§ 18. — Mezzadrìe presso le
Petralìe.
Negl’immediati dintorni delle due Petralìe, e
presso le borgate rurali, che, cosa rara in Sicilia, si trovano nel territorio
di quei Comuni, si pratica una forma di metaterìa che ha strettissime attinenze
colla mezzadrìa toscana. Vi troviamo le colture legnose intercalate colla
granicoltura, come pure in mezzo ai campi qualche casa rurale, che serve di
abitazione ai mezzadri: questi perdurano molti anni sullo stesso podere, cogli
stessi patti; e il prof. Giulio Carapezza, alla cui cortesia andiamo debitori
delle notizie intorno a questa forma ristretta ed eccezionale di mezzadrìa, ci
assicura che ciò succede non di rado anche per più generazioni di seguito.
Vi si dividono i prodotti dei campi a metà, e lo
stesso mezzadro del campo partecipa egualmente nel raccolto delle vigne, e
qualche volta pure di altre piante arboree. Però quando i vigneti sono giovani
o per le condizioni del terreno molto produttivi, il contadino riceve un solo
terzo del raccolto.
In
alcuni di questi fondi si alleva bestiame bovino, e in qualche raro caso anche
il pecorino. Nel primo caso il proprietario compra l’animale in conto sociale,
e a metà profitti e perdite; soltanto viene ascritta a debito al colono una
somma alquanto superiore alla metà del prezzo di compra, somma sulla quale non
correrebbero frutti, e che il proprietario si riprende alla prima vendita di
animali sociali. L’intiero mantenimento della bestia spetta al mezzadro, il
quale inoltre nell’agosto di ogni anno paga al proprietario 20 tarì (L. 8.50)
per ogni vacca da lavoro, e un’onza (L. 12.75) per ogni giovenco che s’aggioghi
per la prima volta, e due onze per ogni bove da lavoro: ma è raro il caso che
si tengano giovenchi o bovi. I latticinii si dividono a metà. — Per le pecore
invece il mezzadro, che non ne abbia in proprio, prende a censo, ossia
in affitto, una parte del gregge del proprietario, pagandogli 3 tarì (L. 1.27)
per ogni pecora; dovrà soltanto restituire un numero eguale di animali allo
scioglimento della società, la quale è una vera mandra per le
spese239 in cui le spese e i prodotti vengono divisi tra i soci pro
rata del numero di animali posseduti da ciascuno. I mezzadri posseggono in
generale un maiale e qualche gallina.
In queste colonìe ritroveremmo dunque alcuni tra
i principali caratteri della mezzadrìa toscana, cioè abitazione del colono sul
fondo, continuità di durata del contratto colla stessa famiglia colonica, varietà
di colture nello stesso podere, e — in grado però alquanto minore — uniformità
dei patti per le varie colture, loro stabilità per l’impero della consuetudine,
e allevamento di bestiame bovino in conto sociale tra il mezzadro ed il
proprietario.
È questo il solo esempio di qualche importanza
che ci sia stato dato di ritrovare di tale forma di mezzadrìa in tutta la zona
di cui discorriamo. La condizione di quei mezzadri delle Petralìe è abbastanza
prospera, se si paragona a quella degli altri metatieri dei feudi, e dei
giornalieri. Se non lo è di più si deve ascrivere alla funesta smania che hanno
quei contadini di prendere moglie ancora giovanissimi, e di sciogliere subito
le società famigliari — e questo è un guaio che comincia a mostrarsi anche in
Toscana — e inoltre all’esser molti di quei poderi troppo piccoli per bastare
al mantenimento di una famiglia; donde l’uso nei mezzadri, oramai quasi
generale, di assumere oltre il proprio podere, la coltivazione a metaterìa di
qualche appezzamento nei prossimi feudi; il che, come ci scrive il prof.
Carapezza, «se talvolta per la ristrettezza del fondo è una necessità, si
traduce sempre in poca cura nel coltivare».
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