Le ferrovie.
Fra i principali porti
dell’Isola, sei hanno avuto a quest’ora il beneficio di una linea ferroviaria:
Palermo, Messina, Catania, Augusta, Siracusa, Girgenti, e due, Trapani e
Licata, stanno per ottenerlo. Quando i lavori saranno finiti, certo molte diffidenze
si spegneranno, e una corrente più salubre d’idee e di affetti si espanderà per
gli animi. Ma finora non vi sono molti disposti a giudicare con grande
imparzialità la condotta e gl’intenti del Governo in questa materia delle
ferrovie, così facile ad esser presa per vessillo di ogni malcontento, di ogni
ostile od onesta impazienza.
Sono vari e complessi i fatti ed
i criteri che contribuiscono a creare in Sicilia la situazione ferroviaria
odierna; e non si giudica con equità se tutti non si ricordano e se non si
attribuisce ad ogni causa l’effetto suo.
Innanzitutto, un concetto
predominò nell’Isola e fuori, quando si procedette al primo disegno della rete
delle ferrovie sicule: fu il concetto di favorire gli zolfi. S’era nel colmo
degli aumenti di prezzo che a questa derrata aveva cagionato la malattia delle
viti. La mancanza di ogni altro movimento commerciale o industriale aveva
concentrato sugli zolfi i desiderii e le speranze di tutti gli uomini d’affari
in Sicilia; fuori ne seguirono l’impulso. Certo è che quasi ogni altro intento
della viabilità ferroviaria fu sacrificato al proposito di aprire più numerose
e più larghe ai filoni del metalloide le vie del mare. E così fu spinta
senz’altro verso Lercara la prima linea che si staccò da Palermo; così fu
obliata la provincia di Trapani, e furono obliate, tranne i capoluoghi, le
provincie di Messina, di Siracusa, che zolfi non producevano; così fu
necessario cercarsi da Lercara un passaggio per le dirupate sponde del Platani
verso Girgenti e tentare l’unione col bacino solfifero di Caltanissetta
traverso le mobili e fangose arene di Montedoro. Nè a tutt’oggi sono ancora
cessate le illusioni che gli zolfi producono sulle menti; che anzi sta in cima
a qualunque progetto di linee nuove, o di allargamento di porti, l’intento di
deviare dai suoi sbocchi naturali i prodotti delle solfare e costringerlo, con
artificiali e costose combinazioni di viabilità, ad imboccare altre zone e
ledere, se è possibile, i diritti della geografia. Ed illusione è quella di Palermo,
se crede che con qualunque accorciamento di linea possa disputare a Girgenti ed
a Licata gli zolfi dei bacini centrali; illusione è quella di Siracusa, se
crede che la ferrovia Siracusa-Licata potrà condurre al suo magnifico porto gli
zolfi dei bacini del Salso; illusione è quella di Messina, se crede che,
girando l’Etna, mediante la ferrovia nella valle del Cantara, possa attingere
alle sorgenti minerarie gli zolfi di Leonforte e di Castrogiovanni e stornarli
dal porto di Catania a cui sono destinati.
La rete ferroviaria di un paese
si tesse male, quando si ubbidisce ad una sola preoccupazione, e si vogliono
forzare per essa le condizioni naturali. I guai, dissimulati da prima, si fanno
strada più tardi, ma i tracciati difficilmente si possono correggere, e
aumentano così gl’impacci per l’avvenire.
Sventuratamente non fu questa la
sola cagione che influì male sull’originario disegno delle ferrovie siciliane.
Le vicende per cui passò la concessione di quelle ferrovie, le pressure
parlamentari che sembravano esigere il presto anche a disagio del bene, la
facoltà lasciata alle compagnie assuntrici di proporre progetti e variazioni
che quasi tutte avevano per iscopo la convenienza dei costruttori, anzichè la
migliore direzione della linea, contribuirono a rendere vizioso ed incompleto
il primo tracciato. E dovette essere per ragioni di questa natura che la linea
da Catania a Leonforte fu lanciata per intero traverso ai facili, ma deserti
terreni della piana di Catania, lasciando fuori di comunicazione tutti i paesi
collocati alla destra, e non toccando neanche alla sinistra Palagonia e
Rammacca, come era stato desiderio della Commissione parlamentare del 1863.
Così fu strano e ingiusto che la linea litoranea orientale si fermasse al porto
di Siracusa, senza spingersi almeno fino a Noto, che pur era in quel tempo il
capoluogo della provincia, e il cui territorio, ricco di produzioni, avrebbe
potuto recare un po’ di alimento all’arido tronco Siracusa-Catania.
