§ 10. — Le metaterìe.
Secondo
gli usi dei luoghi, la natura dei terreni o la più o meno durezza dei padroni,
e la concorrenza dei lavoranti, sono infinite in Sicilia le minute varietà del
contratto di metaterìa, e che vertono specialmente sui patti di
restituzione della semenza e sul maggiore e minor numero di diritti, che
deve pagare il contadino sulla sua parte. Non diremo senonchè delle forme che
abbiamo potuto riscontrare più costanti228.
Maggese a vuoto o con fave.
E cominciamo dall’anno del maggese, supponendo
che questo sia a carico del contadino. Se il maggese resta vuoto, e
soltanto lavorato con due o tre arature dal contadino, questi nulla paga e
nulla riscuote per quell’anno, ma i patti per l’anno seguente sono in compenso
più vantaggiosi per lui. Riceve intanto, e finchè durano i lavori nel campo,
qualche soccorso in grano dal padrone; soccorso ch’egli deve rendere
nell’anno seguente, alla raccolta del frumento, restituendo 20 tumoli per ogni
16 che riceve.
Se invece sul maggese si mettono le fave, i patti
sono di due specie. Nella prima che è la meno vantaggiosa pel contadino, il
padrone anticipa la semenza delle fave, che ripiglierà al tempo del raccolto
coll’addito, o frutto, di quattro tumoli per ogni salma (16 tumoli) che
ha dato. Di più fornisce talvolta un po’ di concime, che non è generalmente che
un po’ della terra del luogo dove pernottano gli armenti. Il contadino mette
tutto il lavoro e le spese di seminagione, di sarchiatura (zappugliatura),
e di raccolta, fino alla consegna del genere sull’aia. Là, detratta come si è
detto la semenza, il resto si divide a metà; oppure il contadino prende tutto
quanto il raccolto, ma restando in debito per la semenza e per la metà
padronale, debito che pagherà poi all’anno seguente in tanto frumento. Altre
volte il padrone perde tutto o parte della semenza, oppure la riprende senza
l’addito.
Secondo l’altra forma di contratto, che si usa
per le terre più stanche, più distanti e meno buone, tutto quanto il raccolto
va al contadino colla sola deduzione della semenza coll’addito; ma in questo
caso per lo più i patti per la divisione del frumento dell’anno seguente sono
alquanto aggravati. — Questi contratti si fanno però talvolta anche per il solo
anno della favata.
La maggiore o minore gravezza dei patti per le
favate, come per le metaterìe del grano, come pure pei terratici, oltrechè
dalla natura del suolo, dalla stanchezza del terreno su cui siano stati fatti
senza intervallo più raccolti di grano, e dalla sua distanza dall’abitato,
dipende più che tutto dalla concorrenza fra i contadini in cerca di lavoro.
Patti pel frumento.
Passiamo ora al primo anno della coltura del
frumento. Se il padrone lavorò il maggese precedente per proprio conto, la
divisione del raccolto si fa con uno dei due sistemi seguenti, che si ritrovano
usati ambedue negli stessi luoghi.
1°
Il padrone dà la semenza senza riprenderla sul raccolto. Il contadino fa
l’aratura e tutti i lavori di seminagione, prendendo l’aratro in affitto, se
non l’ha in proprio, oppure unendosi ad un altro compagno, se egli non possiede
che un solo mulo; fa tutti i lavori di sarchiatura del grano, tutte le spese
della raccolta, del trasporto sull’aia, e della trebbiatura che in tutta
Sicilia si fa o colle cavalle, o più spesso coi muli. Per il trasporto all’aia
il padrone è tenuto talvolta a prestare i bovi; altre volte egli prende dal
contadino un tanto fisso, generalmente un tumolo di grano229 per salma
di terra230, a titolo di trasporto. Il raccolto si divide sull’aia in
quattro parti, di cui tre vanno al padrone e una al contadino.
Così a Corleone, a Santa Margherita, a Bivona, a Valledolmo, ecc. Più spesso la
divisione è di tre parti, di cui una al borgese e due al padrone,
riprendendosi questi per di più, ora sì e ora no, la semenza prestata. Il
contadino deve sulla sua parte pagare a titolo di guardia, un tumolo di
grano per salma di terra.
2° Il padrone anticipa la semenza. Il contadino
fa tutti i lavori e le spese dette sopra. Il raccolto si divide a metà,
ma il contadino deve per di più al padrone sulla propria metà:
a) La semenza, ch’egli deve restituire
nella quantità ricevuta, più l’addito di quattro tumoli per salma, ossia
del 25% per circa 7 mesi: — talvolta l’addito non è che di due tumoli, ma è
caso alquanto raro. Di questi additi parleremo più giù a proposito dei soccorsi;
b)
Un terriggiuolo o antiparte, che varia molto nel suo importare,
ma sta per lo più tra una e due salme231 di grano, per salma232
di terra;
c) Il diritto di guardia, che varia da
mezzo a due tumoli, ma ordinariamente è di un tumolo di grano per salma di
terra. — A Santa Margherita, a Bivona, ecc., il diritto di guardia spesso non
viene misurato a tanto per salma di terra, ma invece è di un tumolo per aia,
ossia per ogni metatiere, qualunque sia l’estensione della terra che coltiva.
