§ 6. — I pastori.
Siccome le greggi e gli armenti in
Sicilia emigrano periodicamente secondo le stagioni dalle terre più alte alle mezzaline,
e quindi in quelle più basse, che si dicono indistintamente terre di marina,
e siccome i campi della zona più alta vengono coltivati da villani che dimorano
per lo più nelle città più basse, non vi è molto di speciale da osservare
intorno alla condizione della popolazione rurale della zona montana. La vita
dei pastori è qua, come dappertutto, vita dura e di stenti. Il loro vitto si
compone quasi esclusivamente di pane più o meno buono, e di un po’ di ricotta
salata: di carne mangiano soltanto quella di qualche animale morto per malattia
o per disgrazia. Coperti di pelli di montone, vivono la maggior parte dell’anno
sotto la vôlta del cielo, esposti giorno e notte a tutte le intemperie. Sono
inoltre, com’è facile il credere, privi affatto di qualunque istruzione. I
caprai poi, possessori di una cinquantina di capre, e che errano di luogo in
luogo mantenendo il gregge in gran parte sul pascolo abusivo, e sull’erba che
costeggia le trazzere, cioè i sentieri, che percorrono, costituiscono
più specialmente una classe pericolosa, che sta in continui rapporti coi
latitanti e coi malandrini che battono la campagna; ne mantiene le relazioni
tra un luogo e l’altro; li avvisa dell’approssimarsi della forza pubblica, e
contribuisce a tener viva quella piaga speciale dell’agricoltura siciliana, l’abigeato,
ossia il furto del bestiame.
Nella zona alta di cui parliamo, manca
affatto ogni abitazione. La proprietà è tutta a latifondi, che sono per la
massima parte posseduti dai baroni, eredi degli antichi feudatari; e il resto
dai Comuni. Le proprietà ecclesiastiche sono andate, qui come altrove, in mano
dei grossi proprietari; ma su ciò torneremo nell’ultima parte, quando ci
occuperemo del censimento delle terre ecclesiastiche.
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