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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

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  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • I CONTADINI IN SICILIA         INTRODUZIONE
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I CONTADINI IN SICILIA

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

Comincia a penetrare le menti dell’universale l’opinione che per opporsi efficacemente al Socialismo e al Comunismo non basta il dimostrare in teoria e colla storia alla mano la ragionevolezza e la utilità degl’istituti, che sono base della moderna civiltà, ma che bisogna pure esaminare partitamente quali sono le mende che presenta la nostra società nei suoi ordinamenti attuali, quali sono le sciagure che essa cagiona, quali i dolori cui non ripara, e quanta parte delle une e degli altri potrebbe togliersi senza toccare ai principii.

Ogni legge, ogni istituzione creata dagli uomini, e mantenuta coll’autorità dello Stato, produce direttamente e indirettamente un numero infinito di conseguenze nelle condizioni economiche e sociali delle classi e degl’individui, e diviene così causa pur troppo spesso di diseguaglianze artificiali mantenute a forza in nome dell’eguaglianza; di oppressioni legali esercitate in nome della libertà. E tra tutte queste istituzioni è certo la proprietà privata territoriale la più importante, ed è quella difatti contro cui più vivi sono stati ognora gli assalti di coloro, che partendosi da massime a priori vorrebbero tutta rovinare la società moderna e riedificarla a loro modo, soltanto perchè l’edifizio attuale non è perfetto; come se mai si potesse creare edifizio perfetto con materiali che non lo sono affatto, e ordinare una società perfetta di uomini che sono tuttora ignoranti, egoisti, superstiziosi, frivoli e avidi di ogni più basso godimento.

La giustificazione maggiore dell’istituto della proprietà privata del suolo è economicamente la sua utilità generale, e questa si prova generalmente in modo più negativo che positivo, appoggiandosi piuttosto sui danni evidenti della proprietà collettiva, che sugli effetti benefici provati della proprietà territoriale individuale. Ma se vogliamo rinforzare l’istituzione contro gli attacchi degli oppositori, dobbiamo aggiungere una prova positiva: dobbiamo poter dimostrare come dappertutto, o quasi dappertutto, la proprietà privata del suolo nella sua forma attuale conduca al maggior benessere di tutti; e non solo alla maggior produzione agricola, chè questo non varrebbe che a giustificarla di fronte a quella parte della società, che non ha alcuna attinenza col suolo, ma anche e principalmente al maggior benessere di tutti coloro che contribuiscono a quella produzione. E se questa dimostrazione è utile dovunque, lo è tanto più in Italia dove più del 60% della popolazione è legata alla produzione agricola.

Ma vi sono nel fatto gli elementi per fornire una tale dimostrazione? — Ecco quello che dovrebbe principalmente prefiggersi di esaminare un’inchiesta agricola. Possiamo però affermare fin da ora, che pur troppo quegli elementi di fatto non esistono dappertutto presso di noi, e che in gran parte d’Italia il contadino sta male, molto male, e si trova in condizione tale da far temere per l’avvenire serii pericoli per la civiltà nostra.

Ma di chi la colpa? — I proprietari dicono che è colpa delle leggi, delle imposte, degli ordinamenti amministrativi, e dei contadini stessi. Lo crediamo anche noi che vi sia colpa di tutti, ma e dei proprietari medesimi non meno e forse molto più che degli altri. Intendiamoci però su questa parola colpa. Non attribuiamo alla classe dei proprietari una malignità speciale a danno dei contadini, o una cosciente trascuranza di quanto possa giovare alle classi inferiori, non più di quel che crediamo che gli ordinamenti amministrativi e le leggi d’imposta siano stati dettati coll’intendimento preciso di danneggiare una classe a benefizio di un’altra; ma troviamo quasi dappertutto una ignoranza assoluta e incosciente dei doveri che implica la proprietà del suolo, la quale è un privilegio (privilegio utile, ma sempre privilegio) e diremo quasi un ufficio sociale; troviamo un’opinione pubblica che si preoccupa dei salari degli operai industriali, della rendita dei proprietari, e dei profitti dei capitalisti, e ciò perchè e operai, e proprietari, e capitalisti sanno gridare e farsi valere, ma la quale ignora affatto le condizioni materiali e morali degli umili coltivatori del suolo; perchè il contadino lavora, paga, e brontola sommesso, ma non sa far dimostrazioni, non sa scrivere, e per ora non si muove.

