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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo II.   ZONA INTERNA E MERIDIONALE
        • § 21. — I fondi alberati.
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§ 21. — I fondi alberati.

Avendo così parlato successivamente dei feudi o latifondi, e dei fondi seminativi nelle vicinanze dell’abitato, non ci resta ad esaminare, per completare il quadro delle colture e dei contratti agricoli nella prima zona, che i fondi alberati, ossia i sistemi in uso per la coltivazione degli oliveti, dei mandorleti, delle vigne, degli agrumi, dei fichi d’India, dei noccioleti, delle pistacchiere, degli alberi in genere da frutta, dei sommaccheti, e in breve dell’infinita varietà di colture legnose a cui si adattano il suolo ed il clima della Sicilia, e che in questa prima zona sono quasi esclusivamente ristrette agl’immediati contorni delle città. La trattazione più particolareggiata dei contratti in uso per queste colture riescirà più opportuna quando verremo a parlare della seconda zona, che comprende con brevi interruzioni tutta la costa e il versante settentrionale delle montagne da Mazzara, per Trapani, Palermo, Milazzo e Messina, fino a Catania, e in cui dominano le colture arborescenti. Ne daremo però anche qui qualche breve cenno, perchè il lettore possa meglio fin da ora rendersi ragione della condizione dei contadini nella prima zona, che comprende i tre quarti della Sicilia.

Le colture legnose principali che si ritrovano in ogni parte di Sicilia sono quelle dell’olivo, del mandorlo e della vite. Anche intorno ai centri dei maggiori feudi non è raro trovare qualche vigna, e talvolta anche qualche oliveto. Presso diverse città poi, per speciali condizioni del suolo, o per ragioni che non sarebbe sempre facile il determinare, troviamo predominanti alcune colture particolari, che non compariscono altrove che come rara eccezione. Così i noccioleti a Polizzi, a Piazza Armerina e a Castiglione; così le pistacchiere a Bronte; i frassini ed amollèi nelle valli settentrionali delle Madonie. Più generalmente poi ritroviamo i giardini di agrumi dove vi sia acqua per irrigare, benchè in tutta la zona di cui ora discorriamo, la produzione degli agrumi non sia che molto secondaria; salvo qualche rara eccezione, come presso Palma di Montechiaro. I fichi d’India si trovano dappertutto, ma il prodotto ha raramente una vera importanza commerciale; servono di siepi, e il frutto è durante alcuni mesi dell’anno nutrimento gradito e quasi gratuito per la povera gente e specialmente per i fanciulli: nell’ubertosa chiana però di Santa Margherita se ne fa coltivazione estesa, e il prodotto buona rendita ai proprietari. La coltura del sommacco si estende di anno in anno; ma nella zona di cui ci occupiamo non è che presso Santa Margherita che ci è sembrato che avesse raggiunta una vera importanza.

È da notarsi che tutte queste colture, ad eccezione dei fichi d’India, non si trovano intercalate colla coltura dei campi, piantando, come per esempio si fa nelle colline lombarde, nell’Emilia, in Toscana, gli alberi a filari intorno ai campi, in modo da mantenere una certa proporzione tra la produzione del campo nudo e quella degli alberi e degli arbusti; ma invece si riuniscono in oliveti, in vigne, in giardini d’agrumi, in noccioleti, ecc. Gli alberi sparsi o piantati radi nei campi, sono una eccezione. È vero bensì che spesso in mezzo ai mandorleti, agli oliveti e anche alle vigne, si semina il grano, le fave, i ceci, ecc., ma queste colture non si considerano in tal caso che come cosa molto secondaria, e destinate soltanto, e non sempre con prudenza, a ritrarre un profitto anche da quegli spazi intermedi che non si possono non lasciare fra gli alberi.

Diciamo ora partitamente dei sistemi in uso per ogni coltura. E in primo luogo degli olivi.

 

Olivi.

