La legge del 30 agosto
1868.
Il viluppo degli argomenti ci ha
portato lungi dal tema fondamentale, da cui ci eravamo dipartiti: la necessità
di dare più rapido impulso alla viabilità, e di migliorare quindi sotto tale
aspetto la legge del 30 agosto 1868.
Si è visto che in molti casi
quella legge trovò ostacoli nella resistenza passiva dei Comuni; in molti più
casi la trovò eziandio nella difficoltà finanziaria della sua applicazione. E
questa difficoltà deriva da cause varie. In alcuni luoghi, per esempio, nella
provincia di Palermo, la resistenza assoluta di quella deputazione provinciale
a concedere un aumento della sopratassa fondiaria oltre il limite accennato
dalla legge del 14 giugno 1874, impedì la costituzione del fondo speciale,
previsto dall’articolo 2 della legge del 1868, a tutti quei Comuni che con
altre spese obbligatorie avevano raggiunto quel limite. Altrove le
circoscrizioni comunali ristrette rendono quel fondo speciale affatto
insufficiente, anche portando la sovrimposta al di là del limite fisso, e
quindi aggravando molto la imposta individuale. In altri Comuni le difficoltà
nacquero o dalla mancanza di un appaltatore dei lavori o dalla impossibilità di
trovare i mutui necessari alla intrapresa stradale.
Certo, se lo Stato potesse
recarsi in mano tutto l’andamento e tutta la responsabilità di questo servizio,
rivalendosi esso delle spese anticipate sui bilanci e sui contribuenti
comunali, con quei mezzi che possiede, e quei temperamenti che potrebbe
adottare, la costruzione della rete obbligatoria camminerebbe assai più
spedita, e i voti delle popolazioni isolane saluterebbero con indubbia
soddisfazione questo sistema. Almeno quando si tratta di consorzi comunali, a termini
dell’articolo 21 della legge 30 agosto 1868, un intervento più diretto dello
Stato varrebbe una benefica abbreviazione delle infinite lungaggini che rendono
impotente l’opera del legislatore. E l’esempio già avuto, che i progetti sono
stati compilati più sollecitamente dallo Stato, e che quei progetti sono
costati meno, prova quanto più rapidamente ed economicamente funzionerebbe in
questa materia l’ingerenza governativa.
Ma se fin lì non si può o non si
vuole arrivare, bisognerebbe però in alcune parti rendere la legge più pratica
e più efficace.
L’articolo 1 dovrebbe essere
interpretato con temperanza affinchè la classificazione obbligatoria non
imponga oneri troppo gravi a Comuni privi di ogni potenza economica.
L’articolo 2, che costituisce il
fondo speciale, poco risponde allo scopo. La prestazione d’opera soprattutto,
fonte di liti e d’incertezze nell’esigenza, allontana gli appaltatori che
temono da quella forma di concorso, ritardi di pagamento o malfidi operai. E
andrebbe ad ogni modo aumentata, se si vuole utile, l’aliquota del 5 per cento
sulle tasse erariali, e permesso di oltrepassare per tale intento il limite
fisso.
Quanto al sussidio dello Stato,
regolato dall’articolo 9, due modificazioni sarebbero di grande utilità: 1°
permettere la concessione anticipata del sussidio, almeno per quelle
strade alla cui costruzione si procede d’ufficio, giacchè è crescere le
difficoltà del Comune l’obbligarlo ad anticipare anche quella parte di spesa
che non gli spetta; 2° portare la quota del sussidio ad un terzo, almeno
in casi determinati, invece del quarto. Nè queste modificazioni
altererebbero gravemente il concetto originario della legge e le previsioni
finanziarie che l’avevano accompagnata. Infatti, coll’ingenuità del desiderio
ottimista, quella legge stabiliva che il sussidio annuo per le strade
obbligatorie non fosse inferiore a tre milioni. L’esperienza ha provato che
questa cifra superava di gran lunga gli stimoli della legge e l’attività del
paese, giacchè in sette anni, invece di spendere 21 milioni, se ne sono potuti
spendere soli 8. Per cui aumentando anche di un dodicesimo il sussidio
erariale, è difficile che si arrivi mai ad erogare tutta la somma annuale che
la legge del 1868 aveva prescritta. Se vi si arriva, sarà un giorno beato per
la viabilità italiana.
Però la questione più grossa non
è forse quella del sussidio. Ai due terzi della spesa deve sempre provvedere il
Comune. E come vi provvede? Quali sono le fonti, gl’istituti a cui rivolgersi
per ottenere un’anticipazione di capitali così importante?
Abbiamo veduto quali trabalzi
abbiano avuto in Sicilia gl’istituti di credito, e come siano oggi obbligati a
trincerarsi cautamente nelle operazioni di sconto e nei prestiti a breve
scadenza. Il credito mobiliare e il credito fondiario non hanno finora istituti
importanti a loro servizio, e il capitale privato non osa ancora avventurarsi
fuori delle usate vie, o, quel che è peggio, fuori dei nascondigli. I Comuni
siciliani non hanno dunque che due casse pubbliche a cui rivolgersi: la Cassa
dei depositi e prestiti e la Cassa di soccorso per le opere pubbliche in
Sicilia; istituzioni che, quantunque amministrate da una sola autorità, secondo
l’ordinamento provvisorio attuato col decreto 4 gennaio 1872, conservano però
divise le attribuzioni e separato il bilancio.
Ora, la Cassa del depositi e
prestiti ha bensì largito ai corpi morali della Sicilia una somma di lire
13,570,000 dall’anno 1863 in poi; ma di queste una tenuissima parte può dirsi
avere avuto influenza sulle costruzioni della rete stradale; la più gran somma
andò a beneficio delle grandi città o delle provincie: Palermo ebbe 4 milioni,
Catania quasi 3 milioni, Siracusa 2,600,000, un milione e mezzo Girgenti, un
milione Caltanissetta; denari consacrati ad opere grandiose certo ed utili, come
piazze, teatri, palazzi provinciali, ma che assorbirono inopportunamente ogni
fondo, a danno dei piccoli Comuni e della interna viabilità dell’Isola.
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