§ 14. — Piana di Catania.
La specialità delle condizioni fisiche e quindi
delle colture delle due maggiori pianure della Sicilia, della piana cioè di
Catania e di quella di Terranova, porta con sè alcune diversità nei contratti
agricoli, delle quali sarà bene dir qui qualche parola.
Triste dote della vasta e ferace pianura di
Catania, è quella di essere il luogo dove in Sicilia maggiormente predomina la
malaria e fanno strage le febbri intermittenti e le perniciose. In tutta
l’Isola troviamo pur troppo nel basso delle valli questa terribile piaga della
malaria durante tre a quattro mesi dell’anno: e ciò si deve attribuire
specialmente alla pochissima cura con cui sono regolati il corso e gli scoli
delle acque, che dappertutto ristagnano in piccole fosse; e all’uso generale di
farvi macerare il lino, che serve ai contadini più che per commercio, per farne
la tela di cui si vestono. Con una migliore condotta delle acque nei fondi
particolari, e con maggiore sorveglianza e qualche opera nei torrenti montani,
e nei corsi d’acqua che scorrono nel fondo delle valli, si potrebbe molto
probabilmente togliere la malaria dalla maggior parte della Sicilia, purchè si
vieti allo stesso tempo con savi regolamenti sanitari la macerazione attuale
del lino e della canapa durante alcuni mesi dell’anno. Nella piana però di
Catania, e in grado minore anche in quella di Terranova, occorrerebbero opere
di maggiore importanza, trattandosi là di corsi d’acqua assai ragguardevoli e
di vasti terreni con leggerissimo declivio, una buona parte dei quali irrigui,
ed altri impaludati.
L’immensa estensione della piana di Catania è
assolutamente disabitata, all’infuori del piccolo e misero villaggio di
Catenanuova. Soltanto nelle epoche dei grandi lavori campestri di aratura, di
seminagione, e specialmente di raccolta e di trebbiatura, vi immigrano
lavoranti dal Siracusano, e più ancora dalle montagne del Messinese. Questi
infelici lavorano tutto il giorno sotto la sferza di un sole cocente, e la
notte dormono all’aperto, senza riparo di sorta, in mezzo ai miasmi micidiali:
parecchi ne muoiono lì per lì, e moltissimi riportano a casa i germi di lunga
malattia che li renderà inabili al lavoro e li trascinerà sicuramente alla
tomba. E ciò per guadagnarsi per una o due settimane poche lire di più di
salario! Il salario medio di tutto l’anno nella piana varia tra una lira e 1.25
alla scarsa; in tempo di mèsse è ordinariamente di L. 0.85, più vitto e vino,
equivalente in tutto a circa L. 2.50; spesso però circa 3 lire, ed
eccezionalmente fino a 5 e più.
Una considerevole estensione della piana è stata
resa irrigabile coll’incanalamento delle acque del Simeto; ma sia a causa della
impermeabilità del sottosuolo, sia per la poca cura e la pochissima
intelligenza con cui nei fondi particolari vien diretta la condotta delle
acque, l’irrigazione non ha migliorato di molto la produzione agricola, ed in
molti luoghi ha soltanto peggiorate le condizioni igieniche. Le colture
principali della piana di Catania sono, oltre il frumento, il cotone e il riso;
vi si coltivano pure qua e là l’arbusto della liquorizia e il riscolo (salsola
o spinedda), pianticella annua da cui colla combustione si estrae la
soda.
Tutta la piana è divisa a latifondi o exfeudi,
che si affittano ai ricchi gabellotti. Questi, come già abbiamo veduto,
subconcedono ai contadini, a metaterìa o retrometaterìa, la terra da coltivarsi
a cereali o a baccelline. Si concede a metaterìa ai villani che abbiano qualche
animale, ma è il numero minore. Vi è qui qualche metatiere che possiede bovi.
Al retrometatiere si daranno a coltivare due ettari circa di terra. La
retrometaterìa si applica pure alla coltura del cotone, che vien praticata sul
maggese come calorìa, e dopo l’anno di pascolo.
Il personale d’amministrazione dei feudi nella
piana, abita, ad eccezione di qualche guardiano, tutto l’anno nelle città e a
distanza dalle terre.
Risaie.
Per il riso i contratti agricoli in Sicilia non
hanno alcuna attinenza colle zappe, o contratti di partecipazione, della
bassa Lombardia. Il proprietario o il gabellotto contratta sia con un risaio,
intraprenditore che pensa a coltivare coi giornalieri, sia talvolta anche
direttamente con società di contadini. Il coltivatore o respettivamente i
coltivatori debbono mettere il seme e tutto il lavoro, fino alla consegna
sull’aia. Il prodotto vien diviso a terzi di cui due al proprietario, e uno a
chi coltivò; oppure anche a quarti, di cui tre al proprietario, se si tratta di
terra superiore o su cui ancora non si sia coltivato il riso. Del resto per la
mancanza di concimi non si coltiva il riso che un anno sopra sei, o sopra
sette. Dove la proprietà dell’acqua per l’irrigazione non sia annessa a quella
del fondo, si patteggia in alcuni luoghi, come sotto Lentini, che un terzo del
prodotto vada a compenso del proprietario dell’acqua. Il salario dei lavoranti
nelle risaie non supera in tutto L. 1.25 a L. 1.30. Non vi sono macchine per la
trebbiatura del riso. La pilatura non si fa che nei molini di Acireale.
Essendo entrati in questo tèma, noteremo qui che
il riso si coltiva pure in Sicilia presso Ribera nel circondario di Bivona, e
col solito accompagnamento della malaria, che fa strage perfino nella città. Là
tutto si fa direttamente dai gabellotti o dai proprietari col mezzo di
salariati all’anno, o alla giornata. Le risaie vi sono stabili e irrigate
dall’acqua del fiume Verdura.
La mondatura del riso dalle erbe selvatiche si fa
dalle donne e dai ragazzi; questi guadagneranno da L. 0.60 a L. 0.80 al giorno;
guadagno che non parrà grandissimo a chi pensi esser quello uno dei lavori più
duri che si conoscano, dovendo la donna o il ragazzo lavorare chinati da mane a
sera, e coi piedi nell’acqua, sotto la sferza del sole di giugno.
Immigrazione di Calabresi.
Vi è ogni anno dall’ottobre al dicembre una
immigrazione di Calabresi nella piana di Catania. Essi fanno tutti i lavori di
terra, specialmente pei terreni sott’acqua e nei canneti, gli espurghi delle
fosse, e i lavori di regolamento delle acque. I Calabresi si mostrano molto
abili in questo genere di lavori, e vengono a ciò impiegati dall’ottobre al
dicembre in tutta la Sicilia. Nella piana lavorano a cottimo, ossia a fattura,
e con un lavoro durissimo guadagnano circa L. 1.50 al giorno. Si contrae con
loro a brigate, che per lo più sono costituite dalle varie persone di una
stessa famiglia. Sono buona gente, lavoratrice ed economa, e fanno risparmi sui
loro salari per riportarli alle loro famiglie rimaste in Calabria.
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