§ 21. — I fondi alberati.
Avendo così parlato successivamente dei feudi o
latifondi, e dei fondi seminativi nelle vicinanze dell’abitato, non ci resta ad
esaminare, per completare il quadro delle colture e dei contratti agricoli
nella prima zona, che i fondi alberati, ossia i sistemi in uso per la
coltivazione degli oliveti, dei mandorleti, delle vigne, degli agrumi, dei
fichi d’India, dei noccioleti, delle pistacchiere, degli alberi in genere da
frutta, dei sommaccheti, e in breve dell’infinita varietà di colture legnose a
cui si adattano il suolo ed il clima della Sicilia, e che in questa prima zona
sono quasi esclusivamente ristrette agl’immediati contorni delle città. La
trattazione più particolareggiata dei contratti in uso per queste colture
riescirà più opportuna quando verremo a parlare della seconda zona, che
comprende con brevi interruzioni tutta la costa e il versante settentrionale
delle montagne da Mazzara, per Trapani, Palermo, Milazzo e Messina, fino a
Catania, e in cui dominano le colture arborescenti. Ne daremo però anche qui
qualche breve cenno, perchè il lettore possa meglio fin da ora rendersi ragione
della condizione dei contadini nella prima zona, che comprende i tre quarti
della Sicilia.
Le colture legnose principali che si ritrovano in
ogni parte di Sicilia sono quelle dell’olivo, del mandorlo e della vite. Anche
intorno ai centri dei maggiori feudi non è raro trovare qualche vigna, e
talvolta anche qualche oliveto. Presso diverse città poi, per speciali
condizioni del suolo, o per ragioni che non sarebbe sempre facile il
determinare, troviamo predominanti alcune colture particolari, che non
compariscono altrove che come rara eccezione. Così i noccioleti a Polizzi, a
Piazza Armerina e a Castiglione; così le pistacchiere a Bronte; i frassini ed
amollèi nelle valli settentrionali delle Madonie. Più generalmente poi ritroviamo
i giardini di agrumi dove vi sia acqua per irrigare, benchè in tutta la zona di
cui ora discorriamo, la produzione degli agrumi non sia che molto secondaria;
salvo qualche rara eccezione, come presso Palma di Montechiaro. I fichi d’India
si trovano dappertutto, ma il prodotto ha raramente una vera importanza
commerciale; servono di siepi, e il frutto è durante alcuni mesi dell’anno
nutrimento gradito e quasi gratuito per la povera gente e specialmente per i
fanciulli: nell’ubertosa chiana però di Santa Margherita se ne fa
coltivazione estesa, e il prodotto dà buona rendita ai proprietari. La coltura
del sommacco si estende di anno in anno; ma nella zona di cui ci occupiamo non
è che presso Santa Margherita che ci è sembrato che avesse raggiunta una vera importanza.
È da notarsi che tutte queste colture, ad
eccezione dei fichi d’India, non si trovano intercalate colla coltura dei
campi, piantando, come per esempio si fa nelle colline lombarde, nell’Emilia,
in Toscana, gli alberi a filari intorno ai campi, in modo da mantenere una
certa proporzione tra la produzione del campo nudo e quella degli alberi e
degli arbusti; ma invece si riuniscono in oliveti, in vigne, in giardini
d’agrumi, in noccioleti, ecc. Gli alberi sparsi o piantati radi nei campi, sono
una eccezione. È vero bensì che spesso in mezzo ai mandorleti, agli oliveti e
anche alle vigne, si semina il grano, le fave, i ceci, ecc., ma queste colture
non si considerano in tal caso che come cosa molto secondaria, e destinate
soltanto, e non sempre con prudenza, a ritrarre un profitto anche da quegli
spazi intermedi che non si possono non lasciare fra gli alberi.
Diciamo ora partitamente dei sistemi in uso per
ogni coltura. E in primo luogo degli olivi.
Olivi.
