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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • APPENDICE     LE OPERE PUBBLICHE IN SICILIA ESTRATTO DELLA RELAZIONE DELLA GIUNTA PER L’INCHIESTA SULLE CONDIZIONI DELLA SICILIA NOMINATA SECONDO IL DISPOSTO DELL’ARTICOLO 2 DELLA LEGGE 3 LUGLIO 1875.
      • Il quarto dei beni ecclesiastici.
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Il quarto dei beni ecclesiastici.

A questo bisogno pare alla Giunta che risponderebbe assai bene un altro provvedimento che da molto tempo oscilla nelle regioni amministrative e che in tutta la Sicilia è con un solo grido invocato. Trattasi dell’applicazione integrale della legge 7 luglio 1866 sulla soppressione delle corporazioni religiose.

Ognuno sa che coll’articolo 35 di quella legge, ai Comuni di Sicilia era dato il quarto della rendita di quei beni, a datare dal gennaio 1867, coll’obbligo di pagare il quarto delle pensioni dovute ai religiosi. Sopravvenuta poi la legge 15 agosto 1867 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico, s’imponeva con l’articolo 18 di quella legge una tassa straordinaria del 30 per cento sul patrimonio ecclesiastico rappresentato dal Fondo pel culto. L’amministrazione di quel Fondo che, non avendo ancora fatte le liquidazioni, teneva presso di le rendite di tutte le corporazioni religiose abolite coll’antecedente legge del 1866, pretese che la tassa straordinaria del 30 per cento colpisse anche la rendita iscritta a favore dei Comuni di Sicilia. E in qualche caso, incoatasi lite, la vinse.

È però un fatto, a cui l’equità difficilmente si rassegna, questo, che uno Stato possa, dopo concesso un diritto, ritornare sulla sua concessione e roderne un brano. Al gennaio 1867, il diritto dei Comuni di Sicilia a possedere la rendita iscritta corrispondente al quarto dei beni, salvo l’obbligo del quarto delle pensioni, restava pieno ed intero. La legge posteriore del 15 agosto 1867 non poteva più considerare quella parte di beni come un patrimonio ecclesiastico; era divenuta un patrimonio comunale; e non si capisce come potesse colpirsi di una tassa retroattiva, non si capisce come la tardanza dello Stato a fare le liquidazioni e consegnare la rendita, vale a dire l’indugio del Governo nella esecuzione dei suoi doveri, dovesse poi volgersi a suo vantaggio e a danno dei Comuni.

L’intenzione del legislatore del 1866 fu evidentemente di usare un riguardo speciale ai Comuni della Sicilia; e questo riguardo trovava forse il suo corrispettivo nella massa maggiore di beni che, in proporzione delle altre regioni italiane, lo Stato trovava nella Sicilia, rimasta fino allora vergine di qualunque legge di soppressione e quindi ricca di tutto l’originario patrimonio del clero regolare.

Questa intenzione non poteva certo essere mutata, a così poca distanza di tempo, dal legislatore del 1867. Il pensare diversamente equivarrebbe a supporre che si abbia voluto con una mano togliere il beneficio recato dall’altra; molto più che l’onere delle pensioni imposto dalla legge del 1866 restava intero, e solo si sottraeva circa un terzo dell’utile.

Quanto nuocerebbe al credito ed alla dignità del Governo presso le popolazioni siciliane questa interpretazione delle due leggi non è mestieri percorrere la Sicilia per indovinarlo. Il sentimento pubblico sarebbe laggiù gravemente offeso da questa soluzione che, a torto o a ragione, sarebbe considerata come una mistificazione. La fiducia nelle promesse, nella parola del legislatore ne andrebbe scossa; e al malcontento che desta il bisogno poco soddisfatto della viabilità s’aggiungerebbe quello di vedersi contesi, per una interpretazione di legge, se non ingiusta, certo durissima, i mezzi di potere in parte provvedere a tale bisogno.

Giacchè non si può dimenticare che la stessa concessione del quarto dei beni era fatta col vincolo d’impiegarlo in opere di pubblica utilità. Ora, se non tutti, molti di questi Comuni hanno fatto debiti, hanno anticipato somme per costruzione di scuole o di strade. Gli altri aspettano per costruirle che la rendita di quel quarto sia loro consegnata. Non c’è della durezza a lagnarsi che non abbiano pensato ad entrambi gli scopi contemporaneamente, mentre lo Stato, loro debitore, trattiene presso di le somme necessarie per conseguirli entrambi?

La Giunta non può avere dubbio sulla soluzione più equa da darsi a questa pratica. Essa fa voti, non solo perchè il Governo solleciti le liquidazioni definitive dei beni delle soppresse corporazioni religiose in Sicilia, ma perchè la tassa straordinaria imposta coll’articolo 18 della legge 15 agosto 1867 non sia applicata al quarto della rendita corrispondente ai detti beni, da iscriversi a favore dei Comuni di Sicilia, a termini dell’alinea secondo dell’articolo 35 della legge 7 luglio 1866.

E se questa disposizione avrà bisogno di un nuovo atto legislativo e si potrà con esso vincolare espressamente la restituzione di questo quarto alla costruzione della rete stradale, il beneficio non sarà che doppio e la questione della viabilità otterrà quello sviluppo più sollecito che aveva cercato di imprimerle la legge 30 agosto 1868.

 

 




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