Forse, quando cause così
molteplici non avessero contribuito alla redazione del primitivo disegno, una
rete più ampia e più razionale avrebbe potuto costruirsi, salve le ragioni del
tecnicismo, e con maggiore riguardo alle zone più popolate. Forse la
congiunzione di Palermo con Girgenti si sarebbe condotta per la linea interna
più produttiva di Misilmeri, Corleone e Bivona, con una diramazione verso
Sciacca; la congiunzione con Catania avrebbe seguita per Termini e Caltavuturo
la linea che oggi chiamasi delle due Imere, e, giunta a Leonforte, avrebbe
seminate le sue stazioni lungo quella schiera di grosse e fiorenti città che da
Agira a Misterbianco adornano il potente fianco dell’Etna. E allora
Caltanissetta, unita per Castrogiovanni alla linea PalermoCatania, avrebbe
potuto diventare il centro di tre altre diramazioni, una per Girgenti, una per
Licata, ed una per Piazza e Caltagirone, sopra Catania o sopra Siracusa,
toccando Modica e Noto. I tronchi secondari poi, da Palermo a Trapani per
Alcamo e Castellammare, da Corleone per Partanna e Castelvetrano a Mazzara ed a
Marsala, da Adernò per Bronte e Randazzo a Taormina, da Messina pel Faro e
Barcellona a Patti, e forse da Leonforte per Nicosia e Mistretta a Cefalù,
avrebbero, coi sussidi provinciali e comunali, completata la viabilità ferroviaria
dell’Isola in modo da non lasciare nessun onesto appiglio al più piccolo lagno.
Si sarebbero sfondate tutte le vene interne della produzione agraria, senza
trascurare gli zolfi; i quali poi, se qualche bacino speciale, come Lercara o
Casteltermini, fosse rimasto senza una linea principale, vi si potevano
allacciare mediante qualcuna di quelle ferrovie economiche, così agili e così
utili a un tempo per gli usi e pei paesi industriali.
Ad ogni modo, adottato come che
sia un piano generale, sarebbe stato desiderio vivo dell’Isola che alla sua
esecuzione si fosse posta molta sollecitudine. Ma questa mancò. Mancò, in parte
per le ragioni stesse per cui rimase imperfetta la rete, in parte per altre
ragioni che verremo esponendo.
Innanzi tutto è mestieri attribuire
agli elementi costitutivi del suolo siciliano la sua grossa porzione di
responsabilità. Gli ostacoli che quei terreni franosi e scivolanti sui loro
strati di creta oppongono all’opera dei tecnici, sono veramente gravi e
continui. Le gallerie si sfasciano, i ponti crollano, i più robusti pilastri,
sprofondati a più decine di metri, si piegano e si rovesciano sui lati, invasi
da quelle montagne di melma che con lento ma irresistibile lavorìo scalzano e
sollevano tutte le fondamenta delle opere d’arte. Un piccolo seno di monte, il
passaggio di un torrentello, una frana della estensione di alcuni metri esigono
lavori preliminari, rassodamenti di terreni, sistemi complicati di acquedotti e
di muraglioni, quali non occorrono sul Continente per grossi fiumi o per larghe
vallate. Aperta una volta col piccone la terra, le frane aumentano e le acque
filtrano da ogni lato, inutili all’agricoltura, esiziali alle strade.
Questa condizione geologica non
può non essere di grande ostacolo e di grande ritardo alla costruzione delle
ferrovie, dove così rigoroso essere deve lo scrupolo dell’esattezza e della
solidità dei lavori. Rifare la stessa cosa due volte, impiegare ad una data
opera il doppio del tempo che avrebbe potuto calcolarsi, dovettero essere gli
incidenti ordinari di simili costruzioni. Fu preveduta la situazione dagli
ingegneri del Governo? E una volta scopertasi, fu pari lo zelo alla difficoltà,
pari l’attività all’ostacolo?
L’opinione siciliana è molto
propensa a non riconoscere negli ingegneri che studiarono e diressero le
ferrovie questa eccellenza di qualità. A Palermo, a Girgenti ci dissero che gli
ingegneri locali avevano avvertita questa speciale condizione delle terre
siciliane; ci dissero altresì che questi avvertimenti non erano stati
considerati, che i progetti di ferrovia erano stati redatti senza alcuna
conoscenza delle località a cui si applicavano. Che qualcosa di vero in questa
opinione vi sia, lo proverebbe una certa mutabilità di progetti, che in
condizioni ordinarie non si saprebbe nè spiegare, nè approvare. La importante
galleria, per esempio, che chiamano della «Misericordia» e che traversa una
collina tra Calascibetta e Castrogiovanni, fu in origine progettata della
lunghezza di quattro chilometri da un ingegnere governativo, il comm. Marzano.
