§ 23. — I giornalieri.
I giornalieri o braccianti costituiscono la
classe la più numerosa dei contadini siciliani. Anche il terratichiere o il
metatiere diventa bracciante e loca la sua giornata quando non ha lavoro nel
suo campo.
La mattina prima dell’alba, si vede riunita in
una piazza di ogni città, una folla di uomini e di ragazzi, ciascuno munito di
una zappa: è quello il mercato del lavoro, e son quelli tutti lavoranti, che
aspettano chi venga a locare le loro braccia per la giornata o per la
settimana. Se piove o se la stagione è minacciosa, la giornata è perduta, e ciò
anche se più tardi il cielo si rasserena; il che dipende specialmente dalle
grandi distanze che debbono per lo più percorrere per recarsi al luogo del
lavoro. Quelli che vengono impiegati per la sola giornata tornano la sera a
casa; se invece l’impegno è per la settimana e la distanza è grande, dormono
sia nei cortili dei feudi, sia in mezzo ai campi, sotto capannucce provvisorie
di paglia o di frasche, o sotto la vôlta del cielo.
Salari.
I salari variano molto secondo i luoghi, le
stagioni e il genere dei lavori. Vi sono diversità da luogo a luogo, che
difficilmente si saprebbero spiegare. Le comunicazioni rese più facili negli ultimi
anni, tendono a diminuire in qualche grado queste diversità e ad eguagliare
dovunque il livello dei salari; ma questo movimento non è ancora più che
incipiente. Come media generale crediamo si possa ritenere che il salario di un
uomo in tutta la zona di cui parliamo sia, tutto compreso, di 3 tarì (L. 1.27);
oscillando però secondo i luoghi tra L. 1 e 1.70; ma queste cifre potranno
soltanto fornire una qualche idea generica al lettore, e a tali medie generali
non si può annettere alcun valore scientifico. In tempo di mèsse il salario è
naturalmente molto più elevato, e si tiene in media tra le L. 2.50 e le L.
3.50, andando però talvolta fino alle 5 lire, e anche superandole.
Raramente in Sicilia si paga tutto quanto il
salario in denaro: si dà ordinariamente 1 tarì (L. 0.42), 1 1/2 tarì o 2
tarì in denaro, e il resto in pane, companatico (olive, mezzo arancio, ecc.) e
vino; oppure denari, companatico e vino; o soltanto denari e vino. Il vino si
calcola in una quantità giornaliera di 1 1/2 quartucci240 a 2
quartucci. In alcuni luoghi si dà come vitto una minestra di fave o di legumi.
Per i giornalieri che si fissano a settimana si usa in più luoghi di anticipar
loro una mezza settimana di salario.
Migrazioni di lavoranti.
Per la raccolta del grano vi sono nel giugno
migrazioni regolari di lavoranti dai monti ai piano e viceversa, secondo
l’epoca varia di maturanza della mèsse alle diverse altezze: così ottengono di
prolungare il tempo degli alti guadagni, e vien supplito in parte a quel gran
difetto della coltura dei cereali, di richiedere cioè un numero grandissimo di
braccia durante pochi giorni dell’anno, senza fornir loro un lavoro sufficiente
in tutte le altre stagioni.
La
maggior risorsa per i braccianti è la coltura dei vigneti, nella quale trovano
lavoro per una buona parte dell’anno, nelle diverse zappature, nella potatura,
nella vendemmia, ecc. Molti giornalieri prendono pure a coltivare qualche campo
a fave per un anno coi patti che sopra abbiamo descritti241.
Contuttociò manca spesso il lavoro in tutta la zona interna e meridionale
dell’Isola, e in tempo d’inverno la classe dei giornatari si trova di
frequente sottoposta a durissime privazioni. Tra le feste, i giorni di cattivo
tempo, ecc., si può calcolare in media che il giornataro resti da 100 a 120
giorni dell’anno senza lavoro.