Di più secondo i casi, i luoghi, i terreni e i
proprietari si toglie dalla parte del contadino — il
diritto di messa; ordinariamente un
tumolo per salma di terra. Questo diritto vien tassato nei luoghi lontani dalla
città, per pagare il prete che dice la messa: però è spesso una sorgente di
guadagno per i padroni, i quali pagheranno 10 al prete e prenderanno 100 ai
contadini. Si ritrova questo diritto specialmente in montagna;
diritto di estimo o di stimatina,
di cui non sapremmo bene dare la spiegazione; e che per lo più non si prende
che nel solo primo anno in cui si coltiva frumento. È di circa un tumolo per
salma di terra;
diritto di sfrido per la perdita che
subirà nella vagliatura il grano restituito per la semenza: è di circa 3/4 di
tumolo per salma di terra;
restituzione della tassa di ricchezza mobile colonica stata
anticipata per legge dal padrone;
diritto di cuccìa o del maccherone,
che vien dato dal contadino al campiere a titolo di dono. — I padroni
dicono che essi non ci hanno che vedere, e che il contadino può dare quel che
vuole, ma nel fatto accadono molti abusi e i padroni non se ne incaricano. Si
ritiene ordinariamente come giusto il dare un mezzo tumolo per salma di terra;
diritto del galletto, ed altri minuti diritti e angherie233.
L’una o l’altra delle suddette due forme di
contratto riesce più o meno vantaggiosa al padrone o al contadino, secondo il
maggiore o minore prodotto che si ottenga da una salma di terra. Se il prodotto
è molto ricco, converrà più al padrone la prima forma di divisione a 3/4 e 1/4,
o anche a 2/3 e 1/3, siavi o no prelevazione della semenza, mentre quando il
prodotto per salma di terra è meschino, riesce più grave al contadino la
seconda forma, quella cioè della divisione a metà, più la restituzione della
divisione della semenza coll’addito, e il pagamento del terriggiuolo fisso; — e
ciò evidentemente perchè essendo il terriggiuolo una quantità fissa, come pure
la restituzione della semenza coll’addito, esse superano nelle cattive annate
la differenza che può correre tra la metà e i due terzi o anche i tre quarti
del raccolto.
Si noti inoltre, che per lo più il contadino in
Sicilia non sparge sul suolo tutto quanto il seme che riceve dal padrone, ma ne
destina una parte al proprio sostentamento: di una salma e mezzo di frumento
che riceverà per sementare una salma di terra, ne seminerà veramente una salma,
e gli altri 8 tumoli anderanno per consumo della famiglia. Con ciò il contadino
diminuisce il prodotto per salma di terra, onde per lui viene facilmente a
riescire più pesante la seconda delle dette forme di divisione, la quale pure è
la più comunemente usata.
Se poi il maggese vuoto dell’anno
precedente fu lavorato dal contadino o per conto di lui, si segue generalmente
il secondo dei due sistemi riferiti, e la minor durezza nei patti per l’anno
del frumento consiste per lo più nella soppressione totale o parziale del terriggiuolo,
oppure nella ripresa della semenza sulla massa del raccolto e prima della
divisione, invece che sulla parte del contadino.
Nel secondo e nel terzo anno in cui si coltivino
i cereali nello stesso campo, i patti sono naturalmente alquanto meno duri per
il contadino, e in generale si divide a metà con qualche imposizione di meno
sulla metà colonica, che non nel primo anno del frumento. Però quando il
contratto di metaterìa o di terratico comprende due o tre anni di coltura di
cereali, i patti sono per lo più uniformi per tutto il tempo che dura il contratto.
Se invece il contratto è annuo, è sovrattutto la maggiore o minore concorrenza
dei contadini fra loro, che determina anno per anno la gravezza dei patti.
I patti naturalmente sono più gravosi per le
terre che distano meno dall’abitato; onde se, per esempio, per la terra a 12
chilometri dall’abitato, troveremo che il padrone rinunzia a riprendere la metà
della semenza, a 8 chilometri invece la riprenderà tale e quale la dètte, e a 4
chilometri vorrà per di più quattro tumoli di addito per salma. Le
ragioni principali per cui coll’approssimarsi alla città diventano più gravi i
patti pel metatiere sono le seguenti: — Essendo minore la distanza da
percorrere per andare e tornare all’abitato, viene ad essere più lunga la
giornata di lavoro tanto del metatiere stesso, come dei giornalieri ch’egli
impieghi, senza che perciò egli debba pagar loro di più. Avendo la terra presso
la città, il metatiere può lavorare anche le mezze giornate sul suo fondo, come
pure lavorare egli stesso e impiegare altri nelle giornate di stagione incerta.
Può inoltre nell’impiegare giornalieri, approfittare dei momenti in cui siano
più bassi i salari nel mercato, le cui oscillazioni può meglio seguire da
vicino; e infine ha maggiori facilità di ottenere del concime.
Avverto che quando vien parlato di contratto fra
padrone e contadino, non si deve intendere con ciò che vi sia contratto scritto
tra gabellotto e contadino. I contratti scritti non si fanno in generale che
fra proprietario e gabellotto; il resto è tutto verbale; il gabellotto noterà
soltanto sui suoi registri i patti che fa coi singoli contadini. In alcuni
luoghi però, e specialmente della costa meridionale, si usa fare un solo
contratto scritto per tutti quanti i metatieri o terratichieri, e ad ognuno di
essi viene imposta una piccola quota per le spese dell’atto.
La
scelta dei borgesi, la repartizione della terra fra di essi, e lo stabilimento
dei patti e degli oneri che spettano a ciascuno, si fanno per mezzo di uno di
loro, detto l’inviatore234, il quale, prese le istruzioni dal
soprastante o dal primo campiere, assegna ad ogni metatiere il suo
appezzamento, fissandogli i patti. Egli ha il privilegio di potersi scegliere
il proprio appezzamento, che coltiva però agli stessi patti degli altri, e
riceve inoltre qualche regalo alla repartizione del prodotto.
|