Affidati i lavori alla società Vittorio Emanuele, un secondo progetto
ridusse questa galleria a 2200 metri. Subentrata nella concessione la ditta
Charles e Vitali, la lunghezza della galleria fu ancora ridotta a 1500 metri.
Finalmente il Governo, quando rientrò nel sistema delle costruzioni dirette,
fece allestire un altro progetto che abbreviava quel traforo fino a metri 1126.
Ed ora che l’opera è compiuta misura esattamente una lunghezza di metri
1424,13. Così intorno a Lercara le variazioni della linea furono parecchie, e
le difficoltà del tracciato non sembrano essere state considerate con i dovuti
criteri. Da Girgenti a Porto Empedocle si costruisce una linea per esclusivo
servizio degli zolfi, ma, appena costruita, si comprende che difficilmente potrà
servire all’uopo, vista la precarietà dell’esercizio ed i continui pericoli di
franamento e la mancanza di materiale opportuno. Si aggiunge che i lavori del
porto, approvati alcuni anni or sono e condotti innanzi con molta spesa, si
sono ora verificati, dietro un’ispezione dell’egregio ingegnere Mati, affatto
contrari allo scopo di sicurezza, e si devono rifare su disegni completamente
diversi.
E finalmente si notano, come
sconci gravissimi in linea tecnica, le forti pendenze tollerate in moltissimi
tronchi; pendenze del 20, del 26, del 30, fino del 33 per 1000; pendenze
insomma superiori a quelle che si permettono tecnicamente nei grandi passaggi
delle Alpi; e ciò, malgrado che i dati forniti ad una Commissione governativa
che esaminava nel 1863 il contratto Lafitte sembrassero assicurare una media
pendenza superiore in pochi casi al 10 per 1000.
La Giunta, in base a questi
fatti, non può dunque escludere che qualche ragione abbia l’opinione pubblica
siciliana nell’addossare al personale tecnico governativo parte della
responsabilità pel cattivo tracciato delle ferrovie e per la lentezza della sua
costruzione. E fra gli stessi attuali capi del servizio tecnico non si tacque
il fatto che linee più facili e più sicure avrebbero potuto in qualche caso
costruirsi; non si tacque il dubbio che le strade sicule siano state studiate
piuttosto sul tavolo che sul luogo, e che la condizione di quei terreni sia
stata considerata assai meno difficile del vero.
Negli ultimi anni però l’azione
del Governo si è venuta precisando d’assai, e svincolati ormai da ogni legame
di diritto con quelle infauste società costruttrici che in Sicilia pur troppo
si seguirono e si rassomigliarono, i tecnici governativi secondarono in questi
ultimi tempi l’impulso ministeriale con una operosità feconda, di cui sarebbe
ingiustizia non tener conto. Infatti, mentre nel 1871 gli operai occupati nelle
ferrovie salivano ad una media giornaliera di 2416, nel 1872 questa media salì
a 6942. Scemato un po’ il bisogno, per l’apertura all’esercizio di molti
tronchi, la media giornaliera si trovò nel 1874 di 5540, ma risalì nel 1875 a
6273. Così accadde che, mentre la rete originaria del primo periodo, affidata
alle società concessionarie per una lunghezza di 329 chilometri, esigette dieci
anni di tempo per la sua costruzione, vale a dire una media di 33 chilometri
all’anno, la rete del secondo periodo, votata colla legge 28 agosto 1870 e
costruita direttamente dallo Stato per una lunghezza di 221 chilometri, fu
incominciata nel settembre 1872, e al 1° maggio scorso contava già aperti
all’esercizio 140 chilometri, vale a dire una media di 40 chilometri all’anno,
malgrado le difficoltà di tanto maggiori che queste linee presentano in
confronto delle prime. Dell’intiera rete sicula, composta di 550 chilometri,
sono dunque attualmente in esercizio 469 chilometri; rimangono a completarsi
sulla linea LeonforteLicata un tronco fra Santa Caterina e Caltanissetta di
chilometri 8 e il tronco fra Campobello e Licata di chilometri 29; sulla linea
Palermo-Girgenti il solo tronco fra Spina e Passofonduto di chilometri 14; e
finalmente la trasversale fra le due linee, che da Serradifalco dovrebbe
giungere a Campofranco, per una lunghezza di chilometri 29.
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