L’olivo in generale non prodotto in Sicilia che ogni secondo anno, e in alcuni luoghi non si può sperare un raccolto pieno che ogni quattro o cinque anni, o anche più. Come già si disse, presso Caltanissetta, Leonforte, Bivona e qualche altro luogo, quando si tratti di un piccolo numero di piante di olivi, se ne concede talvolta la coltura e la raccolta allo stesso contadino che coltiva il terreno, e ciò col patto di divisione di 2/3 al padrone e 1/3 al colono. Questi deve fare la raccolta, e trasportare le olive fino al frantoio, ed è tenuto al terzo o alla metà della spesa di affitto del frantoio e delle spese di macinazione. Anche quando il frantoio sia dello stesso proprietario degli olivi, viene computata al contadino una somma corrispondente al terzo dell’affitto di esso. Altri concedono al contadino una metà del raccolto, ma imponendogli una tassa fissa in denaro. Ripetiamo che tutti questi contratti sono l’eccezione.

Come regola generale, gli olivi, tanto se sparsi nei campi, quanto se piantati a oliveto — e questo è il caso quasi costante — sono tenuti dal proprietario a economia, ossia per conto proprio, e pagando giornalieri per la coltivazione delle piante. Questa coltivazione però per lo più non esiste, poichè non si concime si lavora la terra alle radici. Il terreno sotto gli olivi viene talvolta tenuto a economia, o più spesso dato a metaterìa con patti alquanto più liberi di quelli dei terreni nudi, e ciò per la poca produzione che può dare il suolo sempre ombreggiato dalla fronda fittissima degli alberi d’olivo; il contadino però, che coltiva il terreno non ha nulla che vedere cogli alberi. La sola eccezione che abbiamo potuto trovare in tutta la prima zona, sarebbe negli oliveti della chiana di Santa Margherita, dove gli alberi pure si affidano comunemente allo stesso contadino che coltiva il suolo, concedendogli per coltura delle piante e raccolta delle olive, un terzo del prodotto.

I rari oliveti che si trovano nei feudi vanno talvolta, quando si tratti di latifondi molto lontani dalla città, compresi nell’affitto generale della tenuta. Per i pochi alberi isolati ciò accade naturalmente sempre. A Ribera inoltre ci fu detto che anche i pochi oliveti presso la città si davano a fitto dai proprietari; e così pure si farebbe da alcuni presso Corleone. Ma queste si debbono considerare come eccezioni.

Quanto al raccolto, il sistema più generale in questa zona è di vendere tutto quanto il prodotto a stima, quando è ancora sulla pianta, due, tre e anche quattro mesi prima della raccolta. La stima si fa dai periti nell’agosto o settembre. Questi contratti si fanno per lo più a grosse partite con speculatori, che comprano così il frutto di un grandissimo numero di piante e prestano caparra al venditore. Altre volte invece chi prende il raccolto a gabella, non compra il prodotto, ma si obbliga a dare al proprietario la quantità di olive stimata dal perito: e questa seconda forma si usa quasi sempre quando si contratta con villani, o a piccole partite. Ogni rischio susseguente al contratto resta a carico di chi ha comprato il raccolto, o si è impegnato a consegnare una data quantità del frutto. È rarissimo il caso che il proprietario faccia fare il raccolto delle olive a economia, cioè con giornalieri e per conto proprio. La raccolta delle olive si fa in Sicilia battendo i rami dell’albero per far cadere il frutto.

 

Mandorli.

I mandorli, salvo le rare eccezioni di cui già abbiamo parlato e in cui si tratti di pochi alberi sparsi, sono tenuti sempre a economia, e il frutto venduto ancora pendente a stima, come si fa per quello degli olivi. La stima e la vendita si fanno ordinariamente nel maggio, quando il raccolto è già assicurato.

 

Nocciuoli, fichi d’India, pistacchi, ecc.