L’olivo in generale non dà prodotto in Sicilia
che ogni secondo anno, e in alcuni luoghi non si può sperare un raccolto pieno
che ogni quattro o cinque anni, o anche più. Come già si disse, presso
Caltanissetta, Leonforte, Bivona e qualche altro luogo, quando si tratti di un
piccolo numero di piante di olivi, se ne concede talvolta la coltura e la
raccolta allo stesso contadino che coltiva il terreno, e ciò col patto di
divisione di 2/3 al padrone e 1/3 al colono. Questi deve fare la raccolta, e
trasportare le olive fino al frantoio, ed è tenuto al terzo o alla metà della
spesa di affitto del frantoio e delle spese di macinazione. Anche quando il
frantoio sia dello stesso proprietario degli olivi, viene computata al
contadino una somma corrispondente al terzo dell’affitto di esso. Altri
concedono al contadino una metà del raccolto, ma imponendogli una tassa fissa
in denaro. Ripetiamo che tutti questi contratti sono l’eccezione.
Come regola generale, gli olivi, tanto se sparsi
nei campi, quanto se piantati a oliveto — e questo è il caso quasi costante —
sono tenuti dal proprietario a economia, ossia per conto proprio, e
pagando giornalieri per la coltivazione delle piante. Questa coltivazione però
per lo più non esiste, poichè non si dà concime nè si lavora la terra alle
radici. Il terreno sotto gli olivi viene talvolta tenuto a economia, o più
spesso dato a metaterìa con patti alquanto più liberi di quelli dei terreni
nudi, e ciò per la poca produzione che può dare il suolo sempre ombreggiato
dalla fronda fittissima degli alberi d’olivo; il contadino però, che coltiva il
terreno non ha nulla che vedere cogli alberi. La sola eccezione che abbiamo
potuto trovare in tutta la prima zona, sarebbe negli oliveti della chiana
di Santa Margherita, dove gli alberi pure si affidano comunemente allo stesso
contadino che coltiva il suolo, concedendogli per coltura delle piante e
raccolta delle olive, un terzo del prodotto.
I rari oliveti che si trovano nei feudi vanno
talvolta, quando si tratti di latifondi molto lontani dalla città, compresi
nell’affitto generale della tenuta. Per i pochi alberi isolati ciò accade
naturalmente sempre. A Ribera inoltre ci fu detto che anche i pochi oliveti
presso la città si davano a fitto dai proprietari; e così pure si farebbe da
alcuni presso Corleone. Ma queste si debbono considerare come eccezioni.
Quanto al raccolto, il sistema più generale in
questa zona è di vendere tutto quanto il prodotto a stima, quando è ancora
sulla pianta, due, tre e anche quattro mesi prima della raccolta. La stima si
fa dai periti nell’agosto o settembre. Questi contratti si fanno per lo più a
grosse partite con speculatori, che comprano così il frutto di un grandissimo
numero di piante e prestano caparra al venditore. Altre volte invece chi prende
il raccolto a gabella, non compra il prodotto, ma si obbliga a dare al
proprietario la quantità di olive stimata dal perito: e questa seconda forma si
usa quasi sempre quando si contratta con villani, o a piccole partite. Ogni
rischio susseguente al contratto resta a carico di chi ha comprato il raccolto,
o si è impegnato a consegnare una data quantità del frutto. È rarissimo il caso
che il proprietario faccia fare il raccolto delle olive a economia, cioè con
giornalieri e per conto proprio. La raccolta delle olive si fa in Sicilia
battendo i rami dell’albero per far cadere il frutto.
Mandorli.
I mandorli, salvo le rare eccezioni di cui già
abbiamo parlato e in cui si tratti di pochi alberi sparsi, sono tenuti sempre a
economia, e il frutto venduto ancora pendente a stima, come si fa per quello
degli olivi. La stima e la vendita si fanno ordinariamente nel maggio, quando
il raccolto è già assicurato.
Nocciuoli, fichi d’India,
pistacchi, ecc.
