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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo II.   ZONA INTERNA E MERIDIONALE
        • § 14. — Piana di Catania.
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§ 14. — Piana di Catania.

La specialità delle condizioni fisiche e quindi delle colture delle due maggiori pianure della Sicilia, della piana cioè di Catania e di quella di Terranova, porta con alcune diversità nei contratti agricoli, delle quali sarà bene dir qui qualche parola.

Triste dote della vasta e ferace pianura di Catania, è quella di essere il luogo dove in Sicilia maggiormente predomina la malaria e fanno strage le febbri intermittenti e le perniciose. In tutta l’Isola troviamo pur troppo nel basso delle valli questa terribile piaga della malaria durante tre a quattro mesi dell’anno: e ciò si deve attribuire specialmente alla pochissima cura con cui sono regolati il corso e gli scoli delle acque, che dappertutto ristagnano in piccole fosse; e all’uso generale di farvi macerare il lino, che serve ai contadini più che per commercio, per farne la tela di cui si vestono. Con una migliore condotta delle acque nei fondi particolari, e con maggiore sorveglianza e qualche opera nei torrenti montani, e nei corsi d’acqua che scorrono nel fondo delle valli, si potrebbe molto probabilmente togliere la malaria dalla maggior parte della Sicilia, purchè si vieti allo stesso tempo con savi regolamenti sanitari la macerazione attuale del lino e della canapa durante alcuni mesi dell’anno. Nella piana però di Catania, e in grado minore anche in quella di Terranova, occorrerebbero opere di maggiore importanza, trattandosi di corsi d’acqua assai ragguardevoli e di vasti terreni con leggerissimo declivio, una buona parte dei quali irrigui, ed altri impaludati.

L’immensa estensione della piana di Catania è assolutamente disabitata, all’infuori del piccolo e misero villaggio di Catenanuova. Soltanto nelle epoche dei grandi lavori campestri di aratura, di seminagione, e specialmente di raccolta e di trebbiatura, vi immigrano lavoranti dal Siracusano, e più ancora dalle montagne del Messinese. Questi infelici lavorano tutto il giorno sotto la sferza di un sole cocente, e la notte dormono all’aperto, senza riparo di sorta, in mezzo ai miasmi micidiali: parecchi ne muoiono per , e moltissimi riportano a casa i germi di lunga malattia che li renderà inabili al lavoro e li trascinerà sicuramente alla tomba. E ciò per guadagnarsi per una o due settimane poche lire di più di salario! Il salario medio di tutto l’anno nella piana varia tra una lira e 1.25 alla scarsa; in tempo di mèsse è ordinariamente di L. 0.85, più vitto e vino, equivalente in tutto a circa L. 2.50; spesso però circa 3 lire, ed eccezionalmente fino a 5 e più.

Una considerevole estensione della piana è stata resa irrigabile coll’incanalamento delle acque del Simeto; ma sia a causa della impermeabilità del sottosuolo, sia per la poca cura e la pochissima intelligenza con cui nei fondi particolari vien diretta la condotta delle acque, l’irrigazione non ha migliorato di molto la produzione agricola, ed in molti luoghi ha soltanto peggiorate le condizioni igieniche. Le colture principali della piana di Catania sono, oltre il frumento, il cotone e il riso; vi si coltivano pure qua e l’arbusto della liquorizia e il riscolo (salsola o spinedda), pianticella annua da cui colla combustione si estrae la soda.

Tutta la piana è divisa a latifondi o exfeudi, che si affittano ai ricchi gabellotti. Questi, come già abbiamo veduto, subconcedono ai contadini, a metaterìa o retrometaterìa, la terra da coltivarsi a cereali o a baccelline. Si concede a metaterìa ai villani che abbiano qualche animale, ma è il numero minore. Vi è qui qualche metatiere che possiede bovi. Al retrometatiere si daranno a coltivare due ettari circa di terra. La retrometaterìa si applica pure alla coltura del cotone, che vien praticata sul maggese come calorìa, e dopo l’anno di pascolo.

Il personale d’amministrazione dei feudi nella piana, abita, ad eccezione di qualche guardiano, tutto l’anno nelle città e a distanza dalle terre.

 

Risaie.

Per il riso i contratti agricoli in Sicilia non hanno alcuna attinenza colle zappe, o contratti di partecipazione, della bassa Lombardia. Il proprietario o il gabellotto contratta sia con un risaio, intraprenditore che pensa a coltivare coi giornalieri, sia talvolta anche direttamente con società di contadini. Il coltivatore o respettivamente i coltivatori debbono mettere il seme e tutto il lavoro, fino alla consegna sull’aia. Il prodotto vien diviso a terzi di cui due al proprietario, e uno a chi coltivò; oppure anche a quarti, di cui tre al proprietario, se si tratta di terra superiore o su cui ancora non si sia coltivato il riso. Del resto per la mancanza di concimi non si coltiva il riso che un anno sopra sei, o sopra sette. Dove la proprietà dell’acqua per l’irrigazione non sia annessa a quella del fondo, si patteggia in alcuni luoghi, come sotto Lentini, che un terzo del prodotto vada a compenso del proprietario dell’acqua. Il salario dei lavoranti nelle risaie non supera in tutto L. 1.25 a L. 1.30. Non vi sono macchine per la trebbiatura del riso. La pilatura non si fa che nei molini di Acireale.

Essendo entrati in questo tèma, noteremo qui che il riso si coltiva pure in Sicilia presso Ribera nel circondario di Bivona, e col solito accompagnamento della malaria, che fa strage perfino nella città. tutto si fa direttamente dai gabellotti o dai proprietari col mezzo di salariati all’anno, o alla giornata. Le risaie vi sono stabili e irrigate dall’acqua del fiume Verdura.

La mondatura del riso dalle erbe selvatiche si fa dalle donne e dai ragazzi; questi guadagneranno da L. 0.60 a L. 0.80 al giorno; guadagno che non parrà grandissimo a chi pensi esser quello uno dei lavori più duri che si conoscano, dovendo la donna o il ragazzo lavorare chinati da mane a sera, e coi piedi nell’acqua, sotto la sferza del sole di giugno.

 

Immigrazione di Calabresi.

Vi è ogni anno dall’ottobre al dicembre una immigrazione di Calabresi nella piana di Catania. Essi fanno tutti i lavori di terra, specialmente pei terreni sott’acqua e nei canneti, gli espurghi delle fosse, e i lavori di regolamento delle acque. I Calabresi si mostrano molto abili in questo genere di lavori, e vengono a ciò impiegati dall’ottobre al dicembre in tutta la Sicilia. Nella piana lavorano a cottimo, ossia a fattura, e con un lavoro durissimo guadagnano circa L. 1.50 al giorno. Si contrae con loro a brigate, che per lo più sono costituite dalle varie persone di una stessa famiglia. Sono buona gente, lavoratrice ed economa, e fanno risparmi sui loro salari per riportarli alle loro famiglie rimaste in Calabria.

 

 




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