Lo stesso si dica per i noccioleti a Polizzi, Piazza Armerina e Castiglione; pei fichi d’India a Santa Margherita; per le pistacchiere a Bronte, ecc. Tutte queste colture sono condotte a economia dai proprietari, i quali poi gabellano il raccolto pendente, dietro stima di periti, sia più comunemente vendendolo contro pagamento del prezzo in denaro, sia contro l’obbligo di consegnare la quantità stimata del frutto.

 

Sommacchi.

Il sommacco viene coltivato generalmente a economia. A Santa Margherita però se ne concede la coltura ai contadini contro partecipazione di un terzo al prodotto: il contadino è tenuto a fare tre zappature nell’anno, e alla raccolta della fronda.

La raccolta delle olive, delle mandorle, delle nocciuole, vien fatta da donne e da ragazzi. Una donna può guadagnare in questo lavoro circa L. 0.50 al giorno; verso Piazza Armerina alla raccolta delle nocciuole L. 0.75 e anche una lira: vengono pagate a fattura.

Passiamo ai giardini di agrumi e alle vigne, ricordando però sempre al lettore, che non ci occupiamo per ora che della prima zona, in cui salvo qualche rara singolarità locale, le colture legnose non sono che l’eccezione, e limitate ad una stretta cerchia intorno alle città e alle borgate.

 

Agrumi.

Per gli agrumi l’uso generale è di tenerli a economia. Quando siano giardini di una certa estensione vi è ordinariamente annessa una casettina in cui abita un guardiano o castaldo, il quale è un salariato all’anno, e lavora pure il giardino. Presso Lentini gli si dànno 3 onze (L. 38.25) al mese, oltre la casa.

 

Vigne.

Le vigne che si trovano presso i caseggiati dei feudi si affittano assai spesso insieme col fondo. Il gabellotto le tiene a economia facendole lavorare da giornalieri. Regola generale però per le vigne nei pressi delle città, come pure per quelle nei feudi che non sieno state gabellate insieme col latifondo, è la coltivazione a economia per conto del proprietario. Se poi si tratta di un contadino proprietario o censuario di una vigna, egli la coltiva naturalmente da e colle proprie braccia. Nelle vigne di una certa estensione sta di casa un guardiano (curatolo, annaloro, castaldo, massaro), e questi secondo i luoghi è un salariato all’anno che deve pure lavorare nella vigna, oppure s’incarica di tutti i lavori di cui ha bisogno la vite, zappature, potatura, ecc., contro una somma fissa annua per ogni mille piedi di vite, somma che varia secondo i luoghi, dalle 15 lire (Chiaramonte) alle 25 lire (Noto), e si aggira comunemente tra le 20 e le 25 lire. A Caltagirone si dànno sole 12 lire per mille viti, ma la pota è a carico del padrone, e il guardiano è obbligato soltanto a fare le tre zappature nell’anno. Si fanno queste convenzioni chiamate comunemente a estaglio, anche con estranei, quando non vi è un guardiano nella vigna o che questa sia troppo estesa. In generale un uomo che prenda a coltivare delle viti a estaglio, ci può guadagnare col suo lavoro da 200 a massime 500 lire all’anno. A Corleone dove il curatolo delle vigne è ordinariamente un salariato all’anno, gli si di salario annuo 150 lire, più al mese quattro tumoli di grano e un rotolo di olio, e 1 1/2 quartuccio (litri 1.2.9.) di vino al giorno.

Le poche case rurali che si vedono presso alcune città distare alquanto dall’abitato, sono tutte occupate dai custodi o guardiani delle vigne.

Vi è pure qualche esempio di coltura delle vigne con patti di mezzadrìa presso Caltanissetta, Lentini, Noto, ecc., ma è da considerarsi come una rara eccezione; in quei casi poi vi è sempre un’antiparte fissa di tante botti, che il padrone preleva prima della divisione.

 

 




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