Nei momenti difficili egli deve ricorrere agli
usurai, ma ha poco o nulla da offrire come garanzia, e paga un’usura rovinosa,
che può variare dal 25 al 50%, e va spesso a molto di più. Se è personalmente
conosciuto da qualche proprietario o gabellotto, che lo impieghi regolarmente
di preferenza, e lo riconosca quasi come cliente o aderente, otterrà più
facilmente qualche mutuo di grano o d’altro a condizioni uguali a quelle che si
fanno ai metatieri, e per la restituzione gli verrà regolarmente defalcato un
tanto sopra ogni giornata di lavoro che presterà nel corso dell’anno.
In alcuni luoghi (Randazzo, Isnello, ecc.), i
proprietari o gabellotti per essere meglio sicuri di non mancare mai di
lavoranti, contraggono con questi dei patti, che durano uno o più mesi, o anche
tutto l’anno, e per i quali il bracciante si obbliga a lavorare di preferenza
per quel determinato padrone entro il mese o entro l’anno, ogni volta che ne
venga richiesto, e ciò sia ad un prezzo determinato, sia talvolta al prezzo di
piazza. Quando non venga richiesto da quel padrone può lavorare per proprio
conto o per altri. Questi lavoranti così impegnati si dicono nel Catanese mesaruoli
o annaruoli, secondo il tempo dell’impegno. Ricevono al momento del
contratto una caparra, di cui il padrone si rimborsa via via sui salari nel
corso del mese o dell’anno. A Randazzo un annaruolo riceverà di caparra 5 onze
(L. 63.75).
Ribassi nella primavera del
1876.
Nella primavera di quest’anno (1876) i salari
subirono un forte ribasso in una buona metà della Sicilia, e specialmente lungo
tutta la parte occidentale, quella interna e quella meridionale dell’Isola. Le
cause sono forse molteplici: — 1° I grandi ribassi nei prezzi del vino, che
hanno portato dietro di sè la diminuzione dei lavori nelle vigne: — 2° La crise
commerciale e industriale che ha afflitto la Sicilia nell’inverno 187576, crise
che travagliò specialmente l’industria mineraria e privò di lavoro tanti operai
delle zolfare: — 3° Il forte aumento delle gabelle dei fondi negli ultimi anni,
mentre d’altra parte i capitali vanno scarseggiando, perchè molti gabellotti e
proprietari si son fatti acquirenti di beni demaniali o ecclesiastici, senza
aver denari sufficienti per sborsare tutto il prezzo, e fidandosi sui
successivi raccolti per pagarne le rate: — 4° La stessa bella stagione che durò
per tutto l’inverno, la quale ha permesso che si continuasse sempre a lavorare
nei campi; onde non essendovi nuovi impieghi vistosi di capitale, il lavoro è
venuto presto a scarseggiare, e le braccia abbondano: sicchè i lavoranti hanno
guadagnato circa lo stesso, ma lavorando di più: — 5° I timori che la troppa
siccità, e la bella stagione troppo prolungata avevano fatti concepire per le
raccolte dell’estate, onde nessuno voleva impegnare i propri capitali in nuovi
lavori.
Il fatto è che in alcuni luoghi, nei mesi di
marzo e d’aprile, i braccianti chiedevano lavoro contro un salario perfino di L.
0.60 in tutto (ad Alcamo e Sciacca) o di L. 0.85 (a Ribera, Chiaramonte,
Marsala).
Il bracciante non possiede quasi mai un mulo. e
raramente un asinello che lo porti mattina e sera le lunghe miglia che deve
percorrere per andare e tornare dal lavoro. La sua grande aspirazione è di
arrivare a possedere un mulo, perchè con questo potrà ottenere qualche
campicello a metaterìa o a terratico. Per raggiungere questo ideale, egli fa i
maggiori sforzi di lavoro e di risparmio. Se non può giungere a mettere insieme
il prezzo di un qualche mulo vecchio e piagato, cercherà, quando sia possessore
di una casupola, di acquistarlo a credito, pigliando al doppio del valore un
animale quasi inservibile, da pagarsi l’anno dopo in tutto o in parte sul
prezzo delle raccolte sperate: e per ottenere ciò impegnerà la casupola,
l’unica sua proprietà.
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