§ 38. — Valle di Castelbuono.
Prima
però di lasciare la provincia di Palermo, merita il conto di fare una gita
nella fertile vallata di Castelbuono, che giace immediatamente sotto le
Madonie, ed è divenuta tristamente reputata, per essere da circa quattordici
anni il teatro delle gesta della banda brigantesca capitanata dal
Rinaldi247. Qui oltre gli oliveti e le vigne, troviamo il centro
maggiore della coltivazione del frassino mannifero, e specialmente della
varietà amollèo, che produce una manna più bianca e di maggior prezzo.
Diritti promiscui.
Una particolarità singolare che si riscontra più
specialmente in questa vallata, è la promiscuità dei diversi diritti di
proprietà degli oliveti. Il suolo degli oliveti appartiene spesso a un
proprietario, e gli alberi a uno o più altri. L’origine storica di questa
singolarità è la seguente. Nei secoli scorsi il marchese di Geraci, feudatario
di questa valle, allo scopo di arricchire la città e le terre, e per attirarvi
maggiore popolazione, dava il permesso a chiunque di innestare gli oleastri,
che qui crescono dappertutto spontanei, e di far così proprie le piante di
olivo. Il Comune di San Mauro tolse la promiscuità nei suoi beni col censimento
che ne fece nel 1861, nella quale occasione concedè a un censo minimo a ciascun
proprietario di qualche pianta di olivo, il pezzo di terreno sottostante. Il
censimento generale dei suoi beni fu imposto al Comune nel 1861 dal contegno
minaccioso della popolazione. La quota assegnata a ciascun abitante fu di un
tumolo di terra a L. 0.30 di censo. In moltissimi oliveti però dura tuttora la
promiscuità dei diritti. Il possessore degli olivi ha diritto di innestare gli
oleastri che nascono più vicino ai suoi alberi che a quelli degli altri. Morto
però un olivo, il possessore non ha diritto di ripiantarlo; il diritto di
piantare nuovi olivi non spetta che al proprietario del suolo.
Partecipazione.
Nei contratti agricoli che si usano nella vallata
per le colture alberate, si ritrova più frequente l’uso della partecipazione
del contadino al prodotto, che non in tutta quella parte della Sicilia, che
abbiamo finora percorsa. Non vi è però vera forma di mezzadrìa secondo il tipo
continentale, perchè mancano nella campagna le case rurali; perchè di anno in
anno variano generalmente i patti che si fanno con ogni contadino, il quale
contratta ogni volta per appezzamenti diversi, e non ha alcun legame stretto e
continuato collo stesso podere; e perchè presso ogni proprietario e per ogni
speciale coltura i patti hanno forma e natura diversa.
Sono parecchi i giardini di agrumi; alcuni tenuti
dai proprietari a economia, altri gabellati come nel Palermitano. Il
solo barone Turrisi, benemerito dell’agricoltura siciliana, ha introdotto per
gli agrumi alcuni contratti di partecipazione della durata di tre, quattro o
sei anni. Il padrone dà il concime, e il colono pensa alla coltura e
all’irrigazione. Il raccolto, dopo prelevazione del 10 per cento pel
proprietario, si divide a terzi, di cui due al proprietario e uno al colono. Lo
stesso Barone ha introdotto un contratto speciale di appalto per la piantagione
di nuovi agrumeti; contratto che dura dodici anni, e in cui pure per il secondo
sessennio vi è partecipazione del colono alla metà del frutto.
Per gli olivi si usano i seguenti patti. Se al
contadino ne è affidata la coltura per tutto l’anno, egli riceve un terzo del
prodotto: altrimenti, per la sola raccolta, un quarto. Se si tratta di un
contadino di fiducia del padrone si dividerà il raccolto effettivamente a 3/4 e
1/4; ma più comunemente si stima preventivamente il raccolto, e il contadino è
tenuto a consegnare i tre quarti di quella quantità stimata. Si dànno pure le
olive a gabella a speculatori estranei, facendo stimare il raccolto
pendente al 31 ottobre: lo speculatore assicura al proprietario una quantità
determinata di olive.
Pei vigneti si usa dai proprietari tanto di darli
a mezzadrìa con varietà di patti speciali, quanto di tenerli a economia; questo
secondo però sembra essere il caso più ordinario.
Pei frassineti i patti sono diversi e variano
secondo i prezzi della manna sul mercato. Talvolta i patti col contadino mannaloro
non comprendono che la sola raccolta della manna, che si fa per mezzo di
numerose incisioni sul tronco e sui rami, dalle quali scorre l’umore che si
raccoglie; altre volte invece comprendono, oltre la raccolta, l’intiera
coltivazione dell’albero, cioè zappatura nell’inverno, sarchiatura in estate e
nettatura delle ceppaie. I patti variano comunemente secondo i tempi, i luoghi
e i proprietari, da una divisione eguale a metà quando il prezzo è basso, fino
alla divisione, se il prezzo è elevato, a terzi, di cui due al padrone, il
quale inoltre preleva spesso un’antiparte del tanto per cento. Sicchè il
lavorante, malgrado i patti di partecipazione, non profitta punto degli aumenti
di prezzo, perchè a prezzo più alto ha una partecipazione minore; onde avviene
che ogniqualvolta l’elevazione del prezzo sia effetto di un misero raccolto, il
mannaloro si vede diminuita la parte, non soltanto in proporzione della
diminuzione totale della manna raccolta, ma anche di più, per la minore sua
quota di partecipazione in quel raccolto; ossia, in altre parole, avrà un terzo
di una quantità minore, invece che una metà di una quantità maggiore. Facciamo
notare questa particolarità ad illustrazione del come — contrariamente
all’opinione dei dilettanti di economia politica, — la partecipazione al
prodotto come forma di retribuzione del lavoro, non sia per sè stessa di alcun
vantaggio pel lavorante, ognivoltachè non riunisca quei caratteri speciali che
la elevano a barriera contro la concorrenza del lavoro sul mercato.
Una delle cose che più colpiscono in Sicilia è
quel continuo sentirsi dire dappertutto e da tutti, che i patti colonici, le
mercedi, tutto insomma che importa alla condizione buona o cattiva dei
contadini dipende assolutamente dalla bontà d’animo e dalla maggiore o minore
generosità del proprietario. Ma non anticipiamo sul nostro ragionamento.
La terra che si possa seminare in mezzo agli
olivi, o nei pochi appezzamenti non alberati, si concede comunemente ai
contadini a terratico, ossia a fitto a grano.
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