza di improvvidi ritardi o di inopportune rigidità. Tanto più debbono spogliarsene, inquantochè la stessa popolarità che circonda in Sicilia ogni lavoro marittimo, rende assai rare le resistenze dei corpi locali ad assumersi le tangenti ordinate dalla legge, e talvolta provoca anche esempi splendidissimi di larghezza. Ne siano prova Catania e Licata, che stanno costruendosi a loro spese dei grandi porti, valutati a più di dodici milioni il primo, a più di sette il secondo. Ne sia prova Trapani, che offriva una somma di 100,000 lire, al di della sua quota legale, per la costruzione di un bacino di carenaggio. Eppure Trapani non ha potuto ottenere ancora che una somma di lire 35,000, a spese comuni, fosse inscritta nel bilancio del 1876 pei necessari lavori di espurgo; eppure Licata, già prossima alla fine dei lavori suoi, non ha visto mantenersi dallo Stato la corrispondente promessa sua, che pel gennaio 1875 fosse aperta all’esercizio la linea ferroviaria Canicattì-Favarotta-Licata.

La legge sulle opere pubbliche del 20 marzo 1865 non è, anche lasciata tal quale, priva di temperamenti da potersi con maggiore larghezza del passato applicare alla Sicilia. L’articolo 187, che contempla il trapasso di un porto da una classe ad un’altra, potrebbe dare modo di soddisfare reclami o lagnanze che avessero veramente il loro fondamento sulle circostanze mutate e sullo sviluppo della navigazione in questo decennio. E l’articolo 198, che regola i sussidi dello Stato pei porti di quarta classe, lascia al Governo una latitudine, della quale un’amministrazione intelligente e benevola può usare, senza abusarne, con effetti così politicamente come economicamente rimuneratori.

Alcune volte poi, bastano delle previdenze amministrative di qualche larghezza ad imprimere nelle popolazioni il concetto della cura che il Governo pone al loro benessere. E, per esempio, il passeggiero o il trafficante che da Reggio s’imbarca per Messina si sentirebbe assai più sotto la protezione di un grande Stato se trovasse un vapore di qualche portata, invece di quei piccoli vaporini postali che non sempre paiono atti a sfidare l’agitazione dello stretto; e se, giunto a Messina, come partendone, trovasse assettati quei ponti di sbarcatoio, che ormai non difettano in nessun porto, e senza i quali riesce sempre incomodo, talvolta pericoloso, l’approdo.

 

 




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