Importa dunque di attirare l’attenzione pubblica su questi paria della nostra civiltà. Da qualche tempo vi è un notevole risveglio, in Italia, degli studii agricoli ed anche dell’agricoltura pratica. Da ogni parte sorgono e si agitano società scientifiche, comizi agrari, giornali e riviste agricole, istituti e colonie agrarie, società d’acclimazione, ecc.; in ogni provincia italiana si tentano esperimenti pratici, si pubblicano lavori dottissimi, si studia, si discute e si opera. Tutto questo movimento è ottimo, e promette molto per l’avvenire del paese; ma non basta. Si parla molto di produzione, e poco o nulla di distribuzione; eppure produzione e distribuzione sono fenomeni molto distinti. È teoria comoda di non pochi economisti ed agricoltori, quella che il benessere del contadino dipenda dalla floridezza dell’agricoltura, e che basti perfezionare questa per migliorare quello: — è questo quasi un luogo comune — ma pur troppo il fatto ci dimostra spesso il contrario. Si guardi l’Inghilterra, ove l’agricoltura è bellissima e il lavorante agricolo poverissimo: e se l’esempio non basta a persuadere il lettore, lo invitiamo a fare una piccola gita nella pianura irrigua del Po, e specialmente nella Lomellina, nel basso Pavese, nel basso Milanese e nel basso Mantovano. Egli vi troverà una produzione agricola straordinaria, un’agricoltura oltremodo perfezionata, ed insieme la condizione dei contadini la più miserabile, la più infelice di tutta l’Italia; più miserabile e più infelice di quella del contadino abruzzese o del contadino delle vallate più interne della Sicilia. Eppure il proprietario lombardo non è certo meno buono, meno umano o meno caritatevole del proprietario toscano del Val d’Arno. Da che dipende dunque la diversità delle condizioni? — Non dalla produzione diversa, ma semplicemente dalla diversità dei contratti, che regolano la distribuzione del prodotto agricolo tra i suoi tre coefficientiterra, capitale e lavoro. I nostri contadini non sono organizzati, come in alcuni paesi, e in parte anche da noi, lo sono gli operai industriali; potrebbero così facilmente esserlo per la diversità delle loro condizioni: essi non possono quindi limitare artificialmente, mediante l’accordo, l’azione della concorrenza, che tende a ridurre al minimo necessario alla vita la retribuzione del lavorante, nella repartizione del valore del prodotto. E d’altra parte l’emigrazione dalle campagne è ancora fenomeno troppo parziale e ristretto a poche località per esercitare una sensibile influenza nel limitare l’offerta delle braccia, e così ottenere pel lavoro condizioni migliori di fronte al capitale. S’aggiunga inoltre che molti miglioramenti agricoli tendono per primo effetto a diminuire la quantità di lavoro necessaria alla produzione; — e si vedrà come unica difesa che resti al contadino siano quelle speciali forme del contratto agricolo le quali, invalse e mantenute per legge o per consuetudine, costituiscano una barriera contro la pressione a danno del lavoro di chi tiene in mano gli altri due fattori della produzione — il capitale e la terra. Ed è perciò che nelle seguenti pagine in cui ci siamo prefissi di esaminare a larghi tratti la condizione dei contadini in una delle più ricche e più nobili regioni d’Italia, ci occuperemo più specialmente dello studio dei varii contratti agricoli.

Importa però chiarire fin da ora il nostro concetto.

Non è che crediamo che il contratto agricolo si possa dovunque regolare a volontà, e neppure che il contratto sia la causa prima ed unica delle condizioni dei contadini nelle diverse regioni. Non v’ha dubbio alcuno che la forma generale del contratto agricolo dipenda in gran parte dalle condizioni speciali della coltura di ogni regione; ma da ciò non risulta che non si possano variare le modalità minute del contratto, in modo da regolare diversamente la distribuzione di quella ricchezza la cui forma di produzione determinò la scelta del contratto. Di più, le differenze nella condizione dei contadini dipendono certamente, oltrechè dal contratto agricolo, anche dallo stato della produzione agricola; come pure è verissimo che le tradizioni storiche, le leggi e i costumi, c’entrano per molto nel determinare la forma dei contratti agricoli; ma ciò non toglie che in questa forma si debbano cercare le ragioni della diversità di effetti che, a produzione eguale, si vedono risultare nel fatto, in luoghi diversi, dall’azione delle stesse leggi economiche generali.

Divideremo il nostro studio in tre parti. Nella prima diremo brevemente dei contratti esistenti nelle varie zone e secondo le varie colture, in Sicilia, e della presente condizione materiale e morale di quei contadini. — Nella seconda esamineremo quegli stessi contratti nei loro effetti economici e sociali, analizzandone i vantaggi e i difetti alla luce dei principii della scienza; — e in terzo luogo parleremo dei rimedi, dei tentativi fatti, delle speranze e dei timori per l’avvenire.

Il lettore ci sia indulgente. Per quanta cura abbiamo messa nel raccogliere dati e notizie, volendo tutto verificare nella misura del possibile coi propri occhi, sentiamo quanto ci manca per poter dare dei giudizi assoluti. Altri ci corregga dove sbagliamo: — il nostro intento è sovrattutto di richiamare l’attenzione pubblica su queste questioni. Ci siamo accinti allo studio senza preconcetti, desiderosi soltanto di raccontare i fatti, e di giovare colla discussione e colla pubblicità agl’interessi di una classe importante di cittadini, e insieme a quelli agl’interessi di tutto il paese.


 

 

 

 




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