Lo stesso si dica per i noccioleti a Polizzi,
Piazza Armerina e Castiglione; pei fichi d’India a Santa Margherita; per le pistacchiere
a Bronte, ecc. Tutte queste colture sono condotte a economia dai proprietari, i
quali poi gabellano il raccolto pendente, dietro stima di periti, sia
più comunemente vendendolo contro pagamento del prezzo in denaro, sia contro
l’obbligo di consegnare la quantità stimata del frutto.
Sommacchi.
Il sommacco viene coltivato generalmente a
economia. A Santa Margherita però se ne concede la coltura ai contadini contro
partecipazione di un terzo al prodotto: il contadino è tenuto a fare tre
zappature nell’anno, e alla raccolta della fronda.
La raccolta delle olive, delle mandorle, delle
nocciuole, vien fatta da donne e da ragazzi. Una donna può guadagnare in questo
lavoro circa L. 0.50 al giorno; verso Piazza Armerina alla raccolta delle
nocciuole L. 0.75 e anche una lira: vengono pagate a fattura.
Passiamo ai giardini di agrumi e alle vigne,
ricordando però sempre al lettore, che non ci occupiamo per ora che della prima
zona, in cui salvo qualche rara singolarità locale, le colture legnose non sono
che l’eccezione, e limitate ad una stretta cerchia intorno alle città e alle
borgate.
Agrumi.
Per gli agrumi l’uso generale è di tenerli a
economia. Quando siano giardini di una certa estensione vi è ordinariamente
annessa una casettina in cui abita un guardiano o castaldo, il quale è
un salariato all’anno, e lavora pure il giardino. Presso Lentini gli si dànno 3
onze (L. 38.25) al mese, oltre la casa.
Vigne.
Le vigne che si trovano presso i caseggiati dei
feudi si affittano assai spesso insieme col fondo. Il gabellotto le tiene a
economia facendole lavorare da giornalieri. Regola generale però per le vigne
nei pressi delle città, come pure per quelle nei feudi che non sieno state
gabellate insieme col latifondo, è la coltivazione a economia per conto del proprietario.
Se poi si tratta di un contadino proprietario o censuario di una vigna, egli la
coltiva naturalmente da sè e colle proprie braccia. Nelle vigne di una certa
estensione sta di casa un guardiano (curatolo, annaloro, castaldo,
massaro), e questi secondo i luoghi è un salariato all’anno che deve
pure lavorare nella vigna, oppure s’incarica di tutti i lavori di cui ha
bisogno la vite, zappature, potatura, ecc., contro una somma fissa annua per
ogni mille piedi di vite, somma che varia secondo i luoghi, dalle 15 lire
(Chiaramonte) alle 25 lire (Noto), e si aggira comunemente tra le 20 e le 25
lire. A Caltagirone si dànno sole 12 lire per mille viti, ma la pota è a carico
del padrone, e il guardiano è obbligato soltanto a fare le tre zappature
nell’anno. Si fanno queste convenzioni chiamate comunemente a estaglio,
anche con estranei, quando non vi è un guardiano nella vigna o che questa sia
troppo estesa. In generale un uomo che prenda a coltivare delle viti a
estaglio, ci può guadagnare col suo lavoro da 200 a massime 500 lire
all’anno. A Corleone dove il curatolo delle vigne è ordinariamente un
salariato all’anno, gli si dà di salario annuo 150 lire, più al mese quattro
tumoli di grano e un rotolo di olio, e 1 1/2 quartuccio (litri 1.2.9.) di
vino al giorno.
Le poche case rurali che si vedono presso alcune
città distare alquanto dall’abitato, sono tutte occupate dai custodi o
guardiani delle vigne.
Vi è pure qualche esempio di coltura delle vigne
con patti di mezzadrìa presso Caltanissetta, Lentini, Noto, ecc., ma è da
considerarsi come una rara eccezione; in quei casi poi vi è sempre un’antiparte
fissa di tante botti, che il padrone preleva prima della divisione.
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